Tempo di lettura: 4 minutiL’intelligenza artificiale è una realtà già in atto che potrebbe ridisegnare la sanità. Tra carenze di personale, costi in crescita e lunghe liste d’attesa, i servizi sanitari nazionali, come quello italiano e il NhS britannico, stanno affrontando una crisi strutturale. Le nuove tecnologie digitali – dall’AI ai big data – emergono come strumenti per ottimizzare risorse e migliorare l’efficacia delle cure.
Ad attestarlo è il Future Health Index 2024 di Philips, condotto su un campione di leader sanitari di 14 Paesi, tra cui l’Italia. Secondo gli esperti, la digitalizzazione rappresenta la via maestra per mantenere sostenibili i sistemi sanitari. Tuttavia, se da un lato l’innovazione tecnologica può rivoluzionare il settore, dall’altro sono necessari investimenti, collaborazione tra attori pubblici e privati e, soprattutto, un cambiamento culturale nell’approccio alla sanità.
L’intelligenza artificiale potrebbe portare un risparmio di 21,74 miliardi di euro all’anno al Sistema sanitario italiano. Lo ha calcolato una ricerca della Rome Business School che mostra come l’AI, automatizzando il 36% delle attività sanitarie e sociali, permetterebbe di ridurre anche i tempi di attesa.
L’integrazione nel settore sanitario aumenterebbe l’efficienza senza sostituire il personale medico, secondo Valentino Megale, coautore della ricerca. Si stima che il valore del mercato dell’IA in Italia raggiungerà i 3,19 miliardi di euro entro il 2030.
Crisi dei sistemi sanitari: domanda in crescita e risorse limitate
I servizi sanitari nazionali sono sotto pressione, sottolinea il Future Health Index 2024. Il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche stanno incrementando la domanda di assistenza, ma le risorse disponibili – economiche e umane – potrebbero non tenere il passo. Secondo l’Istat, entro il 2050 più di 3 italiani su 10 avranno oltre 65 anni. La carenza di personale sanitario, accompagnata da liste d’attesa sempre più lunghe rendono la qualità delle cure non sempre adeguata, secondo i dati. In questo contesto, la digitalizzazione della sanità e l’introduzione di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale vengono viste come un’opportunità per invertire la rotta.
La rivoluzione digitale in sanità
L’intelligenza artificiale non è una sostituta del medico, ma un supporto che ne potenzia le capacità, permette una diagnostica più precisa e personalizzata, riducendo i margini di errore e migliorando la rapidità delle decisioni cliniche. Il ruolo umano resta centrale, ma le tecnologie digitali migliorano la gestione delle complicanze attraverso l’analisi in tempo reale dei dati clinici. Inoltre, migliorano la gestione delle risorse. Tra le maggiori applicazioni dell’intelligenza artificiale in medicina troviamo:
• AI nella diagnostica: i sistemi di intelligenza artificiale possono analizzare grandi quantità di dati clinici e immagini mediche per identificare patologie in modo più rapido e preciso rispetto ai metodi tradizionali.
• Big data per la personalizzazione delle cure: grazie all’analisi di informazioni complesse, i medici possono personalizzare i trattamenti in base alle specificità di ciascun paziente, aumentando l’efficacia delle terapie.
• Automazione dei flussi di lavoro: l’AI può snellire e automatizzare molte attività amministrative, riducendo il carico di lavoro per il personale sanitario e migliorando l’efficienza delle strutture.
Sfide etiche e responsabilità legali: chi paga per gli errori dell’AI
L’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo sanitario solleva una serie di interrogativi etici e legali. Un rischio suggerito dall’indagine è la perdita di competenza umana, infatti i medici potrebbero nel tempo perdere capacità, affidandosi troppo alla tecnologia. Una delle questioni aperte è la responsabilità in caso di errore diagnostico, se sia del medico che utilizza il sistema o dell’algoritmo stesso. Inoltre, una sfida è garantire la protezione dei dati sensibili dei pazienti, in un contesto di crescente digitalizzazione.
La questione della trasparenza degli algoritmi è uno dei punti cruciali, per questo secondo gli esperti, l’utilizzo di AI in sanità deve essere regolamentato in modo da garantire la protezione della privacy e quindi la conformità con normative come il GDPR.
Modelli predittivi: prevenzione e diagnosi precoce con l’intelligenza artificiale
Tra le applicazioni più avanzate dell’intelligenza artificiale nella sanità, i modelli predittivi stanno rivoluzionando l’approccio alla cura dei pazienti. Attraverso l’analisi dei dati clinici in tempo reale, questi algoritmi sono in grado di individuare segnali precoci di malattie o complicazioni, permettendo interventi preventivi che possono fare la differenza tra un decorso positivo e uno negativo.
Due delle tecnologie più promettenti sono la Generative AI (GenAI) e i Large Language Models (LLM):
• Generative AI: analizza enormi quantità di dati clinici per identificare pattern complessi e supportare il personale sanitario nella diagnosi precoce di malattie gravi come il cancro o le malattie cardiache.
• Large Language Models (LLM): migliorano la comunicazione tra pazienti e medici, fornendo informazioni basate su evidenze scientifiche e migliorando la formazione continua dei professionisti sanitari.
Queste tecnologie non solo migliorano l’efficienza del sistema sanitario, ma permettono cure personalizzate, con trattamenti su misura che aumentano le probabilità di successo.
Il ruolo dei dati sanitari
L’intelligenza artificiale si basa sui dati. I dati sanitari, raccolti da dispositivi di monitoraggio, cartelle cliniche elettroniche e sistemi di imaging, alimentano gli algoritmi di AI. Grazie a queste informazioni, l’intelligenza artificiale può riconoscere schemi complessi che sfuggono all’analisi tradizionale, migliorando la precisione delle diagnosi e la personalizzazione dei trattamenti.
Tuttavia, la qualità dei risultati dipende dalla qualità dei dati stessi. Per questo, affidarsi a dati incompleti o imprecisi può portare a decisioni cliniche errate. La validazione clinica degli algoritmi è, quindi, un passaggio cruciale per garantire l’efficacia e la sicurezza dei sistemi di intelligenza artificiale.
Opportunità e limiti da gestire
Nonostante i progressi tecnologici, l’adozione su larga scala dell’intelligenza artificiale in sanità non è priva di ostacoli. Uno dei principali è rappresentato dalla difficoltà di integrare questi nuovi strumenti nei sistemi sanitari esistenti. La formazione del personale sanitario, la standardizzazione delle tecnologie e la gestione dal punto di vista legale ed etico sono i punti critici.
D’altro canto, l’introduzione di strumenti come l’Explainable AI (XAI), che mira a rendere più comprensibili gli algoritmi di intelligenza artificiale, potrebbe favorire una maggiore fiducia da parte dei medici e dei pazienti, garantendo una completa trasparenza.
