Tempo di lettura: 7 minutiPer misurare la salute del cuore e stimare il rischio di sviluppare malattie cardiometaboliche legate a sovrappeso e obesità basta un metro da sarto. La misura della circonferenza vita, infatti, rappresenta la quantità di grasso addominale viscerale. Quest’ultimo è un indicatore predittivo di sviluppare patologie cardiometaboliche.

L’obesità e il sovrappeso
L’obesità è una malattia complessa, multifattoriale e richiede un approccio multidimensionale. Il primo passo è rappresentato dalla prevenzione attraverso la modificazione degli stili di vita. Tuttavia, quando questa prima strategia risulta insufficiente, o non del tutto efficace, è possibile ricorrere, mantenendo comunque sempre stili di vita salutari, anche alla terapia farmacologica e, in casi selezionati, alla chirurgia bariatrica.
La Fondazione Italiana per il Cuore promuove un’iniziativa, con il patrocinio del Ministero della Salute, e sostenuta da 18 Società scientifiche e Associazioni di pazienti. Al centro, la consapevolezza del cittadino che è invitato alla misurazione della circonferenza vita come indicatore predittivo del rischio cardiometabolico e dunque a rivolgersi ai professionisti della salute. La campagna educativa (www.peruncuoresano.it) andrà avanti attraverso i canali web e social nel corso dell’anno.
“L’obesità è uno tra i più importanti fattori di rischio modificabili su cui è possibile intervenire per prevenire gravi patologie cardiometaboliche. Il nostro obiettivo è fornire ai cittadini le informazioni necessarie per comprendere l’importanza dei comportamenti salutari come strumento di prevenzione delle malattie cardiovascolari e metaboliche, nel caso specifico – spiega Emanuela Folco, Presidente FIPC – correlate a obesità e sovrappeso e dunque generare la consapevolezza di poter compiere scelte responsabili di salute. Ridurre anche di pochi centimetri la circonferenza vita, con l’obiettivo di avvicinarsi e raggiungere il valore soglia consigliato, non è una questione estetica ma una scelta di salute e rappresenta un’importante strategia di prevenzione delle malattie cardiometaboliche”.
I lavori di presentazione della campagna si sono aperti con il messaggio di saluto del Ministro della Salute Orazio Schillaci: “Contrastare l’obesità significa agire su uno dei principali fattori di rischio per molte malattie croniche, incluse quelle cardiometaboliche. La prevenzione è l’alleata più efficace in questa battaglia, e il Ministero della Salute è costantemente impegnato a promuovere iniziative per diffondere l’importanza di stili di vita sani. Una dieta equilibrata e un’attività fisica regolare, ad esempio, non sono soltanto raccomandazioni, ma strumenti concreti che possono fare la differenza nella vita di milioni di persone. È importante informare e sensibilizzare i cittadini sulla riduzione dei rischi correlati all’obesità e migliorare lo stato di salute, favorendo la collaborazione tra istituzioni, associazioni e operatori del settore”.
Maria Rosaria Campitiello, Capo Dipartimento della Prevenzione, della Ricerca e delle Emergenze Sanitarie del Ministero della Salute ha aggiunto: “Il nostro impegno, come Ministero, è rivolto all’adozione di politiche preventive che considerino i molteplici fattori alla base delle scelte alimentari e dello stile di vita, includendo aspetti socioculturali, ambientali ed emotivi. Lo scopo è orientare le persone verso scelte alimentari più sane e a stili di vita attivi, con l’aiuto fondamentale di iniziative di sensibilizzazione e azioni semplici e quotidiane”.

Cuore: fattori di rischio cardiovascolare e metabolici
Il grasso corporeo in eccesso influisce negativamente sulla salute generale e riduce l’aspettativa di vita. Le malattie cardio–cerebrovascolari sono la prima causa di mortalità e disabilità in Italia, responsabili di circa il 31% di tutti i decessi e con quota maggiore fra le donne rispetto agli uomini (56% vs 44%). Il 41% degli italiani tra i 18 e 69 anni ha almeno tre fattori di rischio tra: ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete mellito di tipo 2, sovrappeso e obesità e stili di vita non salutari. Un dato allarmante riguarda in modo particolare obesità e sovrappeso dato che nel mondo l’obesità degli adulti è più che raddoppiata dal 1990, mentre quella degli adolescenti è quadruplicata. Nella popolazione pediatrica i dati del 2024 riportano che quasi il 20% dei bambini è in sovrappeso e quasi il 10 % è obeso (incluso un 2,6 % con obesità grave).
Cuore: scoprire il rischio cardiometabolico con quattro mosse
L’obesità è una malattia cronica ed evolutiva e per diagnosticarla il parametro più utilizzato è l’Indice di Massa Corporea (IMC o BMI= Body Mass Index), che viene calcolato dividendo il peso in chilogrammi per l’altezza in metri al quadrato. Secondo questa classificazione, un IMC tra 25 e 30 indica sovrappeso, mentre un valore superiore a 30 definisce l’obesità.
È oramai ampiamente condivisa nella comunità scientifica l’opinione che la misurazione dell’Indice di Massa Corporea (IMC) non basti più da sola e la raccomandazione è quella di associare alla misurazione del IMC almeno un’altra misurazione antropometrica, in modo particolare quella della circonferenza vita che è oggi considerata l’indicatore più preciso dei rischi associati all’obesità.

L’automisurazione della circonferenza vita in 4 mosse
- Prendere un metro da sarto flessibile.
- Posizionarsi in piedi e togliendo abiti o cinture comprimenti
- Avvolgere il metro all’altezza dell’ombelico tra l’ultima costa toracica e il bordo superiore della cresta iliaca
- Prendere nota dei centimetri senza stringere eccessivamente il metro e fare il test per ottenere il livello di rischio cardiometabolico.
