Tempo di lettura: 3 minutiLa sindrome orale allergica è una delle allergie alimentari più comuni. In genere inizia in età prescolare, può peggiorare con l’età e talvolta permane anche da adulti. Si tratta di una reazione allergica agli alimenti, specialmente quando gli allergeni sono presenti sia nelle piante che nella frutta o nella verdura. Spesso i sintomi si manifestano sulla lingua, nel palato e nella faringe. I frutti che danno maggiori allergie sono, per esempio: mele, pere, pesche, kiwi o frutta a guscio. Questo fenomeno è noto come allergia crociata.
I dati
Secondo i dati epidemiologici, la sindrome orale allergica è tra le più comuni forme di allergia alimentare e colpisce circa il 2-3% della popolazione generale. Tuttavia, si tratta di una percentuale sottostimata poiché molte persone non riportano i segnali al proprio medico.
Allergie e polline
“Il polline rappresenta un fattore di rischio nello sviluppo delle allergie alimentari a causa della presenza di proteine comuni tra il polline stesso e alcuni alimenti, come frutta e verdura”. A fare chiarezza è la dottoressa Chiara Ghelli, allergologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano e presso i centri medici Humanitas Medical Care.
“Queste proteine – si legge nell’approfondimento – appartenenti alla famiglia PR10, sono utilizzate dalle piante come meccanismo di difesa contro infezioni, insetti e altre condizioni ambientali sfavorevoli. Esse si trovano in diverse varietà di vegetali. Un esempio noto è la proteina Betv1, presente nel polline delle betulle e anche in vari tipi di frutta e verdura.
Le persone con sindrome orale allergica, con reazioni crociate tra pollini e determinati frutti e verdure, possono manifestare una sintomatologia più grave sia che soffrano di oculorinite sia che siano colpiti da asma bronchiale”.
Allergia al polline incide su allergie alimentari
Secondo alcuni studi, le persone che hanno sofferto di allergie respiratorie al polline da bambini avrebbero più rischio di sviluppare allergie alimentari. Per esempio, l’allergia al polline di betulla aumenterebbe il rischio di allergie ad alimenti come frutta e verdura. Così come le allergie al polline delle graminacee predisporrebbero ad allergiche verso alcuni cibi.
I sintomi
I sintomi dell’allergia tendono a manifestarsi pochi minuti dopo aver ingerito gli alimenti. La reazione è scatenata “dall’interazione tra le proteine degli alimenti e il sistema immunitario del paziente, tramite una reazione allergica IgE mediata”, spiega la specialista. I sintomi più comuni sono: prurito delle labbra, prurito al palato, prurito alla gola, gonfiore (edema) localizzato alle labbra, alla lingua o alla gola.
“Le persone con allergia alimentare esprimono specifici anticorpi chiamati Immunoglobuline E (IgE) e manifestano sintomi dopo aver ingerito alcuni alimenti – chiarisce la specialista. “Questi pazienti – prosegue – devono evitare gli alimenti responsabili della sindrome orale allergica. Alcuni pazienti possono esprimere IgE specifiche per alcuni alimenti, ma non manifestano sintomi dopo l’ingestione di tali cibi. È importante continuare a consumarli, se ben tollerati, al fine di mantenere la tolleranza ed evitare lo sviluppo di allergie. Quindi, la valutazione dello specialista allergologo è fondamentale per comprendere quali alimenti devono essere effettivamente eliminati per evitare conseguenze derivanti da restrizioni alimentari eccessive”.
Le allergie crociate più comuni
Le allergie crociate più frequenti includono: polline, alimenti, frutta secca, semi, acari e crostacei. “Le persone allergiche al polline di betulla possono sviluppare reazioni allergiche a frutta e verdura come mele, pere, carote e sedano. Allo stesso modo, coloro che sono allergici al polline di graminacee possono avere reazioni allergiche a cereali come grano e riso, ma anche frutta esotica (kiwi). Le persone allergiche alle noci possono anche sviluppare reazioni allergiche a semi come semi di girasole, semi di zucca e semi di sesamo. Infine, le persone allergiche agli acari, possono sviluppare reazioni allergiche alla famiglia dei crostacei, tramite proteine comuni come la tropomiosina”.
In generale, le allergie crociate sono più comuni tra alimenti che condividono proteine simili con altre sostanze che possono causare allergie, come il polline, le noci e i semi. Tuttavia – conclude la specialista – ogni individuo può avere una combinazione diversa di allergie crociate, quindi è importante consultare uno specialista allergologo per una diagnosi accurata e un trattamento adeguato”.
