Abbattere il rischio di ictus, demenza e depressione è possibile e alla portata di tutti. Lo afferma un nuovo studio pubblicato sul Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry e condotto dai ricercatori del Massachusetts General Brigham. La ricerca ha individuato 17 fattori di rischio comuni alle tre principali patologie cerebrali dell’età avanzata. Se corretti, potrebbero prevenire oltre il 60% degli ictus, il 40% dei casi di demenza e il 35% di quelli di depressione.
Lo studio si basa su un’ampia revisione della letteratura scientifica. Sono stati esaminati i dati di numerosi studi precedenti per identificare i fattori di rischio condivisi da almeno due delle tre patologie prese in esame. L’obiettivo è individuare le azioni precise che ogni persona può adottare per proteggere la salute cerebrale. Il lavoro è stato condotto da un team dei Brain Care Labs del Massachusetts General Hospital. Secondo l’autore principale Sanjula Singh, esistono molte strategie individuali per ridurre l’incidenza delle malattie neurologiche legate all’età.
Lo studio ha anche portato allo sviluppo del Brain Care Score, uno strumento utile per misurare il livello di attenzione alla salute cerebrale e identificare aree da migliorare.
I fattori da tenere sotto controllo per ridurre il rischio di ictus e non solo
Dall’analisi emerge che i principali fattori modificabili sono numerosi e riguardano diverse aree della vita quotidiana. I ricercatori hanno identificato 17 variabili da monitorare:
Pressione arteriosa alta
Indice di massa corporea elevato
Malattie renali
Glicemia a digiuno
Colesterolo elevato
Consumo di alcol
Sintomi di depressione
Alimentazione
Perdita dell’udito
Dolore cronico
Attività fisica
Attività cognitiva
Scopo nella vita
Qualità del sonno
Fumo
Relazioni sociali
Livelli di stress
Tutti questi fattori sono legati a una maggiore probabilità di sviluppare almeno due delle tre patologie considerate. L’intervento precoce su questi elementi può contribuire a ridurre in modo significativo l’impatto sulla salute cerebrale.
Quali sono i fattori con maggiore impatto
Non tutti i fattori hanno lo stesso peso. Secondo i ricercatori, i più influenti sono l’ipertensione e le malattie renali gravi. A seguire: diabete, obesità, ipercolesterolemia, fumo, sedentarietà, solitudine, disturbi del sonno, depressione, dolore persistente che interferisce con le attività quotidiane, stress cronico.
Molti di questi elementi possono essere gestiti tramite trattamenti farmacologici, ma soprattutto con interventi sugli stili di vita. La prevenzione passa quindi da scelte quotidiane, accessibili a tutti e sostenibili nel tempo.
I fattori protettivi: cosa funziona
Lo studio sottolinea anche l’importanza di alcuni fattori protettivi. Attività fisica regolare e stimoli cognitivi costanti riducono il rischio di malattie cerebrali. Esempi concreti includono la lettura, i giochi da tavolo, i puzzle e le attività manuali.
A livello nutrizionale, una dieta ricca di frutta, verdura e pesce, in particolare quelli contenenti omega 3, aiuta a mantenere in salute il cervello. Fondamentale è anche l’assenza di fumo, il consumo limitato di alcol e il mantenimento di una rete sociale attiva.
In sostanza, il cervello si protegge agendo su tre fronti: fisico, mentale e relazionale. Passeggiate, corsi di ginnastica, danza o semplici esercizi quotidiani sono utili per la parte motoria. Per la mente: lettura, scrittura, giochi cognitivi. Per la sfera sociale: mantenere contatti con amici, familiari, colleghi.
Il messaggio degli esperti: serve consapevolezza
I ricercatori evidenziano che molte persone iniziano a preoccuparsi della salute del cervello solo in età avanzata. Eppure i dati dello studio dimostrano che la prevenzione inizia molto prima. Anche in assenza di sintomi, lo stile di vita può determinare un rischio più o meno elevato per il futuro.
Sebbene le tre patologie più diffuse dell’invecchiamento cerebrale siano inevitabili, possono essere contrastate attraverso un’azione quotidiana e continua. La salute del cervello non dipende solo dall’età, ma dalle scelte e può essere protetta, concludono gli scienziati.
La depressione colpisce più le donne degli uomini, il perché potrebbe essere spiegato da un recente studio pubblicato su Biological Psichiatry che ha individuato le possibili cause in un meccanismo metabolico. Nelle giovani che soffrono di depressione è infatti alterata la “via della chinurenina”, un percorso metabolico che regola la scomposizione del triptofano, un amminoacido essenziale presente in molti alimenti. Quando questa sostanza viene metabolizzata, può seguire due strade diverse nel cervello: una che porta alla produzione di sostanze neuroprotettive e un’altra che genera sostanze neurotossiche.
I risultati della ricerca indicano che le adolescenti con depressione o a rischio di svilupparla presentano una carenza di acido cinurenico, una sostanza con effetti neuroprotettivi, e un eccesso di acido chinolinico, un composto neurotossico. Questo squilibrio può compromettere il funzionamento del cervello e contribuire allo sviluppo della depressione.
Uno studio su adolescenti tra i 14 e i 16 anni
La ricerca si è basata sull’analisi del sangue di 150 adolescenti di età compresa tra i 14 e i 16 anni, suddivisi in tre gruppi: quelli a basso rischio di depressione, quelli ad alto rischio e quelli con una diagnosi già conclamata. Gli adolescenti sono stati monitorati per tre anni per valutare l’evoluzione dei loro sintomi.
I risultati hanno rivelato che coloro che erano ad alto rischio o già depressi presentavano livelli significativamente più bassi di acido cinurenico. Questa riduzione era particolarmente marcata nelle ragazze, suggerendo che il cervello femminile durante l’adolescenza potrebbe essere più vulnerabile agli effetti negativi di uno squilibrio nella via della chinurenina.