Qual è il grasso che fa male
Il grasso corporeo non è solo una riserva di energia, ma un elemento fondamentale per l’organismo, tanto da essere considerato un vero e proprio organo endocrino. Questo significa che il tessuto adiposo non si limita ad accumulare lipidi, ma comunica costantemente con gli altri organi attraverso la produzione di specifiche sostanze chiamate adipochine che svolgono un ruolo simile a quello degli ormoni.
“In condizioni di obesità, l’accumulo di tessuto adiposo nell’addome (il cosiddetto grasso addominale viscerale) non solo ne comporta un aumento quantitativo, ma si associa ad alterazioni della secrezione di adipochine e di molecole proinfiammatorie e protrombotiche, causando infiammazione cronica di basso grado. Tutto ciò influisce negativamente sugli organi vitali, riducendone la funzionalità e aumentando il rischio di sviluppare malattie croniche. L’accumulo di questo grasso con alterazioni funzionali in sede addominale viscerale è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di patologie gravi come quelle cardiovascolari, il diabete mellito di tipo 2, le patologie epatiche associate al metabolismo e l’insufficienza renale cronica, alcune forme di cancro e patologie polmonari. Alla base di questo rischio di malattia – spiega Paolo Magni, Presidente del Comitato Scientifico FIPC e Professore presso l’Università̀ degli Studi di Milano – vi è il fatto che il grasso addominale viscerale altera il metabolismo glucidico, promuovendo resistenza all’insulina, e lipidico, con un profilo metabolico che aumenta il rischio di aterosclerosi e di disfunzione endoteliale nelle arterie. Per questi motivi, la valutazione della entità del tessuto adiposo addominale viscerale con la misurazione della circonferenza vita è molto utile e importante”.
Dati e differenze di genere
In Italia, secondo i dati aggiornati al 2023, l’obesità degli adulti (35 -74 anni) riguarda il 23% degli uomini e il 25% delle donne.
“Nelle donne, fino alla menopausa, gli estrogeni svolgono un ruolo protettivo, limitando l’accumulo di grasso viscerale. Tuttavia, con la menopausa e il calo di questi ormoni, il grasso tende a spostarsi verso l’addome, aumentando il rischio di problemi cardiometabolici. Per gli uomini, invece – continua Cecilia Politi, Responsabile Medicina di Genere di FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) – il discorso è diverso: già a partire dalla mezza età, il calo del testosterone favorisce l’accumulo di grasso nella zona addominale. È proprio questa distribuzione centralizzata, legata agli ormoni androgeni, che li rende più predisposti a sviluppare grasso viscerale. Questo spiega perché sia fondamentale comprendere come il nostro corpo cambia ed adottare strategie preventive rivolte agli uomini e alle donne”.
L’iniziativa è realizzata con il contributo non condizionante di Novo Nordisk, GVM Care & Research, Zentiva e Daiichi Sankyo.
Le fake news più comuni
- L’obesità è solo questione di mancanza di volontà. Falso. L’obesità è una malattia complessa, influenzata da molteplici fattori, genetici, ambientali e socioeconomici ecc. Richiede un approccio multidisciplinare
- La pasta fa ingrassare. Falso. I cereali (es. pasta, pane e riso) sono una fonte preziosa di carboidrati complessi, essenziali per l’energia del corpo. In una dieta equilibrata, il 50-60% delle calorie dovrebbe provenire da carboidrati, preferendo quelli integrali.
- L’ananas brucia i grassi. Falso. L’ananas contiene bromelina, una sostanza che aiuta a digerire le proteine, ma non ha alcun effetto sui grassi.
- Tutti i grassi sono dannosi. Falso. I grassi sani (es. quelli dell’olio d’oliva, frutta secca e pesce) proteggono il cuore. I grassi saturi e dei cibi processati, possono aumentare il rischio cardiovascolare.
- Fare addominali elimina la pancetta. Falso. Gli addominali rafforzano i muscoli e migliorano la postura, ma non eliminano il grasso localizzato. È necessaria una combinazione di dieta e attività fisica generale.
- Le intolleranze causano sovrappeso. Falso. Non c’è connessione tra intolleranze alimentari e obesità. Le intolleranze possono causare disturbi, ma non sono responsabili dell’accumulo di grasso corporeo.
- Per dimagrire basta saltare i pasti. Falso. Saltare i pasti rallenta il metabolismo e ostacola il dimagrimento. Una dieta equilibrata e regolare è fondamentale per perdere peso in modo sano
Cinque comportamenti salutare per ridurre i rischi secondo gli esperti
- Seguire una dieta sana ed equilibrata: mangiare in modo sano è fondamentale per prevenire malattie cardiovascolari, epatiche e renali, oltre a ridurre il grasso viscerale. Affidarsi a professionisti per piani alimentari personalizzati è essenziale, evitando diete fai da te.
- Praticare attività fisica regolare: fare almeno 150 minuti di esercizio moderato o 75 minuti di attività intensa a settimana aiuta a mantenere il peso e a contrastare il grasso viscerale. Segui programmi di allenamento personalizzati per evitare danni alla salute.
- Gestire lo stress: lo stress cronico aumenta il cortisolo, favorendo l’accumulo di grasso addominale e il rischio di malattie. Ridurre lo stress aiuta a proteggere il cuore e la salute generale.
- Smettere di fumare: il fumo non solo danneggia la salute, ma contribuisce anche all’accumulo di grasso viscerale e a un metabolismo rallentato. Eliminare il fumo migliora il profilo metabolico e riduce i rischi per la salute.
- Seguire le indicazioni mediche: aderire a stili di vita salutari, ai controlli medici e alle terapie prescritte è indispensabile per prevenire il peggioramento di condizioni mediche e mantenere i risultati raggiunti.
