Tempo di lettura: 5 minutiL’obesità è una malattia cronica progressiva, multifattoriale e recidivante. È influenzata da meccanismi genetici, endocrini, ambientali e psicologici e va ben oltre il semplice “mangiare meno e muoversi di più”. Eppure, lo stigma sociale e la colpevolizzazione dei pazienti continuano a essere tra i principali ostacoli per chi convive con questa patologia.
Sovrappeso e obesità, i numeri in Italia
Oggi in Italia un adulto su due è in sovrappeso (circa 23 milioni) o affetto da obesità (circa 6 milioni, il 12% della popolazione). Si assiste ad una impennata dei numeri dell’obesità, in crescita a livello globale, con un lentissimo assestamento sotto osservazione nei Paesi Occidentali, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità parla da tempo di “Globesità”. L’impatto della patologia sulla qualità della vita e sui costi sociali e sanitari è tale che le principali agenzie di salute pubblica considerano l’obesità come una delle principali sfide per i sistemi sanitari mondiali, paragonabile ai tumori e alle malattie cardiovascolari.
La palestra impossibile
Perdere peso è la cosa più difficile per chi soffre di obesità e non è una questione di forza di volontà, ma di funzionamento del corpo. Per cambiare la narrazione sulla patologia, nasce la campagna “Perdere peso non dipende solo da te. Il tuo corpo può fare resistenza”, accompagnata dall’installazione: “The Impossible Gym”, in Piazza dei Cinquecento, presso la Stazione Termini di Roma, aperta fino al 4 febbraio. L’installazione, inaugurata questa mattina dalla cantante Noemi, rappresenta le sfide quotidiane affrontate da chi vive con l’obesità. All’interno, attrezzi da palestra resi inutilizzabili da elastici gialli simboleggiano la “resistenza” del corpo al calo ponderale, un fenomeno biologico che rende particolarmente difficile perdere peso e mantenerlo nel tempo. Raffigura gli ostacoli fisici, biologici e psicologici con i quali devono convivere ogni giorno le persone con obesità. Per tutta la settimana, nell’area aperta al pubblico saranno presenti dietisti qualificati per rispondere alle domande dei visitatori, che potranno calcolare il proprio Indice di Massa Corporea (BMI) utilizzando una bilancia dedicata. All’interno dell’installazione si svolgeranno incontri informativi con medici specialisti per approfondire le tematiche legate alla gestione della patologia.
“Credo profondamente nella necessità di un cambiamento culturale sul tema del peso e, quindi, dell’obesità”, ha dichiarato Noemi. Il corpo di una persona è costantemente sotto gli occhi di tutti e il giudizio e pregiudizio purtroppo spesso accompagnano il pensiero e le parole delle persone. Ogni persona ha una storia diversa, che a volte racconta anche di una patologia difficile da comprendere. La corretta informazione e il superamento di pregiudizi possono cambiare le cose e creare una società più empatica e consapevole, in cui ogni persona possa sentirsi compresa e supportata nel proprio percorso. La salute deve rimanere l’aspetto più importante: riconoscere l’obesità come una patologia e il proprio corpo come qualcosa di cui prendersi cura è fondamentale”, ha concluso.
Obesità dipende da meccanismi neurologici in gran parte localizzati nel cervello
“L’obesità è legata ad una modificazione patologica dei meccanismi che nel nostro organismo regolano la fame e la sazietà, regolando di conseguenza il peso corporeo – ha spiegato Rocco Barazzoni, Presidente Società Italiana Obesità (SIO) e Professore Associato di Medicina Interna, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Trieste – questo tipo di alterazioni è indipendente dal controllo e dalla volontà della persona. Si tratta di meccanismi neurologici in gran parte localizzati nel cervello, ma che rispondono anche a segnali che arrivano dal tessuto adiposo e dall’intestino. Questi meccanismi complessi sono in grado di mantenere in condizioni fisiologiche il peso corporeo entro limiti che possiamo definire ‘normali’, o sani. È dimostrato che le persone affette da obesità presentano alterazioni di tali processi biologici che portano ad un rischio maggiore di aumentare la propria massa grassa. A questi meccanismi si associano anche fattori genetici, endocrini e ambientali. L’insieme di tutti questi elementi definisce l’obesità come malattia. In questi ultimi anni sono state introdotte cure innovative che permettono non solo una riduzione marcata del peso corporeo, ma anche di ridurre, prevenire e curare molte complicanze gravi e temibili. Ovviamente resta anche in questo caso fondamentale l’approccio bilanciato e sano alla dieta, e l’aumento dell’attività e dell’esercizio fisico in un approccio globale alla persona e alla malattia”.
Non basta l’Indice di Massa Corporea (BMI)
La comunità medica è sempre più consapevole che il solo peso corporeo non è sufficiente a definire lo stato di salute di un individuo. Alla valutazione dell’Indice di Massa Corporea (BMI)si deve almeno aggiungere la valutazione della distribuzione del grasso in eccesso (è noto che il grasso addominale è quello più pericoloso per lo sviluppo di complicanze gravi, tra cui le malattie cardiovascolari, metaboliche, endocrine). Anche la Lancet Commission e, qualche mese prima, la stessa Società Europea dell’Obesità hanno confermato che il peso di per sé è importante ma non sufficiente a stabilire il rischio clinico generale. In sintesi, il BMI dovrebbe restare al di sotto di 30 Kg/m2 per stabilire la soglia oltre la quale si parla di obesità, mentre tra 25 e 30 si parla di sovrappeso. A questa misurazione va aggiunto il parametro del grasso viscerale localizzato all’addome, con la misura del “giro vita”. Una circonferenza dell’addome elevata associata a un BMI anche inferiore a 30 dovrebbe essere considerata sufficiente per fare diagnosi di obesità.
Il peso psicologico delle persone con obesità
La quotidianità che vive una persona affetta da obesità è complicata e difficile, caratterizzata in molti casi da una sensazione di profonda solitudine, incomprensione, senso di colpa e percezione di perdita di autocontrollo. Questo genera un circolo vizioso che può portare l’individuo a perdere il contatto con l’esterno anche a causa dello stigma, del senso di inadeguatezza e della vergogna. Secondo il documento “Obesità in Italia. Percezioni, costi e sfide per il futuro”, realizzato nel 2024 da IPSOS, I-COM e Università del Piemonte Orientale (UPO) con il contributo incondizionato di Lilly, meno della metà degli italiani riconosce l’obesità come patologia cronica e fattore di rischio di altre patologie, mentre per più della metà l’obesità è il risultato di cattive abitudini e solo un fattore di rischio per altre patologie. Un quadro che favorisce lo stigma e rende urgente un cambio di prospettiva e politiche più coraggiose. Emerge anche quanto, nell’immaginario collettivo, l’obesità sia considerata una “colpa” dell’individuo e della mancanza di volontà: lo pensa il 64% del campione.
