Tempo di lettura: 3 minutiUna persona con epilessia su tre è farmacoresistente. In pratica, il 30-40% delle persone con la patologia non raggiunge il controllo ottimale della malattia. Tuttavia, la libertà dalle crisi è l’obiettivo primario del trattamento dell’epilessia focale.
Epilessia focale
L’epilessia è una patologia neurologica complessa che colpisce un gran numero di persone nel nostro Paese, interessando circa 600.000 persone in Italia. Questa condizione può insorgere a qualsiasi età, ma la maggior parte dei casi si presenta durante l’infanzia o l’età avanzata. Tra le diverse forme di epilessia esistenti, l’epilessia focale è una delle più comuni: provoca crisi che si originano in specifiche aree del cervello. Rappresenta una sfida per il SSN e richiede approcci diagnostici e terapeutici mirati.
Il documento
Potrebbe rappresentare un riferimento nella gestione e nel trattamento dell’epilessia focale il documento di consenso intitolato “Current challenges in focal epilepsy treatment: an Italian Delphi consensus1”, appena pubblicato sulla rivista internazionale “Epilepsy & Behavior”. Con il supporto di Ethos – e il contributo non condizionante di Angelini Pharma – la Consensus ha riunito 52 esperti italiani di epilessia focale per discutere la gestione di questa condizione neurologica. Gli esperti hanno analizzato le tappe che una persona con epilessia deve affrontare per accedere alle cure del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), definendo il percorso di cura ottimale e le fasi cruciali nella ricerca del trattamento più efficace. Durante l’incontro è stata sottolineata l’importanza dell’’epilessia non controllata’, sono stati identificati i metodi di monitoraggio ottimali e sono stati valutati gli esiti riportati direttamente dalle persone con epilessia per garantire una migliore qualità delle cure.
Gli specialisti hanno discusso di come ottenere il migliore controllo della malattia e migliorare la qualità della vita delle persone con Epilessia. Questo include l’importanza di una diagnosi precoce, la personalizzazione dei percorsi di trattamento e la gestione delle complicanze associate alla resistenza ai farmaci.
Accesso alle cure
Le linee guida internazionali insistono sulla necessità che le persone con Epilessia siano seguite dai Centri per la diagnosi e cura dell’Epilessia: “Dalla ricerca è emerso un forte consenso (90%) sull’importanza di intervenire tempestivamente sin dall’esordio della malattia, ma si evidenzia anche una lacuna nei protocolli standardizzati di cura. Inoltre, l’86% dei partecipanti ritiene che ogni Regione dovrebbe avere un Piano Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per l’epilessia, attualmente presente solo in 5 regioni. Infine, il 79,6% ritiene che la consapevolezza sui Centri per l’epilessia e i trattamenti disponibili sia ancora insufficiente” ha dichiarato il Prof. Oriano Mecarelli Dipartimento di Neuroscienze Umane, La Sapienza Università di Roma e Past President LICE, Lega Italiana contro l’Epilessia
La condizione di epilessia controllata vs. non controllata ai fini della cura – “La ricerca ha messo in luce che, nonostante i progressi, vi è ancora un significativo gap nella gestione ottimale dell’epilessia focale, con il 30-40% delle persone con Epilessia che non raggiunge il controllo ottimale della malattia. Eppure, la completa cessazione delle crisi è un obiettivo possibile, dobbiamo esplorare altre opzioni terapeutiche, come terapie di terza linea e la chirurgia, quando i trattamenti standard non siano sufficienti a raggiungere il target di ‘libertà completa dalle crisi’” ha sottolineato il Prof. Giancarlo Di Gennaro, Direttore del Centro Epilessia presso l’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed IRCCS di Pozzilli.