Azzurri con diabete, Giulio Gaetani sul podio della coppa del mondo
Associazioni pazienti, News Presa, SportSi può essere grandi campioni anche con il diabete di tipo 1. Lo dimostrano i risultati ottenuti dai tantissimi atleti affetti da questa patologia. Il diabete giovanile, infatti, non impedisce di praticare uno sport. Inoltre, l’attività fisica aiuta a regolare i valori della glicemia e il compenso metabolico. Il diabete di tipo 1 è tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, caratterizzate cioè da una reazione del sistema immunitario contro l’organismo stesso. Il pancreas non è in grado di produrre insulina a causa della distruzione delle beta-cellule che sono deputate alla produzione di questo ormone. La ricerca corre, ma ad oggi non esiste una cura e la patologia impatta sulla qualità della vita di chi ne è affetto.
Lo schermidore con diabete
Lo schermidore Giulio Gaetani è tra gli atleti azzurri affetti dalla patologia che compete e vince. Ora è raggiunto un importante traguardo mondiale. “Siamo molto orgogliosi del risultato ottenuto da Giulio Gaetani, atleta azzurro con diabete che ha conquistato il primo bronzo in Coppa del Mondo nella Spada. Un importantissimo risultato sportivo al quale si aggiunge il messaggio forte sulla lotta allo stigma nei confronti delle persone con diabete, e nello specifico degli atleti con diabete ai quali è precluso ancora oggi l’accesso ai gruppi sportivi militari. Su questo tema come Federazione delle società diabetologiche italiane (FeSDI) stiamo lavorando insieme a Giulio Gaetani e Anna Arnaudo affinché siano riconosciuti gli stessi diritti a tutti gli atleti italiani, con la patologia o meno”.
Lo ha dichiarato Angelo Avogaro, Presidente FeSDI e SID e Riccardo Candido, vicepresidente FeSDI e presidente nazionale AMD. “I successi sportivi dei giovani atleti con la patologia, come Giulio, ci supportano nel veicolare un altrettanto importante messaggio per la promozione della cultura della prevenzione, intesa come adozione di corretti stili vita, per la lotta alle malattie croniche come diabete e obesità, in progressivo aumento nel nostro Paese e in tutta Europa”, hanno concluso.
Covid e fasce a rischio grave. In arrivo vaccino annuale
News PresaTutti gli indicatori del Covid-19 in Italia continuano a crescere. Il virus, però, è diventato meno aggressivo e l’impatto sugli ospedali resta sotto controllo. Tuttavia ci sono fasce più fragili che sono ancora esposte al rischio di eventi gravi e ospedalizzazioni. L’unica protezione efficace ad oggi è il vaccino.
“Basta esitazioni, oltre il 95% della popolazione fragile non è protetta contro il Covid, ed è a rischio. Abbiamo avuto quasi 9mila morti da inizio anno”.
Lo ha ribadito di recente il Prof. Massimo Andreon al XXII Congresso SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
Covid, chi sono i pazienti fragili
“Da inizio anno vi sono state quasi 9mila persone decedute per il virus. Parlare di un virus non più aggressivo e che vive con noi non implica che una riduzione della gravità di questo patogeno. Diventa quindi necessario promuovere il richiamo della vaccinazione per il Covid nei soggetti fragili. Purtroppo c’è una grande esitazione dei pazienti, generata dall’impegno che richiedono i periodici richiami. Presto potremmo avere una vaccinazione annuale per il Covid e questo potrebbe in qualche modo facilitare l’adesione alla campagna vaccinale. Adesso serve un coinvolgimento quanto più ampio possibile dei pazienti più a rischio, come anziani, malati cronici, pazienti immunocompromessi: oltre il 95% di questa popolazione ha una protezione nei confronti del virus che non è più efficace, in quanto l’ultimo richiamo vaccinale risale a più di 6 mesi fa”.
Tumori intrattabili, terapia innovativa prende di mira i telomeri
Farmaceutica, News Presa, Ricerca innovazioneUno studio dell’IFOM di Milano apre la strada a un nuovo approccio terapeutico per il trattamento dei tumori ALT. L’acronimo sta per Allungamento Alternativo dei telomeri, dall’inglese Alternative Lengthening of Telomeres. Questi tumori, seppur poco noti al di fuori della comunità scientifica, rappresentano circa il 10-15% di tutti i tumori e la quasi totalità di alcuni tumori del sistema nervoso centrale. Si tratta, per esempio, del glioblastoma, e dei tessuti ossei, come l’osteosarcoma.
“I tumori ALT rappresentano una sfida notevole nell’ambito dell’oncologia – ha spiegato Fabrizio d’Adda di Fagagna, a capo del laboratorio Risposta al danno al DNA e senescenza cellulare all’IFOM di Milano e dirigente di ricerca del Cnr-Igm. “Al momento – ha proseguito – non esiste una terapia specifica e risolutiva per i pazienti che ne sono affetti. Inoltre, le terapie convenzionali come la chemioterapia e la radioterapia sembrano essere particolarmente inefficaci, indicando l’urgenza di trovare nuovi approcci con potenziale terapeutico per il loro trattamento. Si tratta di una porzione significativa di pazienti oncologici, uno sforzo della comunità scientifica in questa direzione è pertanto dovuto”.