“Nessuna persona con obesità è contenta della propria condizione, anche se in apparenza la vive con il sorriso; scavando emerge sempre la sofferenza e il disagio – ha dichiarato Iris Zani, Presidente Associazione Amici Obesi che ha patrocinato l’iniziativa – il paziente avverte i limiti fisici del proprio corpo nella quotidianità, i limiti psicologici e poi ci sono i limiti non tangibili, quei complessi meccanismi che regolano la fame, la sazietà e il peso, che si oppongono al calo dei chili in eccesso e al mantenimento del peso raggiunto nel tempo. La maggior parte delle persone è convinta che l’obesità sia una responsabilità e una colpa dell’individuo, questo purtroppo è in parte dovuto alla mancanza di un riconoscimento ufficiale dell’obesità come malattia. Occorre scardinare questa non-cultura così radicata nel sentire comune con una nuova e diversa narrativa di questa malattia e mettere in atto cambiamenti collettivi e individuali con politiche che facciano leva su educazione, maggiore accesso a servizi e terapie mediche, campagne di sensibilizzazione per aumentare e diffondere la conoscenza sull’obesità. Cruciale il ruolo della stampa e dei media per modificare una rappresentazione della persona con obesità ancora troppo stigmatizzata e legata a stereotipi obsoleti e discriminanti”.
Sebbene l’obesità rappresenti una minaccia per la sostenibilità sociosanitaria ed economica del Paese, per decenni non è stata riconosciuta come una patologia cronica multifattoriale. Negli anni più recenti è cresciuta l’attenzione delle Istituzioni verso la patologia. “L’obesità è una delle sfide più urgenti per la salute pubblica, una patologia complessa che richiede un’azione coordinata da parte di Istituzioni, sistema sanitario e società – ha affermato Stefano Benigni, Membro XII Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati –l’istituzione del Fondo strutturale per la prevenzione e cura dell’obesità nella Legge di Bilancio rappresenta un passo decisivo per migliorare l’accesso e la continuità delle cure, sviluppare percorsi regionali di prevenzione e sostenere ricerca e formazione per i professionisti della salute. Il mio impegno sarà quello di assicurare che questo Fondo sia l’inizio di un percorso più ampio, per colmare i gap diagnostico-terapeutici e creare una rete integrata che migliori la qualità della vita dei pazienti”.
La campagna è realizzata da Lilly con il patrocinio dell’associazione pazienti Amici Obesi Onlus ed è supportata dal sito www.patologiaobesita.it.
Virus respiratorio sinciziale (RSV): 42,6% dei bambini italiani sotto i 5 anni risultato positivo. Lo studio
Bambini, Economia sanitaria, Farmaceutica, Medicina Sociale, News, Pediatria, Prevenzione, Ricerca innovazioneLe infezioni virus respiratorio sinciziale (RSV) sono tra le prime cause di bronchiolite e di polmonite nei bambini sotto i 5 anni. Uno studio pubblicato su The Lancet Respiratory Medicine ha valutato l’impatto sociale della patologia su famiglie e servizi sanitari in 5 paesi europei: Italia, Belgio, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito. La ricerca è durata dal 2021 al 2023 e ha coinvolto oltre 3.400 bambini.
Dai dati è emerso che quasi un terzo (32,9%) delle infezioni respiratorie acute nei bambini in età prescolare è associato all’RSV. La durata media della malattia è di circa 12 giorni, con oltre il 45% dei genitori che ha dovuto assentarsi dal lavoro e il 70% dei bambini che ha perso giorni di scuola o asilo. I risultati evidenziano inoltre notevoli differenze tra i paesi coinvolti nello studio in termini di approcci terapeutici, di utilizzo delle risorse sanitarie e di impatto sociale.
Italia maglia nera sul tasso di infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV)
Il focus sull’Italia rivela che il tasso di positività all’RSV nei bambini è stato del 42,6%, il più alto tra i paesi partecipanti. I bambini RSV-positivi in Italia sono stati sottoposti in media a 3 visite in assistenza primaria, al pari della Spagna e contro le 1,4 dei Paesi Bassi. La durata media della malattia è stata di 11,7 giorni, poco al di sotto della media generale.
Il 76,8% dei bambini italiani RSV-positivi ha ricevuto farmaci, con broncodilatatori e antibiotici tra i più prescritti, mentre in paesi come il Regno Unito il ricorso alle medicine è stato più limitato. In linea con il dato generale, il 45,7% dei genitori italiani si è dovuto assentare da lavoro con una media di 4,1 giorni persi, dato che ci equipara al Belgio contro invece 1,3 giorni della Spagna.
“I risultati mettono in luce la necessità di migliorare la prevenzione per alleviare il carico sulle famiglie e sui sistemi sanitari, soprattutto nel periodo invernale in cui il virus circola di più – sottolinea la professoressa Caterina Rizzo, ordinaria di Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Pisa, fra gli autori del lavoro.
“Negli ultimi anni sono stati approvati in Europa nuovi strumenti preventivi contro l’RSV, tra cui un nuovo anticorpo monoclonale che permette di immunizzare i neonati ed un vaccino da somministrare durante la gravidanza. Si tratta di misure che possono avere un impatto positivo non solo sulla salute dei bambini, ma anche sull’organizzazione complessiva delle cure primarie”, conclude.
La prof.ssa Caterina Rizzo ha coordinato per oltre dieci anni il sistema integrato di Sorveglianza delle sindromi simil influenzali in Italia presso l’Istituto Superiore di Sanità e fa parte del Gruppo consultivo tecnico nazionale per l’immunizzazione (NITAG). La ricerca pubblicata su The Lancet Respiratory Medicine è stata finanziata da Sanofi e AstraZeneca attraverso il National Institute for Public Health and the Environment, Paesi Bassi.
Obesità e stigma: la ‘palestra impossibile’ inaugurata da Noemi
Associazioni pazienti, NewsL’obesità è una malattia cronica progressiva, multifattoriale e recidivante. È influenzata da meccanismi genetici, endocrini, ambientali e psicologici e va ben oltre il semplice “mangiare meno e muoversi di più”. Eppure, lo stigma sociale e la colpevolizzazione dei pazienti continuano a essere tra i principali ostacoli per chi convive con questa patologia.