Epilessia in età pediatrica
La transizione dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto – “Diciamo sempre che quello nella malattia è un viaggio, ed è per questo che è importante definirne le tappe e le fasi, specialmente nella ricerca del trattamento più adatto, efficace e con il minor numero di effetti collaterali possibili, nel rispetto dell’individualità della persona con epilessia. Penso ad esempio al momento in cui il paziente pediatrico diventa adulto e alla delicatezza del passaggio ad un diverso specialista che si interseca con diverse esigenze di vita nelle dimensioni mediche, psicosociali ma anche professionali” spiega il Prof. Federico Vigevano Dipartimento di Neuroriabilitazione Pediatrica, IRCCS San Raffaele, Roma
“Ai numerosi problemi di gestione si aggiunge il fenomeno della farmacoresistenza, ossia il fallimento di almeno due tentativi di regimi anticrisi, adeguatamente scelti e tollerati. In questo caso è coerente pensare ad una ulteriore opzione di trattamento” aggiunge la Prof.ssa Simona Lattanzi, Clinica Neurologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona.
Presa in carico, ma anche follow up adeguato – “Il monitoraggio regolare delle persone con epilessia è parte integrante del percorso per valutare l’efficacia del trattamento, purtroppo la lunghezza delle liste di attesa, al momento, rappresenta una barriera, prosegue Lattanzi.
È stato anche discusso l’impiego dei Patient-Reported Outcomes (PROs) per valutare la qualità del servizio e della cura, sottolineando come questi strumenti siano essenziali per una pratica clinica orientata alla persona. “Le indagini basate sugli esiti riferiti dagli assistiti” sottolinea il Dott. Matteo Scortichini Facoltà di Economia, Valutazione Economica e HTA (EEHTA), CEIS, Università di Roma “Tor Vergata”; Institute for Leadership and Management in Health, Kingston University London, UK “sono un fattore fondamentale per la personalizzazione del trattamento perché contribuiscono a delineare il percorso di cura ideale identificando sia eventuali inefficienze del sistema che le aree di miglioramento. Tanto da essere utili non solo nella pratica clinica ma anche nell’ambito dei trial di ricerca.
Giovani a lungo, i segreti di Sinclair, genetista di Harvard
News, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaUno dei desideri comuni è quello di restare giovani e sebbene la scienza non sia ancora riuscita a fermare del tutto il passare del tempo, ci sono molti approcci che possono aiutare a rallentarlo. Uno dei principali esperti in questo campo è il genetista David Sinclair, professore alla Harvard Medical School, considerato un vero e proprio guru della medicina anti-invecchiamento. Sinclair è stato di recente ospite a Milano in occasione del Milan Longevity Summit, dove ha condiviso le sue ricette per mantenere giovane corpo e mente.
Restare giovani con lo stile di vita: dieta, movimento e integratori
Secondo Sinclair, il segreto per mantenersi giovani e vitali risiede principalmente nello stile di vita. La dieta riveste un ruolo fondamentale, con particolare attenzione alla restrizione calorica, che significa dire no allo zucchero, ai carboidrati e all’alcol. L’esercizio fisico costante è un altro elemento chiave per contrastare l’invecchiamento. Ma non è tutto: Sinclair raccomanda anche un insieme di integratori, molti dei quali sono ancora in fase sperimentale. Asparagi e piselli sono tra gli alimenti consigliati dal guru per il loro potere anti-invecchiamento.
Ruolo delle sirtuine: proteine che regolano l’invecchiamento
Sinclair sottolinea l’importanza delle sirtuine, proteine che giocano un ruolo cruciale nel regolare il processo di invecchiamento. Queste proteine possono essere attivate sia attraverso cambiamenti nello stile di vita, come il digiuno intermittente, sia attraverso il consumo di sostanze che aumentano la nicotinamide adenina dinucleotide (Nad+), un derivato della vitamina B3. Questo composto si trova in alimenti come asparagi e piselli ed è essenziale per mantenere in salute le cellule, ma diminuisce con l’avanzare dell’età.
Verso un futuro senza invecchiamento
Gli studi condotti da Sinclair hanno portato a risultati promettenti. L’assunzione di nicotinamide mononucleotide (Nmn), una sostanza che aumenta la Nad+, potrebbe rallentare significativamente il processo di invecchiamento. Sinclair stesso assume quotidianamente un grammo di Nmn. Inoltre, presso il Sinclair Lab, sono stati sviluppati sei cocktail di molecole anti-invecchiamento, testati finora solo in vitro e su topi. Tra questi, il Chir99021, coinvolto nello sviluppo cellulare, e il Rep Sox, che favorisce il processo di riparazione dei tessuti, sembrano funzionare molto bene. Tuttavia, occorre attendere ulteriori test per confermarne l’efficacia.
