Tempo di lettura: 3 minutiIl picco dell’influenza sembra superato, ma il tasso d’incidenza resta alto e i bambini sono i più colpiti. In questi casi, spesso, si ricorre ai farmaci più comuni che non sempre risultano appropriati. I medici di famiglia della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (Simg) mettono in guardia dalle cure fai da te e spiegano quali sono i rischi e quali, invece, gli usi appropriati.
L’influenza 2024-2025
L’influenza può variare d’intensità in base ai casi, diventando più aggressiva e con un rischio maggiore di complicanze soprattutto nei soggetti fragili (per età e comorbosità). Inoltre possono subentrare altre problematiche, tra cui le co-infezioni con altri virus respiratori come il virus respiratorio sinciziale o il rinovirus. Tra i sintomi più comuni vi sono febbre alta, mal di testa, dolori muscolari e articolari, tosse secca e persistente.
Nell’affrontare i sintomi dell’influenza si fa spesso confusione tra antibiotici, antiinfiammatori, paracetamolo, spiegano gli specialisti. La febbre, per esempio, è una reazione dell’organismo contro i virus, quindi, se è ben sopportata, non richiede obbligatoriamente l’assunzione di farmaci. “Gli antinfiammatori contrastano le difese naturali dell’organismo prodotte nei confronti dei patogeni – spiega Alessandro Rossi, Presidente SIMG – Interrompono la risposta dell’organismo e non rispondono all’infezione. Questi farmaci comportano diversi rischi: prolungamento della malattia; aumento del rischio di complicanze come polmoniti; disturbi gastrointestinali; nei soggetti anziani, ripercussioni sulla funzionalità renale e sull’apparato cardiocircolatorio, provocando rialzi della pressione.
I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) possono essere utilizzati (ma non nei primi giorni) per alleviare i sintomi qualora questi siano sostenuti da una chiara natura infiammatoria, ma devono essere usati con cautela, soprattutto in pazienti con problemi gastrointestinali o cardiovascolari. In ogni caso, prima di assumerli è sempre consigliabile consultare il medico prima del loro uso.
Il paracetamolo è il farmaco di maggiore affidabilità per ridurre la febbre e alleviare dolori associati alle sindromi virali come mal di testa o dolori muscolari: non interviene sul meccanismo di infiammazione, ma agisce solamente con scopo analgesico, ha un effetto peculiare sulla febbre ed è un farmaco sicuro, tanto che si raccomanda sia agli anziani che ai bambini, fino anche alle donne gravide”.

Le prescrizioni dei medici di famiglia e l’uso prudente degli antibiotici
“Relativamente alla prescrizione degli antibiotici, la SIMG ha sensibilizzato i medici di famiglia a una somministrazione prudente e secondo reale necessità – evidenzia Alessandro Rossi – Gli antibiotici, infatti, non devono assolutamente essere presi in considerazione in caso di infezione virale. Devono essere assunti solo in caso di infezione batterica, previa prescrizione medica e per la durata indicata: il rischio, oltre a quello di effetti collaterali, è quello che i batteri sviluppino resistenza agli antibiotici, vanificandone l’impiego e alimentando un fenomeno che già è preoccupante a livello globale”.
Il ruolo del medico di famiglia
“Il medico di medicina generale può essere consultato in qualsiasi momento – aggiunge Alessandro Rossi – Certamente il suo coinvolgimento è necessario se la durata dei sintomi supera i 3-4 giorni, se vi è febbre persistente e resistente ai farmaci, se, soprattutto in soggetti fragili, compaiono sintomi nuovi come una dispnea, un dolore al petto o, nelle persone molto anziane, insorgenza di confusione mentale.
In ogni caso, una consultazione anche solo telefonica rende il cittadino più sicuro e rende più agevole la gestione di sindromi virali di questo tipo. Il medico di famiglia, infatti, è quello che conosce da più tempo la storia personale del paziente, la sua situazione familiare e mantiene con lui un rapporto fiduciario e protratto nel tempo”.