Sovrappeso e obesità, i numeri in Italia
Oggi in Italia un adulto su due è in sovrappeso (circa 23 milioni) o affetto da obesità (circa 6 milioni, il 12% della popolazione). Si assiste ad una impennata dei numeri dell’obesità, in crescita a livello globale, con un lentissimo assestamento sotto osservazione nei Paesi Occidentali, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità parla da tempo di “Globesità”. L’impatto della patologia sulla qualità della vita e sui costi sociali e sanitari è tale che le principali agenzie di salute pubblica considerano l’obesità come una delle principali sfide per i sistemi sanitari mondiali, paragonabile ai tumori e alle malattie cardiovascolari.
La palestra impossibile
Perdere peso è la cosa più difficile per chi soffre di obesità e non è una questione di forza di volontà, ma di funzionamento del corpo. Per cambiare la narrazione sulla patologia, nasce la campagna “Perdere peso non dipende solo da te. Il tuo corpo può fare resistenza”, accompagnata dall’installazione: “The Impossible Gym”, in Piazza dei Cinquecento, presso la Stazione Termini di Roma, aperta fino al 4 febbraio. L’installazione, inaugurata questa mattina dalla cantante Noemi, rappresenta le sfide quotidiane affrontate da chi vive con l’obesità. All’interno, attrezzi da palestra resi inutilizzabili da elastici gialli simboleggiano la “resistenza” del corpo al calo ponderale, un fenomeno biologico che rende particolarmente difficile perdere peso e mantenerlo nel tempo. Raffigura gli ostacoli fisici, biologici e psicologici con i quali devono convivere ogni giorno le persone con obesità. Per tutta la settimana, nell’area aperta al pubblico saranno presenti dietisti qualificati per rispondere alle domande dei visitatori, che potranno calcolare il proprio Indice di Massa Corporea (BMI) utilizzando una bilancia dedicata. All’interno dell’installazione si svolgeranno incontri informativi con medici specialisti per approfondire le tematiche legate alla gestione della patologia.
“Credo profondamente nella necessità di un cambiamento culturale sul tema del peso e, quindi, dell’obesità”, ha dichiarato Noemi. Il corpo di una persona è costantemente sotto gli occhi di tutti e il giudizio e pregiudizio purtroppo spesso accompagnano il pensiero e le parole delle persone. Ogni persona ha una storia diversa, che a volte racconta anche di una patologia difficile da comprendere. La corretta informazione e il superamento di pregiudizi possono cambiare le cose e creare una società più empatica e consapevole, in cui ogni persona possa sentirsi compresa e supportata nel proprio percorso. La salute deve rimanere l’aspetto più importante: riconoscere l’obesità come una patologia e il proprio corpo come qualcosa di cui prendersi cura è fondamentale”, ha concluso.
Obesità dipende da meccanismi neurologici in gran parte localizzati nel cervello
“L’obesità è legata ad una modificazione patologica dei meccanismi che nel nostro organismo regolano la fame e la sazietà, regolando di conseguenza il peso corporeo – ha spiegato Rocco Barazzoni, Presidente Società Italiana Obesità (SIO) e Professore Associato di Medicina Interna, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Trieste – questo tipo di alterazioni è indipendente dal controllo e dalla volontà della persona. Si tratta di meccanismi neurologici in gran parte localizzati nel cervello, ma che rispondono anche a segnali che arrivano dal tessuto adiposo e dall’intestino. Questi meccanismi complessi sono in grado di mantenere in condizioni fisiologiche il peso corporeo entro limiti che possiamo definire ‘normali’, o sani. È dimostrato che le persone affette da obesità presentano alterazioni di tali processi biologici che portano ad un rischio maggiore di aumentare la propria massa grassa. A questi meccanismi si associano anche fattori genetici, endocrini e ambientali. L’insieme di tutti questi elementi definisce l’obesità come malattia. In questi ultimi anni sono state introdotte cure innovative che permettono non solo una riduzione marcata del peso corporeo, ma anche di ridurre, prevenire e curare molte complicanze gravi e temibili. Ovviamente resta anche in questo caso fondamentale l’approccio bilanciato e sano alla dieta, e l’aumento dell’attività e dell’esercizio fisico in un approccio globale alla persona e alla malattia”.
Non basta l’Indice di Massa Corporea (BMI)
La comunità medica è sempre più consapevole che il solo peso corporeo non è sufficiente a definire lo stato di salute di un individuo. Alla valutazione dell’Indice di Massa Corporea (BMI)si deve almeno aggiungere la valutazione della distribuzione del grasso in eccesso (è noto che il grasso addominale è quello più pericoloso per lo sviluppo di complicanze gravi, tra cui le malattie cardiovascolari, metaboliche, endocrine). Anche la Lancet Commission e, qualche mese prima, la stessa Società Europea dell’Obesità hanno confermato che il peso di per sé è importante ma non sufficiente a stabilire il rischio clinico generale. In sintesi, il BMI dovrebbe restare al di sotto di 30 Kg/m2 per stabilire la soglia oltre la quale si parla di obesità, mentre tra 25 e 30 si parla di sovrappeso. A questa misurazione va aggiunto il parametro del grasso viscerale localizzato all’addome, con la misura del “giro vita”. Una circonferenza dell’addome elevata associata a un BMI anche inferiore a 30 dovrebbe essere considerata sufficiente per fare diagnosi di obesità.
Il peso psicologico delle persone con obesità
La quotidianità che vive una persona affetta da obesità è complicata e difficile, caratterizzata in molti casi da una sensazione di profonda solitudine, incomprensione, senso di colpa e percezione di perdita di autocontrollo. Questo genera un circolo vizioso che può portare l’individuo a perdere il contatto con l’esterno anche a causa dello stigma, del senso di inadeguatezza e della vergogna. Secondo il documento “Obesità in Italia. Percezioni, costi e sfide per il futuro”, realizzato nel 2024 da IPSOS, I-COM e Università del Piemonte Orientale (UPO) con il contributo incondizionato di Lilly, meno della metà degli italiani riconosce l’obesità come patologia cronica e fattore di rischio di altre patologie, mentre per più della metà l’obesità è il risultato di cattive abitudini e solo un fattore di rischio per altre patologie. Un quadro che favorisce lo stigma e rende urgente un cambio di prospettiva e politiche più coraggiose. Emerge anche quanto, nell’immaginario collettivo, l’obesità sia considerata una “colpa” dell’individuo e della mancanza di volontà: lo pensa il 64% del campione.
