L’insonnia è un problema che affligge centinaia di migliaia di italiani e spesso è il sintomo di un problema irrisolto. Ma attenzione, gli esperti della Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia (Sinpf) avvertono che l’insonnia può essere anche la causa scatenante di disturbi psichiatrici e quindi essere causa ed effetto di alcune malattie come ansia, depressione e disturbo bipolare.
Il ruolo dell’orexina nell’insonnia
A giocare un ruolo di primo piano nei meccanismi che portano all’insonnia è l’orexina, vale a dire un neurotrasmettitore che agisce sul sonno e che può essere bloccato grazie ad un farmaco antagonista. Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf, spiega che oltre un terzo della popolazione mondiale è colpita da insonnia o da disturbi del sonno con frequenti risvegli e problemi di riaddormentamento.
Un problema mondiale
Ne soffre il 20% in Italia, in molti casi in forma cronica: sintomi persistenti nell’80% dei casi dopo 1 anno dalla diagnosi e nel 60% dei casi a 5 anni. Studi clinici hanno evidenziato che “l’insorgenza di insonnia aumenta il rischio di sviluppare, nel breve termine, condizioni come depressione maggiore o disturbi d’ansia – aggiunge Matteo Balestrieri, già Ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente della SINPF-. Questo la rende un fattore predittivo e perciò importante campanello d’allarme in ambito clinico.” Recenti linee guida europee hanno suggerito come farmaco di prima scelta un antagonista in grado di agire sull’orexina.
Effetto su ansia e non solo
Questo farmaco potrebbe avere un ruolo importante anche in psicopatologia, ne è convinta Laura Palagini, psichiatra e responsabile dell’ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno dell’Auo di Pisa. Per questo, sono stati condotti alcuni studi in pazienti con disturbi d’ansia, depressivi bipolari e unipolari che hanno dimostrato che l’uso del farmaco antagonista dell’orexina può migliorare non solo i sintomi di insonnia ma anche d’ansia e dell’umore permettendo la riduzione dei farmaci ipnotico sedativi.
Importante farsi seguire da un medico
Tuttavia, poiché l’insonnia ha un andamento cronico, “la sospensione di farmaci ipnotico-sedativi richiede specifici accorgimenti – continua Palagini – e una riduzione graduale in associazione con terapie cognitive, con altre recenti terapie farmacologiche”. Servono dunque indicazioni chiare e puntuali. Il nuovo documento di consensus, in corso di pubblicazione sulla rivista Sleep Medicine, “sarà una guida utile per gli specialisti con l’obiettivo di aiutare i pazienti a ottenere benefici di efficacia e sicurezza contro l’insonnia e le altre patologie psichiatriche collegate o concomitanti”, concludono i presidenti Mencacci e Balestrieri.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2025/01/Insonnia-un-giovane-non-riesce-a-dormine-e-tiene-le-mani-vicino-alla-testa.jpg6671000Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2025-01-23 16:43:172025-01-23 16:43:17L’insonnia può scatenare ansia e depressione
Chi soffre di depressione o ha una grave sofferenza psichica rischia di vedersi ritirata la patente se sottoposto ad un normale controllo in strada. Il motivo di questo rischio, francamente assurdo, è legato al fatto che alcuni pazienti in cura per la salute mentale assumono, sotto prescrizione e indicazione di uno specialista, farmaci le cui sostanze sono assimilate alla droga dal Codice della Strada. A sollevare il problema è stata la Società Italiana di Psichiatria all’indomani dell’approvazione della recente riforma del Codice della Strada, che introduce la tolleranza zero per chi utilizza sostanze stupefacenti. Per gli psichiatri, occorre che ministri competenti convochino urgentemente il tavolo tecnico che ha prodotto questa riforma e ascoltino gli esperti.
Psicofarmaci e test antidroga
Oggi, chi viene fermato da polizia o altre forze dell’ordine potrà quindi essere sottoposto ad un test salivare antidroga. Il tampone, posto sotto la lingua per diversi secondi, rileva la presenza di sostanze stupefacenti, tra cui cocaina, anfetamine, oppioidi e anche THC. Ma gli psichiatri avvertono: antidepressivi, ipnoinducenti, ansiolitici e tutte le principali terapie per pazienti con malattia mentale non possono essere considerate dal nuovo codice della strada alla stregua di sostanze stupefacenti.
Il rischio per l’adesione alle cure
La paura dei medici è che, visto il pericolo di vedersi togliere la patente, molti pazienti sospendano le terapie. Lo dice chiaramente il comitato esecutivo della Società Italiana di Psichiatria, con la presidente, Liliana Dell’Osso: “Siamo preoccupati per l’adesione alle cure e vogliamo evitare un’ennesima discriminazione verso le persone che soffrono di patologia mentale.