Le donne parlano più degli uomini solo tra i 25 e i 64 anni, ma c’è una spiegazione
Benessere, News, Nuove tendenze, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazione, Stili di vitaLa credenza che le donne parlino più degli uomini è diffusa da tempo e se ne sono occupati anche gli scienziati. Uno studio iniziato nel 2007 condotto da Matthias Mehl, professore di Psicologia all’Università dell’Arizona, aveva dimostrato che uomini e donne pronunciano in media circa 16.000 parole al giorno, senza differenze significative di genere. La ricerca, però, aveva dei limiti: il campione era ristretto e composto principalmente da studenti universitari, rendendo difficile generalizzare i risultati.
Diciotto anni dopo, Mehl ha ampliato lo studio, analizzando con un team di ricercatori 630.000 registrazioni audio di 2.197 partecipanti tra i 10 e i 94 anni, raccolte in 22 studi condotti in quattro Paesi. I risultati, pubblicati sul Journal of Personality and Social Psychology, hanno mostrato che la differenza tra uomini e donne nell’uso quotidiano delle parole esiste, ma solo tra i 25 e i 64 anni.
Quanto parlano uomini e donne? I numeri
In questa fascia d’età, le donne pronunciano in media 21.845 parole al giorno, circa 3.000 in più rispetto agli uomini, che si fermano a 18.570. Prima dei 25 anni e dopo i 65, invece, la differenza si riduce fino a diventare trascurabile.
Mehl e i suoi collaboratori hanno escluso spiegazioni biologiche, come il ruolo degli ormoni. Se fosse stato così, le differenze sarebbero emerse anche tra i più giovani. Né si è riscontrato un aumento progressivo con l’età, segno che il fenomeno non è legato a un cambiamento generazionale.
Il ruolo delle donne nella società
Perché le donne tra i 25 e i 64 anni parlano di più? Secondo Mehl, la spiegazione è sociale. Le donne assumono più spesso il ruolo di caregiver, si occupano della gestione familiare e della cura dei figli. Questo aumenta le occasioni di interazione verbale.
Il fenomeno potrebbe anche essere influenzato dal contesto lavorativo. In molti settori, le donne svolgono ruoli che richiedono una comunicazione più frequente, come l’insegnamento o le professioni sanitarie.
Il più silenzioso dello studio: 100 parole al giorno
Lo studio ha evidenziato una grande variabilità individuale. Il partecipante meno loquace – un uomo – ha pronunciato solo 100 parole al giorno. Il più prolisso, sempre un uomo, ha superato 120.000 parole quotidiane.
Stiamo diventando meno loquaci? Il ruolo della tecnologia
I dati raccolti tra il 2005 e il 2018 indicano che il numero medio di parole pronunciate al giorno è sceso da 16.000 a 13.000. La causa potrebbe essere legata alla diffusione delle tecnologie digitali. La messaggistica istantanea e gli scambi attraverso i social media stanno progressivamente sostituendo le interazioni verbali dirette.
Parlare di più fa bene alla salute
La letteratura scientifica dimostra che la socializzazione è un fattore determinante per il benessere. Interagire con altre persone riduce il rischio di isolamento e ha un impatto sulla salute comparabile a quello dell’attività fisica e del sonno.
Per approfondire il legame tra conversazione e salute, Mehl sta sviluppando un nuovo dispositivo: SocialBit, un “contapassi” per la conversazione, in grado di misurare il tempo trascorso a parlare senza registrare il contenuto delle interazioni.
Gambe gonfie e circolazione: cause e rimedi più efficaci
Benessere, Prevenzione, Stili di vitaGonfiore, pesantezza, crampi notturni, formicolii. Quando le gambe appaiono gonfie e stanche, il problema potrebbe essere legato alla circolazione. Se trascurato, questo disturbo può peggiorare con il passare del tempo, soprattutto in concomitanza di altri fattori di rischio come gravidanza, menopausa o sovrappeso.
“Il gonfiore alle gambe, soprattutto nella zona delle caviglie, è spesso legato a un problema di ritorno venoso”, ha spiegato la dottoressa Elisa Casabianca, angiologa e chirurga vascolare presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano e Humanitas San Pio X, sulle pagine del centro. “Se non trattata, l’insufficienza venosa può cronicizzarsi, portando a complicanze che influiscono sulla qualità della vita”.