Allergie alimentari, per scoprirle basta un test
Bambini, Eventi d'interesse, Genitorialità, PrevenzioneUn’innovazione diagnostica promette di rivoluzionare la gestione delle allergie alimentari nei bambini. L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha introdotto nel suo laboratorio per le allergie alimentari il test di attivazione dei basofili (BAT test), un’analisi avanzata che permette di prevedere con maggiore precisione il rischio e la gravità delle reazioni allergiche a determinati alimenti. Un modo efficace e sicuro per arrivare a diagnosi sempre più accurate per gli oltre 5.000 bambini seguiti annualmente dal team di allergologi dell’ospedale.
Allergie alimentari: un problema in crescita
Le allergie alimentari tra bambini e ragazzi stanno diventando sempre più diffuse e complesse. Accanto a nuove forme emergenti, come l’allergia alle farine di insetti, al miele di melata o al latte di capra, si registra un incremento di allergie già note. Negli ultimi dieci anni, l’allergia alla frutta a guscio (nocciole, anacardi, pistacchi) è salita dal 3% all’8% dei casi pediatrici, mentre quella alle arachidi è passata dall’1% al 6%. L’allergia al latte vaccino, stabile oltre il 15%, diventa sempre più difficile da gestire a causa delle frequenti associazioni con altre allergie (uova, grano, pesce).
Il professor Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia del Bambino Gesù, evidenzia come le allergie ad arachidi e latte siano le più pericolose, in quanto maggiormente associate a reazioni gravi e potenzialmente fatali, come l’anafilassi. Ogni anno in Italia si registrano purtroppo tra i 2 e i 4 decessi per allergie alimentari, soprattutto tra i giovani sotto i 20 anni.
Il BAT Test: un’innovazione per una diagnosi sicura
In Italia, un bambino su 50 è allergico a uno o più alimenti e, nel 16% dei casi, presenta una forma grave della malattia. Per migliorare la diagnosi e la gestione delle allergie, l’Ospedale Bambino Gesù ha introdotto il BAT test, che permette di simulare in laboratorio una reazione allergica senza esporre il paziente a rischi diretti. Questo esame si effettua su un campione di sangue, isolando le cellule responsabili della risposta allergica e mettendole a contatto con l’allergene. Se il bambino è allergico, sulla superficie delle cellule compaiono delle molecole rilevabili e quantificabili.
Il BAT test fornisce informazioni cruciali sulla potenziale gravità della risposta immunitaria e si aggiunge agli strumenti diagnostici già disponibili presso il Bambino Gesù, tra cui i test cutanei (prick test), il dosaggio delle IgE specifiche nel sangue e il test di provocazione orale, attualmente considerato il gold standard per la diagnosi delle allergie alimentari.
Verso nuove strategie terapeutiche
Grazie al BAT test, gli specialisti possono definire con maggiore precisione il profilo di rischio di ciascun bambino e individuare la strategia terapeutica più adeguata. Le opzioni includono l’evitamento degli alimenti responsabili, la desensibilizzazione orale con introduzione graduale dell’alimento sotto controllo medico e, in alcuni casi selezionati, terapie avanzate come l’uso del farmaco Omalizumab, che neutralizza le IgE circolanti.
“Grazie a questo nuovo, importante strumento diagnostico – conclude il professor Fiocchi – possiamo migliorare la qualità della vita di bambini e famiglie, riducendo i rischi associati alle allergie alimentari. Al Bambino Gesù la ricerca continua e siamo pronti a sperimentare nuove soluzioni terapeutiche, come l’immunoterapia epicutanea, che potrebbe rivoluzionare la gestione delle allergie alimentari nei prossimi anni”.
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Caldo estremo causerà oltre 2,3 mln di vittime: le città italiane dove si rischia di più
Anziani, Benessere, Prevenzione, Ricerca innovazioneIl riscaldamento globale potrebbe causare oltre 2,3 milioni di morti aggiuntive nelle città europee entro la fine del secolo. È il risultato di uno studio condotto dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), pubblicato su Nature Medicine. La ricerca evidenzia che, se non verranno adottate misure urgenti per ridurre le emissioni di carbonio, le morti per caldo aumenteranno del 50%, superando la diminuzione di quelle legate al freddo.
Il 70% dei decessi potrebbe essere evitato
Secondo i ricercatori della LSHTM, il 70% delle morti previste può essere evitato con misure immediate. «I risultati evidenziano l’urgenza di mitigare il cambiamento climatico e adattarsi al caldo estremo», spiega Pierre Masselot, autore principale dello studio. «Seguendo un percorso più sostenibile, milioni di vite potrebbero essere salvate prima del 2100. Il Mediterraneo è l’area più vulnerabile e le conseguenze potrebbero essere disastrose senza interventi tempestivi».
Le città più colpite: roma, napoli, milano e genova tra le prime dieci
Lo studio ha analizzato 854 città europee. Le dieci più colpite entro il 2100 saranno:
Le città mediterranee, più popolose e soggette a temperature elevate, subiranno l’impatto maggiore. Anche località più piccole in Italia, Spagna e Malta saranno gravemente colpite.
Nord europa: meno morti per freddo, ma il bilancio resta negativo
Nei Paesi del Nord Europa, la diminuzione dei decessi legati al freddo non compenserebbe l’aumento di quelli causati dal caldo. A Londra, ad esempio, si prevede un calo di 27.455 decessi, mentre a Parigi il numero di morti legate alla temperatura aumenterebbe di 13.515. Il saldo complessivo a livello continentale resterebbe negativo, con l’area mediterranea e l’Europa centrale tra le più colpite.