Le cure psichiatriche non possono essere assimilate alle droghe – prosegue- perché, a differenza di queste ultime, vengono assunte dietro prescrizione dello specialista il quale, tra gli altri, ha il compito di adattare la posologia al fine di ottimizzare il rapporto efficacia/effetti sedativi. Questo provvedimento di riforma del codice della strada, rischia, di ingenerare confusioni pericolosissime per i milioni di italiani in cura con trattamenti psicofarmacologici. Sono dunque necessari immediati chiarimenti”.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2025/01/Psicofarmaci-e-patente-un-uomo-alla-guida.jpg5711000Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2025-01-17 15:08:432025-01-17 15:08:43Psicofarmaci, a rischio la patente dei pazienti
I disturbi mentali stanno diventando un allarme sociale e un problema enorme di sanità pubblica. I dati sono impressionanti: depressione, ritiro sociale, rifiuto scolastico, autolesionismo, ansia, disturbi del comportamento alimentare, ideazione suicidaria, nel mondo circa 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni soffre di disturbi mentali diagnosticati. In Europa i minori che soffrono di un problema di salute mentale sono più di 11 milioni, in Italia sono circa 2 milioni.
La giornata mondiale
In occasione della giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre, gli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù indicano i campanelli di allarme a cui prestare attenzione e i consigli per creare un ambiente familiare che favorisca la salute mentale dei figli. «Negli ultimi 10 anni le consulenze neuropsichiatriche presso il pronto soccorso dell’Ospedale sono aumentate del 500%» racconta il professor Stefano Vicari responsabile della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù.
I numeri dei disturbi mentali
Secondo l’UNICEF nel mondo 166 milioni di adolescenti tra i 10 e i 19 anni (1 su 7) ha un disturbo mentale diagnosticato. Di questi, 89 milioni sono ragazzi e 77 milioni sono ragazze. A livello mondiale, circa la metà dei problemi di salute mentale si manifesta entro i 18 anni, nonostante molti casi rimangano non individuati e non trattati. In Europa i minori che hanno un problema di salute mentale sono 11,2 milioni (13%). Di questi, 5,9 milioni sono maschi e 5,3 femmine. L’8% degli adolescenti (15-19 anni) soffre di ansia, il 4% di depressione. Il suicidio è la seconda causa di morte (circa un decesso su sei) dopo gli incidenti stradali.
Il lavoro del Bambino Gesù di Roma
I dati della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dicono che in Italia circa 1 minore su 5 soffre di un disturbo mentale. Si tratta di circa 2 milioni di minori. All’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù le consulenze neuropsichiatriche presso il pronto soccorso sono passate dalle 237 del 2013 alle 1.415 del 2023 con un picco di 1.824 nel 2021. Un aumento del 500%: da 1 consulenza ogni giorno e mezzo di media a circa 4 al giorno. Gli accessi per autolesionismo sono passati dai 25 del 2013 ai 607 del 2023.
«Quelli psichiatrici sono i disturbi più frequenti in età evolutiva. Molto di più delle malattie infettive e dei tumori – spiega il professor Stefano Vicari – Le malattie mentali rappresentano la terza causa di accesso al pronto soccorso del Bambino Gesù dopo la disidratazione e la febbre».
Campanelli d’allarme
I campanelli di allarme a cui i genitori devono prestare particolarmente attenzione sono i cambiamenti. Soprattutto quando sono repentini e prolungati nel tempo Quando un bambino o un adolescente inizia a presentare segni di malessere psicologico, questi si accompagnano infatti a dei cambiamenti emotivi e comportamentali rispetto alle normali abitudini di vita.
I cambiamenti possono riguardare il rendimento scolastico, con un repentino peggioramento, la comparsa di difficoltà nel dormire la notte, il peggioramento delle abitudini alimentari (mangiare troppo, mangiare poco, mangiare male), l’abbandono di un’attività sportiva che si praticava con soddisfazione, il ritiro sociale, irritabilità e scontrosità accentuati o un’eccessiva anedonia, cioè la difficoltà a provare piacere per e cose che prima davano piacere. «Ovviamente tutti gli adolescenti di tanto in tanto presentano queste modalità di comportamento – chiarisce Vicari – Ma quando questi atteggiamenti diventano quotidiani, rappresentano un cambiamento evidente rispetto al comportamento abitudinario e durano settimane o mesi, allora è bene chiedere aiuto»
Quando il fisico ci parla
I campanelli di allarme non sono però solo quelli comportamentali. Possono essere anche fisici. È il caso dell’autolesionismo, un fenomeno in grande crescita, soprattutto tra i giovani adolescenti (13-14 anni). Anche il repentino ed eccessivo aumento o perdita di peso può essere un segnale che nasconde un disturbo del comportamento alimentare. È quindi importante prestare attenzione al corpo dei propri figli, osservarli. «A volte i genitori per pudore o rispetto della privacy dei propri figli evitano di farlo – spiega Vicari – I figli hanno bisogno di essere controllati. È il ruolo dei genitori. La relazione genitore-figlio non è una relazione tra amici, ma tra chi è adulto e chi no, tra chi deve educare e chi deve essere educato».