Restare giovani a lungo, il Summit a Milano
Il Milan Longevity Summit, ideato da Viviana Kasam e coordinato da Brain-Circle Italia, ha riunito sessanta dei più influenti studiosi del settore per discutere sulle possibilità di una vita più lunga e in salute. David Sinclair si conferma come una delle figure di spicco nella ricerca sull’invecchiamento e sulla longevità.
Fotofobia, quando la luce è un problema
PrevenzioneAlcune persone sono così sensibili alla luce da non sopportare di uscire di casa senza occhiali da sole. Questa condizione ha un nome ed è più comune di quando si possa credere. La fotofobia, questa la definizione dal punto di vista medico, è una condizione legata ad un’eccessiva sensibilità degli occhi alla luce. Non è una vera e propria malattia, ma può essere la spia di qualcosa che non va per il verso giusto, un sintomo – in altre parole – di condizioni oculari o neurologiche. Ecco perché è importante comprendere le cause e le implicazioni di questo disturbo per gestirlo al meglio.
Pigmentazione
Una delle principali cause della fotofobia è la predisposizione genetica. Le persone con fototipo basso, caratterizzate da occhi e pelle chiari, sono spesso più inclini a sviluppare questo disturbo. Questo è dovuto a un difetto di pigmentazione nell’area dell’occhio responsabile dell’assorbimento della luce. In alcuni casi, ma è decisamente raro, la fotofobia può essere associata all’albinismo oculare, in cui vi è una mancanza totale o estremamente ridotta di melanina.
Difetti di vista
Anche l’esposizione prolungata a fonti luminose intense, come la luce solare diretta o i lettini abbronzanti, può causare episodi sporadici di fotofobia. Questo è dovuto agli effetti dannosi dei raggi UV sull’epitelio corneale, il tessuto che riveste gli occhi. Inoltre, difetti di rifrazione come l’ipermetropia e l’astigmatismo possono contribuire all’insorgenza della fotofobia. L’utilizzo di lenti con correzione errata può mettere sotto sforzo il muscolo ciliare e il cristallino, causando sensibilità alla luce e disagio visivo.
Patologie oculari associate
La fotofobia può anche essere un sintomo di diverse patologie oculari. La congiuntivite, un’infiammazione dell’occhio, può portare al restringimento delle palpebre per proteggere gli occhi durante il processo di guarigione. Allo stesso modo, l’uveite e la cheratite possono causare un aumento della sensibilità alla luce a causa dell’infiammazione delle parti dell’occhio coinvolte. Le distrofie retiniche, che sono patologie ereditarie che causano danni visivi gravi, possono anche essere associate alla fotofobia a causa della compromissione della funzione visiva. Le lenti a contatto mal adattate o la scarsa igiene possono provocare fotofobia, così come le lesioni della cornea causate da abrasioni o traumi.
Stress
Inoltre, sia il mal di testa che lo stress possono aumentare la sensibilità alla luce. Il mal di testa può causare una serie di sintomi oculari, tra cui fotofobia, che tendono a migliorare con il trattamento del mal di testa stesso. Lo stress può influenzare la produzione di lacrime e l’ammiccamento degli occhi, aumentando così la sensibilità alla luce. Sono moltissimi, insomma, i fattori che possono portare a sviluppare questa eccessiva sensibilità alla luce ed è cruciale consultare uno specialista oculista per identificare la causa sottostante e determinare il miglior corso di trattamento. La gestione della fotofobia può variare a seconda della causa, quindi una diagnosi accurata è fondamentale per garantire un sollievo ottimale dai sintomi.
Kate Middleton operata da un’equipe di medici del Gemelli
News, News Presa, PrevenzioneSarebbe stata un’equipe italiana del Policlinico Gemelli a operare la principessa del Galles lo scorso gennaio. La notizia è stata anticipata da Gente: l’intervento all’addome subito da Kate Middleton sarebbe stato eseguito dai medici del ospedale capolino.
Kate Middleton Equipe medica italiana
Il 23 marzo, Kate Middleton aveva annunciato di essere affetta da un tumore e di essere attualmente in chemioterapia preventiva.