Perché le gambe si gonfiano
I principali fattori che ostacolano il ritorno venoso sono:
Quando il sistema linfatico non riesce a drenare i liquidi in eccesso, il gonfiore si accentua, rendendo le gambe pesanti e dolenti.
Rimedi per migliorare la circolazione
Per contrastare il gonfiore alle gambe e favorire il ritorno venoso è utile intervenire sullo stile di vita, attraverso abitudini sane, come:
Il gonfiore alle gambe non va sottovalutato, spiega la specialista. Riconoscerne le cause e intervenire in tempo, oltre a migliorare la qualità della vita, previene complicazioni, conclude.
Come superare l’ansia da prestazione
Sport, PsicologiaL’ansia da prestazione, nello sport come nella vita, può essere un grande problema. Non si tratta di semplice nervosismo, è un vero e proprio blocco emotivo che porta a commettere errori, paradossalmente, proprio nel timore di sbagliare. L’ansia da prestazione, infatti, non è solo il freno psicologico che impedisce di dare il meglio di sé, ma si manifesta anche con pensieri ossessivi e timori, come il rischio di sbagliare o di dimenticare. In ambito sportivo, l’ombra del giudizio, che proviene da ogni parte: famiglia, coach, compagni di squadra, può trasformarsi in una vera e propria nebbia che avvolge la mente, minacciando di compromettere il rendimento sportivo.
Le radici dell’ansia
Spesso, lo sport rappresenta per l’atleta molto più di una semplice attività fisica: è l’occasione per riscattarsi da esperienze passate e per dare risposta a una pressione sociale e familiare spesso schiacciante. In questo contesto, la paura di non essere all’altezza o di fallire diventa un nemico silenzioso che alimenta costantemente l’ansia da prestazione. È una sfida interiore che richiede strumenti efficaci per essere superata.
Il potere della respirazione
Tra le varie strategie per gestire questi stati d’animo, la respirazione si impone come uno strumento fondamentale. La respirazione diaframmatica, che sfrutta il movimento di un muscolo ampio e strategico – il diaframma – permette di guidare l’aria in modo ottimale all’interno dei polmoni. In pratica, imparare a controllare e rallentare il respiro aiuta a calmare il corpo e la mente, contrastando sintomi quali brividi, battito accelerato e tremori.
Adottare una posizione comoda – sia seduti che sdraiati, con le ginocchia leggermente piegate – può facilitare questa pratica, che si rivela preziosa non solo per ridurre lo stress, ma anche per migliorare la ventilazione polmonare e, di conseguenza, la performance atletica.
Respiro lento vs. respiro veloce
È interessante notare come la velocità del respiro possa influire profondamente sullo stato psicofisico. In condizioni normali, un adulto respira tra i 15 e i 18 atti al minuto. Tuttavia, rallentare questo ritmo porta con sé numerosi benefici: una migliore forma cardiovascolare, una riduzione significativa di stress e ansia, nonché un miglioramento complessivo della concentrazione. Al contrario, un respiro accelerato – che, pur essendo comune durante l’attività intensa – fuori dal contesto sportivo può scatenare reazioni di panico, confusione e disorientamento.
Strategie integrate per gestire l’ansia
Affrontare l’ansia da prestazione non significa limitarsi a esercizi di respirazione. Il sostegno di un coach, capace di guidare e supportare l’atleta nei momenti critici, rappresenta un elemento imprescindibile. Accanto a questo, la tecnica del “luogo sicuro” – un’immagine mentale di un ambiente dove ci si è sentiti protetti e felici – si rivela un valido alleato per calmare la mente e infondere serenità prima della gara.
Il contributo della famiglia, con il loro sostegno incondizionato, costituisce un ulteriore pilastro su cui l’atleta può fare affidamento, indipendentemente dai risultati. Alla fine, però, la chiave per superare ogni ostacolo resta la fiducia in se stessi: un’arma potente che, se coltivata con cura, permette di trasformare la pressione in energia positiva. In un mondo dove le aspettative esterne possono facilmente travolgere, imparare a gestire il respiro e a creare spazi mentali di tranquillità diventa essenziale per ritrovare l’equilibrio e dare il massimo in ogni competizione.