“Nessuna persona con obesità è contenta della propria condizione, anche se in apparenza la vive con il sorriso; scavando emerge sempre la sofferenza e il disagio – ha dichiarato Iris Zani, Presidente Associazione Amici Obesi che ha patrocinato l’iniziativa – il paziente avverte i limiti fisici del proprio corpo nella quotidianità, i limiti psicologici e poi ci sono i limiti non tangibili, quei complessi meccanismi che regolano la fame, la sazietà e il peso, che si oppongono al calo dei chili in eccesso e al mantenimento del peso raggiunto nel tempo. La maggior parte delle persone è convinta che l’obesità sia una responsabilità e una colpa dell’individuo, questo purtroppo è in parte dovuto alla mancanza di un riconoscimento ufficiale dell’obesità come malattia. Occorre scardinare questa non-cultura così radicata nel sentire comune con una nuova e diversa narrativa di questa malattia e mettere in atto cambiamenti collettivi e individuali con politiche che facciano leva su educazione, maggiore accesso a servizi e terapie mediche, campagne di sensibilizzazione per aumentare e diffondere la conoscenza sull’obesità. Cruciale il ruolo della stampa e dei media per modificare una rappresentazione della persona con obesità ancora troppo stigmatizzata e legata a stereotipi obsoleti e discriminanti”.
Sebbene l’obesità rappresenti una minaccia per la sostenibilità sociosanitaria ed economica del Paese, per decenni non è stata riconosciuta come una patologia cronica multifattoriale. Negli anni più recenti è cresciuta l’attenzione delle Istituzioni verso la patologia. “L’obesità è una delle sfide più urgenti per la salute pubblica, una patologia complessa che richiede un’azione coordinata da parte di Istituzioni, sistema sanitario e società – ha affermato Stefano Benigni, Membro XII Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati –l’istituzione del Fondo strutturale per la prevenzione e cura dell’obesità nella Legge di Bilancio rappresenta un passo decisivo per migliorare l’accesso e la continuità delle cure, sviluppare percorsi regionali di prevenzione e sostenere ricerca e formazione per i professionisti della salute. Il mio impegno sarà quello di assicurare che questo Fondo sia l’inizio di un percorso più ampio, per colmare i gap diagnostico-terapeutici e creare una rete integrata che migliori la qualità della vita dei pazienti”.
La campagna è realizzata da Lilly con il patrocinio dell’associazione pazienti Amici Obesi Onlus ed è supportata dal sito www.patologiaobesita.it.
Presbiopia, la malattia che non esiste
Anziani, Benessere, Eventi d'interesse, News, PrevenzioneLa scena è universale, quasi un rito di passaggio. Siamo al ristorante, la luce è soffusa, il menu è un capolavoro di calligrafia minuscola. Allunghiamo le braccia, strizziamo gli occhi, proviamo a inclinare il foglio. Poi, un’esclamazione rassegnata: ormai non ci vedo proprio! È l’esordio silenzioso della presbiopia, il “malanno degli anni che arrivano”, che dopo i 40 colpisce un po’ tutti, senza eccezioni. Ma se vi hanno raccontato che è la fine della giovinezza, sappiate che mentivano.
Cosa c’entra la fisica?
La presbiopia non è una malattia, ma un cambiamento fisiologico tanto inevitabile quanto prevedibile. Il cristallino, la lente naturale dell’occhio, perde progressivamente la sua elasticità giovanile. Questo processo può essere immaginato come ciò che accade ad un elastico che, dopo decenni di perfetto funzionamento, inizia a rilassarsi. Non si tratta di invecchiare male: si tratta semplicemente di invecchiare. Molti però lo vivono come un vero e proprio dramma personale, un “tradimento” del corpo? Ma il corpo non tradisce: evolve. E, cosa più importante, oggi ci sono gli strumenti per evolvere con lui.
Presbiopia, dagli occhiali progressivi al laser: le soluzioni che (davvero) funzionano
La buona notizia è che la presbiopia non è più una gabbia. Le opzioni per correggerla sono varie, come le esigenze di chi ne soffre:
Fortunatamente, negli anni, la tecnologia ha reso questi interventi sicuri e prevedibili. E in tanto dopo l’intervento si chiedono perché non lo abbiano fatto prima.
Il vero rischio? Ignorare i campanelli d’allarme
La presbiopia è inevitabile, ma alcune abitudini possono accelerarla o aggravarla. Si pensi ad esempio allo stare ore inchiodati agli schermi senza pause (la regola del 20-20-20: ogni 20 minuti, guardate un punto a 20 piedi per 20 secondi). Altra cattiva abitudine è trascurare gli occhiali da lettura per orgoglio, costringendo gli occhi a uno sforzo estenuante. Anche saltare i controlli oculistici annuali non è mai una buona idea, dimenticando che la presbiopia può nascondere patologie più serie (glaucoma, cataratta iniziale). A 50 anni, ricordano gli esperti in modo ironico, un controllo approfondito è come un tagliando per l’auto. Non si tratta solo di vedere meglio: si tratta di preservare la libertà di guidare la propria vita.
La rivoluzione è culturale: invecchiare con ironia (e occhi vigili)
C’è una scena nel film Il diritto di contare in cui la protagonista, matematica geniale sui 50, sfoggia occhiali dalla montatura blu elettrico. Non sono un accessorio: sono un’arma di seduzione intellettuale. La presbiopia, oggi, può essere vissuta con la stessa fierezza. In molti trasformano un difetto di vista i in un’occasione per reinventarsi. C’è chi sceglie lenti con un tocco di stile, chi opta per la chirurgia e torna a leggere senza occhiali, chi finalmente si concede quelle lezioni di pittura rimandate da anni. La vista è un senso dinamico: prendersene cura non è un addio alla gioventù, ma un biglietto per la prossima avventura.
Presbiopia, le domande frequenti
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Glaucoma, il nemico silenzioso della vista
Hikikomori: oltre la porta chiusa
Adolescenti, Genitorialità, NewsHikikomori, li chiamano così. Il termine è giapponese e significa “stare in disparte”, sono adolescenti e giovani adulti che vivono una realtà parallela in un mondo il cui orizzonte è delimitato da una porta chiusa e dalle pareti di una stanza. Quello degli hikikomori è un fenomeno sociale in crescita anche in Italia, con oltre 100.000 casi stimati. Per i genitori, comprendere questa condizione è il primo passo per rompere l’isolamento e accendere una speranza.
Chi sono gli hikikomori? Un identikit complesso
Non sono semplici “ragazzi pigri” o “dipendenti da internet”. Gli hikikomori scelgono volontariamente di ritirarsi dalla vita sociale, spesso a causa di un dolore profondo legato alle relazioni interpersonali, alla pressione scolastica o familiare, o a episodi di bullismo. Si tratta prevalentemente di giovani tra i 14 e i 30 anni che hanno di una sensibilità e un’intelligenza fuori dalla norma, ma schiacciati da aspettative esterne percepite come insostenibili.