Le implicazioni della scoperta
Questa scoperta fornisce un’importante chiave di lettura per comprendere meglio la depressione in età adolescenziale e perché le ragazze siano più colpite rispetto ai ragazzi. Il legame tra neurotossicità e depressione potrebbe aprire la strada a nuove strategie di prevenzione e trattamento, mirate a riequilibrare la via della chinurenina e a proteggere il cervello in via di sviluppo.
Secondo Valeria Mondelli, tra le autrici dello studio del King’s College di Londra,”identificare le vie biologiche coinvolte ci aiuta a costruire un quadro più chiaro su come supportare gli adolescenti nella gestione della depressione”. Questo studio suggerisce che interventi precoci, che mirano a regolare il metabolismo del triptofano, potrebbero aiutare a prevenire la comparsa del disturbo nelle giovani più vulnerabili.
Nuove prospettive per la ricerca e il trattamento
Lo squilibrio tra sostanze neuroprotettive e neurotossiche potrebbe rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico. La ricerca futura potrebbe concentrarsi su strategie per aumentare i livelli di acido cinurenico o ridurre la produzione di acido chinolinico. Questo potrebbe includere modifiche dietetiche, integrazioni nutrizionali o nuovi farmaci in grado di influenzare il metabolismo della chinurenina.
Un’altra direzione promettente potrebbe essere lo sviluppo di biomarcatori per identificare precocemente gli adolescenti più a rischio, consentendo interventi personalizzati prima che la depressione si manifesti in modo grave. Inoltre, esplorare il legame tra infiammazione e metabolismo della chinurenina potrebbe offrire nuove opportunità per trattamenti combinati che affrontino sia gli aspetti biologici che quelli psicologici del disturbo.
Parallelamente, questi risultati rafforzano l’importanza di un approccio multidisciplinare nel trattamento della depressione adolescenziale. La combinazione di interventi psicologici, supporto sociale e strategie biologiche potrebbe fornire soluzioni più efficaci per affrontare un problema che colpisce milioni di giovani nel mondo. Anche l’educazione alla salute mentale nelle scuole e il supporto alla famiglia potrebbero giocare un ruolo cruciale nel riconoscere i sintomi precocemente e intervenire tempestivamente.
Una questione multifattoriale
La depressione adolescenziale è una sfida complessa che coinvolge fattori sociali, psicologici e biologici. La scoperta del ruolo della via della chinurenina offre una nuova prospettiva sul motivo per cui le ragazze sono più esposte al rischio di sviluppare il disturbo. Questa conoscenza potrebbe guidare la ricerca verso nuove terapie mirate e strategie di prevenzione, contribuendo a migliorare il benessere mentale delle future generazioni.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2025/03/una-adolescente-che-soffre-di-depressone-ha-lespressione-triste-.jpg5011000Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2025-03-26 09:00:552025-03-25 17:01:50Depressione, più frequente nelle donne a causa di sostanze neurotossiche
L’ipnosi è spesso associata a immagini di orologi a pendolo, parole sussurrate e comandi imperativi, immagini spesso fuorvianti che arrivano dalle suggestioni cinematografiche. Meglio chiarire subito una questione, chi pratica in modo professionale l’ipnosi stigmatizza l’idea proposta – principalmente da Hollywood – di persone comandate come fantocci grazie a queste tecniche che lavorano sugli aspetti più profondi della coscienza. Esiste, poi, una di ipnosi che si manifesta senza l’uso della parola: l’ipnosi non verbale, del quale è un punto di riferimento Marco Pacori (psicologo e fondatore del Centro Studi e Ricerche sulla Comunicazione Non Verbale – CSR-CNV). Questa tecnica affascinante si basa sull’idea che il nostro corpo comunichi costantemente, anche senza emettere suoni. Attraverso movimenti, gesti e segnali sottili, è possibile influenzare la mente altrui e accedere agli stati di coscienza più profondi.
L’ipnosi: una porta sul cervello e le sue suggestioni
L’ipnosi è una scienza affascinante che continua a stimolare l’interesse di neuroscienziati, psicologi e antropologi. Questo stato alterato di coscienza, capace di produrre cambiamenti profondi nelle percezioni, nei pensieri e nei comportamenti, si basa su un meccanismo complesso. Ma ciò che emerge chiaramente è che la predisposizione all’ipnosi, nota come ipnotizzabilità, è un fattore chiave: solo il 10% delle persone possiede un’alta capacità ipnotica, mentre circa il 50% ha un’abilità media e il resto scarsa.
Viaggio nella corteccia prefrontale
La ricerca neuroscientifica ha svelato che l’ipnosi si basa su un elemento cruciale: il “disarcionamento” della corteccia prefrontale (PFC), una regione responsabile dei processi cognitivi complessi come giudizio e organizzazione del pensiero. Gli studi di William McGeown, Giuliana Mazzoni, Annalena Veneri e Invin Kirsh, attraverso tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’analisi della coerenza EEG, hanno dimostrato che durante l’ipnosi, nei soggetti altamente ipnotizzabili, si verifica una riduzione significativa dell’attività in aree come la corteccia cingolata anteriore e la corteccia prefrontale dorso-laterale.
Questa ipoattività della PFC è direttamente collegata alla suggestionabilità, definita dagli psicologi Peter Halligan e David Oakley come la capacità di accettare e credere in un’idea al punto da alterare il proprio stato mentale, emozionale e comportamentale. Bambini e anziani, per esempio, risultano più suscettibili alla suggestione, rispettivamente per lo sviluppo incompleto o l’atrofia della PFC.