Secondo quanto riportato dal settimanale, un gruppo di medici italiani provenienti dal Policlinico Gemelli di Roma avrebbe eseguito l’intervento all’addome di Kate Middleton presso la London Clinic, a gennaio.
Successo dell’operazione
Nonostante non siano state fornite spiegazioni dettagliate sull’intervento, i media britannici hanno confermato il successo dell’operazione. Il direttore del Cancer Center del Policlinico Gemelli, Giampaolo Tortora, ha dichiarato che la principessa ha parlato di una diagnosi precoce, indicando una fase iniziale del tumore, il che è considerato positivo.
Il 23 marzo, Kate Middleton aveva annunciato di essere affetta da un tumore e di essere attualmente in chemioterapia preventiva. Oggi, Kate Middleton è stata operata con successo da un’equipe di medici del Gemelli. La Duchessa di Cambridge si sta riprendendo e si prevede che continuerà il suo percorso di guarigione con il sostegno dei suoi cari e dell’équipe medica. La notizia dell’intervento chirurgico ha suscitato grande attenzione e affetto da parte del pubblico, che continua a inviare messaggi di sostegno a Kate Middleton e alla sua famiglia in questo difficile momento. L’operazione, condotta con grande professionalità e precisione, rappresenta un passo importante verso la guarigione di Kate Middleton e tutti si uniscono nel augurarle una pronta e completa ripresa.
Positive all’Hiv dopo un trattamento di bellezza
NewsIl condizionale è d’obbligo, ma la notizia sta già facendo (comprensibilmente) il giro del web: almeno tre donne sono state infettate dal virus dell’Hiv, quasi certamente, dopo essersi sottoposte ad un trattamento di bellezza con l’uso di plasma iniettato sottopelle. Una storia che arriva da lontano, in particolare dal New Mexico, e che vede coinvolto un noto istituto di bellezza per vip.
Vampire facelift
Non si tratta di un contagio legato all’impiego di siringhe non sterili, sotto la lente come potenziali indiziati ci sono finiti quelli che spesso vengono chiamati trattamenti facciali “dei vampiri”, molto diffusi in America. I trattamenti consistono in micro-iniezioni di plasma sul volto per rimpolpare pelli invecchiate e cadenti. Le indagini sul centro di bellezza iniziarono nel 2018 quando una prima donna trattata risultò sieropositiva in seguito alla procedura. Il centro fu chiuso, ma due casi recenti di sieropositività tra ex clienti hanno fatto riaprire l’investigazione. Il dipartimento della sanità del New Mexico e i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) “hanno identificato nei laboratori della Spa prove di pratiche che potevano diffondere infezioni tramite il sangue”.
Hiv
Anche se oggi se ne sente parlare molto meno che in passato, l’Hiv è ancora presente ed è un nemico temibile. Si tratta di un retrovirus capace di causare la Sindrome da immunodeficienza acquisita, vale a dire l’AIDS. Una malattia che ancora oggi è molto grave, che in pratica consiste in un sostanziale indebolimento del sistema immunitario, che porta alla mancanza di difese contro le infezioni. Di conseguenza, chi è affetto da Hiv diventa un facile bersaglio per molti altri virus e batteri, nonché a rischio di contrarre alcuni tipi di tumore.
Antiretrovirale
Fortunatamente, diversamente dal recente passato, oggi l’Hiv può essere tenuto a freno da terapie molto efficaci. In moltissimi casi si riesce ormai a negativizzare i pazienti che possono così condurre una vita, anche relazionale, quasi del tutto comparabile a quella di persone che non hanno contratto il virus. Addirittura, ad oggi si conoscono anche 5 casi di guarigione documentata. In tutti i casi la guarigione è legata ad un trapianto di staminali effettuato per curare un tumore. Ma se in 4 casi ciò è dipeso da una particolare caratteristica genetica dei donatori – che rende le cellule del sistema immunitario particolarmente resistenti all’attacco del virus- nel caso del cosiddetto “paziente di Ginevra” a non ci sono stati più segni del virus nonostante le cellule staminali ricevute non posseggano la mutazione “protettiva”.