Il ritiro può durare mesi o anni, con un uso della tecnologia che non è la causa, ma un rifugio: internet diventa l’unico canale per mantenere contatti con il mondo, studiare o coltivare interessi. “Internet è una salvezza per lo spirito”, ha spiegato in diverse interviste Elena Carolei, presidente di Hikikomori Italia, sottolineando come demonizzarlo sia un errore .
Le cause: una società che chiede troppo
Il fenomeno affonda le radici in un mix di fattori individuali, familiari e sociali. Psicologicamente, ansia, depressione o traumi come il bullismo possono innescare la chiusura. Dal punto di vista familiare, spesso si riscontrano genitori esigenti, con alte aspettative di performance, e dinamiche affettive complesse. Socialmente, la competizione, il culto della perfezione e la paura del giudizio creano un terreno fertile per l’isolamento .
«Mio figlio Paolo ha iniziato a vomitare prima delle partite di calcio e degli esami. Lo stress era ingestibile», racconta Mara, madre di un ex hikikomori, la cui testimonianza è un monito per tutti: i segnali iniziali sono spesso sottovalutati .
Come riconoscere i campanelli d’allarme
Non è pigrizia. È una reazione a un dolore che non riescono a verbalizzare, ribadisce in diverse interviste Marco Crepaldi, psicologo e fondatore di Hikikomori Italia .
Cosa possono fare i genitori? Cinque passi concreti
La tecnologia: un’ancora, non un nemico
Contrariamente ai luoghi comuni, internet non è il problema. Per molti hikikomori, è l’unico modo per preservare legami, studiare o esplorare passioni. “Luca ha ricostruito la fiducia in sé attraverso comunità online”, spiega Mara. Il vero rischio è l’esposizione a cyberbullismo o manipolazione: ecco perché un monitoraggio discreto della sicurezza online è essenziale .
Verso una speranza condivisa
Uscire dall’hikikomori è un percorso lento, non lineare, che richiede pazienza e amore incondizionato. “Le porte chiuse non sono definitive”, ricorda Mara. Con il giusto sostegno, molti ragazzi riescono a riaprirle, trovando nella famiglia un alleato, non un giudice.
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Dipendenza da videogiochi, allarme dell’OMS
TikTok diverso dagli altri social: più di 2 ore aumentano noia cronica e rischio disagio. Lo studio
Adolescenti, Benessere, News, Nuove tendenze, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneGuardare video su TikTok è diventata un’abitudine quotidiana per milioni di adolescenti. Ma quanto costa davvero questa dipendenza? Secondo uno studio condotto dall’Universitat Oberta de Catalunya e dall’Università Pompeu Fabra, pubblicato su Nature, passare più di due ore al giorno sull’app può compromettere la salute mentale.
Gli esperti hanno analizzato le abitudini di 1.000 ragazzi spagnoli, scoprendo che il 20% di loro supera le due ore quotidiane su TikTok, mentre oltre il 53% non scende mai sotto l’ora. Il fenomeno riguarda soprattutto le ragazze (25% contro il 15% dei ragazzi). Più aumenta il tempo trascorso sull’app, più peggiora la capacità di autoregolazione e il benessere digitale percepito.
Già studi precedenti avevano confermato che l’uso quotidiano dei social, per oltre due ore al giorno, è legato a bassa autostima, percezione negativa della salute mentale e maggior rischio di disagio psicologico e ideazione suicidaria.
Tik tok e l’algoritmo che intrappola
TikTok ha un algoritmo che si distingue dagli altri social, seleziona e propone video in base ai gusti dell’utente. Questo sistema incentiva un consumo passivo e costante, riducendo l’interazione tra utenti e alimentando un senso di dipendenza. Lo studio ha evidenziato che i ragazzi che usano l’app per più di due ore al giorno danno un punteggio medio di 2,93 alla loro capacità di gestire il tempo online (su una scala da 1 a 5), contro il 3,47 di chi guarda meno di mezz’ora.
Social e rischi per la salute mentale
Il consumo compulsivo di contenuti digitali non è senza conseguenze. Secondo un’analisi dell’Università di Toronto, pubblicata sul Journal of Experimental Psychology: General, l’utilizzo eccessivo di social media è associato a noia cronica, sintomi depressivi, ansia e comportamenti rischiosi.
La noia, anziché essere alleviata, viene amplificata dalla navigazione compulsiva tra video virali e contenuti effimeri. Questo stato mentale può sfociare in insoddisfazione, isolamento e persino aggressività.
Per limitare l’impatto di TikTok, gli esperti suggeriscono di promuovere l’educazione digitale nelle scuole, aiutando i ragazzi a sviluppare abitudini più sane.
SItI su OMS: ‘Fondamentale coordinamento globale’. Il ricordo di Carlo Urbani, medico che sfidò la SARS
News, One health, Ricerca innovazioneSorveglianza, prevenzione, gestione delle emergenze sanitarie e standardizzazione dei dati epidemiologici e assistenziali: sono queste alcune delle missioni fondamentali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come sottolineato in una nota la Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI).
“Come Società scientifica, siamo preoccupati per le critiche – dichiara il Dr. Enrico Di Rosa, Presidente della Società Italiana d’Igiene (SItI) – Pur riconoscendo che alcune critiche possono essere mosse nella gestione dell’OMS, i l ruolo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità svolge è fondamentale per le minacce alla Salute che devono essere continuamente studiate ed affrontate a livello planetario. L’Italia, oltretutto – ricorda il Dr. Di Rosa – vanta una lunga e prestigiosa storia di collaborazione con l’OMS grazie ai tanti medici, ricercatori, epidemiologi e operatori sanitari italiani che hanno prestato la loro opera nell’organizzazione e tra un ricordo speciale va a Carlo Urbani , il medico italiano che ha sacrificato la propria vita per contrastare la diffusione della SARS nel 2003.”
Ruolo dell’OMS
A livello globale, l’OMS promuove la copertura sanitaria universale e l’adozione di standard di sicurezza e qualità delle cure, con un’attenzione particolare ai Paesi più poveri e vulnerabili, sottolinea la SItI. Coordina gli sforzi internazionali di governi e comunità scientifiche per contenere le malattie infettive, gestire le emergenze sanitarie e sostenere programmi di prevenzione delle malattie cronico-degenerative. Si occupa, inoltre, del controllo dei rischi legati all’assistenza sanitaria, come le infezioni correlate all’assistenza (ICA) e la resistenza agli antibiotici (AMR). Fornisce supporto tecnico-scientifico e assistenza materiale ai Paesi meno ricchi, garantendo risposte rapide e coordinate alle crisi sanitarie.