Suggestione ed emotività: il ruolo dell’amigdala
Un elemento fondamentale nell’ipnosi è la stretta connessione tra la PFC e l’amigdala, il “cervello emotivo”. La PFC ha il compito di inibire le reazioni emotive eccessive generate dall’amigdala, ma quando quest’ultima prende il sopravvento, la PFC perde il controllo. Questo squilibrio è evidente in condizioni come le fobie: studi su soggetti con paura degli aghi o dei ragni hanno mostrato una drastica riduzione dell’attività nella corteccia prefrontale ventro-mediale (mPFC), accompagnata da un aumento dell’attività dell’insula, responsabile della consapevolezza delle sensazioni viscerali.
I ricercatori hanno sfruttato questo principio per ricreare uno stato simile a quello delle fobie, provocando un’eccitazione emotiva così intensa da disattivare la PFC e facilitare lo stato ipnotico.
Ispirazione dalla natura e dai rituali tribali
Due fonti di ispirazione hanno giocato un ruolo chiave nella comprensione e nello sviluppo delle tecniche ipnotiche moderne:
Rituali di trance delle popolazioni primitive: Gli antropologi, come Gilbert Rouget, hanno osservato che pratiche come balli frenetici, iperventilazione e l’uso di percussioni ritmiche creano uno stato di parossismo emotivo, sincronizzando ampie regioni cerebrali grazie al ritmo musicale. Questo processo, studiato anche da Nicolas Escoffier e colleghi, dimostra come il ritmo crescente induca una sincronizzazione neuronale che mette in tilt la PFC.
Ipnosi animale e predazione: Alcuni predatori, come le tigri, emettono infrasuoni che paralizzano le prede, inducendole in uno stato di “finta morte”. Questi suoni, percepiti come vibrazioni, attivano l’amigdala e scatenano una risposta istintiva che gli esseri umani non sono in grado di ignorare, come dimostrano i fenomeni osservati da etologi e addestratori.
La tecnica ipnotica moderna
Unendo questi principi, è stato sviluppato un approccio innovativo all’ipnosi. Il soggetto viene posto in piedi, in una posizione rilassata, e invitato a fissare intensamente un punto. L’ipnotista utilizza vocalizzi simili a quelli dei predatori, alternandoli a movimenti delicati e ritmici delle mani, che stimolano una risposta istintiva. Il contatto con la nuca genera una sensazione di calore, mentre il ritmo crescente porta il soggetto a barcollare, mostrando segni fisiologici come vibrazione delle palpebre e rotazione dei bulbi oculari.
Questi segni sono il risultato del “cortocircuito” della PFC, che culmina nella chiusura degli occhi e nella perdita del tono muscolare, con il soggetto che cade a terra in uno stato di profonda suggestionabilità. In questo momento, l’ipnosi raggiunge il suo massimo potenziale. L’ipnosi offre insomma un’affascinante interazione tra scienza, natura e cultura. Comprendere i meccanismi cerebrali sottostanti non solo apre nuove prospettive per il suo utilizzo terapeutico, ma ci offre anche una finestra unica sulle potenzialità della mente umana.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2016/12/mente-e-labirinto-500x380-1.jpg380500Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2025-02-14 10:30:562025-01-25 12:00:24Affrontare ansia e depressione con l’ipnosi non verbale
Negli ultimi anni, il panorama della salute mentale ha guadagnato un posto di rilievo nel dibattito pubblico e personale, un’evoluzione dettata dal crescente riconoscimento dell’impatto che disturbi come ansia e depressione esercitano sulla vita quotidiana. Questi due volti della sofferenza emotiva non sono solo parole sulla bocca di tanti, ma esperienze che modellano profondamente il modo di percepire il mondo e interagire con gli altri. In un’epoca in cui il tempo sembra correre più veloce della nostra capacità di adattarci, l’ansia e la depressione diventano compagni di viaggio scomodi e spesso incompresi.
In Italia, i disturbi d’ansia e depressione sono un vero e proprio problema di salute pubblica, con dati che evidenziano una prevalenza altissima tra diverse fasce. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), circa il 13,6% degli italiani ha sperimentato un disturbo d’ansia nel corso della vita, mentre la depressione maggiore ha una prevalenza a 12 mesi stimata intorno al 3% tra gli adulti. Le più colpite sono le donne e la prevalenza di disturbi di depressione e ansia cronica grave aumenta con l’età, passando dal 5,8% tra i 35-64 anni al 14,9% dopo i 65 anni.
Sensazione insostenibile
Chi vive con l’ansia conosce bene quella sensazione di allarme costante, quel nodo invisibile che stringe il petto e rende difficile respirare. Ogni pensiero sembra amplificato, come un eco incessante che moltiplica paure e preoccupazioni. Questo stato di allerta perpetua non riguarda solo l’immediato, ma si proietta nel futuro, anticipando scenari ipotetici che quasi mai trovano un riscontro nella realtà. Eppure, questa sofferenza non è frutto di debolezza: è un grido del corpo e della mente che cercano un equilibrio perduto.
Quando il mondo perde colore
La depressione, d’altra parte, è un vuoto che risucchia energia e motivazione. Non è solo una tristezza passeggera, come pensano in tanti, ma una condizione che intacca profondamente ogni aspetto della vita. Le giornate sembrano prive di senso, e anche i gesti più semplici possono trasformarsi in ostacoli insormontabili. Il mondo “perde colore”, e ogni interazione sembra più che altro un peso, un ricordo lontano di una vitalità che pare irraggiungibile.
Rifugio nel silenzio
Di fronte a questi stati d’animo, molte persone trovano rifugio nel silenzio, temendo di non essere comprese o di essere giudicate. Questo silenzio, però, è il nemico più grande. Parlare, condividere e chiedere aiuto sono atti di coraggio che aprono la strada a una maggiore comprensione e a percorsi di cura efficaci. Perché l’ansia e la depressione, per quanto pervasive, non devono essere una condanna: esistono modi per affrontarle, per riconoscerle come parte di un cammino che può condurre a una vita più piena.