Binge eating, quando il cibo diventa una dipendenza nascosta
Alimentazione, News, Prevenzione, PsicologiaOgni giorno, milioni di persone combattono contro un impulso incontrollabile: mangiare senza freni, spesso in solitudine, fino a sentirsi male. Il binge eating disorder (BED) è il disturbo alimentare più diffuso, ma spesso rimane invisibile. Non lascia segni evidenti sul corpo come l’anoressia e non porta al vomito come la bulimia, ma le conseguenze sulla salute fisica e mentale sono altrettanto gravi. In molti casi, chi ne soffre non chiede aiuto per vergogna o senso di colpa. Il dottor Andrea Catena, psicologo e psicoterapeuta di Humanitas PsicoCare, sul portale del centro di ricerca, ha spiegato quali sono i sintomi, le cause e le terapie più efficaci.
Quanto è diffuso il binge eating disorder (BED)
Il binge eating disorder (BED) è il disturbo alimentare più diffuso a livello globale. Si manifesta con episodi di abbuffate incontrollate e ripetute. Durante questi episodi, la persona assume grandi quantità di cibo in breve tempo, anche senza avvertire la fame. Il fenomeno si accompagna a disagio emotivo, senso di colpa e vergogna.
Il BED interessa uomini e donne in proporzioni diverse rispetto ad altri disturbi alimentari. Nella bulimia e nell’anoressia nervosa il rapporto tra femmine e maschi è di 9 a 1, mentre nel BED il rapporto è di 6 a 4. Il disturbo può insorgere in adolescenza o nella prima età adulta, ma si manifesta anche in età più avanzata.
Binge eating disorder: criteri diagnostici
La diagnosi del BED segue le linee guida del DSM-5 ed è caratterizzata da episodi ricorrenti di abbuffata. L’assunzione di cibo superiore a quella normalmente consumata nello stesso lasso di tempo e nelle stesse circostanze è accompagnata dalla perdita di controllo.
Gli episodi di abbuffata sono associati ad almeno tre di questi comportamenti:
Il BED viene classificato in quattro livelli di gravità: lieve (da 1 a 3 episodi settimanali), moderato (da 4 a 7 episodi settimanali), grave: (da 8 a 13 episodi settimanali) ed estremo: (14 o più episodi settimanali).
Le cause del binge eating
Le cause del BED sono multifattoriali. Non esiste un’unica origine del disturbo. Può incidere la predisposizione genetica e neurobiologica, ma spesso le cause sono da ricercare nel contesto familiare e sociale, in eventi traumatici o esperienze infantili difficili.
I pazienti con BED mostrano livelli elevati di impulsività rispetto alla popolazione generale, spiega lo specialista. Il discontrollo alimentare è spesso una risposta a emozioni difficili come ansia, tristezza o frustrazione che non riescono a essere gestite diversamente.
Sintomi e segnali del binge eating
Il BED si manifesta con comportamenti ricorrenti. Tra i sintomi più comuni:
Come curare il binge eating disorder
Tutti i disturbi alimentari sono accomunati da una grande sofferenza psicofisica e da un rapporto conflittuale e faticoso con il cibo. Il trattamento richiede un approccio multidisciplinare. In particolare, nel BED, le linee guida scientifiche indicano l’importanza di un intervento integrato che coinvolga medico, psicoterapeuta e nutrizionista.
L’American Psychiatric Association (APA) riconosce la terapia dialettico-comportamentale (DBT) come uno dei metodi più efficaci. La DBT aiuta il paziente a identificare e gestire le proprie emozioni in modo funzionale, senza ricorrere al cibo. “Questo metodo fornisce pratici strumenti che consentono alla persona di imparare a riconoscere le proprie emozioni, comunicarle e infine trovare alternative più salutari per gestirle, senza necessariamente soffocarle nel cibo”, spiega lo specialista.
Parkinson: individuato meccanismo della rigidità muscolare
Ricerca innovazioneUno studio internazionale ha individuato i meccanismi alla base della rigidità muscolare nel Parkinson. I risultati aprono nuove prospettive terapeutiche per la malattia. I ricercatori hanno utilizzato un sistema robotico per misurare con precisione la rigidità muscolare nei pazienti. Questo dispositivo, progettato per muovere il polso a diverse velocità in modo controllato, ha permesso di studiare le diverse cause della rigidità, distinguendo tra quelle legate ai circuiti nervosi e quelle proprie dei muscoli.
La ricerca, frutto della collaborazione tra l’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, il Dipartimento di Neuroscienze Umane dell’Università Sapienza di Roma, il Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università di Roma Tor Vergata, il National Institute of Neurological Disorders and Stroke negli Stati Uniti e l’UCL Queen Square Institute of Neurology nel Regno Unito, è stata pubblicata su Movement Disorders.
“Grazie a questo approccio innovativo – spiega il professor Antonio Suppa, Dipartimento di Neuroscienze Umane dell’Università Sapienza di Roma e I.R.C.C.S. Neuromed, coordinatore dello studio – abbiamo dimostrato che la rigidità dipende da un riflesso specifico, chiamato long-latency stretch reflex (LLR), che nei pazienti con Parkinson funziona in modo anomalo. La levodopa ha mostrato di ridurre significativamente questa anomalia, soprattutto durante movimenti rapidi”. L’LLR è un meccanismo che regola la risposta muscolare a stiramenti improvvisi, coinvolgendo sia il midollo spinale sia il cervelletto.
“I nostri risultati – aggiunge Suppa – mostrano che, mentre le componenti muscolari intrinseche della rigidità rimangono invariate (ad es viscosità ed elasticità delle fibre muscolari), la levodopa riduce la componente neurale, diminuendo la resistenza opposta dai muscoli al movimento”.
Il metodo robotico utilizzato nello studio ha permesso di analizzare come la rigidità muscolare cambi con la velocità del movimento. “Abbiamo descritto un circuito nervoso responsabile della rigidità nel Parkinson, che collega il tronco encefalico, il cervelletto e il midollo spinale. – continua il professore – Questo circuito è influenzato dalla dopamina e potrebbe essere il punto di partenza per nuove terapie.”
