Batteri resistenti agli antibiotici anche nelle acque di scarico, le nuove terapie
Le infezioni da batteri multiresistenti sono un rischio soprattutto per chi è più fragile. Secondo le stime, i tassi di mortalità possono arrivare fino al 40%. La comunità scientifica lavora per cercare soluzioni: dalla scoperta di nuovi antibiotici alla sperimentazione della terapia con virus batteriofagi. Se ne è parlato al 10° Congresso AMIT – Argomenti di Malattie Infettive e Tropicali, presieduto dalla Prof.ssa Antonella Castagna, Primario dell’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e Tropicali all’Università Vita‐Salute San Raffaele, e dal Prof. Marco Tinelli, Infettivologo, Componente del Consiglio Nazionale della SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e Consulente del Ministero della Salute.
Batteri resistenti sempre più mortali
L’antimicrobico resistenza rappresenta una pandemia silenziosa, che colpisce spesso anche le più recenti classi di antibiotici. È un fenomeno diffuso in alcuni setting assistenziali di area critica, come i reparti di Terapia Intensiva, dove ci sono soggetti più fragili in cui le infezioni da batteri resistenti possono essere letali.
“Alcuni batteri appartenenti alla classe delle “Enterobacterales” hanno una elevata capacità di indurre gravi infezioni sistemiche che, a livello ematico (sepsi), diventano pericolose per la vita – sottolinea il Prof. Marco Tinelli – Questi ceppi batterici producono enzimi in grado di eliminare l’attività degli antibiotici. Ad esempio, se un paziente contrae un’infezione ematica da un ceppo di “Enterobacterales”chiamato “NDM”, il potenziale rischio di mortalità a 30 giorni è del 15,4%; dell’8,1% per il ceppo “KPC”; del 2,6% del ceppo “VIM”. Recenti studi dimostrano che, non solo per le già citate Enterobacterales la mortalità è particolarmente elevata, ma anche per altri batteri come Stenotrophomonas maltophilia e Acinetobacter baumannii: il rischio di mortalità a 30 giorni dall’infezione è addirittura rispettivamente del 42,9% e del 37,7%”.
Antibiotici reserve e long acting, terapia fagica
Gli antibiotici di ultima generazione mantengono ancora efficacia contro i batteri resistenti, anche se in alcuni casi inizia a verificarsi un’attività parzialmente ridotta nei confronti di alcuni ceppi batterici, come gli “MBL”.
“I nuovi antibiotici, detti “reserve”- commenta il Prof. Marco Tinelli –hanno portato a una significativa diminuzione della mortalità, riducendo i tassi dal 44% a una fascia compresa tra l’8% e il 15%, determinando una svolta nella gestione terapeutica di pazienti con infezioni gravi. Tuttavia, gli antibiotici reserve hanno un costo elevato e un loro uso eccessivo porta inevitabilmente allo sviluppo di resistenza. Si raccomanda pertanto, ancora una volta, un uso oculato di qualsiasi antibiotico”. Ora sono anche disponibili antibiotici a lunga durata, che permettono di ridurre le somministrazioni: bastano una volta alla settimana, ogni due settimane o addirittura una volta al mese.
“Un’altra innovazione promettente è la terapia con i fagi – aggiunge il Prof. Tinelli – Queste particelle attaccano i batteri e non provocano infezioni nell’uomo. La terapia fagica è complessa e va personalizzata, ha un basso costo ed è molto promettente come presidio complementare alla terapia antibiotica. È impiegata in molti centri sia negli Stati Uniti che in alcuni Paesi europei come il Belgio; in Italia è stata utilizzata con successo nelle infezioni dell’osso ma sta dando buoni risultati anche per altre patologie infettive. Recentemente è stata presa in considerazione come presidio farmacologico anche dall’EMA”.
Importanza dell’approccio One Health
L’antimicrobico resistenza ha un risvolto anche nella gestione delle resistenze a livello ambientale. “Diversi studi certificano come i reflui urbani (acque di scarico) possano contenere batteri multiresistenti anche in quantità significative – evidenzia il Prof. Marco Tinelli – L’adozione di misure di legge volte a ridurre le potenziali vie di contaminazione degli animali dovuta a minore necessità di impiego degli antibiotici in allevamento, come pure il rispetto del benessere animale, sta determinando una netta diminuzione, tendente all’azzeramento, del rischio di infezione negli animali e anche per l’uomo. Il concetto di ‘One Health’, che integra la salute umana, animale e ambientale, è ora al centro delle strategie del Ministero della Salute in primis, ma anche del Ministero dell’Ambiente e del Ministero dell’Agricoltura per un uso più responsabile degli antibiotici e per il loro corretto smaltimento nell’ambiente”.