La società sta lentamente imparando a vedere questi disturbi non come segni di fragilità, ma come opportunità per coltivare empatia e solidarietà. Il dialogo è il primo passo per costruire una cultura in cui la salute mentale venga trattata con la stessa urgenza e dignità riservata a quella fisica.
Una via d’uscita
Progetti di sensibilizzazione, terapie innovative e una maggiore apertura nelle relazioni personali stanno contribuendo a cambiare il modo in cui si affrontano queste condizioni. Tuttavia, c’è ancora molto da fare: il pregiudizio e la disinformazione rimangono ostacoli da abbattere. Chi affronta l’ansia o la depressione deve sapere di non essere solo. Ogni storia è unica, ma è proprio attraverso la condivisione di queste esperienze che si costruisce una rete di supporto e comprensione che sia veramente efficace. Perché la salute mentale riguarda tutti noi, in ogni momento della nostra vita. E ogni passo che conduca verso una maggiore consapevolezza è un passo verso un futuro in cui nessuno debba camminare da solo.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2025/02/Una-donna-seduta-sul-divano-in-preda-allansia.jpg7451000Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2025-02-12 16:40:372025-01-20 16:55:43Ansia e depressione, due nemici che possono essere sconfitti
L’insonnia è un problema che affligge centinaia di migliaia di italiani e spesso è il sintomo di un problema irrisolto. Ma attenzione, gli esperti della Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia (Sinpf) avvertono che l’insonnia può essere anche la causa scatenante di disturbi psichiatrici e quindi essere causa ed effetto di alcune malattie come ansia, depressione e disturbo bipolare.
Il ruolo dell’orexina nell’insonnia
A giocare un ruolo di primo piano nei meccanismi che portano all’insonnia è l’orexina, vale a dire un neurotrasmettitore che agisce sul sonno e che può essere bloccato grazie ad un farmaco antagonista. Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf, spiega che oltre un terzo della popolazione mondiale è colpita da insonnia o da disturbi del sonno con frequenti risvegli e problemi di riaddormentamento.
Un problema mondiale
Ne soffre il 20% in Italia, in molti casi in forma cronica: sintomi persistenti nell’80% dei casi dopo 1 anno dalla diagnosi e nel 60% dei casi a 5 anni. Studi clinici hanno evidenziato che “l’insorgenza di insonnia aumenta il rischio di sviluppare, nel breve termine, condizioni come depressione maggiore o disturbi d’ansia – aggiunge Matteo Balestrieri, già Ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente della SINPF-. Questo la rende un fattore predittivo e perciò importante campanello d’allarme in ambito clinico.” Recenti linee guida europee hanno suggerito come farmaco di prima scelta un antagonista in grado di agire sull’orexina.
Effetto su ansia e non solo
Questo farmaco potrebbe avere un ruolo importante anche in psicopatologia, ne è convinta Laura Palagini, psichiatra e responsabile dell’ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno dell’Auo di Pisa. Per questo, sono stati condotti alcuni studi in pazienti con disturbi d’ansia, depressivi bipolari e unipolari che hanno dimostrato che l’uso del farmaco antagonista dell’orexina può migliorare non solo i sintomi di insonnia ma anche d’ansia e dell’umore permettendo la riduzione dei farmaci ipnotico sedativi.
Importante farsi seguire da un medico
Tuttavia, poiché l’insonnia ha un andamento cronico, “la sospensione di farmaci ipnotico-sedativi richiede specifici accorgimenti – continua Palagini – e una riduzione graduale in associazione con terapie cognitive, con altre recenti terapie farmacologiche”. Servono dunque indicazioni chiare e puntuali. Il nuovo documento di consensus, in corso di pubblicazione sulla rivista Sleep Medicine, “sarà una guida utile per gli specialisti con l’obiettivo di aiutare i pazienti a ottenere benefici di efficacia e sicurezza contro l’insonnia e le altre patologie psichiatriche collegate o concomitanti”, concludono i presidenti Mencacci e Balestrieri.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2025/01/Insonnia-un-giovane-non-riesce-a-dormine-e-tiene-le-mani-vicino-alla-testa.jpg6671000Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2025-01-23 16:43:172025-01-23 16:43:17L’insonnia può scatenare ansia e depressione
Chi soffre di depressione o ha una grave sofferenza psichica rischia di vedersi ritirata la patente se sottoposto ad un normale controllo in strada. Il motivo di questo rischio, francamente assurdo, è legato al fatto che alcuni pazienti in cura per la salute mentale assumono, sotto prescrizione e indicazione di uno specialista, farmaci le cui sostanze sono assimilate alla droga dal Codice della Strada. A sollevare il problema è stata la Società Italiana di Psichiatria all’indomani dell’approvazione della recente riforma del Codice della Strada, che introduce la tolleranza zero per chi utilizza sostanze stupefacenti. Per gli psichiatri, occorre che ministri competenti convochino urgentemente il tavolo tecnico che ha prodotto questa riforma e ascoltino gli esperti.
Psicofarmaci e test antidroga
Oggi, chi viene fermato da polizia o altre forze dell’ordine potrà quindi essere sottoposto ad un test salivare antidroga. Il tampone, posto sotto la lingua per diversi secondi, rileva la presenza di sostanze stupefacenti, tra cui cocaina, anfetamine, oppioidi e anche THC. Ma gli psichiatri avvertono: antidepressivi, ipnoinducenti, ansiolitici e tutte le principali terapie per pazienti con malattia mentale non possono essere considerate dal nuovo codice della strada alla stregua di sostanze stupefacenti.