Videocapsula endoscopica: diagnosi senza dolore
Ricerca innovazione, NotizieNel mondo della medicina ci sono rivoluzioni che avvengono in modo silenzioso. Innovazioni che, lontano dai riflettori, cambiano radicalmente il modo in cui riusciamo a fare diagnosi. La videocapsula endoscopica è una di queste piccole rivoluzioni silenziose. Immaginate una piccola capsula, poco più grande di una compressa di vitamine. La si inghiotte con un sorso d’acqua, come se fosse una normale pillola. Eppure, dentro questa minuscola meraviglia tecnologica si nasconde un Led luminoso e una telecamera ad alta risoluzione, pronta a esplorare le profondità del nostro intestino, registrando immagini dettagliate e inviandole in tempo reale a un dispositivo di registrazione indossato dal paziente. Senza fili, senza dolore, senza il disagio di un’endoscopia tradizionale.
Come funziona?
La videocapsula si muove in modo naturale lungo il tratto gastrointestinale, spinta dai movimenti peristaltici del corpo. Durante il suo viaggio, scatta migliaia di immagini, che vengono trasmesse a un ricevitore collegato a un software di analisi. In poche ore, il medico può esaminare dettagli che un tempo sarebbero stati impossibili da osservare senza procedure invasive. Dopo circa otto ore, la capsula viene eliminata naturalmente, senza che il paziente se ne accorga.
In quali casi è utile?
La videocapsula endoscopica è un’arma fondamentale nella diagnosi di patologie del piccolo intestino, una regione difficile da raggiungere con altri strumenti diagnostici. Viene utilizzata per individuare sanguinamenti occulti, lesioni vascolari, polipi, tumori o segni della malattia di Crohn. Per i pazienti con anemia inspiegabile o con sospetti di patologie intestinali croniche, questa tecnologia è spesso l’unico modo per arrivare a una diagnosi senza ricorrere a interventi invasivi.
Un futuro sempre più preciso
Questa piccola capsula sta diventando sempre più sofisticata: le versioni più recenti includono sensori avanzati, algoritmi di intelligenza artificiale per l’analisi automatizzata delle immagini e persino meccanismi di controllo remoto per ottimizzare il percorso all’interno del corpo umano. Il sogno di una diagnostica sempre più precisa e meno invasiva si fa ogni giorno più reale. Nel silenzio di un’innovazione che non fa rumore, la medicina sta cambiando. E la videocapsula endoscopica è il simbolo di questa rivoluzione discreta, capace di illuminare con una piccola telecamera ciò che un tempo restava nell’ombra.
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Presa Weekly 31 Gennaio 2025
PreSa WeeklyNapoli, nel petto di Dario un cuore artificiale totale
Ricerca innovazione, NotizieNel petto di Dario batte un cuore artificiale totale, l’uomo è stato salvato grazie ad un complicato intervento chirurgico eseguito al Monaldi di Napoli. Andiamo con ordine. Dario ha 46 anni, ma da già da tempo soffre di una grave forma di scompenso cardiaco. Non ha mai mollato e, anche negli ultimi mesi di ricovero, ha sempre avuto un solo obiettivo: fare ritorno a casa, dalla sua famiglia e dall’intero quartiere. Ora, grazie a questo cuore artificiale e alla sua grande forza di volontà, è pronto per riabbracciare la moglie e i due figli.
L’équipe medica
Ad operarlo è stato il personale del Centro Trapianti Cuore del Monaldi (Azienda Ospedaliera dei Colli), presso la UOSD di Cardiochirurgia generale e dei trapianti guidata dal dottor Claudio Marra. La scelta di procedere con l’impianto del cuore artificiale totale Carmat è arrivata quando le condizioni si sono aggravate; non essendoci disponibilità di organi, si è deciso di procedere con il cuore artificiale totale. Il Carmat è l’unico cuore artificiale totale autorizzato e commercializzato in Unione Europea.
I pazienti che possono beneficiare del cuore artificiale totale
La sua è una storia di malattia di oltre 20 anni (seguito al Monaldi dal gruppo di cardiologi che si occupano di scompenso cardiaco). Ottima la sua reazione all’intervento e adesso è in buone condizioni cliniche ed emodinamiche. «I pazienti che possono giovarsi di questa macchina estremamente evoluta sono tutti i pazienti che hanno uno shock cardiaco avanzato non responsivo ad altro tipo di terapia medica cardiologica. In genere sono pazienti ricoverati in terapia intensiva cardiochirurgica, il cui cuore, nonostante sia supportato da farmaci infusionali e da sistemi di assistenza temporanei, non riesce a dare una gittata cardiaca sufficiente agli altri organi. Di fatto sono pazienti in status one, che vuol dire pericolo imminente di morte», spiega il chirurgo.
Assistenza biventricolare
Il cuore artificiale totale Carmat è l’evoluzione dei precedenti sistemi di assistenza biventricolari. La biotecnologia da anni è alla ricerca di un cuore meccanico che possa “sostituire” un cuore umano. «Il Carmat è figlio dei sistemi che si usavano un tempo, ma molto più evoluto, completamente endotoracico ed è dotato di bioprotesi che direzionano il flusso di sangue. Di fatto il Carmat è il sistema di assistenza biventricolare più innovativo ed evoluto al mondo», prosegue Marra. Il cuore artificiale totale di Carmat è ricoperto da una membrana che avverte le pressioni endotoraciche e soprattutto autoregola il flusso ematico in base all’attività del paziente esattamente come un cuore umano.