Cosa fare
Il primo suggerimento è esserci. È importante sia la qualità che la quantità del tempo passato coi propri figli. È importante trovare il tempo anche per stare in silenzio insieme a loro. Non è necessario dirgli costantemente cosa fare e non fare. L’esempio è molto più importante. È importante ascoltarli e vedere cosa fanno. «Per farlo è necessario trovare il tempo – spiega Vicari – È fondamentale garantire una presenza fisica accanto ai propri figli. Altrimenti la comunicazione rischia di diventare prevalentemente funzionale e direttiva: “Lavati, studia, metti in ordine, hai preparato la borsa?”. Il messaggio che deve passare ai figli è semplice: “Se hai bisogno, io sono qui”».
Il ruolo della famiglia
Un altro aspetto centrale per creare un ambiente ottimale per i figli è quello di metterli in condizione di costruire relazioni, anche dentro la famiglia. Uno studio che riguarda i minori che sono riusciti ad affrontare meglio il distanziamento sociale e le restrizioni durante il Covid 19 ha dimostrato l’importanza di vivere in una famiglia numerosa, in cui si parla e si gioca, di leggere e fare attività fisica. «Il benessere mentale si costruisce insieme al benessere fisico e cognitivo, coltivando cioè conoscenza e sapere, giocando – continua Vicari – Il segreto è stare coi propri figli e divertirsi standoci. Non viverla come una condanna, come se stare con loro fosse tempo sottratto ai propri interessi».
Lasciare che il bambino si annoi: la noia non è un elemento negativo. Anzi. Nella vita di tutti i giorni avere del tempo a disposizione per non fare nulla vuol dire favorire la creatività, la fantasia. Immaginare delle cose che nel tempo fittamente organizzato che i figli hanno si fa fatica a trovare. «La creatività nasce da questo, dall’avere un bastoncino in mano e immaginare che sia un’astronave per esplorare i pianeti».
Impedire l’accesso ai farmaci tenuti in casa. Negli adolescenti il suicidio è la seconda causa di morte. L’ingestione incongrua dei farmaci è infatti il metodo più utilizzato. È quindi fondamentale che i farmaci presenti in casa non siano facilmente raggiungibili tenendoli chiusi a chiave.
Limitare l’accesso ai dispositivi elettronici (computer, smartphone, ecc.) e ai social è un altro elemento che aiuta a prevenire l’insorgenza di possibili problemi psichiatrici. Le dipendenze hanno infatti un ruolo determinante sull’aumento delle patologie psichiatriche. Tutti i tipi di dipendenze, sia quelle da stupefacenti – «i bambini oggi iniziano ad usare i cannabinoidi già dalla scuola secondaria di primo grado» racconta Vicari – sia quelle da gioco da azzardo – «circa 1 minore su 3 frequenta le sale scommesse ho gioca al gratta e vinci».
La dipendenza da dispositivi elettronici e da internet ha effetti negativi sul cervello, si attivano le stesse aree che si attivano con una dipendenza da sostanze chimiche. «Nel 2013 crollano i prezzi dei telefonini che diventano più accessibili per tutti – spiega Vicari – I bambini hanno ormai un accesso, spesso senza controllo, a uno strumento fantastico, ma che nasconde grandi insidie. Oggi i minori accedono a molte informazioni, di ogni tipo, tramite internet. A cui di fatto viene delegata, anche inconsapevolmente, una parte della funzione educante che dovrebbe invece essere dei genitori e della scuola».
Quando i genitori riscontrano alcuni dei campanelli di allarme che potrebbero indicare la presenza di un problema neuropsichiatrico è importante chiedere aiuto. «La cosa importante da sottolineare è che se ne esce – conclude Vicari – Per questo invitiamo i genitori a prestare attenzione ai segnali rivelatori. Ancora oggi esiste un grande stigma, culturale e sociale, a parlare apertamente di disturbi psichiatrici. È invece importante parlarne e chiedere aiuto perché rivolgendosi a chi se ne occupa si può guarire».
Nel mondo 1 adolescente su 7 soffre di disturbi mentali. Lo ha ricordato l’UNICEF in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale (oggi 10 ottobre). Circa la metà (48%) di tutti i problemi di salute mentale a livello globale si manifesta entro i 18 anni, eppure molti casi rimangono non individuati e non trattati.
I dati
11,2 milioni circa di bambini e giovani entro i 19 anni (5,9 milioni i maschi e 5,3 milioni le femmine) nell’Unione Europea (ovvero il 13%) soffrono di un problema di salute mentale. Tra i 15 e i 19 anni, circa l’8% dei ragazzi soffre di ansia e il 4% di depressione. Sono i numeri del recente rapporto dell’UNICEF “Child and adolescent mental health – The State of Children in the European Union 2024”.