Il rischio per l’adesione alle cure
La paura dei medici è che, visto il pericolo di vedersi togliere la patente, molti pazienti sospendano le terapie. Lo dice chiaramente il comitato esecutivo della Società Italiana di Psichiatria, con la presidente, Liliana Dell’Osso: “Siamo preoccupati per l’adesione alle cure e vogliamo evitare un’ennesima discriminazione verso le persone che soffrono di patologia mentale.
Le cure psichiatriche non possono essere assimilate alle droghe – prosegue- perché, a differenza di queste ultime, vengono assunte dietro prescrizione dello specialista il quale, tra gli altri, ha il compito di adattare la posologia al fine di ottimizzare il rapporto efficacia/effetti sedativi. Questo provvedimento di riforma del codice della strada, rischia, di ingenerare confusioni pericolosissime per i milioni di italiani in cura con trattamenti psicofarmacologici. Sono dunque necessari immediati chiarimenti”.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2025/01/Psicofarmaci-e-patente-un-uomo-alla-guida.jpg5711000Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2025-01-17 15:08:432025-01-17 15:08:43Psicofarmaci, a rischio la patente dei pazienti
I disturbi mentali stanno diventando un allarme sociale e un problema enorme di sanità pubblica. I dati sono impressionanti: depressione, ritiro sociale, rifiuto scolastico, autolesionismo, ansia, disturbi del comportamento alimentare, ideazione suicidaria, nel mondo circa 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni soffre di disturbi mentali diagnosticati. In Europa i minori che soffrono di un problema di salute mentale sono più di 11 milioni, in Italia sono circa 2 milioni.
La giornata mondiale
In occasione della giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre, gli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù indicano i campanelli di allarme a cui prestare attenzione e i consigli per creare un ambiente familiare che favorisca la salute mentale dei figli. «Negli ultimi 10 anni le consulenze neuropsichiatriche presso il pronto soccorso dell’Ospedale sono aumentate del 500%» racconta il professor Stefano Vicari responsabile della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù.
I numeri dei disturbi mentali
Secondo l’UNICEF nel mondo 166 milioni di adolescenti tra i 10 e i 19 anni (1 su 7) ha un disturbo mentale diagnosticato. Di questi, 89 milioni sono ragazzi e 77 milioni sono ragazze. A livello mondiale, circa la metà dei problemi di salute mentale si manifesta entro i 18 anni, nonostante molti casi rimangano non individuati e non trattati. In Europa i minori che hanno un problema di salute mentale sono 11,2 milioni (13%). Di questi, 5,9 milioni sono maschi e 5,3 femmine. L’8% degli adolescenti (15-19 anni) soffre di ansia, il 4% di depressione. Il suicidio è la seconda causa di morte (circa un decesso su sei) dopo gli incidenti stradali.
Il lavoro del Bambino Gesù di Roma
I dati della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dicono che in Italia circa 1 minore su 5 soffre di un disturbo mentale. Si tratta di circa 2 milioni di minori. All’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù le consulenze neuropsichiatriche presso il pronto soccorso sono passate dalle 237 del 2013 alle 1.415 del 2023 con un picco di 1.824 nel 2021. Un aumento del 500%: da 1 consulenza ogni giorno e mezzo di media a circa 4 al giorno. Gli accessi per autolesionismo sono passati dai 25 del 2013 ai 607 del 2023.
«Quelli psichiatrici sono i disturbi più frequenti in età evolutiva. Molto di più delle malattie infettive e dei tumori – spiega il professor Stefano Vicari – Le malattie mentali rappresentano la terza causa di accesso al pronto soccorso del Bambino Gesù dopo la disidratazione e la febbre».
Campanelli d’allarme
I campanelli di allarme a cui i genitori devono prestare particolarmente attenzione sono i cambiamenti. Soprattutto quando sono repentini e prolungati nel tempo Quando un bambino o un adolescente inizia a presentare segni di malessere psicologico, questi si accompagnano infatti a dei cambiamenti emotivi e comportamentali rispetto alle normali abitudini di vita.
I cambiamenti possono riguardare il rendimento scolastico, con un repentino peggioramento, la comparsa di difficoltà nel dormire la notte, il peggioramento delle abitudini alimentari (mangiare troppo, mangiare poco, mangiare male), l’abbandono di un’attività sportiva che si praticava con soddisfazione, il ritiro sociale, irritabilità e scontrosità accentuati o un’eccessiva anedonia, cioè la difficoltà a provare piacere per e cose che prima davano piacere. «Ovviamente tutti gli adolescenti di tanto in tanto presentano queste modalità di comportamento – chiarisce Vicari – Ma quando questi atteggiamenti diventano quotidiani, rappresentano un cambiamento evidente rispetto al comportamento abitudinario e durano settimane o mesi, allora è bene chiedere aiuto»
Quando il fisico ci parla
I campanelli di allarme non sono però solo quelli comportamentali. Possono essere anche fisici. È il caso dell’autolesionismo, un fenomeno in grande crescita, soprattutto tra i giovani adolescenti (13-14 anni). Anche il repentino ed eccessivo aumento o perdita di peso può essere un segnale che nasconde un disturbo del comportamento alimentare. È quindi importante prestare attenzione al corpo dei propri figli, osservarli. «A volte i genitori per pudore o rispetto della privacy dei propri figli evitano di farlo – spiega Vicari – I figli hanno bisogno di essere controllati. È il ruolo dei genitori. La relazione genitore-figlio non è una relazione tra amici, ma tra chi è adulto e chi no, tra chi deve educare e chi deve essere educato».
Cosa fare
Il primo suggerimento è esserci. È importante sia la qualità che la quantità del tempo passato coi propri figli. È importante trovare il tempo anche per stare in silenzio insieme a loro. Non è necessario dirgli costantemente cosa fare e non fare. L’esempio è molto più importante. È importante ascoltarli e vedere cosa fanno. «Per farlo è necessario trovare il tempo – spiega Vicari – È fondamentale garantire una presenza fisica accanto ai propri figli. Altrimenti la comunicazione rischia di diventare prevalentemente funzionale e direttiva: “Lavati, studia, metti in ordine, hai preparato la borsa?”. Il messaggio che deve passare ai figli è semplice: “Se hai bisogno, io sono qui”».