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Ansa, quali sport sono più adatti
Influenza: no alle cure fai da te. I consigli dei medici di famiglia
Anziani, Eventi d'interesse, News, PrevenzioneIl picco dell’influenza sembra superato, ma il tasso d’incidenza resta alto e i bambini sono i più colpiti. In questi casi, spesso, si ricorre ai farmaci più comuni che non sempre risultano appropriati. I medici di famiglia della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (Simg) mettono in guardia dalle cure fai da te e spiegano quali sono i rischi e quali, invece, gli usi appropriati.
L’influenza 2024-2025
L’influenza può variare d’intensità in base ai casi, diventando più aggressiva e con un rischio maggiore di complicanze soprattutto nei soggetti fragili (per età e comorbosità). Inoltre possono subentrare altre problematiche, tra cui le co-infezioni con altri virus respiratori come il virus respiratorio sinciziale o il rinovirus. Tra i sintomi più comuni vi sono febbre alta, mal di testa, dolori muscolari e articolari, tosse secca e persistente.
Nell’affrontare i sintomi dell’influenza si fa spesso confusione tra antibiotici, antiinfiammatori, paracetamolo, spiegano gli specialisti. La febbre, per esempio, è una reazione dell’organismo contro i virus, quindi, se è ben sopportata, non richiede obbligatoriamente l’assunzione di farmaci. “Gli antinfiammatori contrastano le difese naturali dell’organismo prodotte nei confronti dei patogeni – spiega Alessandro Rossi, Presidente SIMG – Interrompono la risposta dell’organismo e non rispondono all’infezione. Questi farmaci comportano diversi rischi: prolungamento della malattia; aumento del rischio di complicanze come polmoniti; disturbi gastrointestinali; nei soggetti anziani, ripercussioni sulla funzionalità renale e sull’apparato cardiocircolatorio, provocando rialzi della pressione.
I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) possono essere utilizzati (ma non nei primi giorni) per alleviare i sintomi qualora questi siano sostenuti da una chiara natura infiammatoria, ma devono essere usati con cautela, soprattutto in pazienti con problemi gastrointestinali o cardiovascolari. In ogni caso, prima di assumerli è sempre consigliabile consultare il medico prima del loro uso.
Il paracetamolo è il farmaco di maggiore affidabilità per ridurre la febbre e alleviare dolori associati alle sindromi virali come mal di testa o dolori muscolari: non interviene sul meccanismo di infiammazione, ma agisce solamente con scopo analgesico, ha un effetto peculiare sulla febbre ed è un farmaco sicuro, tanto che si raccomanda sia agli anziani che ai bambini, fino anche alle donne gravide”.
Le prescrizioni dei medici di famiglia e l’uso prudente degli antibiotici
“Relativamente alla prescrizione degli antibiotici, la SIMG ha sensibilizzato i medici di famiglia a una somministrazione prudente e secondo reale necessità – evidenzia Alessandro Rossi – Gli antibiotici, infatti, non devono assolutamente essere presi in considerazione in caso di infezione virale. Devono essere assunti solo in caso di infezione batterica, previa prescrizione medica e per la durata indicata: il rischio, oltre a quello di effetti collaterali, è quello che i batteri sviluppino resistenza agli antibiotici, vanificandone l’impiego e alimentando un fenomeno che già è preoccupante a livello globale”.
Il ruolo del medico di famiglia
“Il medico di medicina generale può essere consultato in qualsiasi momento – aggiunge Alessandro Rossi – Certamente il suo coinvolgimento è necessario se la durata dei sintomi supera i 3-4 giorni, se vi è febbre persistente e resistente ai farmaci, se, soprattutto in soggetti fragili, compaiono sintomi nuovi come una dispnea, un dolore al petto o, nelle persone molto anziane, insorgenza di confusione mentale.