Fegato, 90 % delle patologie si può prevenire. Il decalogo
NewsNel mondo sono 1,5 miliardi coloro che vivono con una malattia epatica cronica, mentre ogni anno si perdono 2 milioni di vite per questa causa. Ogni anno, in Italia, almeno 15mila pazienti muoiono per cirrosi e circa 6mila per carcinoma del fegato. Tuttavia, il 90% di questi casi sarebbero prevenibili, intervenendo sullo stile di vita e con politiche sanitarie adeguate.
Fegato, svolge oltre 500 funzioni ma a rischio di 100 malattie
Il fegato è un organo spesso sottovalutato, ma svolge infatti oltre 500 funzioni vitali nell’organismo e può essere colpito da oltre cento malattie, a ogni età. Il fegato è l’organo interno del corpo umano che pesa di più, 1,5 kg, quasi le dimensioni di un pallone da football americano. Il fegato elabora zuccheri, proteine e grassi, che vengono poi trasformati in energia richiesta dal resto del corpo. Interagisce con numerosi altri organi, contribuisce al metabolismo ed è uno dei migliori protettori del sistema immunitario. Depura il sangue, filtrando farmaci e altre sostanze tossiche, produce la bile e sintetizza i fattori essenziali per la coagulazione. Le malattie del fegato tendono a rimanere latenti, in quanto questo organo non ha recettori del dolore: questo spesso porta a diagnosi tardive, quando la patologia è già in cirrosi scompensata o prossima all’epatocarcinoma.
Prevenzione
Di recente si è celebrata in tutto il mondo la Giornata Mondiale del Fegato. Le associazioni hanno ribadito il ruolo vitale del fegato e l’importanza di adottare misure proattive per mantenere un fegato sano. Tuttavia, spesso le malattie del fegato non figurano nelle priorità di politica sanitaria, mentre dovrebbero rappresentare una priorità nei piani di assistenza sanitaria primaria.
“L’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, che conta quasi mille soci iscritti, da oltre 50 anni è impegnata nella ricerca, nella divulgazione scientifica e nella formazione dei giovani epatologi – sottolinea la Prof.ssa Vincenza Calvaruso, Segretario AISF – Le malattie epatiche croniche si sviluppano silenziosamente, causando cicatrici progressive e cirrosi e si classificano al secondo posto dopo la cardiopatia ischemica in termini di anni di vita lavorativa persi a livello globale. Aumentare l’alfabetizzazione sanitaria e promuovere cambiamenti comportamentali ridurrebbe il carico di malattie del fegato e avrebbe un impatto significativo sulla sua morbilità e mortalità. In questi anni sono stati raggiunti importanti risultati, come i successi nella lotta alle epatiti virali, ma molto resta da fare, soprattutto in relazione alle patologie legate alla disfunzione metabolica provocate da tendenze legate a errati stili di vita”.
Decalogo della prevenzione
Per favorire comportamenti virtuosi e incentivare la prevenzione, dal World Liver Day è partito un decalogo volto a salvaguardare la salute del fegato.
Cancro e modifiche epigenetiche, scoperto nuovo fattore scatenante
Farmaceutica, News, Ricerca innovazioneLa scienza ha raggiunto risultati straordinari nella comprensione del cancro. Uno dei più importanti è la dimostrazione che l’inizio e la progressione della malattia dipendano da mutazioni nei geni delle cellule. La scoperta che i tumori siano legati ai danni al genoma ha aperto la strada a una continua ricerca di nuovi geni implicati nei più diversi tipi di cancro, facendo nascere nuove terapie e diagnosi più precise.
Ruolo nascosto delle modifiche epigenetiche
Recenti scoperte stanno portando alla luce un altro importante fattore associato al cancro: le modifiche epigenetiche. Si tratta di cambiamenti nella regolazione dell’attività dei geni che avvengono senza alterare la sequenza del DNA. Questi cambiamenti possono influenzare quali geni vengono “accesi” o “spenti” in una cellula, determinando così il suo comportamento e la sua funzione.
Come influenzano il cancro, lo studio
Negli ultimi anni, gli scienziati hanno scoperto che le modifiche epigenetiche possono giocare un ruolo significativo nello sviluppo del cancro. Queste modifiche possono alterare l’attività dei geni coinvolti nella crescita cellulare, nella divisione e nella morte cellulare, contribuendo così alla formazione di tumori.
