Il grano duro italiano ha proprietà uniche per la salute e ha radici profonde. È il cuore della nostra pasta, simbolo della dieta mediterranea, e oggi si riscopre anche una risorsa strategica per affrontare due grandi sfide contemporanee: la crisi climatica e il bisogno di alimenti più sani. A riaccendere i riflettori su questo patrimonio è una ricerca che ha analizzato oltre 250 varietà di grano duro coltivate in Italia negli ultimi due secoli, con l’obiettivo di mappare la diversità genetica e comprendere come impiegarla in chiave moderna.
Le landraces: un tesoro poco valorizzato
Tra i risultati più interessanti dello studio c’è la riscoperta delle landraces, le antiche varietà locali coltivate per secoli prima dell’arrivo dell’agricoltura industriale. A differenza delle varietà moderne, frutto di incroci e selezioni mirate, le landraces sono nate sul campo, grazie all’adattamento spontaneo e all’osservazione contadina. Sono meno standardizzate, ma molto più resilienti. Si adattano meglio a condizioni climatiche avverse, hanno bisogno di meno input chimici e sono naturalmente più resistenti a malattie e stress ambientali.
Dal punto di vista nutrizionale, queste varietà presentano caratteristiche distintive: contengono più fibre, più antiossidanti, una maggiore presenza di micronutrienti e un minor rischio di contaminazione da metalli pesanti o micotossine. Elementi che oggi, alla luce delle nuove esigenze dei consumatori, fanno la differenza.
La storia del grano duro italiano e il ruolo del Cappelli
Nel Novecento, la spinta verso la modernizzazione dell’agricoltura ha portato alla selezione di varietà sempre più produttive. Una su tutte, la varietà Cappelli, selezionata nel 1915, ha avuto un ruolo centrale nei programmi di miglioramento genetico italiani. Per decenni è stata la base di molte varietà coltivate nel Paese, contribuendo ad aumentare le rese e migliorare alcune caratteristiche della granella.
Tuttavia, questa centralità ha avuto un costo: un appiattimento della diversità genetica. Troppe varietà simili tra loro, poca variabilità. Solo dagli anni ’70, anche grazie a nuove normative sulla qualità della pasta, si è tornati a investire sulla diversificazione genetica, introducendo nuove varietà e riscoprendo materiali genetici trascurati.
Perché la diversità genetica è importante oggi
Oggi più che mai, la diversità genetica è un tema cruciale. I cambiamenti climatici rendono instabili i cicli produttivi e impongono all’agricoltura una capacità di adattamento che solo una base genetica ampia può offrire. Le varietà moderne, spesso ottimizzate per condizioni standard, faticano a reagire a stress prolungati come siccità, ondate di calore, nuove malattie.
Le landraces, invece, offrono una sorta di “cassaforte genetica”: un serbatoio di geni che possono essere utilizzati per sviluppare nuove varietà più resistenti, sostenibili e nutrienti. Con le moderne biotecnologie, come l’editing genetico o la selezione assistita da marcatori, è possibile estrarre il meglio da questi grani antichi e reintrodurre nel ciclo produttivo caratteri genetici preziosi senza perdere efficienza produttiva.
Verso una nuova pasta: più sana e sostenibile
Tutto questo si traduce anche nella qualità della pasta. Con grani più ricchi di fibre, amido resistente e micronutrienti, si può produrre una pasta che non solo soddisfa il palato, ma aiuta anche la salute. Inoltre, grani più adattabili e resistenti significano meno uso di acqua, meno fertilizzanti, meno fitofarmaci: quindi filiere più ecologiche e durevoli. L’industria sta cominciando a cogliere queste opportunità. Cresce l’interesse per grani “antichi”, biologici, italiani, legati al territorio. E la ricerca pubblica continua a giocare un ruolo decisivo per supportare questo cambio di passo.
Insomma, il grano duro italiano, soprattutto nelle sue forme più antiche, non è solo un pezzo di storia agricola: è un alleato per il futuro. Recuperare, studiare e valorizzare la biodiversità delle varietà locali non è una nostalgia del passato, ma una strategia concreta per costruire sistemi alimentari più resilienti, sostenibili e salutari. Una buona notizia per l’ambiente, per chi coltiva e per chi, ogni giorno, mette un piatto di pasta sulla tavola.
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