“Nel nostro laboratorio abbiamo quindi avvertito l’esigenza – prosegue d’Adda di Fagagna – di identificare un nuovo approccio per il trattamento dei tumori ALT. Siamo grati ad AIRC per aver creduto nella nostra intuizione finanziando questo studio i cui risultati sono stati appena pubblicati su Nature Communications e che indicano una prospettiva concreta a potenziale beneficio dei pazienti”.
I tumori ALT
“Ciò che distingue questi tumori – prosegue d’Adda di Fagagna – è un meccanismo di sopravvivenza della cellula tumorale che si basa su una peculiare strategia di mantenimento dei telomeri, ovvero le protezioni dei cromosomi che hanno un ruolo cruciale sulla longevità delle cellule, incluse quelle tumorali.”
Il laboratorio di Fabrizio d’Adda di Fagagna da 20 anni studia il ruolo dei telomeri nel mantenere la capacità proliferativa delle cellule. La loro funzione è ormai nota per essere trasversale nel mantenimento della salute dell’essere umano. Infatti, un’alterata funzione dei telomeri è connessa ai processi di invecchiamento, così come alla predisposizione a nascere con patologie genetiche o all’aumentata probabilità di sviluppare un tumore. “I telomeri stessi – ha precisato il ricercatore – sono soggetti ad usura e a danneggiamenti e in tempi recenti abbiamo scoperto una famiglia di RNA telomerici mai caratterizzati prima. Si è rivelato cruciale nell’attivare il processo di allarme nella cellula e promuovere la sua riparazione. Ed è proprio su questo RNA che ora stiamo facendo leva per sviluppare strategie terapeutiche innovative per i tumori ALT”.
Le cellule cancerogene di questa neoplasia sono infatti caratterizzate da telomeri costantemente danneggiati. Lo studio pubblicato su Nature Communications ha fatto emergere che proprio questo RNA risulta essenziale per la loro riparazione e, di conseguenza, la loro proliferazione incontrollata e sopravvivenza. “Tale evidenza – ha sottolineato d’Adda di Fagagna – ci ha permesso di identificare questi RNA telomerici come un nuovo bersaglio molecolare che può essere selettivamente preso di mira con degli approcci innovativi per indurre la morte selettiva delle cellule tumorali ALT”
Tecnologia innovativa, i nuovi farmaci
La soluzione terapeutica su cui si sono concentrati i ricercatori arriva da una tecnologia innovativa che si sta affermando nella ricerca avanzata. Si tratta degli oligonucleotidi antisenso, detti anche ASO. Si tratta di una nuova classe di farmaci, consistenti in brevi sequenze sintetiche, simili al DNA, disegnate e sintetizzate per legare in modo complementare un bersaglio specifico, costituito da un RNA patologico, e bloccarlo. “Abbiamo pertanto disegnato – ha spiegato d’Adda di Fagagna – un ASO altamente selettivo e complementare all’RNA che promuove la longevità delle cellule tumorali ALT. E con grande nostra soddisfazione, abbiamo osservato in vitro che le cellule ALT provenienti da tumori del cervello e delle ossa e trattate con gli ASO sono andate incontro a morte cellulare. L’impatto sulle cellule sane, invece, è risultato assolutamente trascurabile.” Questi risultati sono stati ottenuti anche grazie al contributo dell’unità di terapie sperimentali dell’IFOM condotta da Ciro Mercurio. “Il nostro prossimo impegno – ha concluso il ricercatore – sarà di avvicinare sempre di più questo approccio terapeutico all’uso clinico, anche verificando il potenziale di sinergia con altre molecole che ne aumentino ulteriormente l’efficacia.”
La ricerca è stata realizzata dai ricercatori Ilaria Rosso e Corey Jones-Weinert, con il coordinamento di Fabrizio d’Adda di Fagagna e la supervisione sperimentale di Francesca Rossiello. Non sarebbe stata possibile, sottolineano gli studiosi, senza il contributo di un grant dell’associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC) (Investigator Grant), e di un European Research Council (ERC) Advanced Grant (“TeloRNAging”).
Acufene per oltre un adulto su 10. Test spesso non lo rilevano
News Presa, Ricerca innovazioneOltre un adulto su dieci in tutto il mondo soffre di acufene. Il ronzio nelle orecchie può essere avvertito anche da chi ha un udito normale. Un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Istituto USA Mass Eye and Ear rivela che le persone con acufene sperimentano un problema del nervo uditivo che non viene rilevato dai test dell’udito convenzionali. I risultati della ricerca danno una migliore comprensione delle origini dell’acufene e sono stati pubblicati di recente su “Scientific Reports“.