Recentemente, uno studio pubblicato su Nature ha dimostrato che le modifiche epigenetiche possono portare alla formazione di tumori, anche in assenza di mutazioni del DNA. In particolare, l’abbassamento temporaneo di certe proteine chiamate Polycomb ha causato la formazione di tumori nel moscerino della frutta, e questo effetto è stato irreversibile.
Implicazioni per la ricerca sul cancro
Questa scoperta rivoluzionaria suggerisce che le modifiche epigenetiche possono essere un fattore critico nello sviluppo del cancro e potrebbero rappresentare nuovi bersagli terapeutici. Capire come queste modifiche influenzano il cancro potrebbe portare a terapie più mirate ed efficaci migliorando le prospettive di cura per i pazienti oncologici.
Fentanyl, anche in Italia la droga zombie
NewsPer la prima volta anche l’Italia si trova a fare seriamente i conti con l’allarme Fentanyl, oppioide sintetico 80 volte più potente della morfina. Ad accendere un campanello d’allarme è stato il ritrovamento della sostanza in una dose di eroina a Perugia, fatto che ha preoccupato non poco le autorità sul rischio che ora possa diffondersi come sostanza da taglio.
Livello 3
Che si tratti di un rischio concreto lo dimostra anche il fatto che il direttore alla prevenzione del Ministero della Salute, Francesco Vaia, ha inviato una nota alle Regioni per segnale l’innalzamento dell’allerta per il Fentanyl in Italia al livello 3. La nota chiede agli Assessorati alla Sanità delle Regioni e delle Province Autonome di diramare le informazioni con urgenza ai Dipartimenti per le dipendenze e dei Servizi pubblici per le dipendenze (SerD) delle Aassll, e alle Comunità terapeutiche e al personale socio-sanitario delle per «informare le persone che fanno uso di sostanze dei gravissimi rischi per la salute.
Cos’è
A rendere così pericoloso il Fentanyl è il suo effetto devastante. La caratteristica principale è la sua estrema potenza: dosi piccolissime possono avere effetti terribili sul sistema nervoso centrale, portando rapidamente a un’overdose. Non è un caso che il farmaco abbia ricevuto il triste soprannome di “droga zombie” a causa del suo effetto depressivo sul sistema respiratorio. Chi ne fa uso può sembrare in uno stato di trance, con respirazione rallentata e rischio di arresto respiratorio.
Inconsapevoli
La linea tra la dose “efficace” e quella letale è molto sottile. Anche una piccola quantità in più può portare a un’overdose fatale. Un problema enorme è che il Fentanyl viene spesso usato come sostanza di taglio in altre droghe, come l’eroina o la cocaina. Questo aumenta il rischio di overdose per gli utenti che non sono consapevoli della sua presenza.
Epilessia, approccio mirato per i pazienti che non rispondono alle terapie
NewsUna persona con epilessia su tre è farmacoresistente. In pratica, il 30-40% delle persone con la patologia non raggiunge il controllo ottimale della malattia. Tuttavia, la libertà dalle crisi è l’obiettivo primario del trattamento dell’epilessia focale.
Epilessia focale
L’epilessia è una patologia neurologica complessa che colpisce un gran numero di persone nel nostro Paese, interessando circa 600.000 persone in Italia. Questa condizione può insorgere a qualsiasi età, ma la maggior parte dei casi si presenta durante l’infanzia o l’età avanzata. Tra le diverse forme di epilessia esistenti, l’epilessia focale è una delle più comuni: provoca crisi che si originano in specifiche aree del cervello. Rappresenta una sfida per il SSN e richiede approcci diagnostici e terapeutici mirati.
Il documento
Potrebbe rappresentare un riferimento nella gestione e nel trattamento dell’epilessia focale il documento di consenso intitolato “Current challenges in focal epilepsy treatment: an Italian Delphi consensus1”, appena pubblicato sulla rivista internazionale “Epilepsy & Behavior”. Con il supporto di Ethos – e il contributo non condizionante di Angelini Pharma – la Consensus ha riunito 52 esperti italiani di epilessia focale per discutere la gestione di questa condizione neurologica. Gli esperti hanno analizzato le tappe che una persona con epilessia deve affrontare per accedere alle cure del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), definendo il percorso di cura ottimale e le fasi cruciali nella ricerca del trattamento più efficace. Durante l’incontro è stata sottolineata l’importanza dell’’epilessia non controllata’, sono stati identificati i metodi di monitoraggio ottimali e sono stati valutati gli esiti riportati direttamente dalle persone con epilessia per garantire una migliore qualità delle cure.
