Nel 2023 in Italia oltre 50 mila tumori o lesioni precancerose non sono stati diagnosticati per la scarsa adesione ai programmi di screening oncologico gratuiti. È quanto emerge dal calcolo della Fondazione Gimbe basato sui dati del Report dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), network che monitora le attività di prevenzione oncologica offerte dal Servizio Sanitario Nazionale.
La mancata adesione ai tre principali programmi di screening — mammografia, test HPV/Pap-test e controllo del colon-retto — ha impedito di intercettare 10.900 carcinomi della mammella (di cui 2.400 invasivi di piccole dimensioni), 10.300 lesioni precancerose del collo dell’utero, oltre 5.200 tumori del colon-retto e quasi 24.700 adenomi avanzati. Lo ha spiegato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, sottolineando come questi dati rappresentino non solo una perdita in termini di diagnosi precoce, ma anche un ostacolo all’attivazione tempestiva di percorsi terapeutici adeguati.
Cosa prevedono gli screening gratuiti e chi dovrebbe farli
I tre screening oncologici gratuiti previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sono rivolti a fasce specifiche della popolazione: la mammografia è destinata alle donne tra i 50 e i 69 anni, il test HPV o Pap-test alle donne tra i 25 e i 64 anni, lo screening del colon-retto a uomini e donne tra i 50 e i 69 anni.
In alcune Regioni non sottoposte a piano di rientro, grazie a finanziamenti aggiuntivi, lo screening mammografico viene esteso anche alle donne tra i 45-49 e 70-74 anni, così come quello del colon-retto fino a 74 anni. Nel 2023, quasi 16 milioni di cittadini (15.946.091) sono stati invitati a partecipare a uno screening, ma solo 6,9 milioni (6.915.968) hanno effettivamente aderito. Le differenze regionali sono rilevanti sia in termini di inviti sia di adesione effettiva.
Mammografia: metà delle donne non risponde all’invito, Sud in forte ritardo

Nel 2023, il 93,6% della popolazione target femminile (4.017.757 donne) ha ricevuto l’invito per la mammografia. Le Regioni del Sud, tranne il Molise (119,5%), non raggiungono il 100% della popolazione target. In Calabria la percentuale è del 49,4%. L’adesione media nazionale è del 49,3%, con variazioni significative: dall’82,5% della Provincia autonoma di Trento all’8,1% della Calabria. Tutte le Regioni del Mezzogiorno si attestano sotto la media nazionale, segnalando una grave disomogeneità nella prevenzione.
Collo dell’utero: screening HPV o Pap-test con copertura a macchia di leopardo
Nel 2023 sono state invitate 3.982.378 donne, di cui il 71,3% (2.838.955) con test HPV e il 28,7% (1.143.423) con Pap-test. L’invito ha coperto il 111% della popolazione target, grazie ai recuperi post-pandemia. Le differenze restano marcate: dal 162,9% della Puglia al 61,5% della Calabria. L’adesione media allo screening del collo dell’utero è del 46,9%, ma anche qui si osservano forti squilibri regionali: si va dal 78% di Trento al 17% della Calabria.
Screening del colon-retto: solo un terzo risponde, adesione sotto il 5% in Calabria
Nel 2023 il 94,3% della popolazione target (7.945.956 persone) ha ricevuto l’invito per lo screening del colon-retto. Anche in questo caso le differenze regionali sono evidenti: l’Emilia-Romagna ha superato il 118,6%, la Sardegna è ferma al 55,9%. L’adesione media nazionale è del 32,5%, con picchi del 62% in Veneto e un minimo del 4,4% in Calabria. Anche qui tutte le Regioni del Sud, tranne la Basilicata, sono al di sotto della media nazionale. Cartabellotta sottolinea che il tasso di adesione è un indicatore delle performance complessive dei servizi sanitari regionali, legato alla qualità della gestione degli inviti, all’efficienza dei sistemi informativi, alla promozione e alla capacità di garantire il test.
Controlli fuori dal circuito dello screening: un fenomeno poco monitorato
Molti cittadini, in particolare per la mammografia e il test cervicale, si sottopongono a controlli al di fuori dei programmi organizzati. Secondo Cartabellotta, per questi controlli non esistono dati affidabili né sulla qualità né sull’efficacia del percorso diagnostico. In assenza di un esito standardizzato e di garanzie su un successivo trattamento in caso di positività, questi esami non possono essere considerati equivalenti agli screening organizzati.
La scelta di evitare il circuito istituzionale, spiega il presidente della Fondazione Gimbe, segnala una sfiducia nel sistema o una sua inefficienza. Tuttavia, la criticità principale resta la scarsa adesione: servono interventi strutturali e di comunicazione, oltre a un coinvolgimento più attivo dei cittadini.
Perché lo screening organizzato è fondamentale per salvare vite
L’adesione ai programmi di screening oncologico consente diagnosi precoci, trattamenti tempestivi, un numero maggiore di guarigioni, riduzione delle sofferenze e dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale. Soprattutto, contribuisce alla riduzione della mortalità per tumore.
Secondo Cartabellotta, è urgente rafforzare le campagne informative, migliorare l’efficienza dei sistemi regionali, uniformare l’accesso agli screening tra le aree del Paese. I dati del 2023 indicano chiaramente che troppe persone, soprattutto nel Mezzogiorno, non ricevono o non rispondono agli inviti a partecipare e questo ha un impatto diretto sulla salute pubblica.


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