Acufene, sintomi
L’acufene provoca fischi persistenti o suoni nelle orecchie. I sintomi sono debilitanti per molti pazienti e possono portare a carenza di sonno, isolamento sociale, ansia e depressione. Il disturbo influenza negativamente anche le prestazioni lavorative e si ripercuote sulla qualità della vita. “Non saremo in grado di curare l’acufene finché non comprenderemo appieno i meccanismi alla base della sua genesi. Questo lavoro è un primo passo verso il nostro obiettivo finale di mettere a tacere l’acufene”, ha sottolineato l’autore senior dello studio Stéphane F. Maison, ricercatore principale presso il Mass Eye and Ear e direttore clinico della Mass Eye and Ear Tinnitus Clinic.
Cause, lo studio
Le persone con perdita dell’udito spesso avvertono un ronzio, uno squillo o addirittura una sorta di ruggito nelle orecchie. Da molto tempo gli studi collegano questi sintomi, noti come acufene, a una plasticità disadattiva del cervello. In altre parole, il cervello cerca di compensare la perdita dell’udito aumentando la propria attività, provocando la percezione di un suono fantasma, l’acufene.
Fino a poco tempo fa, però, questa idea era contestata poiché alcuni pazienti avevano test uditivi normali.
Tuttavia, la scoperta della sinaptopatia cocleare nel 2009 da parte dei ricercatori del Mass Eye and Ear ha riconfermato questa ipotesi. Infatti i pazienti con un test uditivo normale possono comunque avere una perdita significativa del nervo uditivo.
Maison e il suo team hanno cercato di determinare se tale danno nascosto potesse essere associato ai sintomi sperimentati da un gruppo di partecipanti con udito normale. Misurando la risposta del nervo uditivo e del tronco cerebrale, gli scienziati hanno scoperto che l’acufene cronico non era solo associato a un problema del nervo uditivo, ma che i partecipanti mostravano iperattività nel tronco encefalico.
“Il nostro lavoro riconcilia l’idea che possa essere innescato da una perdita del nervo uditivo, anche nelle persone con udito normale”, ha sottolineato Maison.
Prospettive future e nuovi farmaci
In futuro, i ricercatori mirano alla rigenerazione del nervo uditivo attraverso l’uso di farmaci chiamati neurotrofine. “L’idea che, un giorno, i ricercatori possano essere in grado di riportare il suono mancante al cervello e, forse, ridurne l’iperattività insieme alla riqualificazione, avvicina sicuramente la speranza di una cura alla realtà”, ha concluso Maison.
Asma, aumento correlato a cambiamento climatico. Lo studio
Benessere, News Presa, One healthIl clima sta cambiando rapidamente su scala globale. Aumentano le temperature medie e i fenomeni meteorologici estremi, come le ondate di calore, la siccità e l’aridità. Una tendenza che si ripercuote su molti aspetti della salute umana. In particolare, un team del Consiglio nazionale delle ricerche ha formulato un’ipotesi sulla possibile relazione tra clima arido e incidenza dell’asma in Italia. Gli autori sono ricercatori dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (Cnr-Igag), Istituto di farmacologia traslazionale (Cnr-Ift) e Istituto di fisiologia clinica (Cnr-Ifc), in collaborazione con pneumologi, biostatistici ed epidemiologi di diverse università italiane (Verona, Ancona, Ferrara, Palermo, Pavia, Torino e Sassari). La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports.
Cambiamento climatico e asma
Per verificare l’esistenza di un legame tra siccità, cambiamenti climatici e incidenza dell’asma, il gruppo di ricerca ha analizzato le oscillazioni periodiche intercorse tra il 1957 e il 2006. “Per quanto riguarda l’Italia, le variazioni di siccità ricostruite attraverso l’indice di Palmer (sc-PDSI) – che misura il grado di severità della stessa – sono state messe in relazione alle fluttuazioni di un indice climatico, la Summer North Atlantic Oscillation (S-NAO) che, nella sua fase negativa, genera condizioni umide sull’Europa nordoccidentale e condizioni aride sul Mediterraneo centrale. È emerso che nel nostro Paese l’incidenza dell’asma condivide lo stesso schema di fluttuazioni, con una periodicità media di 6 anni”, ha spiegato Sergio Bonomo, ricercatore del Cnr-Igag e autore della ricerca.
Il clima della Terra ha subito grandi cambiamenti nel corso del tempo per fattori di diversa natura. “Alcuni sono dovuti a fenomeni astronomici come le variazioni dell’orbita della Terra attorno al Sole e dell’inclinazione dell’asse terrestre. Altri sono conseguenti alle variazioni di emissioni della radiazione solare e alle oscillazioni della circolazione oceanica e atmosferica. A partire dalla rivoluzione industriale, a questi fattori si è aggiunta l’attività dell’uomo. Soprattutto con l’incremento della concentrazione di gas serra, sta determinando l’aumento delle temperature e l’intensificazione di eventi estremi come periodi di siccità e di aridità. Nel 2019 abbiamo cominciato a studiare le oscillazioni cicliche dell’aridità correlandole ai tassi di mortalità per asma negli USA. Da qui l’idea di estendere quanto osservato, studiando anche i dati sull’incidenza dell’asma nel nostro Paese. Questo studio innovativo vuole aprire la strada all’identificazione di strategie di prevenzione e mitigazione dei danni alla salute. Inoltre conferma l’importanza e la necessità di agire contro i cambiamenti climatici”, conclude Bonomo. Un richiamo che giunge in concomitanza con la COP28, in corso a Dubai. Il vertice Onu sul clima, giunto alla ventottesima edizione, si concluderà il 12 dicembre.