Gli specialisti hanno discusso di come ottenere il migliore controllo della malattia e migliorare la qualità della vita delle persone con Epilessia. Questo include l’importanza di una diagnosi precoce, la personalizzazione dei percorsi di trattamento e la gestione delle complicanze associate alla resistenza ai farmaci.
Accesso alle cure
Le linee guida internazionali insistono sulla necessità che le persone con Epilessia siano seguite dai Centri per la diagnosi e cura dell’Epilessia: “Dalla ricerca è emerso un forte consenso (90%) sull’importanza di intervenire tempestivamente sin dall’esordio della malattia, ma si evidenzia anche una lacuna nei protocolli standardizzati di cura. Inoltre, l’86% dei partecipanti ritiene che ogni Regione dovrebbe avere un Piano Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per l’epilessia, attualmente presente solo in 5 regioni. Infine, il 79,6% ritiene che la consapevolezza sui Centri per l’epilessia e i trattamenti disponibili sia ancora insufficiente” ha dichiarato il Prof. Oriano Mecarelli Dipartimento di Neuroscienze Umane, La Sapienza Università di Roma e Past President LICE, Lega Italiana contro l’Epilessia
La condizione di epilessia controllata vs. non controllata ai fini della cura – “La ricerca ha messo in luce che, nonostante i progressi, vi è ancora un significativo gap nella gestione ottimale dell’epilessia focale, con il 30-40% delle persone con Epilessia che non raggiunge il controllo ottimale della malattia. Eppure, la completa cessazione delle crisi è un obiettivo possibile, dobbiamo esplorare altre opzioni terapeutiche, come terapie di terza linea e la chirurgia, quando i trattamenti standard non siano sufficienti a raggiungere il target di ‘libertà completa dalle crisi’” ha sottolineato il Prof. Giancarlo Di Gennaro, Direttore del Centro Epilessia presso l’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed IRCCS di Pozzilli.
Epilessia in età pediatrica
La transizione dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto – “Diciamo sempre che quello nella malattia è un viaggio, ed è per questo che è importante definirne le tappe e le fasi, specialmente nella ricerca del trattamento più adatto, efficace e con il minor numero di effetti collaterali possibili, nel rispetto dell’individualità della persona con epilessia. Penso ad esempio al momento in cui il paziente pediatrico diventa adulto e alla delicatezza del passaggio ad un diverso specialista che si interseca con diverse esigenze di vita nelle dimensioni mediche, psicosociali ma anche professionali” spiega il Prof. Federico Vigevano Dipartimento di Neuroriabilitazione Pediatrica, IRCCS San Raffaele, Roma
“Ai numerosi problemi di gestione si aggiunge il fenomeno della farmacoresistenza, ossia il fallimento di almeno due tentativi di regimi anticrisi, adeguatamente scelti e tollerati. In questo caso è coerente pensare ad una ulteriore opzione di trattamento” aggiunge la Prof.ssa Simona Lattanzi, Clinica Neurologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Politecnica delle Marche, Ancona.
Presa in carico, ma anche follow up adeguato – “Il monitoraggio regolare delle persone con epilessia è parte integrante del percorso per valutare l’efficacia del trattamento, purtroppo la lunghezza delle liste di attesa, al momento, rappresenta una barriera, prosegue Lattanzi.
È stato anche discusso l’impiego dei Patient-Reported Outcomes (PROs) per valutare la qualità del servizio e della cura, sottolineando come questi strumenti siano essenziali per una pratica clinica orientata alla persona. “Le indagini basate sugli esiti riferiti dagli assistiti” sottolinea il Dott. Matteo Scortichini Facoltà di Economia, Valutazione Economica e HTA (EEHTA), CEIS, Università di Roma “Tor Vergata”; Institute for Leadership and Management in Health, Kingston University London, UK “sono un fattore fondamentale per la personalizzazione del trattamento perché contribuiscono a delineare il percorso di cura ideale identificando sia eventuali inefficienze del sistema che le aree di miglioramento. Tanto da essere utili non solo nella pratica clinica ma anche nell’ambito dei trial di ricerca.