Conoscere la dermatite atopica, sintomi e trattamenti
RubricheSpesso sottovalutata, la dermatite atopica è una malattia infiammatoria cronica che colpisce la pelle del viso e del corpo di neonati, bambini, adolescenti e adulti. Una malattia che, nelle forme più gravi, può essere molto invalidante e che gli esperti definiscono “multifattoriale”. Ma quali sono i sintomi e quali i trattamenti possibili per agire sull’infiammazione alla base della patologia? Ne parleremo sabato 19 ottobre ai microfoni di Radio Kiss Kiss con il professor Giuseppe Argenziano, Direttore della Clinica dermatologica dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli. Appuntamento alle 8.15 circa. Stay Tuned!
Ipertensione: metà senza diagnosi e solo il 20% di chi lo sa, si cura. Cos’è la denervazione renale
Anziani, Prevenzione, Ricerca innovazioneSi stima che circa 1,28 miliardi di adulti (di età compresa tra i 30 e i 79 anni) in tutto il mondo siano affetti da ipertensione. Tuttavia, l’ipertensione non è diagnosticata in circa il 50% dei pazienti e nel restante 50% è trattata e ben controllata solo nel 20% dei casi (studio Lancet). Aumentare la consapevolezza è fondamentale, secondo gli specialisti, in quanto la patologia si può prevenire, diagnosticare e curare.
Il recente aggiornamento delle linee guida della Società Europea dell’Ipertensione (ESH) sostiene l’uso della denervazione renale come terzo pilastro terapeutico nell’ambito del percorso di cura dell’ipertensione, insieme alle modifiche dello stile di vita e ai farmaci antipertensivi. Inoltre, anche la Società Europea di Cardiologia (ESC) nelle sue ultime linee guida raccomanda la denervazione renale come un’opzione terapeutica complementare sicura ed efficace per i pazienti con ipertensione resistente, ovvero per quei pazienti che hanno pressione arteriosa elevata nonostante l’impiego di tre farmaci anti-ipertensivi.
Cos’è la denervazione renale
La procedura di denervazione renale viene utilizzata per il controllo della pressione arteriosa e aiuta a ridurre l’ipertensione. Questo trattamento dei pazienti ipertesi implica una stretta connessione tra il paziente, la cardiologia interventistica e il centro per l’ipertensione della struttura sanitaria. Un approccio multidisciplinare rende più efficace il percorso di cura del paziente.
Presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli i pazienti con ipertensione non controllata con i farmaci vengono trattati mediante la procedura di denervazione renale. Quest’ultima è un intervento minimamente invasivo che ha come bersaglio i nervi localizzati intorno alle arterie renali che possono diventare iperattivi e causare l’ipertensione.
Dopo la sedazione, il medico pratica una piccola puntura, di solito nell’inguine, e inserisce un catetere di circa 2 mm nell’arteria che porta al rene. A questo punto si utilizza un catetere a radiofrequenza per ridurre l’attività dei nervi collegati al rene. Con questa procedura non viene impiantato alcun dispositivo.La procedura agisce disattivando i nervi vicini ai reni che possono far aumentare la pressione arteriosa.
L’ipertensione arteriosa
“L’ipertensione arteriosa è un problema importante per i pazienti di tutto il mondo. Per le persone affette da ipertensione, i farmaci e/o i cambiamenti nello stile di vita possono aiutare a ridurre la pressione sanguigna, ma per molti pazienti queste soluzioni da sole potrebbero non essere sufficienti”, dichiara Raffaele Izzo, professore di Scienze Mediche Applicate e specialista dell’ipertensione presso la AOU Federico II di Napoli, che continua: “In qualità di specialista dell’ipertensione, mi sento di affermare che esiste una terapia efficace e sicura aggiuntiva alla terapia farmacologica. Spesso sento dire dai pazienti che sarebbero disposti a esplorare diverse opzioni terapeutiche. Questo ci ha portato a individuare le innovazioni tecnologiche che potrebbero contribuire a fornire una soluzione a lungo termine per abbassare la pressione sanguigna come complemento ai cambiamenti dello stile di vita e alla gestione dei farmaci. Abbiamo constatato che la procedura di riduzione della pressione sanguigna può potenzialmente contribuire a fornire un beneficio per l’ipertensione in aggiunta ai cambiamenti dello stile di vita e alla gestione dei farmaci.”
“Oggi abbiamo a disposizione una terapia innovativa, sicura ed efficace per il trattamento dell’ipertensione resistente. – spiega il professor Giovanni Esposito, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli e Direttore della UOC della Cardiologia dell’omonima azienda ospedaliera.
“Si tratta di una procedura minimamente invasiva durante la quale, con un dispositivo spiraliforme, viene erogata energia a radiofrequenza (RF) termo-ablando i plessi renali disposti attorno alle arterie e mantenendo inalterata la funzionalità dell’organo. Prima di questa procedura non esistevano trattamenti oltre a quello farmacologico. La riduzione della pressione arteriosa è particolarmente importante nei pazienti in politerapia, ma anche – come esplicitato dalle nuove Linee-Guida Europee – in quelli a rischio cardiovascolare molto elevato e in terapia con meno di tre farmaci, perché migliora la prevenzione di complicanze secondarie all’ipertensione quali l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale e l’emorragia cerebrale”.
“Sensibilizzare la popolazione sul rischio dell’ipertensione è il primo passo di una strategia comprensiva di prevenzione – spiega Raffaele Piccolo, Professore Associato di Cardiologia e Cardiologo Interventista dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli. – L’efficacia dell’intervento di denervazione è ampiamente dimostrata ed è uno strumento in più per ridurre gli effetti negativi di questa condizione sulla salute delle persone. Basti pensare che con una riduzione di 10 mmHg di pressione arteriosa sistolica si ha una riduzione del rischio di infarto e ictus tra il 20 e 30%”.
Diabete, cuore e reni, connessioni pericolose: come prevenire danni e complicanze
Associazioni pazienti, Anziani, Benessere, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneCirca il 40% dei pazienti con diabete – in Italia oltre 4 milioni –sviluppa Malattia Renale Cronica (MRC) ma solo uno su 10 ne è consapevole. Il diabete aumenta di 2-3 volte il rischio infarto del miocardio e di 2-5 volte il rischio di scompenso cardiaco, e tutto si aggrava se si associa ipertensione.
Il circuito cardionefrometabolico impatta sulla qualità e l’aspettativa di vita delle persone con diabete. Valutare le connessioni tra cuore, rene e metabolismo aiuta a prevenire il danno d’organo, attraverso esami del sangue, diagnosi precoce e farmaci innovativi che, oltre a migliorare la glicemia, riducono il danno renale nei pazienti con ipertensione, anche quelli non diabetici.