Il ruolo della famiglia
Un altro aspetto centrale per creare un ambiente ottimale per i figli è quello di metterli in condizione di costruire relazioni, anche dentro la famiglia. Uno studio che riguarda i minori che sono riusciti ad affrontare meglio il distanziamento sociale e le restrizioni durante il Covid 19 ha dimostrato l’importanza di vivere in una famiglia numerosa, in cui si parla e si gioca, di leggere e fare attività fisica. «Il benessere mentale si costruisce insieme al benessere fisico e cognitivo, coltivando cioè conoscenza e sapere, giocando – continua Vicari – Il segreto è stare coi propri figli e divertirsi standoci. Non viverla come una condanna, come se stare con loro fosse tempo sottratto ai propri interessi».
Lasciare che il bambino si annoi: la noia non è un elemento negativo. Anzi. Nella vita di tutti i giorni avere del tempo a disposizione per non fare nulla vuol dire favorire la creatività, la fantasia. Immaginare delle cose che nel tempo fittamente organizzato che i figli hanno si fa fatica a trovare. «La creatività nasce da questo, dall’avere un bastoncino in mano e immaginare che sia un’astronave per esplorare i pianeti».
Impedire l’accesso ai farmaci tenuti in casa. Negli adolescenti il suicidio è la seconda causa di morte. L’ingestione incongrua dei farmaci è infatti il metodo più utilizzato. È quindi fondamentale che i farmaci presenti in casa non siano facilmente raggiungibili tenendoli chiusi a chiave.
Limitare l’accesso ai dispositivi elettronici (computer, smartphone, ecc.) e ai social è un altro elemento che aiuta a prevenire l’insorgenza di possibili problemi psichiatrici. Le dipendenze hanno infatti un ruolo determinante sull’aumento delle patologie psichiatriche. Tutti i tipi di dipendenze, sia quelle da stupefacenti – «i bambini oggi iniziano ad usare i cannabinoidi già dalla scuola secondaria di primo grado» racconta Vicari – sia quelle da gioco da azzardo – «circa 1 minore su 3 frequenta le sale scommesse ho gioca al gratta e vinci».
La dipendenza da dispositivi elettronici e da internet ha effetti negativi sul cervello, si attivano le stesse aree che si attivano con una dipendenza da sostanze chimiche. «Nel 2013 crollano i prezzi dei telefonini che diventano più accessibili per tutti – spiega Vicari – I bambini hanno ormai un accesso, spesso senza controllo, a uno strumento fantastico, ma che nasconde grandi insidie. Oggi i minori accedono a molte informazioni, di ogni tipo, tramite internet. A cui di fatto viene delegata, anche inconsapevolmente, una parte della funzione educante che dovrebbe invece essere dei genitori e della scuola».
Quando i genitori riscontrano alcuni dei campanelli di allarme che potrebbero indicare la presenza di un problema neuropsichiatrico è importante chiedere aiuto. «La cosa importante da sottolineare è che se ne esce – conclude Vicari – Per questo invitiamo i genitori a prestare attenzione ai segnali rivelatori. Ancora oggi esiste un grande stigma, culturale e sociale, a parlare apertamente di disturbi psichiatrici. È invece importante parlarne e chiedere aiuto perché rivolgendosi a chi se ne occupa si può guarire».
Nel mondo 1 adolescente su 7 soffre di disturbi mentali. Lo ha ricordato l’UNICEF in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale (oggi 10 ottobre). Circa la metà (48%) di tutti i problemi di salute mentale a livello globale si manifesta entro i 18 anni, eppure molti casi rimangono non individuati e non trattati.
I dati
11,2 milioni circa di bambini e giovani entro i 19 anni (5,9 milioni i maschi e 5,3 milioni le femmine) nell’Unione Europea (ovvero il 13%) soffrono di un problema di salute mentale. Tra i 15 e i 19 anni, circa l’8% dei ragazzi soffre di ansia e il 4% di depressione. Sono i numeri del recente rapporto dell’UNICEF “Child and adolescent mental health – The State of Children in the European Union 2024”.
Il suicidio è la seconda causa di morte (dopo gli incidenti stradali) tra i giovani dai 15 ai 19 anni nell’Unione Europea. Nel 2020, circa 931 giovani sono morti per suicidio nell’UE (circa 18 vite perse a settimana). Il 70% circa dei giovani tra i 15 e i 19 anni nell’UE che muoiono per suicidio sono maschi.
In Italia, in giovani nella stessa fascia di età che hanno perso la vita intenzionalmente tra il 2011 e il 2020, il 43% erano ragazzi e circa il 36% ragazze.
Giornata mondiale della Salute Mentale
L’UNICEF Italia dedica quest’anno la giornata al tema dell’eco-ansia o ansia climatica – termini con cui si intende l’ansia o la preoccupazione per le minacce ecologiche che il pianeta subisce. Secondo dati ISTAT in Italia il 70,3% dei giovani tra i 14 e i 19 anni si dice preoccupato per i cambiamenti climatici. Gli under18 sperimentano quotidianamente gli effetti dei cambiamenti climatici sulle loro vite e questo sta avendo un impatto sulla loro salute mentale.
L’UNICEF mette in evidenza come siano necessarie nuove ricerche e studi per produrre dati di qualità su come il clima ha un impatto sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti, affinché possano essere articolate misure di prevenzione e protezione solide, eque ed inclusive.