“Il profumo dei ricordi”, per sostenere i pazienti con poliposi nasale
NewsLa rinosinusite cronica con poliposi nasale è una malattia infiammatoria di tipo 2 che riguarda il 4% della popolazione mondiale. Si tratta di una patologia che può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne è affetto. Tra i sintomi più gravi vi è la perdita totale o parziale dell’olfatto, il senso che più di tutti è legato alle emozioni e ai ricordi.
Per sensibilizzare sulla patologia è nata la campagna “Il Profumo dei Ricordi” ideata da Sanofi Italia, insieme alle associazioni dei pazienti FederASMA e Allergie Onlus e Associazione Respiriamo Insieme, e in collaborazione con Aquaflor Firenze. Il progetto, grazie alla creazione di una fragranza per ambienti, parla di ricordi ritrovati e vuole lanciare un messaggio di speranza per chi convive con la rinosinusite cronica con poliposi nasale. L’iniziativa e le Associazioni possono essere sostenute in modo attivo.
Liste d’attesa e ritardi, i cittadini costretti al privato
Economia sanitaria, NewsListe d’attesa tre cittadini su quattro hanno rinunciato a curarsi con il Servizio sanitario nazionale, ma due su tre sperano ancora in una sanità totalmente pubblica. È questo uno degli aspetti più significativi che emergere dal sondaggio condotto da Ipsos in occasione della giornata mondiale della salute. Dell’indagine realizzata dall’Osservatorio ItaliaInsight di Ipsos, colpisce che il 74% delle persone intervistate ha dovuto rinunciare almeno una volta ad una prestazione del Servizio sanitario nazionale a causa dei tempi di attesa (è accaduto più frequentemente al 65% dei cittadini). Si aggiunga che il 57% degli intervistati ha dovuto rinunciare perché la prestazione non era erogata nella propria zona. E come sempre, il dato è più preoccupante nelle regioni del Centro Nord e del Centro Sud, ma si tratta di un fenomeno diffuso in tutto il Paese.
Difendere il diritto alla salute
L’80% dei cittadini che hanno rinunciato a curarsi nel Servizio sanitario nazionale ha avuto comunque la possibilità di rivolgersi a un servizio privato per ottenere la prestazione, mentre il 16% ha del tutto rinunciato alle cure, una percentuale che tende a raddoppiare tra le fasce della popolazione più in difficoltà economiche e socialmente più marginali. Nonostante queste evidenti lacune, il 64% del campione sostiene che la sanità debba essere esclusivamente pubblica “ad ogni costo” (metà dell’intera popolazione accetterebbe anche un aumento delle tasse se finalizzate a sostenere il SSN) mentre il 26% accetterebbe un sistema misto pubblico-privato.
Medici di famiglia
Una posizioni più dure a riguardo è quella di Silvestro Scotti, segretario generale di Fimmg “L’offerta specialistica risente in tutto il Paese di una insufficiente disponibilità di risorse economiche ed organizzative per garantire i livelli essenziali di assistenza – sottolinea – e a questo si aggiunge la difficoltà per molti cittadini di raggiungere il luogo in cui la prestazione viene offerta, spesso troppo lontana dai luoghi di vita delle persone. La medicina generale si riconferma ancora una volta l’unico vero baluardo del Servizio sanitario nazionale strutturalmente adeguato a fornire ai cittadini un’assistenza di prossimità, gratuita e accessibile a tutte le fasce socio-economiche, trasversalmente in tutto il Paese”.
Accesso alle cure
Scotti ricorda poi come l’accesso alle prestazioni indifferibili dal proprio medico non prevede liste di attesa, mentre le visite programmate vengono effettuate entro pochi giorni. Per questi motivi i cittadini non rinunciano alle prestazioni del proprio medico di famiglia, a differenza di quello che accade in altri ambiti. La difesa del servizio sanitario pubblico, conclude Scotti, passa attraverso la difesa della medicina generale, che è ancora oggi espressione compiuta dei principi che ne hanno ispirato l’istituzione.