Le connessioni tra diabete, ipertensione, diabete, cardiopatie, obesità sono confermate dallo studio epidemiologico CARHES, condotto in Italia da SIN, AMCO e ISS. Ciascuna di queste condizioni rappresenta un fattore di rischio per la Malattia Renale Cronica e richiede un monitoraggio particolare per avere una diagnosi tempestiva.
Diabete, cuore e reni, le nuove terapie
Oggi curare il diabete guardando solo alla glicemia non è sufficiente, suggeriscono gli specialisti. La patologia va interpretata quale fattore di rischio cardiovascolare, renale e metabolico. La cura passa dalla riduzione dei valori glicemici ma anche, e soprattutto, dal proteggere i pazienti dal danno d’organo valutando le connessioni pericolose tra cuore, rene e metabolismo.
Esami del sangue e delle urine, diagnosi precoce del danno d’organo e utilizzo anticipato di farmaci innovativi sono gli interventi che, oltre a migliorare il controllo glicemico, proteggono il rene e il cuore, battendo sul tempo la comparsa di complicanze severe come la Malattia Renale Cronica e gli eventi cardiovascolari fatali.
L’approccio olistico, confermato anche dalle Linee Guida 2024 ESC – European Society of Cardiology per l’ipertensione, è stato approfondito da diabetologi, nefrologi e cardiologi durante il media talk “Diabete Cuore Reni – Le Connessioni pericolose. Rischi noti e meno noti nel circuito cardionefrometabolico”, con il contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim e Lilly.
I sistemi cardiovascolare, renale e metabolico sono interconnessi e condividono numerosi fattori di rischio e patwhway patologici nel continuum della malattia. Il mancato funzionamento anche di uno solo di questi sistemi comporta, a cascata, ripercussioni su tutti gli altri che a loro volta portano ad un aumento del rischio di mortalità per cause cardiovascolari. «Il diabete raddoppia il rischio di eventi cardiovascolari e la mortalità conseguente a infarto e ictus – afferma Salvatore A. De Cosmo, Presidente Eletto AMD (Associazione Medici Diabetologi), Direttore di Medicina Interna-Endocrinologia all’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo (Foggia).
«Per questo – prosegue – l’obiettivo principale oggi nella gestione della persona affetta da diabete è quello di trattare in maniera integrata la malattia diabetica, con una speciale attenzione alle correlazioni nefro-cardio-metaboliche e al mantenimento in salute degli organi bersaglio. In definitiva, se soffre il cuore, il rene ne risente; se soffre il rene, ne risente il cuore. L’approccio terapeutico legato ai nuovi farmaci antidiabetici consiste nel tentare di proteggere il rene per salvare il cuore, e viceversa. A questo si deve aggiungere una presa in carico del paziente diabetico da parte di un team multispecialistico dedicato. In questo caso è dimostrato che i pazienti seguiti a 360 gradi hanno un’aspettativa di vita migliore».
La Malattia Renale Cronica
La Malattia Renale Cronica (MRC) è una condizione patologica progressiva associata a un alto rischio di mortalità e morbidità, sia perché può essere il preludio allo sviluppo della malattia renale allo stadio terminale (ESRD o ESKD, End-Stage KidneyDisease), sia perché è fattore di rischio cardiovascolare e di mortalità generale.
«Il diabete può compromettere la salute dei reni in diversi modi: tra questi, elevati livelli di glucosio sul glomerulo, l’unità filtrante che a causa dello stress ossidativo con il tempo muore, e l’elevata pressione all’interno del glomerulo, considerando che il 95% dei pazienti diabetici sono anche ipertesi – dichiara Angelo Avogaro, Presidente SID (Società Italiana di Diabetologia).
«Man mano che il rene perde la sua capacità di filtro aumenta la produzione di creatinina nel sangue e la presenza di albumina nelle urine. Nella fase iniziale, che dura anni, l’insufficienza renale è asintomatica. Per il paziente con diabete – prosegue – è obbligatorio sottoporsi regolarmente agli esami per valutare la funzione renale; in secondo luogo, è opportuno mantenere la glicemia nel tempo quanto più bassa possibile; terzo, utilizzare le glifozine, farmaci che hanno la particolare capacità di ridurre la pressione dentro il glomerulo renale e quindi lo proteggono dall’insulto “emodinamico”».
«La progressione della Malattia Renale Cronica può essere rallentata dalle terapie disponibili per ipertensione e diabete, alcune di uso consolidato, altre innovative, considerate terapie di prima linea dalle Linee Guida – sottolinea Luca De Nicola, Presidente Eletto SIN (Società Italiana di Nefrologia), Professore Ordinario di Nefrologia del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate (DAMSS) dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.
«Queste – prosegue – da prescrivere insieme agli inibitori del sistema renina-angiotensina, hanno dimostrato un beneficio in termini di nefroprotezione e sono in grado di rallentare in modo significativo la progressione della malattia e di eventi cardiovascolari, fatali e non fatali. Queste opportunità terapeutiche devono andare di pari passo con azioni mirate ad intercettare precocemente la presenza di una malattia renale, specialmente nei soggetti ad alto rischio di svilupparla (diabetici, ipertesi, cardiopatici ed obesi, in primis)».
Sanità pubblica, l’emergenza delle cure negate: 4,5 milioni di italiani rinunciano a farsi curare
Benessere, Economia sanitaria, Eventi d'interesse, Medicina Sociale, News, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneIl 7° Rapporto della Fondazione Gimbe, appena presentato, dipinge un quadro di circa 4,5 milioni di italiani che hanno rinunciato a ricevere cure sanitarie nell’ultimo anno. Un dato, che si lega all’aumento del 10% della spesa sanitaria sostenuta di tasca propria dai cittadini. Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), definito “pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute” dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appare sempre più in difficoltà secondo l’analisi. Medici e infermieri abbandonano, le liste d’attesa si allungano e la fuga verso le strutture del Nord cresce.
Il Servizio sanitario nazionale, tra costi crescenti e accesso ridotto alle cure
Negli ultimi anni, la spesa sanitaria pubblica ha subito una riduzione significativa. La Fondazione Gimbe sottolinea come il divario rispetto alla media europea si sia allargato fino a 52,4 miliardi di euro. In Italia, il finanziamento pubblico per la sanità continua a essere carente, rendendo sempre più difficile garantire prestazioni adeguate per tutti i cittadini.