Le iniziative
Per sensibilizzare sul tema l’UNICEF Italia e l’Agenzia Creativa BONFIRE, con il supporto di Greencome, hanno raccolto in un video una serie di testimonianze di giovani che hanno vissuto episodi di eco-ansia. I loro racconti sono letti su un palco da persone adulte, che a partire dalla loro esperienza di genitori riflettono su queste nuove paure della Generazione Z. Maria Beatrice Alonzi, divulgatrice e scrittrice esperta di analisi comportamentale e comunicazione non verbale, aiuta a riflettere sulle considerazioni ed emozioni emerse per capire come poter riconoscere e affrontare l’ansia dei più giovani.
L’UNICEF sarà presente al Sabir, Festival diffuso delle culture mediterranee, in calendario dal 10 al 13 ottobre presso Città dell’Altra Economia a Roma, con diversi appuntamenti.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2016/11/13112_lonely-1466900_1280.jpg8521280Sofia Gorgonihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngSofia Gorgoni2024-10-10 07:10:072024-10-10 01:37:49Salute mentale: un adolescente su 7 ha un disturbo nel mondo, i segnali si manifestano entro i 18 anni
La depressione è una patologia complessa che emerge in forme diverse. La risposta ai trattamenti varia molto da persona a persona. Oggi, il 30-40 per cento delle persone affette da depressione non risponde alle terapie disponibili. Il dato pesa sui sistemi sanitari e sulla qualità della vita dei pazienti. Questo ha spinto la ricerca scientifica a indagare le ragioni delle variabilità. Un nuovo studio pubblicato su Nature Medicine ha individuato almeno sei diversi tipi di depressione, o “biotipi”. Si distinguono per specifici pattern di attivazione cerebrale, rispondendo in modo diverso alle strategie terapeutiche.
Sei biotipi per comprendere la depressione
La ricerca, condotta da un team guidato dal neuroscienziato italiano Leonardo Tozzi della Stanford University, ha analizzato l’attività cerebrale di 801 pazienti. Il lavoro si è concentrato sull’individuazione di specifici schemi di attivazione o non attivazione di circuiti cerebrali, i quali sembrano determinare la tipologia di depressione e, di conseguenza, la risposta alle cure. Questi sei biotipi sono associati a circuiti responsabili di funzioni cognitive come l’attenzione, l’autocontrollo e le emozioni. Ad esempio, un biotipo è caratterizzato da un’iperconnettività nei circuiti dell’attenzione, mentre un altro da un’iperattivazione del “Default Mode Network“, che si attiva quando il cervello non è impegnato in compiti specifici.
Lo studio si è basato su tecniche avanzate di neuroimmagine e analisi dei dati, permettendo ai ricercatori di sviluppare una mappa più dettagliata di come il cervello si comporta nei diversi tipi di depressione. I risultati potrebbero portare alla creazione di trattamenti mirati e personalizzati.
I risultati delle terapie nei sei biotipi
I ricercatori hanno analizzato anche l’efficacia dei trattamenti su un campione di 250 pazienti, monitorando la risposta ai diversi approcci terapeutici. In particolare, hanno testato farmaci antidepressivi e terapie psicologiche specifiche. I risultati hanno mostrato che alcuni biotipi rispondono meglio alla psicoterapia, mentre altri trovano maggiore beneficio dai farmaci.
Ad esempio, il biotipo “Default with salience and attention hyperconnectivity” ha mostrato una maggiore risposta alla psicoterapia, mentre il biotipo “Attention hypoconnectivity” ha risposto meno bene a questo tipo di trattamento. Il biotipo “Cognitive control hyperactivation” ha invece registrato un miglioramento con un farmaco specifico. Questi risultati indicano che l’identificazione del biotipo di appartenenza potrebbe orientare in modo più preciso i medici nella scelta della terapia, riducendo il numero di pazienti che non rispondono ai trattamenti.
Verso cure personalizzate
La possibilità di associare un determinato biotipo a una specifica terapia potrebbe rivoluzionare la pratica psichiatrica. Leonardo Tozzi, in collaborazione con il team di Stanford, sta ora lavorando a trial clinici sperimentali per verificare l’efficacia di trattamenti mirati. I prossimi passi includeranno studi randomizzati per confermare i risultati e offrire una base solida per l’applicazione clinica.
I costi economici e sociali della depressione
La depressione pesa anche sul piano economico e sociale. Negli Stati Uniti, i costi legati alla disabilità causata dalla depressione ammontano a 336 miliardi di dollari. Si tratta della principale causa di perdita di produttività lavorativa a livello globale. I giovani sono particolarmente colpiti, con un tasso di suicidi che è triplicato negli ultimi 30 anni.
Il problema della depressione non diagnosticata
Uno dei principali ostacoli alla cura della depressione è la mancanza di diagnosi. Gli studi indicano che solo una persona su cinque affetta da depressione maggiore riceve cure adeguate. Molti pazienti non sanno di poter beneficiare di trattamenti specifici e interpretano i sintomi come una normale reazione a situazioni difficili. La depressione è spesso confusa con stati di tristezza o disagio temporanei, invece è una patologia complessa. I sintomi sono persistenti e impattano significativamente sulla vita personale e sociale.
Come funziona il cervello nella depressione
Il cervello è un sistema complesso, formato da circuiti che collegano diverse aree e si attivano a seconda delle funzioni svolte. Nel caso della depressione, alcuni circuiti sono maggiormente coinvolti, come il circuito del “Default Mode Network”, che si attiva quando non si è impegnati in compiti specifici, e che è spesso collegato alla ruminazione tipica della depressione. Altri circuiti interessati includono quelli responsabili delle emozioni, sia positive che negative, e quelli che regolano l’attenzione e il controllo cognitivo.