Il suicidio è la seconda causa di morte (dopo gli incidenti stradali) tra i giovani dai 15 ai 19 anni nell’Unione Europea. Nel 2020, circa 931 giovani sono morti per suicidio nell’UE (circa 18 vite perse a settimana). Il 70% circa dei giovani tra i 15 e i 19 anni nell’UE che muoiono per suicidio sono maschi.
In Italia, in giovani nella stessa fascia di età che hanno perso la vita intenzionalmente tra il 2011 e il 2020, il 43% erano ragazzi e circa il 36% ragazze.
Giornata mondiale della Salute Mentale
L’UNICEF Italia dedica quest’anno la giornata al tema dell’eco-ansia o ansia climatica – termini con cui si intende l’ansia o la preoccupazione per le minacce ecologiche che il pianeta subisce. Secondo dati ISTAT in Italia il 70,3% dei giovani tra i 14 e i 19 anni si dice preoccupato per i cambiamenti climatici. Gli under18 sperimentano quotidianamente gli effetti dei cambiamenti climatici sulle loro vite e questo sta avendo un impatto sulla loro salute mentale.
L’UNICEF mette in evidenza come siano necessarie nuove ricerche e studi per produrre dati di qualità su come il clima ha un impatto sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti, affinché possano essere articolate misure di prevenzione e protezione solide, eque ed inclusive.
Le iniziative
Per sensibilizzare sul tema l’UNICEF Italia e l’Agenzia Creativa BONFIRE, con il supporto di Greencome, hanno raccolto in un video una serie di testimonianze di giovani che hanno vissuto episodi di eco-ansia. I loro racconti sono letti su un palco da persone adulte, che a partire dalla loro esperienza di genitori riflettono su queste nuove paure della Generazione Z. Maria Beatrice Alonzi, divulgatrice e scrittrice esperta di analisi comportamentale e comunicazione non verbale, aiuta a riflettere sulle considerazioni ed emozioni emerse per capire come poter riconoscere e affrontare l’ansia dei più giovani.
L’UNICEF sarà presente al Sabir, Festival diffuso delle culture mediterranee, in calendario dal 10 al 13 ottobre presso Città dell’Altra Economia a Roma, con diversi appuntamenti.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2016/11/13112_lonely-1466900_1280.jpg8521280Sofia Gorgonihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngSofia Gorgoni2024-10-10 07:10:072024-10-10 01:37:49Salute mentale: un adolescente su 7 ha un disturbo nel mondo, i segnali si manifestano entro i 18 anni
La depressione è una patologia complessa che emerge in forme diverse. La risposta ai trattamenti varia molto da persona a persona. Oggi, il 30-40 per cento delle persone affette da depressione non risponde alle terapie disponibili. Il dato pesa sui sistemi sanitari e sulla qualità della vita dei pazienti. Questo ha spinto la ricerca scientifica a indagare le ragioni delle variabilità. Un nuovo studio pubblicato su Nature Medicine ha individuato almeno sei diversi tipi di depressione, o “biotipi”. Si distinguono per specifici pattern di attivazione cerebrale, rispondendo in modo diverso alle strategie terapeutiche.
Sei biotipi per comprendere la depressione
La ricerca, condotta da un team guidato dal neuroscienziato italiano Leonardo Tozzi della Stanford University, ha analizzato l’attività cerebrale di 801 pazienti. Il lavoro si è concentrato sull’individuazione di specifici schemi di attivazione o non attivazione di circuiti cerebrali, i quali sembrano determinare la tipologia di depressione e, di conseguenza, la risposta alle cure. Questi sei biotipi sono associati a circuiti responsabili di funzioni cognitive come l’attenzione, l’autocontrollo e le emozioni. Ad esempio, un biotipo è caratterizzato da un’iperconnettività nei circuiti dell’attenzione, mentre un altro da un’iperattivazione del “Default Mode Network“, che si attiva quando il cervello non è impegnato in compiti specifici.
Lo studio si è basato su tecniche avanzate di neuroimmagine e analisi dei dati, permettendo ai ricercatori di sviluppare una mappa più dettagliata di come il cervello si comporta nei diversi tipi di depressione. I risultati potrebbero portare alla creazione di trattamenti mirati e personalizzati.
I risultati delle terapie nei sei biotipi
I ricercatori hanno analizzato anche l’efficacia dei trattamenti su un campione di 250 pazienti, monitorando la risposta ai diversi approcci terapeutici. In particolare, hanno testato farmaci antidepressivi e terapie psicologiche specifiche. I risultati hanno mostrato che alcuni biotipi rispondono meglio alla psicoterapia, mentre altri trovano maggiore beneficio dai farmaci.