Il costo delle cure per le famiglie è aumentato. Nel 2023, gli italiani hanno speso di tasca propria ben 40,6 milioni di euro per visite specialistiche ed esami diagnostici. Questa crescita della spesa “out of pocket” metterebbe a rischio il principio di universalità del SSN. In pratica, chi può permetterselo paga privatamente; chi non ha le risorse necessarie rinuncia alle cure. Un fenomeno che succede sempre più spesso, sottolinea il report.
Secondo i dati Istat, nel 2023 quasi 4,5 milioni di persone hanno scelto di non sottoporsi a visite mediche o esami necessari a causa di difficoltà economiche o delle lunghe attese del SSN. Un dato significativo, se si considera che nel 2022 erano circa 600mila persone in meno a trovarsi nella stessa situazione. La difficoltà economica, legata anche ai costi energetici e all’inflazione, rende tutto più complesso. La sanità pubblica non riesce più a mantenere un livello di efficienza che garantisca un accesso equo ai servizi, e ciò provoca inevitabilmente un incremento delle disuguaglianze.
Definanziamento e carenza di personale
Uno dei temi centrali del rapporto Gimbe è il definanziamento del sistema sanitario. Negli ultimi 15 anni, i governi che si sono succeduti hanno ridotto costantemente i fondi destinati alla sanità. Tra il 2010 e il 2019, sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro al sistema, una scelta che ha compromesso in modo significativo la capacità di erogare cure di qualità e in tempi adeguati.
Durante la pandemia di COVID-19, il Fondo sanitario nazionale (FSN) è stato temporaneamente aumentato, ma queste risorse sono state assorbite quasi interamente dai costi straordinari dell’emergenza sanitaria. Di fatto, il SSN non è riuscito a sfruttare questa iniezione di fondi per un rafforzamento strutturale e duraturo. Nel 2023 e 2024, il finanziamento è cresciuto di ulteriori 8,653 milioni di euro, ma una parte consistente di queste risorse è stata destinata alla copertura dei costi energetici e ai rinnovi contrattuali del personale. Il rapporto spesa sanitaria/PIL, secondo le previsioni, è destinato a scendere ulteriormente nei prossimi anni, passando dal 6,3% del 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. Una diminuzione che, come sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, non tiene conto della gravità della crisi in corso.
Parallelamente, si registra una crescente carenza di personale sanitario. I medici e gli infermieri abbandonano il SSN, schiacciati da turni massacranti, salari bassi e poche prospettive di crescita. Tra il 2019 e il 2022, più di 11mila medici hanno lasciato il servizio pubblico, e solo nei primi sei mesi del 2023 si sono registrati altri 2.564 abbandoni. Anche gli infermieri sono in fuga: con un rapporto di 6,5 infermieri ogni mille abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media OCSE di 9,8. La crisi del personale aggrava ulteriormente la situazione, rendendo impossibile garantire livelli essenziali di assistenza (Lea) uniformi su tutto il territorio nazionale.
Divario tra nord-sud ed effetti dell’autonomia differenziata
Il Rapporto Gimbe evidenzia un altro aspetto: il crescente divario tra le Regioni del Nord e del Sud. Solo 13 Regioni su 20 rispettano i Lea, e tra queste solo due (Puglia e Basilicata) si trovano nel Sud, anche se collocate comunque in fondo alla classifica. Questo divario alimenta la cosiddetta “mobilità sanitaria”, ovvero la migrazione dei pazienti dal Sud verso il Nord, in cerca di cure migliori. Nel decennio 2012-2021, le Regioni meridionali hanno accumulato un saldo negativo di quasi un miliardo di euro a causa di questa migrazione. La Fondazione Gimbe teme che la legge sull’autonomia differenziata, se approvata, possa peggiorare ulteriormente la situazione, lasciando il Sud ancora più indietro in termini di accesso alle cure.
Prevenzione e sanità territoriale in difficoltà
La crisi del sistema sanitario tocca anche la prevenzione. Secondo il Rapporto, nel 2023 la spesa per i servizi di prevenzione è diminuita del 18,6% rispetto all’anno precedente, con una riduzione di 1,933 milioni di euro. La prevenzione, spesso vista come un settore “sacrificabile” in tempi di crisi, è però cruciale per ridurre i costi a lungo termine e migliorare la salute pubblica. I tagli in questo campo rischiano di avere effetti devastanti negli anni a venire.
Anche il potenziamento dell’assistenza territoriale previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sta incontrando difficoltà. Il Rapporto segnala ritardi significativi, in particolare nel Sud Italia, nell’apertura di Case di comunità e Ospedali di comunità. Questi centri, pensati per avvicinare i servizi sanitari ai cittadini e ridurre la pressione sugli ospedali, sarebbero fondamentali per il futuro del SSN, ma il loro sviluppo procede a rilento. L’attivazione delle Centrali operative territoriali, strutture che dovrebbero coordinare i servizi di assistenza domiciliare per gli anziani e i pazienti fragili, è stata realizzata solo parzialmente, sottolinea.
Le proposte della Fondazione Gimbe
Per salvare il SSN, la Fondazione Gimbe propone un “nuovo patto politico e sociale”. La sanità pubblica deve essere una priorità, non un costo da tagliare. Il coinvolgimento di tutti gli attori, dai cittadini alle istituzioni, è fondamentale per costruire un sistema più equo e sostenibile, sottolinea il report. Solo con un investimento costante, riforme coraggiose e una riorganizzazione moderna si potrà garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute, come previsto dalla Costituzione.
Alzheimer: rischio di ammalarsi aumenta fino al 42% se non si cura la pressione alta
Anziani, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneIl legame tra ipertensione e Alzheimer emerge sempre più chiaro dalla ricerca. La pressione arteriosa alta, oltre a essere una delle principali cause di morte prematura nel mondo, è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di demenza, in particolare per l’Alzheimer. Il problema maggiore è che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa il 46% degli adulti con ipertensione non sa di averla. Si tratta, quindi, di una condizione sottodiagnosticata che peggiora il quadro delle malattie croniche.
Ipertensione e alzheimer: cosa dicono gli studi
Un recente studio pubblicato sulla rivista Neurology ha analizzato il legame tra ipertensione non trattata e rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. La ricerca evidenzia che vivere con una pressione alta non controllata aumenta del 36% il rischio di sviluppare Alzheimer rispetto a chi ha valori pressori normali. Il dato diventa ancora più significativo, con un incremento del rischio del 42%, se confrontato con chi tiene sotto controllo la pressione arteriosa attraverso i farmaci. Ciò vale soprattutto per le persone con più di 60 anni.
La metanalisi ha coinvolto 31.250 partecipanti provenienti da 14 Paesi, con un’età media di 72 anni. Non sono state rilevate differenze significative tra i sessi o tra i gruppi etnici, rafforzando ulteriormente la validità dei risultati. Lo studio dimostra come, anche in età avanzata, trattare l’ipertensione con i farmaci riduce sensibilmente il rischio di sviluppare Alzheimer. Come sottolineano i ricercatori, l’effetto protettivo del trattamento anti-ipertensivo non diminuisce con l’età. Anche persone tra i 70 e gli 80 anni possono ridurre il rischio di Alzheimer, purché seguano le terapie.