La scoperta di sei biotipi distinti fa luce sulla possibilità di personalizzare i trattamenti, migliorando la risposta dei pazienti alle terapie. Il prossimo obiettivo è confermare questi risultati con studi clinici prospettici e randomizzati. La depressione rimane una delle principali sfide della salute pubblica, ma la ricerca scientifica continua a fare progressi verso un futuro in cui le cure saranno sempre più efficaci e personalizzate.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/09/Depressione-infermieri.jpg8411500Sofia Gorgonihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngSofia Gorgoni2024-09-16 08:30:412024-09-16 09:10:15Depressione: 30-40 % non risponde alle terapie. Tipologie, cure e nuove scoperte sui casi resistenti
L’ictus è la terza causa di mortalità a livello globale e una delle principali cause di disabilità, comportando spesso gravi conseguenze tra cui la malnutrizione. Questo problema colpisce fino al 60% dei pazienti post-ictus, portando ad un peggioramento progressivo dal ricovero ospedaliero alla fase di riabilitazione. Fattori come la disfagia (difficoltà a deglutire), la perdita di appetito, la depressione e l’incapacità di alimentarsi autonomamente contribuiscono significativamente a questa condizione.
Lo studio sul legame tra malnutrizione e riabilitazione post-ictus
In questo senso è clamoroso quanto dimostrato da uno studio presentato al XLIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), uno studio che mette in luce proprio la relazione tra malnutrizione e funzionalità motoria e cognitiva durante la riabilitazione post-ictus. Questo studio, condotto da ricercatori dell’Università Federico II di Napoli presso il Santa Maria del Pozzo Hospital di Somma Vesuviana, ha ricevuto il Premio Gianvincenzo Barba per la Ricerca Scientifica e l’Innovazione in Nutrizione Umana 2024. La ricerca, svolta da un giovane ricercatore sotto i 35 anni iscritto alla SINU, evidenzia un campo ancora relativamente poco studiato in Europa.
Conseguenze della malnutrizione nei pazienti post-ictus
La malnutrizione nei pazienti con ictus rappresenta un importante fattore di rischio di mortalità e complicanze sia a breve che a lungo termine. È associata a un recupero funzionale e cognitivo più lento e meno efficace. Le principali conseguenze includono:
Perdita di forza e massa muscolare: Questi effetti sono particolarmente gravi nei pazienti anziani e predispongono a un aumento del rischio di infezioni.
Compromissione della partecipazione alla riabilitazione: La debolezza muscolare e le complicazioni associate alla malnutrizione limitano la capacità del paziente di impegnarsi attivamente nel processo riabilitativo, prolungando i tempi di recupero.
Riduzione delle capacità funzionali: La malnutrizione ostacola il raggiungimento di un buono stato funzionale, limitando l’indipendenza nelle attività quotidiane come alimentarsi, vestirsi e gestire l’igiene personale.
Dati dello studio e marcatori di infiammazione
I risultati dello studio indicano che circa la metà dei pazienti è malnutrita all’inizio della riabilitazione post-ospedaliera, con una prevalenza maggiore nei pazienti oltre i 75 anni. I pazienti malnutriti hanno ottenuto punteggi peggiori nei test di valutazione funzionale e cognitiva, evidenziando un impatto negativo sulla capacità di svolgere le attività quotidiane e sulla mobilità.
In foto Olivia Di Vincenzo e Ornella Russo, vedova Barba.
Inoltre, l’analisi di marcatori del sangue, come la proteina C-reattiva e il fibrinogeno, ha mostrato livelli più elevati nei pazienti malnutriti, indicando un legame tra malnutrizione e condizioni generali di salute peggiori. Gli autori della ricerca sono: Olivia Di Vincenzo e Luca Scalfi del Dipartimento di Sanità Pubblica e Fabrizio Pasanisi del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli, insieme con Ermenegilda Pagano, Mariarosaria Cervone e Alessandra Esposito del Santa Maria del Pozzo Hospital di Somma Vesuviana (Napoli).Hanno collaborato, inoltre, Raffaele Natale e Annadora Morena del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli.
Importanza della nutrizione nella riabilitazione post-ictus
Le evidenze suggeriscono che prevenire la malnutrizione, soprattutto nella popolazione anziana, può contribuire a migliorare lo stato funzionale dei pazienti, ridurre la durata della degenza e diminuire il rischio di complicanze. La tempestiva identificazione e gestione della malnutrizione è cruciale per migliorare il recupero funzionale e la qualità della vita dei pazienti post-ictus. Pertanto, l’attenzione alla nutrizione dovrebbe essere una priorità nella gestione dei pazienti post-ictus. Un approccio nutrizionale adeguato è fondamentale per migliorare i risultati terapeutici e favorire il ritorno a una vita indipendente.
Gestione attiva
La malnutrizione post-ictus è un fattore determinante nel processo di recupero dei pazienti. La malnutrizione può compromettere la forza muscolare e la resistenza, limitando così l’efficacia degli esercizi riabilitativi. Inoltre, una buona nutrizione supporta la funzione cognitiva, essenziale per il recupero delle abilità mentali e per la gestione delle attività quotidiane. La sua gestione adeguata e tempestiva può fare la differenza nel migliorare gli esiti della riabilitazione motoria e cognitiva.
Approccio multidisciplinare
I professionisti della salute devono dunque integrare strategie nutrizionali efficaci nei programmi di riabilitazione post-ictus per ottimizzare il recupero e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Serve dunque un approccio multidisciplinare, dove nutrizionisti, fisioterapisti e medici collaborano per sviluppare piani nutrizionali personalizzati che rispondano alle specifiche esigenze dei pazienti post-ictus.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/06/Ictus-una-dottoressa-osserva-delle-immagini-tac-al-monitor.jpg10001500Raffaele Nespolihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRaffaele Nespoli2024-06-11 09:11:272024-06-11 09:11:27Ictus, ricercatrice under 35 presenta uno studio innovativo
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