Allergie alimentari e non, come riconoscere i segnali
Alimentazione, BenessereLa sindrome orale allergica è una delle allergie alimentari più comuni. In genere inizia in età prescolare, può peggiorare con l’età e talvolta permane anche da adulti. Si tratta di una reazione allergica agli alimenti, specialmente quando gli allergeni sono presenti sia nelle piante che nella frutta o nella verdura. Spesso i sintomi si manifestano sulla lingua, nel palato e nella faringe. I frutti che danno maggiori allergie sono, per esempio: mele, pere, pesche, kiwi o frutta a guscio. Questo fenomeno è noto come allergia crociata.
I dati
Secondo i dati epidemiologici, la sindrome orale allergica è tra le più comuni forme di allergia alimentare e colpisce circa il 2-3% della popolazione generale. Tuttavia, si tratta di una percentuale sottostimata poiché molte persone non riportano i segnali al proprio medico.
Allergie e polline
“Il polline rappresenta un fattore di rischio nello sviluppo delle allergie alimentari a causa della presenza di proteine comuni tra il polline stesso e alcuni alimenti, come frutta e verdura”. A fare chiarezza è la dottoressa Chiara Ghelli, allergologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano e presso i centri medici Humanitas Medical Care.
“Queste proteine – si legge nell’approfondimento – appartenenti alla famiglia PR10, sono utilizzate dalle piante come meccanismo di difesa contro infezioni, insetti e altre condizioni ambientali sfavorevoli. Esse si trovano in diverse varietà di vegetali. Un esempio noto è la proteina Betv1, presente nel polline delle betulle e anche in vari tipi di frutta e verdura.
Le persone con sindrome orale allergica, con reazioni crociate tra pollini e determinati frutti e verdure, possono manifestare una sintomatologia più grave sia che soffrano di oculorinite sia che siano colpiti da asma bronchiale”.
Allergia al polline incide su allergie alimentari
Secondo alcuni studi, le persone che hanno sofferto di allergie respiratorie al polline da bambini avrebbero più rischio di sviluppare allergie alimentari. Per esempio, l’allergia al polline di betulla aumenterebbe il rischio di allergie ad alimenti come frutta e verdura. Così come le allergie al polline delle graminacee predisporrebbero ad allergiche verso alcuni cibi.
I sintomi
I sintomi dell’allergia tendono a manifestarsi pochi minuti dopo aver ingerito gli alimenti. La reazione è scatenata “dall’interazione tra le proteine degli alimenti e il sistema immunitario del paziente, tramite una reazione allergica IgE mediata”, spiega la specialista. I sintomi più comuni sono: prurito delle labbra, prurito al palato, prurito alla gola, gonfiore (edema) localizzato alle labbra, alla lingua o alla gola.
“Le persone con allergia alimentare esprimono specifici anticorpi chiamati Immunoglobuline E (IgE) e manifestano sintomi dopo aver ingerito alcuni alimenti – chiarisce la specialista. “Questi pazienti – prosegue – devono evitare gli alimenti responsabili della sindrome orale allergica. Alcuni pazienti possono esprimere IgE specifiche per alcuni alimenti, ma non manifestano sintomi dopo l’ingestione di tali cibi. È importante continuare a consumarli, se ben tollerati, al fine di mantenere la tolleranza ed evitare lo sviluppo di allergie. Quindi, la valutazione dello specialista allergologo è fondamentale per comprendere quali alimenti devono essere effettivamente eliminati per evitare conseguenze derivanti da restrizioni alimentari eccessive”.
Le allergie crociate più comuni
Le allergie crociate più frequenti includono: polline, alimenti, frutta secca, semi, acari e crostacei. “Le persone allergiche al polline di betulla possono sviluppare reazioni allergiche a frutta e verdura come mele, pere, carote e sedano. Allo stesso modo, coloro che sono allergici al polline di graminacee possono avere reazioni allergiche a cereali come grano e riso, ma anche frutta esotica (kiwi). Le persone allergiche alle noci possono anche sviluppare reazioni allergiche a semi come semi di girasole, semi di zucca e semi di sesamo. Infine, le persone allergiche agli acari, possono sviluppare reazioni allergiche alla famiglia dei crostacei, tramite proteine comuni come la tropomiosina”.