Ad esempio, il biotipo “Default with salience and attention hyperconnectivity” ha mostrato una maggiore risposta alla psicoterapia, mentre il biotipo “Attention hypoconnectivity” ha risposto meno bene a questo tipo di trattamento. Il biotipo “Cognitive control hyperactivation” ha invece registrato un miglioramento con un farmaco specifico. Questi risultati indicano che l’identificazione del biotipo di appartenenza potrebbe orientare in modo più preciso i medici nella scelta della terapia, riducendo il numero di pazienti che non rispondono ai trattamenti.
Verso cure personalizzate
La possibilità di associare un determinato biotipo a una specifica terapia potrebbe rivoluzionare la pratica psichiatrica. Leonardo Tozzi, in collaborazione con il team di Stanford, sta ora lavorando a trial clinici sperimentali per verificare l’efficacia di trattamenti mirati. I prossimi passi includeranno studi randomizzati per confermare i risultati e offrire una base solida per l’applicazione clinica.
I costi economici e sociali della depressione
La depressione pesa anche sul piano economico e sociale. Negli Stati Uniti, i costi legati alla disabilità causata dalla depressione ammontano a 336 miliardi di dollari. Si tratta della principale causa di perdita di produttività lavorativa a livello globale. I giovani sono particolarmente colpiti, con un tasso di suicidi che è triplicato negli ultimi 30 anni.
Il problema della depressione non diagnosticata
Uno dei principali ostacoli alla cura della depressione è la mancanza di diagnosi. Gli studi indicano che solo una persona su cinque affetta da depressione maggiore riceve cure adeguate. Molti pazienti non sanno di poter beneficiare di trattamenti specifici e interpretano i sintomi come una normale reazione a situazioni difficili. La depressione è spesso confusa con stati di tristezza o disagio temporanei, invece è una patologia complessa. I sintomi sono persistenti e impattano significativamente sulla vita personale e sociale.
Come funziona il cervello nella depressione
Il cervello è un sistema complesso, formato da circuiti che collegano diverse aree e si attivano a seconda delle funzioni svolte. Nel caso della depressione, alcuni circuiti sono maggiormente coinvolti, come il circuito del “Default Mode Network”, che si attiva quando non si è impegnati in compiti specifici, e che è spesso collegato alla ruminazione tipica della depressione. Altri circuiti interessati includono quelli responsabili delle emozioni, sia positive che negative, e quelli che regolano l’attenzione e il controllo cognitivo.
La scoperta di sei biotipi distinti fa luce sulla possibilità di personalizzare i trattamenti, migliorando la risposta dei pazienti alle terapie. Il prossimo obiettivo è confermare questi risultati con studi clinici prospettici e randomizzati. La depressione rimane una delle principali sfide della salute pubblica, ma la ricerca scientifica continua a fare progressi verso un futuro in cui le cure saranno sempre più efficaci e personalizzate.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/09/Depressione-infermieri.jpg8411500Sofia Gorgonihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngSofia Gorgoni2024-09-16 08:30:412024-09-16 09:10:15Depressione: 30-40 % non risponde alle terapie. Tipologie, cure e nuove scoperte sui casi resistenti
L’ictus è la terza causa di mortalità a livello globale e una delle principali cause di disabilità, comportando spesso gravi conseguenze tra cui la malnutrizione. Questo problema colpisce fino al 60% dei pazienti post-ictus, portando ad un peggioramento progressivo dal ricovero ospedaliero alla fase di riabilitazione. Fattori come la disfagia (difficoltà a deglutire), la perdita di appetito, la depressione e l’incapacità di alimentarsi autonomamente contribuiscono significativamente a questa condizione.
Lo studio sul legame tra malnutrizione e riabilitazione post-ictus
In questo senso è clamoroso quanto dimostrato da uno studio presentato al XLIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), uno studio che mette in luce proprio la relazione tra malnutrizione e funzionalità motoria e cognitiva durante la riabilitazione post-ictus. Questo studio, condotto da ricercatori dell’Università Federico II di Napoli presso il Santa Maria del Pozzo Hospital di Somma Vesuviana, ha ricevuto il Premio Gianvincenzo Barba per la Ricerca Scientifica e l’Innovazione in Nutrizione Umana 2024. La ricerca, svolta da un giovane ricercatore sotto i 35 anni iscritto alla SINU, evidenzia un campo ancora relativamente poco studiato in Europa.
Conseguenze della malnutrizione nei pazienti post-ictus
La malnutrizione nei pazienti con ictus rappresenta un importante fattore di rischio di mortalità e complicanze sia a breve che a lungo termine. È associata a un recupero funzionale e cognitivo più lento e meno efficace. Le principali conseguenze includono:
Perdita di forza e massa muscolare: Questi effetti sono particolarmente gravi nei pazienti anziani e predispongono a un aumento del rischio di infezioni.
Compromissione della partecipazione alla riabilitazione: La debolezza muscolare e le complicazioni associate alla malnutrizione limitano la capacità del paziente di impegnarsi attivamente nel processo riabilitativo, prolungando i tempi di recupero.
Riduzione delle capacità funzionali: La malnutrizione ostacola il raggiungimento di un buono stato funzionale, limitando l’indipendenza nelle attività quotidiane come alimentarsi, vestirsi e gestire l’igiene personale.
Dati dello studio e marcatori di infiammazione
I risultati dello studio indicano che circa la metà dei pazienti è malnutrita all’inizio della riabilitazione post-ospedaliera, con una prevalenza maggiore nei pazienti oltre i 75 anni. I pazienti malnutriti hanno ottenuto punteggi peggiori nei test di valutazione funzionale e cognitiva, evidenziando un impatto negativo sulla capacità di svolgere le attività quotidiane e sulla mobilità.
In foto Olivia Di Vincenzo e Ornella Russo, vedova Barba.
Inoltre, l’analisi di marcatori del sangue, come la proteina C-reattiva e il fibrinogeno, ha mostrato livelli più elevati nei pazienti malnutriti, indicando un legame tra malnutrizione e condizioni generali di salute peggiori. Gli autori della ricerca sono: Olivia Di Vincenzo e Luca Scalfi del Dipartimento di Sanità Pubblica e Fabrizio Pasanisi del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli, insieme con Ermenegilda Pagano, Mariarosaria Cervone e Alessandra Esposito del Santa Maria del Pozzo Hospital di Somma Vesuviana (Napoli).Hanno collaborato, inoltre, Raffaele Natale e Annadora Morena del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli.
Importanza della nutrizione nella riabilitazione post-ictus
Le evidenze suggeriscono che prevenire la malnutrizione, soprattutto nella popolazione anziana, può contribuire a migliorare lo stato funzionale dei pazienti, ridurre la durata della degenza e diminuire il rischio di complicanze. La tempestiva identificazione e gestione della malnutrizione è cruciale per migliorare il recupero funzionale e la qualità della vita dei pazienti post-ictus. Pertanto, l’attenzione alla nutrizione dovrebbe essere una priorità nella gestione dei pazienti post-ictus. Un approccio nutrizionale adeguato è fondamentale per migliorare i risultati terapeutici e favorire il ritorno a una vita indipendente.
Gestione attiva
La malnutrizione post-ictus è un fattore determinante nel processo di recupero dei pazienti. La malnutrizione può compromettere la forza muscolare e la resistenza, limitando così l’efficacia degli esercizi riabilitativi. Inoltre, una buona nutrizione supporta la funzione cognitiva, essenziale per il recupero delle abilità mentali e per la gestione delle attività quotidiane. La sua gestione adeguata e tempestiva può fare la differenza nel migliorare gli esiti della riabilitazione motoria e cognitiva.
Approccio multidisciplinare
I professionisti della salute devono dunque integrare strategie nutrizionali efficaci nei programmi di riabilitazione post-ictus per ottimizzare il recupero e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Serve dunque un approccio multidisciplinare, dove nutrizionisti, fisioterapisti e medici collaborano per sviluppare piani nutrizionali personalizzati che rispondano alle specifiche esigenze dei pazienti post-ictus.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/06/Ictus-una-dottoressa-osserva-delle-immagini-tac-al-monitor.jpg10001500Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2024-06-11 09:11:272024-06-11 09:11:27Ictus, ricercatrice under 35 presenta uno studio innovativo
Esattamente come accade con le droghe, anche lo smartphone e i social possono dare dipendenza. E le ragazzine, le adolescenti, sono le più sensibili al rischio di cadere nella “rete”. Sono dati scioccanti quelli che emergono da una ricerca finlandese sull’uso dei social media e dei cellulari e pubblicata sulla rivista Archives of Disease in Childhood. Molte adolescenti, infatti, passano quasi 6 ore al giorno sui loro smartphone, impugnano il telefono in media 115 volte al giorno, e quasi una su 5 (17%) di queste ragazzine è probabilmente dipendente dai social media e a rischio di disturbi mentali.
Lo studio sulla dipendenza da smartphone
I ricercatori hanno contattato tutte le 49 scuole superiori in tre grandi città della Finlandia: Helsinki, Espoo e Vantaa, coinvolgendo 1164 studentesse di 15-16 anni. L’uso medio giornaliero dello smartphone, basato su almeno 3 giorni di dati, era disponibile per 656 adolescenti (56,5%) e, per 7 giorni di dati, per 298 adolescenti (26%). L’uso medio giornaliero dello smartphone era di 350 minuti, ovvero 5,8 ore al giorno, con un tempo medio trascorso sui social di 231 minuti, pari a 3,9 ore. Dati dettagliati sulle app più frequentemente utilizzate erano disponibili per 564 adolescenti (48,5% del totale).