Il rischio di demenze e l’importanza del controllo della pressione
Non solo Alzheimer: chi vive con ipertensione non trattata ha un rischio maggiore del 69% di sviluppare altre forme di demenza, come la demenza vascolare o quella a corpi di Lewy. Tuttavia, il controllo della pressione tramite farmaci sembra neutralizzare questo rischio. Il meccanismo alla base di questa correlazione è complesso. L’ipertensione non trattata danneggia la circolazione cerebrale, riducendo l’apporto di sangue e ossigeno al cervello, condizione che può accelerare il declino cognitivo.
Altri processi, come la neuroinfiammazione, giocano un ruolo chiave. L’infiammazione cronica favorisce l’accumulo di placche di amiloide, proteine che si depositano nel cervello e portano alla morte dei neuroni, elemento tipico della malattia di Alzheimer. Nonostante questi dati, moltissime persone non assumono regolarmente i farmaci prescritti per l’ipertensione. L’OMS stima che solo un adulto su cinque con la pressione alta tenga i valori sotto controllo, esponendosi a un rischio più elevato di malattie cardiovascolari, diabete, insufficienza renale e, appunto, demenze.
La neuroprotezione dei farmaci anti-ipertensivi
L’ipertensione è un fattore di rischio modificabile, facilmente controllabile attraverso una gestione adeguata dello stile di vita e dei farmaci. Lo studio pubblicato su Neurology conferma che i farmaci anti-ipertensivi, oltre a regolare la pressione, hanno anche un effetto neuroprotettivo. Curare l’ipertensione è, quindi, fondamentale per ridurre il rischio di demenza, anche in età avanzata. I farmaci anti-ipertensivi, non solo abbassano la pressione arteriosa, ma proteggono il cervello dall’usura del tempo, riducendo l’infiammazione e migliorando il flusso sanguigno cerebrale.
In un contesto d’invecchiamento della popolazione, con l’età che è il principale fattore di rischio, l’ipertensione è un’aspetto su cui è possibile intervenire per prevenire o ritardare l’insorgenza della malattia. In Italia, si stima che entro il 2050 il numero di persone affette dalla patologia supererà i 2 milioni, ponendo un carico enorme sul sistema sanitario. L’Alzheimer, quindi, resta una delle maggiori sfide per la sanità.
Controlli di prevenzione
La prevenzione dell’Alzheimer passa inevitabilmente attraverso la diagnosi precoce e il controllo dei fattori di rischio, tra cui l’ipertensione. Molte persone convivono con la pressione alta senza saperlo o senza trattarla. Il consiglio degli esperti è di monitorare regolarmente i valori pressori, soprattutto superati i 50 anni. Ridurre l’assunzione di sale, seguire una dieta equilibrata e assumere i farmaci prescritti sono azioni che possono fare la differenza nel prevenire patologie cardiovascolari e demenze.
Prospettive future
La pressione alta non trattata non solo danneggia il cuore, i reni e il sistema vascolare, ma aumenta sensibilmente il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Tuttavia, l’ipertensione è un fattore di rischio modificabile, che può essere gestito attraverso controlli regolari e terapie adeguate. Le evidenze scientifiche suggeriscono che intervenire sull’ipertensione, anche in età avanzata, è una delle strategie più efficaci per proteggere il cervello e prevenire il declino cognitivo.
Intervenire sui fattori di rischio come l’ipertensione può migliorare la qualità della vita degli anziani e ridurre i costi sociali ed economici legati alla gestione delle demenze.
Sfera Ebbasta, check up da 2.500 euro
News, News, Ricerca innovazioneIn questi giorni il cantante Sfera Ebbasta è finito in un putiferio di polemiche per aver elogiato un check-up molto costoso, chiamato Full Body Scan. Voluta o no, la polemica per la procedura eseguita all’Ospedale San Raffaele di Milano ha spinto i quasi 5 milioni di follower dell’artista a chiedersi cosa sia questo esame e a cosa serva.
Il post di Sfera Ebbasta
“Sono stato all’ospedale San Raffaele di Milano per fare un check-up che voglio consigliarvi. Si chiama Full body scan, è un esame che fa solo questo ospedale in questo momento, è molto innovativo. Dura solo 30 minuti e tutto il corpo viene scansionato con altissima precisione e senza uso di radiazioni. Qualsiasi patologia o lesione in qualsiasi parte del corpo può essere evidenziata, anche se molto piccola. Con questo esame è possibile conoscere eventuali problemi da tenere sotto controllo se ne sono”, ha scritto il rapper su Instagram.
Cos’è e a cosa serve il Full Body Scan (Diffusion Whole-Body)?
Diciamolo subito, non si tratta di un esame che può essere eseguito tramite il Sistema sanitario nazionale, di qui il costo (2.500 euro). Dal sito dell’ospedale si legge che consente di scansionare tutto il corpo ad alta risoluzione in soli 30-35 minuti, senza l’uso di radiazioni o mezzi di contrasto”.
La Diffusion Whole-Body (o anche Full Body Scan) è una variante della risonanza magnetica (MRI) che utilizza il principio della diffusione molecolare dell’acqua per creare immagini estremamente dettagliate di tutto il corpo. In altre parole, la tecnica misura come le molecole d’acqua si muovono attraverso i tessuti. I tessuti sani e quelli patologici, come i tumori, hanno caratteristiche di diffusione molto diverse, e la WB-DWI è in grado di evidenziarle con precisione. Questo tipo di imaging non richiede l’uso di radiazioni ionizzanti, come avviene invece nella TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), rendendolo una scelta sicura, soprattutto per pazienti che necessitano di controlli ripetuti.
Come funziona?
La risonanza magnetica convenzionale sfrutta campi magnetici per creare immagini dettagliate delle strutture interne del corpo. La WB-DWI si basa su un principio simile, ma utilizza una sequenza speciale per rilevare i movimenti delle molecole d’acqua. Quando le cellule sono danneggiate o anomale, come nel caso di tumori o infiammazioni, la diffusione dell’acqua in quei tessuti è alterata. Questo permette alla WB-DWI di identificare aree problematiche con una sensibilità notevolmente superiore rispetto alla MRI tradizionale.
Immagini funzionali
Le immagini ottenute dalla WB-DWI sono anche “funzionali”, il che significa che non solo mostrano la morfologia (forma e struttura) degli organi e dei tessuti, ma anche informazioni sul loro stato fisiologico, come la presenza di infiammazioni o di tessuti maligni.