In generale, le allergie crociate sono più comuni tra alimenti che condividono proteine simili con altre sostanze che possono causare allergie, come il polline, le noci e i semi. Tuttavia – conclude la specialista – ogni individuo può avere una combinazione diversa di allergie crociate, quindi è importante consultare uno specialista allergologo per una diagnosi accurata e un trattamento adeguato”.
Oblio oncologico, cosa prevede la nuova legge
Benessere, Medicina Sociale, News Presa, PsicologiaL’oblio oncologico è legge. Le persone che hanno avuto un tumore e sono guarite da tempo, non potranno più essere discriminate da banche, assicurazioni o altre realtà. Si tratta di un passo avanti per i diritti dei malati di tumore. Oggi chi guarisce potrà guardare con più tutele al futuro e realizzare un ulteriore traguardo nel percorso di cura. In caso di adozioni o richieste di mutuo, per esempio, non è ammessa la richiesta di informazioni per patologie oncologiche il cui trattamento attivo si sia concluso, senza recidive, da più di dieci anni.
Il disegno di legge sull’oblio oncologico ha avuto il via libera definitivo e all’unanimità dall’Aula del Senato. Il provvedimento aveva già avuto l’ok dalla Camera. Con 139 voti favorevoli, l’approvazione è stata accolta con un lungo applauso bipartisan.
Per ‘diritto all’oblio oncologico’, viene precisato all’articolo 1 del DDL, si intende il diritto delle persone guarite da una patologia oncologica di non fornire informazioni né subire indagini in merito alla propria pregressa condizione patologica.
Oblio per adozioni, mutui, pratiche bancarie e assicurazioni
Il testo unificato sull’oblio oncologico nei casi di richieste per l’adozione, per mutui, così come per pratiche bancarie, assicurazioni e nelle procedure concorsuali, non ammette la richiesta di informazioni sullo stato di salute relativo a patologie oncologiche il cui percorso di cura attivo si sia concluso, senza più recidive, da oltre dieci anni dalla richiesta.
“Una bella pagina di libertà e di speranza”. Così il Presidente della Commissione Affari Sociali e Salute della Camera, Ugo Cappellacci, ha espresso soddisfazione per l’approvazione definitiva della legge.
“Finalmente i guariti potranno contrarre un mutuo, stipulare un’assicurazione, adottare un figlio o partecipare a un concorso a pari condizioni con gli altri concittadini. A qualificare ulteriormente questo passaggio è uno spirito di coesione e di incontro delle rispettive volontà, un lavoro di condivisione in Commissione che ha visto il contributo costruttivo anche delle forze di opposizione. Per questo oltre alla relatrice Marrocco, a tutti i componenti della Commissione, alla presidente del Consiglio Meloni, al vicepresidente Tajani e al ministro Schillaci, oggi ci sentiamo di rivolgere anche un ringraziamento a tutti coloro i quali hanno avuto la lungimiranza di andare oltre gli steccati politici per puntare ad un risultato che incide sulla vita di numerose persone. Con questo spirito – ha concluso Cappellacci- potremo scrivere altre pagine di quella buona politica di cui la nostra comunità nazionale ha un forte bisogno”.
Prevenire discriminazioni
L’obiettivo delle disposizioni in materia di diritto all’oblio dei pazienti guariti da patologie oncologiche è prevenire le discriminazioni e tutelarne i diritti.
“È una legge di civiltà – ha commentato Annamaria Mancuso, Presidente Salute Donna ODV e Coordinatrice del Gruppo di Associazioni dei pazienti oncologici e oncoematologici. “La salute è un bene da difendere, un diritto da promuovere, da oggi l’Italia è un Paese più civile e il cancro non è più considerato uno stigma sociale. L’Italia come altri Paesi europei, fa un passo avanti e considera un ex malato di tumore, che abbia superato ogni recidiva, al pari di qualunque altro cittadino. La ricerca scientifica sta facendo passi da gigante con lo sviluppo di diagnostiche e terapie mediche innovative con farmaci sempre più targettizzati sul singolo tumore e sul singolo paziente – ha aggiunto Mancuso. Ogni giorno una nuova scoperta si aggiunge alle conoscenze e informazioni disponibili per debellare, speriamo definitivamente, il cancro”.
“L’approvazione del DDL sull’oblio oncologico è uno dei 12 punti per i quali le 46 Associazioni aderenti al Gruppo, si battono da molti anni – ha proseguito. Ringraziamo l’Intergruppo parlamentare ‘Insieme per un impegno contro il cancro’ e tutti i parlamentari che hanno voluto portare a positiva conclusione questa legge. L’approvazione odierna è la dimostrazione di una legislatura e di un Governo, a partire dal Ministro della Salute, On. Orazio Schillaci, impegnati ad affrontare in modo serio, attento e puntuale le più importanti tematiche legate alle malattie oncologiche e oncoematologiche”, ha concluso.