Una risposta efficace alle esigenza di salute
«La ricerca e le applicazioni tecnologiche più innovative consentono di dare speranza a pazienti che non hanno ulteriori opzioni terapeutiche e ben vengano queste innovazioni per la sanità pubblica che sposta sempre più la frontiera della tecnologia, sempre e soltanto guardando alla salute dei pazienti. Non è un caso che questo intervento sia stato eseguito al Monaldi, dove professionalità, tecnologie e processi organizzativi consentono di offrire trattamenti innovativi», spiega l’avvocato Anna Iervolino, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli di Napoli.
In attesa di un cuore biologico
Le ultime esperienze cliniche insegnano che questo device può assistere il paziente per circa 12 mesi in attesa di un cuore da donatore. Deve essere considerato come un ponte verso il trapianto, quindi, può essere impiantato solo ai pazienti che hanno una eleggibilità anche se non immediata al trapianto cardiaco che ad oggi rimane la migliore soluzione in termini di sopravvivenza e qualità di vita. La donazione di organi resta quindi essenziale, è un gesto di altruismo enorme che permette la sopravvivenza di tanti pazienti. Anche il giovane Dario resta in attesa di un cuore per riprendere in mano la sua vita.
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Cancro della cervice tra i più prevenibili con prevenzione. L’impatto economico
Economia sanitaria, Prevenzione, Ricerca innovazioneIl cancro della cervice è tra i più prevenibili al mondo. Per decenni questo tumore è stato il più comune tra le donne a livello globale, ma nei Paesi ad alto reddito la situazione è cambiata grazie a screening e vaccini.
Secondo il Global Cancer Observatory (GloboCan), il carcinoma cervicale è oggi il quarto tumore più diffuso tra le donne, rappresentando il 6,9% dei nuovi casi. Il 60% delle diagnosi si registra in Asia e il 19% in Africa, dove resta il tumore più frequente in 25 Paesi, soprattutto nell’Africa sub-sahariana. Nei Paesi occidentali, invece, incidenza e mortalità continuano a calare grazie al Pap-test, all’HPV test e alla vaccinazione.
Il cancro della cervice in Italia
Il tumore della cervice uterina si sviluppa nella parte inferiore dell’utero. In Italia si registrano circa 2.500 nuovi casi di tumore della cervice ogni anno, pari all’1,3% delle diagnosi oncologiche femminili. La sopravvivenza a cinque anni è del 68%, secondo il rapporto I numeri del cancro in Italia 2023. Un’analisi del WifOR Institute conferma il valore della prevenzione, già al centro della strategia globale lanciata dall’OMS nel 2020 per eliminare questo tumore come problema di salute pubblica entro pochi decenni.
La sostenibilità del SSN
In un contesto di costante crescita dei costi sanitari, il valore economico degli investimenti nella prevenzione oncologica diventa sempre più rilevante. Uno studio condotto dal WifOR Institute, firmato da Karla Hernandez-Villafuerte, Dr. Maike Schmitt, Dr. Jan Ludwig Fries e Dr. Malina Müller, propone un nuovo metodo di valutazione degli effetti economici degli investimenti in prevenzione sanitaria: il Health ROI Assessor Framework.
L’analisi, applicata alla prevenzione del cancro cervicale in Germania attraverso lo screening con Pap test, mostra che ogni milione di euro investito nella prevenzione può generare un significativo ritorno economico, sia all’interno che al di fuori del settore sanitario.
Il ritorno economico della prevenzione
Secondo i risultati dello studio, per ogni 1 milione di euro investito nella prevenzione del cancro cervicale in Germania, si creano circa 2 milioni di euro di valore aggiunto lordo e 32 nuovi posti di lavoro nell’arco di tre anni. Di questi 1,12 milioni di euro derivano dagli effetti diretti nella sanità e 850.000 euro da effetti indiretti nel resto dell’economia.
A livello occupazionale, l’investimento di 1 milione di euro nella prevenzione genera 20 nuovi posti di lavoro nel settore sanitario e altri 12 in altri settori. Inoltre, mentre nel primo anno vengono creati 13 posti di lavoro, nei due anni successivi se ne aggiungono altri 19.
Effetti sulla produttività e il capitale umano
Oltre all’impatto diretto nel sistema economico, il modello evidenzia anche gli effetti sulla produttività, riducendo le perdite economiche causate dalle morti premature dovute al cancro cervicale. I dati mostrano che lo screening con maggiore frequenza (ogni due anni) produce i maggiori benefici, con 13 milioni di ore di lavoro guadagnate in termini di produttività retribuita e 11 milioni di ore risparmiate in termini di tempo non retribuito. Questi guadagni corrispondono a un valore economico di circa 620 milioni di euro.
Un nuovo metodo per misurare gli effetti economici della sanità
Lo studio propone un approccio innovativo basato su due pilastri:
Attraverso una modellizzazione basata su dati epidemiologici e input economici, i ricercatori hanno calcolato il valore economico della prevenzione del cancro cervicale, dimostrando che gli effetti benefici vanno ben oltre il settore sanitario, con ripercussioni positive su tutta l’economia nazionale.
Le prospettive future
Gli autori sottolineano che, sebbene i risultati siano incoraggianti, la metodologia è ancora in fase di sviluppo e verrà ampliata con nuove analisi nei prossimi anni. In particolare, saranno approfonditi tre aspetti:
Lo studio evidenzia che una prevenzione efficace può ridurre le perdite di produttività e aumentare il numero di anni lavorati, evitando morti premature e limitando l’assenteismo per malattia. Questo è un aspetto cruciale per economie che affrontano un calo della popolazione attiva.
Sovrappeso, come capire se il cuore è a rischio
Alimentazione, Associazioni pazienti, Benessere, Eventi d'interesse, PrevenzionePer misurare la salute del cuore e stimare il rischio di sviluppare malattie cardiometaboliche legate a sovrappeso e obesità basta un metro da sarto. La misura della circonferenza vita, infatti, rappresenta la quantità di grasso addominale viscerale. Quest’ultimo è un indicatore predittivo di sviluppare patologie cardiometaboliche.