In ogni caso, una consultazione anche solo telefonica rende il cittadino più sicuro e rende più agevole la gestione di sindromi virali di questo tipo. Il medico di famiglia, infatti, è quello che conosce da più tempo la storia personale del paziente, la sua situazione familiare e mantiene con lui un rapporto fiduciario e protratto nel tempo”.
Demenza, intercettarla con biomarcatori
Eventi d'interesse, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneNella battaglia contro la demenza, un faro di speranza si accende dall’Italia. La combinazione di biomarcatori multipli può essere uno strumento cruciale per identificare, tra chi soffre di un disturbo cognitivo lieve, coloro che rischiano di sviluppare forme gravi di demenza entro tre anni. Un passo avanti non solo scientifico, ma umano: permettere trattamenti precoci, mirati, e salvare vite prima che la malattia divori ricordi e identità.
Il cuore dello studio: numeri e metodologia
Promosso nel 2018 dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), il progetto Interceptor ha coinvolto 351 partecipanti con lieve declino cognitivo (MCI), selezionati da un pool iniziale di 500 volontari. Attraverso un approccio multidisciplinare, sono stati analizzati otto parametri chiave: dal volume dell’ippocampo sinistro (misurato con risonanza magnetica) al rapporto tra proteine beta-amiloide e tau nel liquido cerebrospinale, passando per test genetici, valutazioni neuropsicologiche e analisi della connettività cerebrale tramite EEG.
I risultati sono chiari: 104 pazienti hanno sviluppato demenza nel follow-up medio di 2,3 anni, con l’85% dei casi riconducibili all’Alzheimer. Il modello predittivo, integrando dati clinici e biomarcatori, ha raggiunto un’accuratezza dell’81,6%, superando la soglia ritenuta necessaria per programmi di screening pubblici.
Demenza e terapie precoci: una questione di tempismo ed etica
Le nuove terapie, come quelle recentemente approvate dalla FDA statunitense e in attesa di via libera europeo, agiscono sui meccanismi biologici della malattia. Ma il loro utilizzo massivo è ostacolato da costi proibitivi (fino a decine di migliaia di euro per paziente) ed effetti collaterali significativi, come emorragie cerebrali. Ecco perché individuare i candidati ideali – quel 30-40% di MCI destinato a progredire – non è solo una questione scientifica, ma etica ed economica .
“Senza un modello predittivo, somministrare questi farmaci a tutti i 950.000 pazienti italiani con MCI sarebbe insostenibile”, spiegano i ricercatori. L’obiettivo è selezionare chi trarrà maggior beneficio, ottimizzando risorse e riducendo rischi.
Interceptor 2.0: il futuro è già qui
Con l’imminente approvazione europea dei farmaci anti-amiloide, il team di Interceptor prepara la fase successiva: **Interceptor 2.0**. Un progetto per validare il modello su piccola scala, testando l’efficacia dei trattamenti in gruppi selezionati. “L’integrazione con algoritmi di intelligenza artificiale aprirà nuove frontiere”, anticipa il coordinatore Paolo Maria Rossini, mentre il presidente dell’ISS Rocco Bellantone sottolinea il ruolo di leadership italiana nella ricerca sulle demenze.
Oltre la scienza: implicazioni sociali
Questa scoperta non è solo un trionfo della medicina, ma un atto di giustizia sociale. Permettere diagnosi precoci significa restituire anni di vita dignitosa, alleggerire il carico sulle famiglie, e ridurre i costi sanitari a lungo termine. Come osserva Camillo Marra, neuropsicologo del Gemelli, “l’integrazione tra clinica e biomarcatori è la chiave per una prevenzione efficace” .
In un mondo dove l’Alzheimer colpisce 55 milioni di persone, l’Italia scrive una pagina di speranza. Non una cura definitiva, ma un faro che guida verso un futuro in cui la demenza non sarà più una condanna, ma una battaglia da combattere con armi affilate e tempismo perfetto.
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L’Alzheimer potrebbe essere causato anche da un virus
Adhd nei bambini: possibile correlazione con il paracetamolo
Bambini, Farmaceutica, Madri-padriL’uso del paracetamolo durante la gravidanza potrebbe essere associato a un aumento del rischio di sviluppare il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) nei nascituri. Una notizia non da poco, ma ancora da confermare. Per ora a suggerirlo è uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Mental Health, condotto da Brennan Baker dell’Università di Washington a Seattle.