Le potenzialità della Diffusion Whole-Body
Le potenzialità di questa tecnica sono enormi, specialmente in ambito oncologico e neurologico. Ecco alcune delle principali applicazioni:
Quando è consigliata?
La Diffusion Whole-Body è consigliata in vari scenari clinici:
I vantaggi della Diffusion Whole-Body
Il principale vantaggio della WB-DWI è la sua capacità di fornire immagini dettagliate e funzionali del corpo intero senza la necessità di radiazioni, agenti di contrasto o esami invasivi. Questo la rende una scelta eccellente per pazienti che necessitano di controlli ripetuti o per individui in cui altri metodi di imaging potrebbero risultare meno sicuri o efficaci.
Inoltre, grazie alla sua sensibilità nel rilevare minime variazioni nei tessuti, è un valido strumento sia per la diagnosi precoce di patologie potenzialmente gravi, sia per il monitoraggio di terapie in corso.
Il futuro della prevenzione
La Diffusion Whole-Body è di fatto una svolta nel campo della diagnostica per immagini, offrendo una nuova e potente modalità di analisi che combina precisione e sicurezza. La sua capacità di diagnosticare tumori e monitorare malattie croniche con una sensibilità straordinaria, senza esporre i pazienti a radiazioni pericolose, la rende una delle tecnologie più promettenti e innovative nel panorama medico. Ecco perché è facile immaginare che il suo utilizzo è destinato a crescere, cambiando radicalmente il modo di individuare precocemente le malattie oncologiche.
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Mieloma multiplo, Cirino Botta: oggi una normale aspettativa di vita
Podcast, Rubriche«Il mieloma multiplo è un tumore del sangue che colpisce delle cellule particolare, che si chiamano “plasmacellule”. Queste hanno normalmente il compito di difenderci dalle infezioni, perché producono anticorpi. Per motivi che oggi ancora non conosciamo, può capitare che queste cellule impazziscano e inizino a produrre una grande quantità di anticorpi senza alcuna ragione. Questi anticorpi, muovendosi nell’organismo iniziano a creare danni, mentre queste plasmacellule iniziano a moltiplicarsi senza controllo». Lo ha spiegato ai microfoni di Radio Kiss Cirino Botta, professore associato di Ematologia all’Università di Palermo. Intervenuto per le Pillole di Salute – volute e prodotte dal Network Editoriale PreSa – il professor Botta ha spiegato che la malattia ha origine nel midollo osseo.
Aumento delle diagnosi
«Una malattia – ha detto – che può essere considerata rara, visto che colpisce 1 individuo su 100.000», ma che vede sempre più aumentare le diagnosi. «Il fatto che le plasmacellule si moltiplicano all’interno espone i pazienti al rischio fratture delle ossa lunghe. Inoltre, i pazienti possono andare verso l’insufficienza renale e altri problemi molto seri». Quanto alla diagnosi, esistono delle condizioni predisponenti. Quindi, tramite una elettroforesi, c’è la possibilità di scoprire la malattia in anticipo e seguire i pazienti, evitando che si producano danni d’organo. Fortunatamente, contro il mieloma multiplo oggi ci sono molte terapie efficaci.
Nuove terapie per il mieloma multiplo
«Nel corso degli ultimi 20 anni – ha detto Botta – abbiamo registrato un aumento esponenziale delle terapie disponibili. Negli anni passati chi era affetto da un mieloma multiplo attivo e in uno stadio avanzato aveva un’aspettativa di vita che si attestava attorno ai 48 mesi, oggi siamo molto oltre i 15 anni. Considerando che la malattia insorge di solito oltre i 70 anni, possiamo dire che le nuove terapie ci consentono di avvicinarci molto alla normale aspettativa di vita, arrivando a quella che si chiama cura funzionale». Altra buona notizia è che molte altre terapie innovative sono in arrivo: «Farmaci b-specifici, anticorpi monoclonali coniugati, CAR-T».
Dialogo medico paziente
Ma nulla può essere efficace senza un dialogo efficace tra medico e paziente, unico strumento che può garantire una vera compliance. «Il dialogo con è essenziale – dice Botta – il paziente deve potersi fidare del medico, comprendere che le terap anche quelle complicate, sono tutte per il suo bene. Il beneficio a lungo termine ha come prezzo quello della necessità di fare qualche sacrificio e dedicare il tempo che serve alle terapie. Fortunatamente, non si tratta più di chemioterapici e quindi gli effetti collaterali sono molto minori che in passato».
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Intelligenza artificiale in sanità: cosa cambia per i cittadini e per i medici
Benessere, Economia sanitaria, Farmaceutica, Medicina Sociale, News, News, Nuove tendenze, Prevenzione, Ricerca innovazioneL’intelligenza artificiale è una realtà già in atto che potrebbe ridisegnare la sanità. Tra carenze di personale, costi in crescita e lunghe liste d’attesa, i servizi sanitari nazionali, come quello italiano e il NhS britannico, stanno affrontando una crisi strutturale. Le nuove tecnologie digitali – dall’AI ai big data – emergono come strumenti per ottimizzare risorse e migliorare l’efficacia delle cure.
Ad attestarlo è il Future Health Index 2024 di Philips, condotto su un campione di leader sanitari di 14 Paesi, tra cui l’Italia. Secondo gli esperti, la digitalizzazione rappresenta la via maestra per mantenere sostenibili i sistemi sanitari. Tuttavia, se da un lato l’innovazione tecnologica può rivoluzionare il settore, dall’altro sono necessari investimenti, collaborazione tra attori pubblici e privati e, soprattutto, un cambiamento culturale nell’approccio alla sanità.
L’intelligenza artificiale potrebbe portare un risparmio di 21,74 miliardi di euro all’anno al Sistema sanitario italiano. Lo ha calcolato una ricerca della Rome Business School che mostra come l’AI, automatizzando il 36% delle attività sanitarie e sociali, permetterebbe di ridurre anche i tempi di attesa.
L’integrazione nel settore sanitario aumenterebbe l’efficienza senza sostituire il personale medico, secondo Valentino Megale, coautore della ricerca. Si stima che il valore del mercato dell’IA in Italia raggiungerà i 3,19 miliardi di euro entro il 2030.
Crisi dei sistemi sanitari: domanda in crescita e risorse limitate
I servizi sanitari nazionali sono sotto pressione, sottolinea il Future Health Index 2024. Il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche stanno incrementando la domanda di assistenza, ma le risorse disponibili – economiche e umane – potrebbero non tenere il passo. Secondo l’Istat, entro il 2050 più di 3 italiani su 10 avranno oltre 65 anni. La carenza di personale sanitario, accompagnata da liste d’attesa sempre più lunghe rendono la qualità delle cure non sempre adeguata, secondo i dati. In questo contesto, la digitalizzazione della sanità e l’introduzione di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale vengono viste come un’opportunità per invertire la rotta.