SItI: necessitario un approccio globale, coordinato a livello internazionale
“I problemi e le minacce alla nostra salute hanno ormai un rilievo planetario (Planetary Health) e necessitano di un approccio globale, coordinato ed integrato a livello internazionale e non si può fare a meno di un organismo sovranazionale che monitori e studi i rischi ed i pericoli per la salute, e possa – assieme agli Stati membri – coordinare gli interventi. L’OMS rappresenta una consolidata rete globale di esperti, laboratori e istituzioni sanitarie che lavorano in sinergia per proteggere la salute pubblica a livello planetario.
Pur riconoscendo che alcune critiche possono essere mosse all’operato dell’OMS, è importante sottolineare che i board tecnico-scientifici e gli organismi di governance globale sono generalmente composti da rappresentanti degli Stati membri. Questi ultimi, eletti nelle assemblee periodiche, approvano con procedure democratiche i diversi atti, incluso il budget. Migliorare la trasparenza e la responsabilità in questi processi
rappresenta un obiettivo raggiungibile lavorando dall’interno”, sottolinea la SItI.
Il finanziamento
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è finanziata attraverso contributi obbligatori – versati dagli Stati membri in base alla loro capacità economica che rappresentano circa il 20% del bilancio – e contributi volontari che costituiscono l’80% del bilancio e provengono da Stati membri, organizzazioni internazionali, fondazioni private (es. Bill & Melinda Gates Foundation), ONG e aziende. I contributi spesso sono vincolati a specifici programmi o progetti. L’Italia, con circa 70 milioni nel biennio 2024-2025 è al 19° posto tra i finanziatori dell’OMS: metà di questa cifra attiene al contributo obbligatorio, calcolato su parametri demografici e economici, mentre l’altra metà è costituita da contributi volontari (tra gli altri paesi europei, per la Germania il contributo volontario supera il 75% del totale, per la Francia il 55%).
“L’Italia vanta, altresì, una lunga e prestigiosa storia di collaborazione con l’OMS: medici, ricercatori, epidemiologi e operatori sanitari italiani hanno prestato la loro opera nell’ambito dell’organizzazione, dimostrando straordinario impegno e sacrificio. Tra questi, un ricordo speciale va a Carlo Urbani, il medico italiano che ha sacrificato la propria vita per contrastare la diffusione della SARS nel 2003, salvando innumerevoli vite grazie al suo coraggio e alla sua dedizione.
Questi professionisti hanno svolto un ruolo chiave in progetti di prevenzione, nella lotta contro epidemie e pandemie, e contro ICA ed AMR e nella promozione di politiche sanitarie basate sull’evidenza. Il loro lavoro non solo ha contribuito a migliorare la salute pubblica a livello internazionale, ma ha anche rafforzato l’immagine dell’Italia come un Paese profondamente impegnato nella cooperazione sanitaria globale”, conclude Di Rosa.
Scoliosi, anche l’IA aiuta a guarire
AdolescentiImmaginiamo per un momento la colonna vertebrale: una struttura elegante e complessa, composta da 33 vertebre sovrapposte, che non solo sostiene il nostro corpo, ma ci permette di muoverci arrivando anche a fare cose straordinarie. In condizioni normali, questa colonna è diritta se osservata frontalmente, mentre mostra curve naturali se vista lateralmente. Tuttavia, in alcune persone, la colonna sviluppa una curvatura laterale anomala, assumendo una forma a “C” o a “S”. Questa condizione è nota come scoliosi. Colpisce circa il 2-3% della popolazione, con una prevalenza maggiore nelle ragazze, e spesso si manifesta durante l’adolescenza, periodo in cui il corpo è un cantiere in frenetica evoluzione . Ma cosa sappiamo oggi di questa patologia? E come possiamo affrontarla?
Diagnosi, il primo passo verso una soluzione
La scoliosi idiopatica, la forma più comune, è una sfida diagnostica. Non è solo una questione di “schiena storta”: coinvolge rotazioni vertebrali asimmetrie del tronco e, in casi avanzati, alterazioni funzionali come difficoltà respiratorie o dolore. L’angolo di Cobb (quello cioè che indica il grado della curva) si misura grazie ad una radiografia e resta il gold standard per quantificare la gravità, mentre lo scoliometro valuta l’angolo di rotazione del tronco (ATR). Uno studio recente su 314 bambini ha sfatato alcuni miti: né, lo sport né l’ipermobilità articolare sembrano essere fattori determinanti nello sviluppo della scoliosi, aprendo la strada a nuove ipotesi genetiche o biomeccaniche.
I trattamenti conservativi
Per le curve lievi (Cobb <20°) la cosa più utile è la ginnastica correttiva, gli esercizi specifici sono diventati nel corso degli anni un pilastro della terapia. L’acronimo inglese Scientific Exercises Approach to ScoliosisIl metodo (SEAS) ad esempio indica un metodo che mira non solo a correggere la curva, ma a potenziare l’equilibrio del corpo, migliorando la qualità di vita. Uno studio turco del 2024 ha dimostrato che gli esercizi tridimensionali (3D), combinati con esercizi di respirazione e controllo posturale riducono l’angolo di Cobb e migliorano la funzione polmonare nei bambini con artrite idiopatica giovanile .
Diverso è il discorso nel caso di forme di scoliosi più gravi (curve moderate 20°-40°). In questi casi il corsetto è spesso indispensabile. Una revisione del 2023 conferma la sua efficacia nel rallentare la progressione, soprattutto se abbinato alla fisioterapia. Tuttavia, l’aderenza al trattamento è cruciale: indossare un corsetto tante ore nel corso di una giornata è molto faticoso, serve tanta determinazione, ma i risultati – come dimostrano decenni di studi – valgono lo sforzo.
Innovazioni: osteopatia e intelligenza artificiale
Il futuro della terapia guarda alla sinergia tra tradizione e tecnologia. Uno studio italiano del 2025, presentato all’Università La Sapienza, ha esplorato gli effetti del trattamento manipolativo osteopatico (OMT) su 60 pazienti. I risultati? Miglioramenti significativi nella cifosi toracica e nel tilt pelvico, grazie a un riequilibrio biomeccanico supportato da analisi 3D e algoritmi di IA . L’intelligenza artificiale, in particolare, sta rivoluzionando la valutazione: sistemi avanzati analizzano la postura in tempo reale, offrendo dati precisi senza l’uso massiccio di radiografie, un vantaggio soprattutto per i giovani pazienti.
Esiste anche una sfida psicologica da vincere. La scoliosi non è solo un problema fisico; l’impatto estetico, specie negli adolescenti, può minare l’autostima. Scale come la Walter Reed Visual Assessment Scale (WRVAS) aiutano a quantificare questo disagio, mentre approcci olistici, come il metodo SEAS, integrano sostegno emotivo nel percorso riabilitativo.
Cosa ci riserva il futuro?
La ricerca è in fermento. Gli studi recenti sottolineano l’importanza di protocolli personalizzati, dove esercizi, tecnologie e terapie manuali si adattano alle esigenze del singolo. Restano però domande aperte: come prevenire la scoliosi? Quali geni sono coinvolti? E come migliorare l’aderenza ai trattamenti a lungo termine? A queste domande occorrerà dare delle risposte, ma serviranno ancora anni.
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Diabete: un nuovo percorso terapeutico assistenziale per gestire i ricoveri in Pronto Soccorso
Associazioni pazienti, Eventi d'interesse, News, PrevenzioneSecondo le stime, 3,5 milioni di italiani convivono con il diabete. I dati rivelano che una persona su sei affetta dalla patologia viene ricoverata in ospedale almeno una volta all’anno, restando in osservazione per un periodo prolungato fino a 36 ore. Questa situazione contribuisce al grave sovraffollamento dei pronto soccorso, costretti a gestire le complicanze di patologie croniche. Nel caso del diabete, i ricoveri sono principalmente causati da una gestione inadeguata della terapia farmacologica, dal mancato monitoraggio dei livelli glicemici e da una scarsa aderenza terapeutica. Inoltre, l’insufficienza della medicina di iniziativa aggrava ulteriormente i costi per il Servizio Sanitario.
Diabete, presentato nuovo PDTA
Da questi dati nasce l’incontro di oggi, promosso dalla rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB) presso l’Istituto Sturzo, sotto l’egida dell’Intergruppo Parlamentare Diabete, Obesità e Stili di Vita e con la partecipazione delle società scientifiche e delle associazioni dei pazienti. L’obiettivo del Dialogue Meeting è formulare un primo documento-proposta per un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PTDA) a favore della persona con diabete in pronto soccorso. “Nell’ambito di una più efficiente gestione della patologia diabetica ritengo di assoluta utilità disporre di uno strumento di lavoro e di indirizzo contenente indicazioni per superare l’assenza di una reale continuità assistenziale tra ospedale e territorio nella gestione del rapporto tra cronicità ed acuzie – ha dichiarato in un suo messaggio di adesione all’iniziativa la Sen. Daniela Sbrollini, Vice Presidente della 10° commissione permanente del Senato e Presidente dell’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e per le malattie croniche non trasmissibili – la medicina del territorio e le future case di comunità dovranno creare i presupposti per liberare i pronto soccorso dai casi non urgenti che sarebbero gestibili al di fuori dei presidi ospedalieri”.
Il documento, redatto da un comitato scientifico ed istituzionale, sottolinea la mancanza di una strutturata continuità assistenziale tra ospedale e territorio e raccomanda di concretizzare una gestione integrata dei dati clinici che possa essere disponibile ai diversi operatori sanitari che gravitano attorno alla persona con diabete.
Inoltre i dati fanno emergere ancora un inadeguato utilizzo dell’innovazione tecnologica che oggi migliorerebbe la gestione della patologia. In proposito il Dott. Federico Serra, capo della segreteria tecnica dell’Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete, ha sottolineato: “Rafforzando una organica presa in carico del paziente cronico e diabetico sul territorio si contribuisce ad alleggerire la pressione sui pronto soccorso che sono un caposaldo centrale del nostro sistema sanitario nel quale gli operatori devono prestare la propria opera con un minor livello di affanno. Inoltre – ha proseguito il parlamentare – va ricordato che l’accesso al pronto soccorso nelle aree interne marginali è particolarmente difficile e che l’ausilio dell’innovazione tecnologica potrebbe offrireun valido supporto per la prevenzione di episodi acuti”.
Oggi ci sono diversi PDTA (regionali e/o Aziendali) per il diabete che identificano iter, sequenza e tempi del processo assistenziale che dovrebbe assicurare appropriatezza ed efficacia. Tuttavia le persone con diabete continuano ad accedere ai pronto soccorso a causa del mancato controllo glicemico e accade frequentemente che siano gli stessi servizi di emergenza a diagnosticare il diabete. “Si pone quindi la necessità– ha dichiarato la Prof.ssa Paola Pisanti, coordinatrice del comitato che ha realizzato il documento-proposta – che si metta a punto un nuovo PTDA specifico che prenda le mosse da un’adeguata formazione del personale ospedaliero/territoriale, e che preveda – prima della sua dimissione – una organica azione informativa sul paziente oltre che sull’eventuale caregiver e che porti ad una reale e successiva presa in carico della persona con diabete sia in età adulta che in età evolutiva,(in particolare diabete di tipo 1) in tutte le fasi di necessaria assistenza. Un insieme di elementi informativi che deve trasferire maggior consapevolezza della malattia, focus adeguato circa l’importanza dell’aderenza terapeutica che oggi può essere resa più efficiente anche con l’utilizzo dei dispositivi autogestiti di monitoraggio continuo della glicemia”.
Pronto soccorso per raccogliere dati e fare programmazione
Il pronto soccorso è di fatto un polo di acquisizione di dati e informazioni sul numero di accessi per la mancata presa in carico da parte della rete territoriale diabetologica e sulla valutazione della ripetitività prescrittiva dei medici di medicina generale/ pediatri di libera scelta o sul loro mancato engagement del paziente. Inoltre possono monitorare gli accessi determinati dal piede diabetico – da considerarsi come indicatore indiretto di inadeguatezza del PDTA adottato e della scarsa diffusione della medicina di iniziativa – ma anche la percentuale di utilizzo dei dispositivi di monitoraggio in continuo dei livelli glicemici.
I lavori sono stati presieduti dal Prof. Andrea Lenzi, Emerito di Endocrinologia all’Università La Sapienza di Roma e Presidente del Comitato di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio che, durante la sua Lectio magistralis, ha sottolineato: “… se si considera che la spesa sanitaria annuale per la patologia diabetica – parliamo solo dei costi diretti – è di circa 10 miliardi di euro, il 53 per cento dei quali è assorbito dalla spesa ospedaliera, si comprende bene come sia fondamentale un approccio organizzativo più efficace ed efficiente che passi da una logica ancora prevalente di sanità di attesa ad una più incisiva logica di sanità di iniziativa, caratterizzata anche da attività di prevenzione e formazione sui pazienti e sui caregivers”.