Tumore celebrale, machine learning anticipa diagnosi. Lo studio
News Presa, Ricerca innovazioneNel percorso di cura il primo passo che guida ogni scelta terapeutica è la diagnosi. Si parte dalla valutazione del tipo di tumore, se benigno o maligno, fino al grado di aggressività. Questi dati determinano l’urgenza e la strategia di cura. Tuttavia nel caso dei tumori cerebrali, molte informazioni non sono disponibili prima dell’intervento chirurgico. Le applicazioni dell’Intelligenza artificiale (AI) oggi aprono nuove strade dando in anticipo un quadro più chiaro.
Questa possibilità è stata indagata da una ricerca italiana, pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Oncology. L’hanno condotta l’Unità di Neurochirurgia e il Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) in collaborazione con la Clinica Mediterranea di Napoli, l’Università dell’Insubria di Varese-Como e Fondazione Umberto Veronesi ETS.
Tumore celebrale, lo studio
I ricercatori, studiando 90 pazienti con sospetto tumore del sistema nervoso centrale, hanno esplorato la possibilità di individuare precocemente la malignità del tumore stesso utilizzando le informazioni già disponibili. Per raggiungere questo risultato è stata impiegata una tecnica di machine learning (una branca dell’Intelligenza artificiale) chiamata clustering.
“Abbiamo raccolto – racconta Alessandro Gialluisi – ricercatore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed e della Libera Università Mediterranea (LUM) “Giuseppe Degennaro”, Casamassima (Bari) – una serie di dati che erano facilmente disponibili prima dell’intervento chirurgico grazie ad una semplice anamnesi. Ad esempio: la storia familiare e quella clinica del paziente, l’ambiente in cui vive, il suo stile di vita, il livello di istruzione, la situazione psicologica e lo status socioeconomico. Successivamente, tutte queste informazioni sono state elaborate da un algoritmo che ha creato dei “cluster” (gruppi di pazienti con caratteristiche simili, ndr) che infine sono stati messi a confronto con i risultati reali delle indagini effettuate successivamente all’intervento”.
In altri termini, l’intelligenza artificiale ha individuato quali elementi della vita di tutti i giorni possano essere messi in correlazione con la presenza di un tumore maligno anziché benigno e con la sua aggressività.
“Naturalmente si tratta di uno studio preliminare – commenta il professor Vincenzo Esposito, Responsabile dell’Unità di Neurochirurgia II e Direttore del Dipartimento di Neurochirurgia del Neuromed – che avrà bisogno di conferme e di ulteriori ricerche su un numero maggiore di pazienti. I nostri risultati indicano comunque che gli algoritmi di apprendimento automatico, basati su una combinazione di caratteristiche cliniche e biologiche, potrebbero essere utili nell’aiutare i medici nel decidere per il singolo paziente le priorità per la chirurgia o altri trattamenti. Grazie a questo approccio di medicina personalizzata, si potrebbe sopperire alla carenza di quelle informazioni, sia istopatologiche che molecolari, non disponibili finché il paziente non venga sottoposto a intervento chirurgico”.
Pazienti oncologici, stile di vita sano riduce rischio recidive
Associazioni pazienti, Stili di vitaSono circa 3 milioni e 600mila i pazienti oncologici lungo sopravviventi in Italia. Necessitano di un follow up che tenga conto della loro situazione clinica, psicologica, sociale, con servizi che siano erogati anche dal territorio. Da questa esigenza è nato il progetto di interventi integrati dell’Associazione Onconauti.
Stile di vita sano riduce rischio recidive
“Serve poi una prevenzione mirata – prosegue – ciò non significa solo andare ad escludere la presenza di recidiva del tumore, che dopo i primi due anni è nella maggior parte dei casi un evento abbastanza raro, ma aiutare le persone a migliorare lo stile di vita, soprattutto l’attività fisica e il controllo del peso che, come conferma la letteratura scientifica, nei pazienti con tumori del seno, della prostata e del colon (il 50% del totale) possono ridurre del 30-40% il rischio di recidiva e prevenire la comparsa di tumori su altri organi, rimuovendone le cause “non trasmissibili” (sedentarietà, cattiva alimentazione, fumo, obesità). Come dimostrano ad esempio i più recenti studi sui “secondi tumori” del polmone nei pazienti in follow up , una delle neoplasie con la più bassa sopravvivenza, con uno screening personalizzato associato ad una presa in carico per la cessazione del fumo nei soggetti a rischio si può arrivare ad una elevata percentuale di diagnosi precoce, che permette la possibilità di trattamenti efficaci. Occorre poi un adeguato management delle tossicità tardive indotte dai trattamenti oncologici, e anche qui la presa in carico di prossimità nelle Case di Comunità in collaborazione con i Medici di Famiglia e gli Specialisti Territoriali potrebbe evitare molte richieste di esami inappropriati e un inutile sacrificio di tempo per pazienti e i loro caregiver. Il terzo livello è quello dei trattamenti integrati: attività come sedute di yoga, agopuntura o shiatsu, riflessologia e Qi Gong, e interventi formativi ed esperienziali sullo stile di vita per acquisire un’alimentazione salutare e svolgere attività fisica regolare; supporto psicologico (arteterapia, mindfulness, ecc); e, in caso di necessità specifiche, sedute di fisioterapia o consulenze specialistiche mirate”.