Studi contrastanti sul paracetamolo e lo sviluppo neurologico
Da tempo la comunità scientifica si interroga sugli effetti dell’uso del paracetamolo in gravidanza sul neurosviluppo dei bambini. Gli studi finora condotti hanno prodotto risultati discordanti. Ad esempio, una ricerca del 2019 su un campione di oltre 4700 madri e figli ha evidenziato un aumento del 20% del rischio di Adhd nei bambini esposti al farmaco durante la gestazione. Tuttavia, un’analisi più ampia condotta su quasi 2,5 milioni di bambini e pubblicata nel 2023 non ha riscontrato alcuna correlazione significativa tra l’uso del paracetamolo e l’insorgenza del disturbo.
Lo studio di Baker: nuove evidenze
Per approfondire la questione, Brennan Baker e il suo team hanno analizzato campioni di sangue prelevati da 307 donne durante il secondo trimestre di gravidanza. Le partecipanti non assumevano farmaci per patologie croniche e non presentavano complicazioni note della gravidanza. I ricercatori hanno poi monitorato lo sviluppo dei loro figli fino all’età di 8-10 anni.
I risultati hanno mostrato che i bambini nati da madri che presentavano marcatori di paracetamolo nel sangue avevano una probabilità triplicata di ricevere una diagnosi di Adhd rispetto a quelli le cui madri non mostravano tracce del farmaco. Questa associazione è rimasta significativa anche dopo aver tenuto conto di fattori influenti, come l’età materna, il peso corporeo prima della gravidanza, il livello socioeconomico e la salute mentale dei familiari più stretti.
Necessità di ulteriori ricerche
Sebbene lo studio di Baker suggerisca una possibile connessione tra l’uso del paracetamolo in gravidanza e il rischio di Adhd, gli esperti sottolineano la necessità di ulteriori ricerche per confermare questa ipotesi. Al momento, il paracetamolo rimane uno degli antidolorifici più consigliati alle donne in dolce attesa, poiché considerato più sicuro rispetto ad altri farmaci. Tuttavia, i medici potrebbero dover riconsiderare le raccomandazioni e valutare attentamente i potenziali rischi e benefici caso per caso.
A prescindere da quelli che saranno i risultati di futuri studi, è bene ricordare che una donna in gravidanza dovrebbe sempre consultare il proprio medico prima di assumere qualsiasi farmaco, anche quelli di uso comune, per garantire la sicurezza del bambino in via di sviluppo.
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Papa Francesco ricoverato al Gemelli dal 14 febbraio: come sta e quando la bronchite diventa pericolosa
News, PrevenzionePapa Francesco è ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma dal 14 febbraio, per accertamenti sulla bronchite che lo affligge da più di una settimana. Il direttore della sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha confermato che il Papa è in condizioni stabili e sta seguendo l’iter terapeutico prescritto dai medici. Il Pontefice questa domenica non ha potuto guidare l’Angelus per rispettare il riposo assoluto e facilitare la ripresa.
Di cosa soffre Papa Francesco
Papa Francesco soffre di bronchite acuta e ricorrente, ha fatto sapere la Santa Sede. L’infezione alle vie respiratorie può essere causata da virus o batteri. La durata della malattia dipende dall’agente patogeno, dalla ricorrenza e dallo stato di salute della persona.
Che cos’è la bronchite
Si parla di bronchite quando un’infezione interessa i bronchi, i condotti che conducono l’aria ai polmoni. La gravità del quadro infettivo dipende dall’agente responsabile, che può essere un virus, un batterio o un fungo. Quando si tratta di broncopolmonite, invece, significa che c’è un coinvolgimento della sede polmonare, con un aumento del rischio clinico.