Dipendenza
Comportamenti compulsivi e ansia
In tutto, 205 (poco più del 36,3% di quelle con dati disponibili) trascorrevano meno di 3 ore al giorno sui social, mentre 77 (14%) vi trascorrevano 6 o più ore. Le ragazze prendevano in mano il telefono da 58 a 356 volte al giorno (media 145). Per circa 1 su 5 (115; 20,5%) le app più frequentemente utilizzate includevano giochi, con un uso medio di 24 minuti al giorno. Ben 183 (17%) adolescenti erano possibilmente dipendenti dai social media. E oltre un terzo (371; 37%) ha ottenuto punteggi superiori alla soglia per un potenziale disturbo d’ansia.
Solitudine
Il tempo giornaliero trascorso sui social era associato a una media dei voti più bassa, punteggi più alti di dipendenza dai social, livelli più alti di ansia e un’immagine corporea peggiore. La dipendenza dai social peggiora anche l’umore, aumenta la stanchezza e instaura maggiori sensazioni di solitudine. “Le implicazioni di quasi 6 ore di utilizzo giornaliero dello smartphone e le sue associazioni con il benessere degli adolescenti sono serie”, concludono gli autori.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/05/Dipendenza-da-smartphgone-unadolescete-al-cellulare-scaled.jpg17092560Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2024-05-23 10:28:012024-05-23 18:19:44Così le adolescenti rischiano la dipendenza
Presto o tardi potrebbe arrivare anche in Italia l’App per smartphone prescrivibile dal servizio sanitario da “assumere” in associazione ai farmaci. Nessun errore, non siamo impazziti, è proprio questa l’ultima delle trovate negli Stati Uniti, il trattamento digitale è stato infatti approvato (è il primo caso) dalla Food and Drug Administration come terapia complementare ai farmaci per il disturbo depressivo maggiore.
Dai 22 anni in poi
A dare vita a questa nuova App, che si chiama Rejoyn, sono stati Otsuka Pharmaceutical e Click Therapeutics. L’App è stata concepita per affiancare i trattamenti antidepressivi tradizionali. Destinata a persone di 22 anni e oltre con diagnosi di disturbo depressivo maggiore, questa soluzione tecnologica segna certamente un passo avanti nel panorama delle terapie complementari. Una delle particolarità è che per scaricare l’App, che sarà disponibile alla fine del 2024, sarà necessaria una prescrizione medica.
La terapia
Il programma di sei settimane offerto da Rejoyn unisce due approcci terapeutici consolidati: la terapia cognitivo-emotiva e la terapia cognitivo-comportamentale. Una combinazione che mira a fornire agli utenti una strategia efficace per affrontare i sintomi debilitanti associati al disturbo depressivo maggiore.
In aggiunta ai farmaci
John Kraus, vicepresidente esecutivo e direttore medico di Otsuka, ha enfatizzato l’importanza di questa innovazione nel panorama terapeutico. Kraus sottolinea come Rejoyn, pur non sostituendo i farmaci antidepressivi, possa rappresentare un’aggiunta preziosa per coloro che non rispondono adeguatamente alle terapie tradizionali.
Memoria facciale emotiva
Il cuore dell’applicazione è costituito dal “Task di Memoria Facciale Emotiva”, un esercizio cognitivo-emotivo progettato per stimolare le regioni cerebrali coinvolte nella depressione. Questa metodologia, basata su evidenze preliminari, sembra promettere risultati positivi nel migliorare i sintomi depressivi e nell’aumentare il benessere psicologico dei pazienti.
Terapia fisica per il cervello
Brian Iacoviello, rappresentante di Click Therapeutics, ha spiegato che Rejoyn agisce come un “meccanismo neuromodulatore”, offrendo agli utenti esercizi personalizzati volti a migliorare le connessioni cerebrali coinvolte nella depressione. Questo approccio mira a fornire una sorta di “terapia fisica per il cervello”, integrando il trattamento farmacologico con un approccio più olistico alla salute mentale.
Lo studio
L’approvazione della FDA si basa sui risultati di uno studio clinico condotto su 386 individui affetti da depressione maggiore. I partecipanti che hanno utilizzato Rejoyn hanno mostrato miglioramenti nei sintomi depressivi, sebbene non statisticamente significativi. È importante notare che durante lo studio non sono stati segnalati effetti collaterali negativi. Tuttavia, è fondamentale chiarire che Rejoyn non è progettato per sostituire completamente i farmaci antidepressivi. Piuttosto, si propone come un complemento terapeutico per coloro che necessitano di un supporto aggiuntivo nella gestione della loro condizione.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2021/12/Smart-working-1.jpg439640Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2024-04-08 09:58:262024-05-13 21:12:52Depressione, si cura con l’App
C’è una bella differenza tra una debolezza che può persistere per qualche settimana a causa di una brutta influenza e ciò che può essere invece classificato come long Covid. Non si tratta infatti di qualche banale “strascico”, ma di una patologia vera e propria. In diversi casi con conseguenze pneumologiche, problemi cardiovascolari, sindromi metaboliche e persino malattie neuro-psichiatriche.