Chirurgia pediatrica, inaugurato in Ruanda il Centro IRCAD Africa
Rubriche, Medicina SocialeC’è un luogo, a pochi chilometri dal cuore pulsante di Kigali, in Ruanda, dove il futuro della sanità africana sta prendendo forma. Un luogo che non è solo un centro di formazione, ma un faro di speranza per milioni di bambini e famiglie. La scorsa settimana è stato inaugurato IRCAD Africa, il più grande centro di formazione chirurgica del continente, un progetto che promette di rivoluzionare l’accesso alle cure mediche in Africa.
All’inaugurazione, accanto al Presidente del Ruanda Paul Kagame e al Ministro della Sanità, c’erano anche volti familiari per chi segue da vicino le battaglie per la salute globale. Tra questi, il professor Ciro Esposito dell’Università di Napoli Federico II, uno degli artefici di questa impresa. “È nostro dovere aiutare le popolazioni africane”, spiega il professor Esposito, con quella passione che chi lo conosce bene riconosce immediatamente. “Formare nuove generazioni di chirurghi pediatri non è solo un atto di solidarietà, ma un investimento per il futuro di un intero continente”.
La crisi dei chirurghi pediatri in Africa
I numeri parlano chiaro: a Kigali, una città di oltre 2 milioni di abitanti, ci sono solo 3 chirurghi pediatri. Una carenza drammatica, che lascia migliaia di bambini senza accesso a cure chirurgiche essenziali. Eppure, proprio da qui, dal cuore dell’Africa, sta nascendo una risposta concreta.
Nei giorni successivi all’inaugurazione, si è tenuto il primo corso di formazione in Chirurgia Pediatrica, organizzato proprio dal professor Esposito e dal professor Arnaud Bonnard dell’Università Paris Descartes. Un’esperienza intensa, durata quattro giorni, con oltre 40 ore di attività teoriche e pratiche. Cinquanta chirurghi pediatri provenienti da tutto il continente hanno affollato le sale di IRCAD Africa, pronti a imparare e a portare a casa nuove competenze.
Tecnologia e collaborazione
Il team di docenti, composto da esperti internazionali tra cui la professoressa Escolino, la professoressa Monatalvo, il professor Guelfand e il professor Patkowski, ha lavorato senza sosta, trascorrendo fino a 10 ore al giorno in sala operatoria accanto ai colleghi africani. L’obiettivo? Insegnare le tecniche chirurgiche più avanzate, in particolare quelle mini-invasive, che riducono i tempi di recupero e i rischi per i piccoli pazienti.
Ma IRCAD Africa non è solo un centro di formazione. È anche un hub di innovazione. Grazie a un progetto di ricerca chiamato “Disrumpere”, sviluppato in collaborazione con l’Università di Parigi e l’Università Federico II di Napoli, l’intelligenza artificiale diventerà uno strumento fondamentale per migliorare la gestione delle patologie mediche e chirurgiche. “L’AI ci permetterà di stabilire collegamenti remoti, scambiare informazioni in tempo reale e persino eseguire interventi a distanza”, spiega Esposito.
Un ponte tra Napoli e Kigali
Uno degli aspetti più emozionanti di questa iniziativa è la collaborazione tra IRCAD Africa e l’Associazione Onlus Amici della Chirurgia Pediatrica Federico II. Grazie a un accordo siglato di recente, molti chirurghi africani avranno l’opportunità di completare la loro formazione a Napoli nel 2025. “Sono orgoglioso che due docenti della Federico II siano stati protagonisti di questo primo corso a Kigali”, dice il professor Esposito. “Ma soprattutto, sono felice che nei prossimi mesi potremo continuare a lavorare insieme, formando i giovani chirurghi pediatri africani e portando avanti progetti che cambieranno la vita di milioni di persone”.
Le parole del presidente Kagame
Durante l’evento, trasmesso in diretta televisiva in tutto il Ruanda, il Presidente Paul Kagame ha sottolineato l’importanza di IRCAD Africa per il futuro del paese. “Questo centro avrà un impatto positivo sulla vita di milioni di persone, in particolare sui bambini”, ha dichiarato. “È un passo avanti verso un’Africa più sana e più forte”.
Perché IRCAD Africa è una Svolta?
Un simbolo di speranza
IRCAD Africa non è solo un centro chirurgico. È un simbolo di ciò che si può ottenere quando la scienza, la tecnologia e la solidarietà si uniscono per un obiettivo comune. È la prova che, anche nelle sfide più difficili, c’è sempre spazio per la speranza. E mentre nuovi chirurghi africani si formano con nuove competenze portano una rinnovata determinazione, il tutto nella consapevolezza che un nuovo capitolo per la sanità africana è appena iniziato.
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PMA: fino al doppio degli ovociti con 12 iniezioni in meno
Genitorialità, Ricerca innovazioneUn nuovo protocollo farmacologico può massimizzare i risultati ottenuti in un ciclo di Procreazione medicalmente assistita, riducendo le ‘punture’. Lo afferma uno studio italiano, dal titolo: A multicycle approach through DuoStim with a progestin‑primed ovarian stimulation (PPOS) protocol: a valuable option in poor prognosis patients undergoing PGT‑A, pubblicato sul ‘Journal of Assisted Reproduction and Genetics’. Secondo i risultati, un protocollo innovativo, già in uso, può essere reso ancora più efficiente e meno invasivo, attraverso l’utilizzo mirato di farmaci che consentono di ridurre di 12 iniezioni sottocute tutta la stimolazione.
PMA, i risultati dello studio
“Il gruppo di studio era formato da 444 coppie trattate presso una nostra clinica – spiega Alberto Vaiarelli, ginecologo e responsabile medico-scientifico del centro Genera di Roma – Abbiamo effettuato la doppia stimolazione ormonale integrando l’utilizzo di farmaci progestinici orali, che consentono grazie alla somministrazione per bocca di ridurre al minimo il numero di iniezioni sottocutanee e semplificano il monitoraggio ecografico durante il trattamento, nonché abbassandone anche il costo che, a oggi, è a carico dei pazienti. I risultati ci confermano che DuoFiv+, evoluzione del protocollo DuoStim, è un’opzione efficace, semplificata e molto valida per le pazienti a bassa prognosi per età materna avanzata e/o ridotta riserva ovarica, che effettuano la diagnosi genetica pre-impianto o che preservano la fertilità, e in generale che hanno la necessità di ottimizzare i tempi del loro percorso verso la gravidanza”.
Rischi di complicanze