La rivoluzione digitale in sanità
L’intelligenza artificiale non è una sostituta del medico, ma un supporto che ne potenzia le capacità, permette una diagnostica più precisa e personalizzata, riducendo i margini di errore e migliorando la rapidità delle decisioni cliniche. Il ruolo umano resta centrale, ma le tecnologie digitali migliorano la gestione delle complicanze attraverso l’analisi in tempo reale dei dati clinici. Inoltre, migliorano la gestione delle risorse. Tra le maggiori applicazioni dell’intelligenza artificiale in medicina troviamo:
• AI nella diagnostica: i sistemi di intelligenza artificiale possono analizzare grandi quantità di dati clinici e immagini mediche per identificare patologie in modo più rapido e preciso rispetto ai metodi tradizionali.
• Big data per la personalizzazione delle cure: grazie all’analisi di informazioni complesse, i medici possono personalizzare i trattamenti in base alle specificità di ciascun paziente, aumentando l’efficacia delle terapie.
• Automazione dei flussi di lavoro: l’AI può snellire e automatizzare molte attività amministrative, riducendo il carico di lavoro per il personale sanitario e migliorando l’efficienza delle strutture.
Sfide etiche e responsabilità legali: chi paga per gli errori dell’AI
L’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo sanitario solleva una serie di interrogativi etici e legali. Un rischio suggerito dall’indagine è la perdita di competenza umana, infatti i medici potrebbero nel tempo perdere capacità, affidandosi troppo alla tecnologia. Una delle questioni aperte è la responsabilità in caso di errore diagnostico, se sia del medico che utilizza il sistema o dell’algoritmo stesso. Inoltre, una sfida è garantire la protezione dei dati sensibili dei pazienti, in un contesto di crescente digitalizzazione.
La questione della trasparenza degli algoritmi è uno dei punti cruciali, per questo secondo gli esperti, l’utilizzo di AI in sanità deve essere regolamentato in modo da garantire la protezione della privacy e quindi la conformità con normative come il GDPR.
Modelli predittivi: prevenzione e diagnosi precoce con l’intelligenza artificiale
Tra le applicazioni più avanzate dell’intelligenza artificiale nella sanità, i modelli predittivi stanno rivoluzionando l’approccio alla cura dei pazienti. Attraverso l’analisi dei dati clinici in tempo reale, questi algoritmi sono in grado di individuare segnali precoci di malattie o complicazioni, permettendo interventi preventivi che possono fare la differenza tra un decorso positivo e uno negativo.
Due delle tecnologie più promettenti sono la Generative AI (GenAI) e i Large Language Models (LLM):
• Generative AI: analizza enormi quantità di dati clinici per identificare pattern complessi e supportare il personale sanitario nella diagnosi precoce di malattie gravi come il cancro o le malattie cardiache.
• Large Language Models (LLM): migliorano la comunicazione tra pazienti e medici, fornendo informazioni basate su evidenze scientifiche e migliorando la formazione continua dei professionisti sanitari.
Queste tecnologie non solo migliorano l’efficienza del sistema sanitario, ma permettono cure personalizzate, con trattamenti su misura che aumentano le probabilità di successo.
Il ruolo dei dati sanitari
L’intelligenza artificiale si basa sui dati. I dati sanitari, raccolti da dispositivi di monitoraggio, cartelle cliniche elettroniche e sistemi di imaging, alimentano gli algoritmi di AI. Grazie a queste informazioni, l’intelligenza artificiale può riconoscere schemi complessi che sfuggono all’analisi tradizionale, migliorando la precisione delle diagnosi e la personalizzazione dei trattamenti.
Tuttavia, la qualità dei risultati dipende dalla qualità dei dati stessi. Per questo, affidarsi a dati incompleti o imprecisi può portare a decisioni cliniche errate. La validazione clinica degli algoritmi è, quindi, un passaggio cruciale per garantire l’efficacia e la sicurezza dei sistemi di intelligenza artificiale.
Opportunità e limiti da gestire
Nonostante i progressi tecnologici, l’adozione su larga scala dell’intelligenza artificiale in sanità non è priva di ostacoli. Uno dei principali è rappresentato dalla difficoltà di integrare questi nuovi strumenti nei sistemi sanitari esistenti. La formazione del personale sanitario, la standardizzazione delle tecnologie e la gestione dal punto di vista legale ed etico sono i punti critici.
D’altro canto, l’introduzione di strumenti come l’Explainable AI (XAI), che mira a rendere più comprensibili gli algoritmi di intelligenza artificiale, potrebbe favorire una maggiore fiducia da parte dei medici e dei pazienti, garantendo una completa trasparenza.
Chi sono i Nobel per la Medicina 2024
News, Ricerca innovazioneIl Premio Nobel per la Medicina 2024 è stato assegnato a Victor Ambros e Gary Ruvkun per le loro ricerche sul micro-Rna. L’annuncio è stato dato al Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia. I due scienziati americani sono stati premiati per aver svelato un meccanismo che regola l’attività dei geni. Si tratta di un principio fondamentale per la comprensione dei processi cellulari e genetici, il cui malfunzionamento può portare allo sviluppo di malattie come il cancro.
Chi sono Victor Ambros e Gary Ruvkun
Victor Ambros, nato nel 1953 ad Hanover, New Hampshire, ha condotto gli studi premiati presso l’Università di Harvard. Attualmente, insegna Scienze naturali alla Scuola medica dell’Università del Massachusetts. Suo padre era un rifugiato polacco.
Gary Ruvkun, nato nel 1952 a Berkeley, California, ha svolto il suo lavoro presso il Massachusetts General Hospital e la Harvard Medical School. Le loro scoperte hanno cambiato il modo di intendere la regolazione genica.
Nobel della Medicina: il loro lavoro sul micro-Rna
Ambros e Ruvkun hanno studiato i micro-Rna, piccole molecole che regolano l’attività dei geni all’interno delle cellule. Questo meccanismo permette a cellule diverse di avere funzioni distinte, anche se contengono gli stessi geni. La loro scoperta ha evidenziato come il micro-Rna sia cruciale nello sviluppo degli organismi.
Il micro-Rna regola l’espressione genica, influenzando diversi processi biologici. Un’alterazione di questo meccanismo può contribuire allo sviluppo di malattie come il cancro. Mutazioni nei geni che codificano per i micro-Rna possono causare patologie come la perdita congenita dell’udito e disturbi oculari.
Il valore del premio
Il Nobel per la Medicina 2024 assegna 11 milioni di corone svedesi, pari a circa 967mila euro. Fino a oggi, sono stati attribuiti 114 premi Nobel in Medicina, con 13 donne tra i vincitori. L’età media dei premiati varia dai 31 ai 87 anni.
I vincitori degli anni precedenti
Nel 2023, il Nobel per la Medicina è andato a Katalin Karikó e Drew Weissman per le loro scoperte legate ai vaccini a mRna, che hanno contribuito alla lotta contro il Covid-19 e aperto nuove prospettive per altri vaccini, compresi quelli contro il cancro.
Nel 2022, il biologo svedese Svante Pääbo ha ricevuto il Nobel per le sue ricerche sui genomi degli ominidi estinti e l’evoluzione umana. Questi studi hanno fornito informazioni importanti sulla storia evolutiva dell’uomo.
Le scoperte premiate dimostrano come la ricerca scientifica, in continua evoluzione, possa fornire nuove soluzioni per la comprensione delle malattie e lo sviluppo di terapie innovative.
Come sta Bianca Balti?
News, PrevenzioneCome sta Bianca Balti? Se lo chiedono i suoi follower, ma anche persone che in queste settimane hanno preso a cuore la modella, che sta dimostrando di essere un vero esempio di forza e di voglia di vivere. Instagram, in particolare, è lo strumento che Balti usa di più per arrivare ai tantissimi che la seguono e sperano in buone notizie. Così, proprio in questi giorni Bianca Balti ha pubblicato nuove immagini che dicono molto sul suo ottimismo e sulla forza di volontà dalla quale è animata nell’affrontare la malattia.
Hashtag #lavitaèbella
Tra le foto che colpiscono c’è sicuramente quella che mostra la cicatrice dopo l’intervento di rimozione del tumore, un’immagine molto forte per una donna che ha sempre lavorato con il proprio corpo. Ma è anche questo il punto, la Balti non nasconde nulla e affronta la malattia a viso aperto, senza paura. Il 14 ottobre inizierà la chemioterapia e lei pubblica con fierezza sui social il suo hashtag #lavitaèbella.
Bianca Balti: non preoccupatevi
La top model, che per lungo tempo è stata il volto degli stilisti Doce e Gabbana, aveva detto: “prima comincio prima avrò finito con questa cosa”, chiedendo ai fan di “non preoccuparsi” per lei: “Io non sono preoccupata”, solo “scocciata perché avevo programmi molto diversi per l’immediato futuro”. Due anni fa, come Angelina Jolie prima di lei, si era sottoposta a una doppia mastectomia preventiva dopo aver scoperto di avere la mutazione genetica Brca1, che aumenta esponenzialmente il rischio di contrarre un tumore al seno e alle ovaie.
Cos’è la mutazione BRCA1?
Il gene BRCA1 (Breast Cancer 1) è un gene oncosoppressore, ossia un gene che aiuta a prevenire lo sviluppo di tumori. Il suo ruolo principale è quello di riparare i danni al DNA e mantenere la stabilità genetica delle cellule. Tuttavia, una mutazione in questo gene può comprometterne la funzione, aumentando il rischio di sviluppare certi tipi di tumori, in particolare il cancro al seno e il cancro alle ovaie.
Come funziona il gene BRCA1?
Il gene BRCA1, insieme al gene BRCA2, lavora come una sorta di “meccanismo di riparazione” per il DNA danneggiato. Durante la normale divisione cellulare, il DNA può subire danni a causa di vari fattori, come l’esposizione a radiazioni o sostanze chimiche. BRCA1 aiuta a correggere questi danni, prevenendo così la proliferazione di cellule con anomalie genetiche che potrebbero trasformarsi in tumori.
Tuttavia, quando BRCA1 è mutato, questo sistema di riparazione non funziona correttamente. Le mutazioni ereditate nei geni BRCA1 e BRCA2 sono considerate mutazioni germinali, il che significa che possono essere trasmesse da genitori a figli e sono presenti in tutte le cellule del corpo. La presenza di una mutazione in BRCA1 aumenta notevolmente il rischio di sviluppare il cancro, con percentuali che possono arrivare fino al 65-80% per il cancro al seno e 30-40% per il cancro alle ovaie nel corso della vita.
Tipologie di tumori associate alle mutazioni BRCA1
Oltre al cancro al seno e alle ovaie, le persone con mutazioni nel gene BRCA1 hanno anche un rischio aumentato di sviluppare altri tipi di tumore, seppur in misura minore. Questi includono:
Prevenzione del cancro per chi ha una mutazione BRCA1
Conoscere il proprio stato genetico e sapere se si è portatori di una mutazione BRCA1 è fondamentale per una prevenzione efficace. Ci sono diverse strategie che possono essere adottate per ridurre il rischio di sviluppare il cancro o per rilevarlo in una fase molto precoce, quando le opzioni terapeutiche sono più efficaci.
Test genetici
Per scoprire se si è portatori di una mutazione BRCA1, è possibile sottoporsi a un test genetico. Questo test viene consigliato soprattutto se ci sono casi di cancro al seno o alle ovaie nella storia familiare, specialmente se diagnosticati in età giovanile. Il test si effettua con un semplice prelievo di sangue o di saliva e analizza la presenza di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2.
Sorveglianza attiva
Per chi ha una mutazione BRCA1, la sorveglianza attiva è un’opzione cruciale. Questa include esami regolari e approfonditi per rilevare il cancro in una fase iniziale. Alcuni degli esami più comuni sono:
Chirurgia preventiva (mastectomia e ovariectomia)
Alcune persone portatrici della mutazione BRCA1 possono optare per una chirurgia preventiva, come la mastectomia (così come ha fatto la Balti) o l’ovariectomia (rimozione delle ovaie). Queste procedure riducono drasticamente il rischio di sviluppare tumori in questi organi. La mastectomia profilattica può ridurre il rischio di cancro al seno fino al 95%, mentre l’ovariectomia profilattica riduce il rischio di cancro alle ovaie e, indirettamente, al seno.
Terapia ormonale
Alcuni studi suggeriscono che l’uso della terapia ormonale sostitutiva o di altre forme di prevenzione farmacologica può ridurre il rischio di cancro al seno per le donne con mutazioni BRCA1. Ma sono opzioni che devono essere valutate attentamente insieme al proprio medico. Di certo, uno stile di vita sano può contribuire a ridurre il rischio generale di sviluppare il cancro. Evitare il fumo (legato a molti tipi di cancro), avere una dieta equilibrata, ricca di frutta e verdura, con un basso consumo di grassi saturi, può migliorare la salute generale. Inoltre, sarebbe sempre bene tenere un peso corporeo ideale e fare esercizio regolare, perché tutto questo aiuta a ridurre il rischio di diversi tipi di tumore.
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