PASC
Il nome di questa condizione è comunemente quello di long Covid, ma in gergo tecnico viene definita PASC, ovvero “sequele post acute” dell’infezione da SarsCov2, che l’Oms stima attorno al 6% tra coloro che hanno contratto l’infezione. Una platea enorme, se si considera il numero di infezioni registrate dal primo anno di pandemia ad oggi. Insomma, la questione non andrebbe sottovalutata e di certo non viene sottovalutata dall’Oms che la considera una “nuova emergenza di sanità pubblica”.
Linee guida
Nel maggio 2023, l’Oms ha dichiarato ufficialmente conclusa l’emergenza pandemica del Covid19″, osserva Claudio Lucifora, direttore del Centro di ricerca sul Lavoro ‘Carlo Dell’Aringa’ (Crilda) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore del progetto Pascnet, i cui risultati della prima fase sono raccolti in un eBook dal titolo “Linee guida per il follow-up delle sequele da Covid-19”. Lucifora dice che “le statistiche raccolte dall’Oms ci ricordano che dall’inizio della pandemia ci sono stati, in tutto il mondo, oltre 765.222.932 casi di contagio, con quasi sette milioni di morti. Nella sola Lombardia, i contagi sono stati oltre 4 milioni con quasi 50mila decessi”.
Sintomi
Benché i sintomi possano variare notevolmente da persona a persona e possano durare settimane o mesi dopo che l’infezione iniziale è passata, alcuni dei frequenti sono:
Affaticamento persistente eccessivo.
Dispnea (difficoltà respiratoria) o mancanza di respiro.
Dolori muscolari e articolari.
Dolore toracico.
Tosse persistente.
Palpitazioni o dolore al petto.
Problemi neurologici come confusione, difficoltà di concentrazione e perdita di memoria.
Problemi gastrointestinali come nausea, diarrea o dolore addominale.
Problemi dermatologici come eruzioni cutanee o perdita di capelli.
Ansia o depressione.
Problemi di sonno, compresi insonnia o sonno disturbato.
Palpitazioni cardiache.
Dolore cronico.
Altri sintomi come perdita dell’olfatto o del gusto, vertigini, svenimenti, ecc.
Non tutti i pazienti sviluppano una sindrome di long Covid. Alcuni possono sperimentare solo alcuni sintomi leggeri o persistere con sintomi più gravi per un periodo di tempo più lungo. Se si sospetta di avere il long Covid, è sempre bene parlarne con il proprio medico per una valutazione e un trattamento appropriati.
Gli antidepressivi fanno ingrassare? Può sembrare una domanda assurda, ma di fatto molte giovani donne si rifiutano di seguire le prescrizioni dello psichiatra, nonostante forme più o meno gravi di depressione, per il timore di ingrassare. Proviamo dunque a fare un po’ di chiarezza.
Metabolismo
Può capitare che l’uso di psicofarmaci porti ad un aumento del peso. Può succedere a cusa di alcuni meccanismi fisiologici, tra cui un incremento dell’appetito, un accumulo maggiore di grasso corporeo, un ridotto metabolismo e variazioni nei livelli di insulina. In realtà, molto dipende dal farmaco, il rischio di aumento di peso può infatti variare molto a seconda del medicinale. Questo non significa però che sia una buona idea non prendere i farmaci prescritti e, soprattutto, che non si possano attuare strategie di compensazione.
Monitoraggio e alimentazione equilibrata
Per mitigare il rischio di aumento di peso, è fondamentale adottare un approccio proattivo. Monitorare regolarmente il peso corporeo e seguire una dieta sana ed equilibrata possono essere passi cruciali. Ridurre l’assunzione di alimenti ad alto contenuto calorico e ricchi di grassi, eliminare gli alcolici e aumentare il consumo di verdure cotte possono contribuire a mantenere un peso corporeo ottimale.
Attività fisica
L’esercizio fisico regolare svolge un ruolo chiave nel controllo del peso e nel miglioramento del benessere generale. Anche una breve camminata quotidiana può fare la differenza. Integrare un’attività fisica nella routine quotidiana può contribuire significativamente a mantenere un peso corporeo sano.
No al fai da te
Quando si verifica un aumento significativo di peso durante il trattamento con psicofarmaci, è essenziale discuterne con il medico curante. Il medico può valutare se modificare il farmaco, sviluppare strategie comportamentali per ridurre i rischi o aggiungere farmaci coadiuvanti per il controllo del peso. Ciò che si deve tenere bene a mente è che in molti casi, i benefici terapeutici dei farmaci possono superare i rischi associati all’aumento di peso. Tuttavia, in situazioni in cui l’accumulo di peso rappresenta un problema significativo, può essere opportuno considerare un cambio di terapia verso farmaci con un rischio metabolico inferiore. Sempre, come detto, parlandone con il proprio medico.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.OkNoPrivacy policy