Bronchite acuta e bronchite cronica
La bronchite si presenta in due forme. La forma acuta è solitamente causata da un agente infettivo, di norma virale. La bronchite acuta si risolve in circa 10 giorni, salvo un’aggravamento che possa portare a polmonite. La forma cronica si manifesta con episodi ripetuti. Per il sospetto di bronchite cronica si richiede una tosse cronica con catarro per tre mesi all’anno per due anni consecutivi. La bronchite cronica può evolvere in ostruzione bronchiale con conseguenti difficoltà respiratorie.
Complicanze e bpco
Se non curata correttamente, la bronchite cronica può evolvere in broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco). La Bpco è una delle principali cause di morte. Eppure la malattia è prevenibile e trattabile, grazie ai vaccini e alle nuove terapie offerte dalla ricerca. Si stima che in Italia la Bpco interessi almeno 3,5 milioni di persone. I pazienti convivono con tosse persistente, catarro e mancanza di fiato, che in casi severi impedisce semplici movimenti come salire una rampa di scale o spostarsi in casa.
Le cure
Le terapie dipendono dall’agente che ha causato la bronchite e dalla forma clinica. In caso di bronchite acuta si interviene sulla causa, che può essere un virus come influenza, coronavirus o virus respiratorio sinciziale, oppure un batterio. In caso di bronchite cronica il trattamento è definito da uno specialista pneumologo, dopo esami ai bronchi e ai polmoni.
Dazi Trump: perché gli Usa non possono fare a meno dei farmaci prodotti in Italia
FarmaceuticaL’industria farmaceutica italiana registra export verso gli Usa in crescita, ma i dazi annunciati da Trump rischiano di ridisegnare la mappa degli scambi commerciali. Nel 2024 le vendite hanno raggiunto 10 miliardi di euro, seconda voce di export dopo i macchinari, secondo i dati di Confindustria. Il mercato americano vale il 20% dell’export. I dazi, però, obbligano le imprese italiane a puntare su altri mercati. Secondo Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria e AD di Sanofi, “l’America non può fare a meno dei nostri medicinali”.
Cattani sottolinea a Repubblica che: “Una guerra commerciale sui farmaci aumenterebbe a tappeto i costi e metterebbe in discussione l’accesso alle cure per tutti, a cominciare dai cittadini degli Stati Uniti che non sono autosufficienti nella produzione”. Secondo il presidente la dipendenza americana potrebbe essere una forte leva politica per tenere il dialogo aperto e rilanciare la cooperazione su innovazione e ricerca. In passato si è già parlato di dazi sui farmaci periodicamente, anche durante la prima presidenza Trump, ma senza mai arrivare a concretezza.
La connessione tra Italia, Europa e Usa riguarda farmaci, principi attivi, vaccini e trattamenti per malattie croniche e rare, ha spiegato Cattani in un’altra intervista al Corriere della Sera. Le tariffe sui farmaci comporterebbero aumenti di costo. Le aziende non assorbono i dazi. I maggiori costi verrebbero trasferiti al cliente finale. Le imprese cercherebbero mercati alternativi.
Infine Cattani ha sottolineato la perdita di competitività dell’Europa. Per i presidente la priorità assoluta deve essere quella di “ridare impulso alle politiche industriali e all’innovazione, dove abbiamo perso terreno rispetto a Cina e Stati Uniti”.
Giornata Mondiale contro il Cancro Infantile: l’80% dei bambini nel mondo non arriva nemmeno alla diagnosi
Bambini, Eventi d'interesse, NewsIn occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro Infantile che si celebra oggi, 15 febbraio, l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano accende un faro sul tema dell’accesso alle cure per i piccoli pazienti oncologici di tutto il mondo. A parlarne è la Dottoressa Maura Massimino, Direttore della Struttura Complessa di Pediatria, che da 38 anni si occupa di oncologia pediatrica. “La cura dei tumori
pediatrici è cambiata radicalmente negli ultimi decenni. All’inizio, molte malattie non erano guaribili. Oggi, sebbene non tutte possano essere sconfitte, la qualità della vita dei bambini affetti da cancro è notevolmente migliorata grazie ai progressi terapeutici”.
Nuovi approcci contro il cancro infantile
Ogni anno l’Istituto accoglie circa 250 nuovi pazienti pediatrici con diagnosi oncologica e ha sviluppato un approccio che va oltre la semplice cura della malattia.