L’obesità e il sovrappeso
L’obesità è una malattia complessa, multifattoriale e richiede un approccio multidimensionale. Il primo passo è rappresentato dalla prevenzione attraverso la modificazione degli stili di vita. Tuttavia, quando questa prima strategia risulta insufficiente, o non del tutto efficace, è possibile ricorrere, mantenendo comunque sempre stili di vita salutari, anche alla terapia farmacologica e, in casi selezionati, alla chirurgia bariatrica.
La Fondazione Italiana per il Cuore promuove un’iniziativa, con il patrocinio del Ministero della Salute, e sostenuta da 18 Società scientifiche e Associazioni di pazienti. Al centro, la consapevolezza del cittadino che è invitato alla misurazione della circonferenza vita come indicatore predittivo del rischio cardiometabolico e dunque a rivolgersi ai professionisti della salute. La campagna educativa (www.peruncuoresano.it) andrà avanti attraverso i canali web e social nel corso dell’anno.
“L’obesità è uno tra i più importanti fattori di rischio modificabili su cui è possibile intervenire per prevenire gravi patologie cardiometaboliche. Il nostro obiettivo è fornire ai cittadini le informazioni necessarie per comprendere l’importanza dei comportamenti salutari come strumento di prevenzione delle malattie cardiovascolari e metaboliche, nel caso specifico – spiega Emanuela Folco, Presidente FIPC – correlate a obesità e sovrappeso e dunque generare la consapevolezza di poter compiere scelte responsabili di salute. Ridurre anche di pochi centimetri la circonferenza vita, con l’obiettivo di avvicinarsi e raggiungere il valore soglia consigliato, non è una questione estetica ma una scelta di salute e rappresenta un’importante strategia di prevenzione delle malattie cardiometaboliche”.
I lavori di presentazione della campagna si sono aperti con il messaggio di saluto del Ministro della Salute Orazio Schillaci: “Contrastare l’obesità significa agire su uno dei principali fattori di rischio per molte malattie croniche, incluse quelle cardiometaboliche. La prevenzione è l’alleata più efficace in questa battaglia, e il Ministero della Salute è costantemente impegnato a promuovere iniziative per diffondere l’importanza di stili di vita sani. Una dieta equilibrata e un’attività fisica regolare, ad esempio, non sono soltanto raccomandazioni, ma strumenti concreti che possono fare la differenza nella vita di milioni di persone. È importante informare e sensibilizzare i cittadini sulla riduzione dei rischi correlati all’obesità e migliorare lo stato di salute, favorendo la collaborazione tra istituzioni, associazioni e operatori del settore”.
Maria Rosaria Campitiello, Capo Dipartimento della Prevenzione, della Ricerca e delle Emergenze Sanitarie del Ministero della Salute ha aggiunto: “Il nostro impegno, come Ministero, è rivolto all’adozione di politiche preventive che considerino i molteplici fattori alla base delle scelte alimentari e dello stile di vita, includendo aspetti socioculturali, ambientali ed emotivi. Lo scopo è orientare le persone verso scelte alimentari più sane e a stili di vita attivi, con l’aiuto fondamentale di iniziative di sensibilizzazione e azioni semplici e quotidiane”.
Cuore: fattori di rischio cardiovascolare e metabolici
Il grasso corporeo in eccesso influisce negativamente sulla salute generale e riduce l’aspettativa di vita. Le malattie cardio–cerebrovascolari sono la prima causa di mortalità e disabilità in Italia, responsabili di circa il 31% di tutti i decessi e con quota maggiore fra le donne rispetto agli uomini (56% vs 44%). Il 41% degli italiani tra i 18 e 69 anni ha almeno tre fattori di rischio tra: ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete mellito di tipo 2, sovrappeso e obesità e stili di vita non salutari. Un dato allarmante riguarda in modo particolare obesità e sovrappeso dato che nel mondo l’obesità degli adulti è più che raddoppiata dal 1990, mentre quella degli adolescenti è quadruplicata. Nella popolazione pediatrica i dati del 2024 riportano che quasi il 20% dei bambini è in sovrappeso e quasi il 10 % è obeso (incluso un 2,6 % con obesità grave).
Cuore: scoprire il rischio cardiometabolico con quattro mosse
L’obesità è una malattia cronica ed evolutiva e per diagnosticarla il parametro più utilizzato è l’Indice di Massa Corporea (IMC o BMI= Body Mass Index), che viene calcolato dividendo il peso in chilogrammi per l’altezza in metri al quadrato. Secondo questa classificazione, un IMC tra 25 e 30 indica sovrappeso, mentre un valore superiore a 30 definisce l’obesità.
È oramai ampiamente condivisa nella comunità scientifica l’opinione che la misurazione dell’Indice di Massa Corporea (IMC) non basti più da sola e la raccomandazione è quella di associare alla misurazione del IMC almeno un’altra misurazione antropometrica, in modo particolare quella della circonferenza vita che è oggi considerata l’indicatore più preciso dei rischi associati all’obesità.
L’automisurazione della circonferenza vita in 4 mosse
Qual è il grasso che fa male
Il grasso corporeo non è solo una riserva di energia, ma un elemento fondamentale per l’organismo, tanto da essere considerato un vero e proprio organo endocrino. Questo significa che il tessuto adiposo non si limita ad accumulare lipidi, ma comunica costantemente con gli altri organi attraverso la produzione di specifiche sostanze chiamate adipochine che svolgono un ruolo simile a quello degli ormoni.
“In condizioni di obesità, l’accumulo di tessuto adiposo nell’addome (il cosiddetto grasso addominale viscerale) non solo ne comporta un aumento quantitativo, ma si associa ad alterazioni della secrezione di adipochine e di molecole proinfiammatorie e protrombotiche, causando infiammazione cronica di basso grado. Tutto ciò influisce negativamente sugli organi vitali, riducendone la funzionalità e aumentando il rischio di sviluppare malattie croniche. L’accumulo di questo grasso con alterazioni funzionali in sede addominale viscerale è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di patologie gravi come quelle cardiovascolari, il diabete mellito di tipo 2, le patologie epatiche associate al metabolismo e l’insufficienza renale cronica, alcune forme di cancro e patologie polmonari. Alla base di questo rischio di malattia – spiega Paolo Magni, Presidente del Comitato Scientifico FIPC e Professore presso l’Università̀ degli Studi di Milano – vi è il fatto che il grasso addominale viscerale altera il metabolismo glucidico, promuovendo resistenza all’insulina, e lipidico, con un profilo metabolico che aumenta il rischio di aterosclerosi e di disfunzione endoteliale nelle arterie. Per questi motivi, la valutazione della entità del tessuto adiposo addominale viscerale con la misurazione della circonferenza vita è molto utile e importante”.
Dati e differenze di genere
In Italia, secondo i dati aggiornati al 2023, l’obesità degli adulti (35 -74 anni) riguarda il 23% degli uomini e il 25% delle donne.
“Nelle donne, fino alla menopausa, gli estrogeni svolgono un ruolo protettivo, limitando l’accumulo di grasso viscerale. Tuttavia, con la menopausa e il calo di questi ormoni, il grasso tende a spostarsi verso l’addome, aumentando il rischio di problemi cardiometabolici. Per gli uomini, invece – continua Cecilia Politi, Responsabile Medicina di Genere di FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) – il discorso è diverso: già a partire dalla mezza età, il calo del testosterone favorisce l’accumulo di grasso nella zona addominale. È proprio questa distribuzione centralizzata, legata agli ormoni androgeni, che li rende più predisposti a sviluppare grasso viscerale. Questo spiega perché sia fondamentale comprendere come il nostro corpo cambia ed adottare strategie preventive rivolte agli uomini e alle donne”.
L’iniziativa è realizzata con il contributo non condizionante di Novo Nordisk, GVM Care & Research, Zentiva e Daiichi Sankyo.
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Carcinoma mammario, scoperto il ruolo chiave dei linfociti Treg
Ricerca innovazione, NotizieUn filo rosso si dipana tra i meccanismi invisibili del sistema immunitario e l’implacabile progressione del tumore al seno. A tesserlo, un team di ricercatori dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia sperimentale del Cnr (Cnr-Ieos) e dell’Università Federico II di Napoli, che ha svelato il ruolo decisivo di un gruppo di cellule immunitarie – i linfociti T regolatori, o Treg – nel determinare l’aggressività del carcinoma mammario. Una scoperta che non solo accende una luce sulla biologia del cancro, ma disegna una mappa per future terapie più precise, capaci di aggredire il male senza tradire l’equilibrio dell’organismo.
Il doppio volto dei linfociti Treg nel carcinoma mammario
Coordinato da Veronica De Rosa, immunologa del Cnr-Ieos, e frutto di una collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale e i dipartimenti di Biologia e Medicina Molecolare della Federico II, lo studio pubblicato su Science Advances rivela un paradosso. I Treg, normalmente guardiani della tolleranza immunitaria, si trasformano in complici del tumore quando invadono il tessuto mammario. Presenti in abbondanza sia nei tumori primari sia nel sangue delle pazienti con prognosi più severa, queste cellule sembrano plasmare un microambiente tumorale fertile, quasi complice, dove il cancro attecchisce e metastatizza.
Freni del sistema immunitario
«Sono come freni applicati al sistema immunitario – spiega De Rosa –. Esprimono molecole di superficie, i checkpoint, che spegnono la risposta antitumorale. Ma se li blocchiamo, soprattutto nelle fasi iniziali, possiamo riaccendere le difese dell’organismo». Un principio noto all’immunoterapia, che da anni punta ai Treg come bersaglio. Ma qui la sfida si fa più sottile: come colpire solo quelli “traditori”, senza intaccare quelli buoni, vitali per prevenire malattie autoimmuni?
La firma della proteina FOXP3E2
La risposta arriva da una variante proteica, FOXP3E2, identificata come marcatore distintivo dei Treg tumorali. Analizzando campioni di sangue e tessuto di pazienti con carcinoma mammario in fase precoce – reclutate negli ultimi cinque anni al Pascale e alla Federico II – i ricercatori hanno scoperto che maggiore è la concentrazione di linfociti Treg con FOXP3E2, peggiore è la prognosi. Una correlazione confermata anche dallo screening computazionale di oltre mille casi nella banca dati The Cancer Genome Atlas, estendendo il potenziale di questa firma molecolare ad altri tumori, dal renale al polmonare.
«Misurando questi linfociti con la biopsia liquida – aggiunge De Rosa – possiamo prevedere l’evoluzione della malattia già alla diagnosi. E immaginare terapie che li eliminino selettivamente».
Una speranza lunga vent’anni
I numeri parlano chiaro: la presenza di Treg con FOXP3E2 permette di anticipare prognosi e recidive fino a due decenni. Un orizzonte temporale che trasforma la lotta al cancro in una partita più lunga, ma anche più strategica. «Non tutti i Treg sono uguali – sottolinea la ricercatrice –. La loro eterogeneità è un rompicapo, ma oggi abbiamo un indizio in più per disinnescarli».
Il percorso è ancora in salita: serviranno trial clinici più ampi per tradurre la scoperta in marcatori diagnostici e farmaci mirati. Ma intanto, quel filo rosso tra immunità e cancro – tessuto con pazienza tra i laboratori napoletani – disegna una via possibile. Perché la scienza, a volte, è anche l’arte di trasformare un paradosso in una speranza.
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