A Bologna il modello “Onconauti”
Un modello sperimentale di follow up oncologico territoriale è quello applicato a Bologna. Si basa su tre elementi: invio dei pazienti dall’Ospedale agli ambulatori di Oncologia Territoriale in modalità telematica, esami di screening personalizzati, i trattamenti integrati. “Il follow up deve essere sviluppato nelle case di comunità, quindi sul territorio, e deve essere personalizzato in base alle caratteristiche genetiche, fisiche e psicosociali dei pazienti – spiega Stefano Giordani, Oncologia Territoriale AUSL Bologna e Direttore Scientifico Associazione Onconauti.
Percorsi integrati per i pazienti oncologici
“L’obiettivo è l’attuazione del piano oncologico nazionale, seguendo le linee guida nazionali e internazionali sui trattamenti integrati – spiega Stefano Giordani – I percorsi integrati devono essere complementari ai PDTA oncologici, in quanto non solo migliorano la qualità di vita, ma possono contribuire se associati alle cure oncologiche anche ad allungare la sopravvivenza. Per i tumori di prostata e mammella, che costituiscono il 50% dei pazienti in follow up, siamo certi che riducano il rischio di recidiva del 30% circa e aumentino la sopravvivenza in maniera significativa. Inoltre, il 24% dei nuovi casi di tumore (quasi 100.000 casi /anno) si verifica nei pazienti già in follow up oncologico. Le recidive di malattia, dopo i primi due anni, sono rare, ma il rischio persiste fino a 10 anni (o fino a 15-20 nei tumori al seno) e sono più frequenti negli anziani. Il periodo medio di comparsa di un secondo tumore dalla prima diagnosi è di 9-10 anni, ma persiste per tutta la vita. Occorre diffondere la consapevolezza che i secondi tumori sono oggi la principale causa di decesso durante il follow up oncologico, dopo le malattie cardiovascolari e le infezioni, e che grazie ai percorsi di trattamenti integrati è possibile fare molto per prevenirli”
Influenza cresce, raccomandato vaccino con diabete e in gravidanza
Anziani, PrevenzioneI tassi di diffusione dell’influenza sono in crescita, con il picco previsto prima di Natale. Per questo i medici di famiglia della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie si raccomandano di accelerare i tempi ed estendere la copertura delle vaccinazioni antinfluenzali in corso, con particolare attenzione ai soggetti fragili.
Da metà ottobre è attiva la campagna vaccinale in tutte le regioni italiane. “Soprattutto nei soggetti fragili, si devono raggiungere delle coperture maggiori rispetto allo scorso anno, quando il tasso di copertura si è attestato al 56%, ben lontano dal 75% auspicabile e dal 95% ottimale – ha evidenziato Alessandro Rossi, Presidente SIMG. Ogni punto di copertura in più, come confermano i dati della letteratura, corrisponde a un abbassamento diretto della mortalità e dell’ospedalizzazione, che colpiscono soprattutto i pazienti anziani e i più fragili, per i quali la vaccinazione non è più solo consigliata, ma raccomandata. Tra questi vi sono due popolazioni a cui bisogna prestare particolare attenzione: i pazienti diabetici di qualsiasi età e donne in gravidanza. Il diabete, infatti, per le sue caratteristiche espone maggiormente alle conseguenze più nefaste del virus influenzale. Il vaccino è raccomandato anche alle donne in gravidanza a qualsiasi settimana, poiché è sicuro e protegge sia la donna che il feto. Non va trascurata l’indicazione della vaccinazione a tutto il resto della popolazione giovane e adulta per proteggere sia se stessi che la comunità e i contatti diretti di queste persone. La SIMG ha predisposto strumenti formativi e informativi per favorire le somministrazioni dei vaccini, specificando l’importanza di usarne due specifiche tipologie sulle categorie più fragili, quello adiuvato e quello ad alto dosaggio, che si sono rivelati maggiormente efficaci nel prevenire mortalità e ospedalizzazione”.
“La campagna vaccinale contro l’influenza, inoltre – ha concluso Rossi – rappresenta un fattore in grado di promuovere anche gli altri vaccini per l’adulto, dal booster aggiornato contro le più recenti varianti del Covid-19, da rilanciare fortemente in questa fase, a quelli contro Pneumococco e Herpes Zoster. Sono tutti somministrabili nel corso della stessa seduta del vaccino antinfluenzale”.