“Abbiamo integrato alla terapia tradizionale progetti di riabilitazione e normalizzazione della vita, per
garantire che i bambini guariti possano tornare alla quotidianità senza strascichi permanenti”, aggiunge Massimino, rimarcando l’importanza di un approccio olistico alla cura.
Le disuguaglianze globali nell’accesso alle cure
“Nel mondo, solo il 20% dei bambini con cancro riesce a ottenere una diagnosi tempestiva e ad accedere a trattamenti adeguati. L’ 80% non arriva nemmeno alla diagnosi”, spiega la Dottoressa, sottolineando l’importanza di sensibilizzare l’opinione pubblica e migliorare l’accesso alle cure in
tutte le parti del mondo. Un esempio di solidarietà internazionale è l’arrivo di bambini oncologici da Gaza. Grazie alla collaborazione dell’Istituto con altre strutture sanitarie italiane, i bambini provenienti dalle zone di conflitto hanno avuto la possibilità di essere curati in Italia.
Italia in prima linea per aiutare i bambini oncologici delle zone di guerra
“Non è stato facile, potremo garantire a questi bambini le cure necessarie, nonostante le difficoltà
logistiche e politiche”, racconta la Dottoressa Massimino. La storia dei bambini di Gaza è un simbolo di speranza e impegno, con l’Italia che ha dimostrato solidarietà nell’assicurare cure adeguate a chi ne ha bisogno. “Sono orgogliosa di essere italiana, perché il nostro paese ha accolto questi bambini con rispetto e dignità”, conclude la Dottoressa Massimino.
In occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro
Infantile, la specialista ribadisce un messaggio: “Ogni bambino, ovunque nasca, ha diritto alle migliori cure. Non possiamo permettere che le disuguaglianze nell’accesso alla salute persistano. Ogni bambino merita una vita senza dolore e la possibilità di guarire”.
Dormire con la tv accesa: perché è una cattiva idea
Benessere, Prevenzione, Stili di vitaDormire occupa circa un terzo della nostra vita. Durante il sonno, il corpo si riposa, ma il cervello continua a lavorare. Il sistema nervoso elimina le connessioni neuronali inutili e consolida, durante i sogni, le informazioni più importanti. Nella fase del sonno profondo, invece, vengono rilasciati ormoni fondamentali, tra cui quello della crescita, utile per lo sviluppo nei bambini e per il metabolismo negli adulti. Anche i neuromediatori responsabili del tono dell’umore subiscono una regolazione.
Le fasi del sonno
Il sonno si divide in cicli di circa 90 minuti. La prima fase è caratterizzata da dormiveglia. La seconda porta a un sonno più profondo. La terza è il sonno profondo, con onde cerebrali rallentate. Infine, il sonno REM è il momento dei sogni, durante il quale il corpo è immobilizzato per evitare movimenti involontari, dovuti i sogni. Durante la notte, questi cicli si ripetono più volte. Con l’avvicinarsi del mattino, il sonno profondo diminuisce e la fase REM aumenta.
Perché dormire con la tv accesa fa male
Quando la luce diminuisce, il cervello produce melatonina, l’ormone che favorisce il sonno. La presenza di fonti luminose, come la TV, il computer o lo smartphone, soprattutto con luce blu, interferisce con la produzione di melatonina e l’addormentamento.
Anche con gli occhi chiusi, il cervello percepisce la variazione della luce e per difendere il sonno, attiva un filtro che elimina gli stimoli luminosi. Tuttavia, questo processo richiede uno sforzo delle strutture cerebrali, compromettendo la qualità del riposo. Il buio è quindi un elemento fondamentale per dormire bene.
Come sottolinea lo specialista: l’esposizione alla luce artificiale durante il sonno riduce il rilascio di melatonina e altera il ciclo circadiano. Per questo, eliminare le fonti di luce artificiale nelle ore serali migliora il riposo e riduce il rischio di disturbi legati al sonno.
Come dormire bene
Per migliorare il sonno, l’esperto consiglia di: