Tempo di lettura: 2 minutiIeri si è celebrata la giornata mondiale dell’ ictus. La ricerca epidemiologica oggi ha dimostrato che più del 50% degli eventi può essere prevenuto. Per le dimensioni epidemiologiche di questa patologia, l’impatto socio-economico e le sue conseguenze in termini di mortalità, disabilità e disturbi della capacità cognitiva, diventa fondamentale la prevenzione, sia sulle persone ad elevato rischio sia su coloro che hanno già avuto un evento.
Gli ultimi dati di mortalità disponibili dal Rapporto Istisan 2014 riportano per gli uomini di tutte le età 22.488 decessi, con tasso standardizzato di 76,82 x 100.000 persone, e per le donne 34.520 decessi, con tasso standardizzato 63,44 x 100.000. Sebbene in numeri assoluti la malattia cerebrovascolare produca più eventi nelle donne, perché più numerose in età avanzata, a parità di età gli uomini risultano più colpiti.
L’Italia è un Paese ad elevato rischio di ictus sia per la sopravvivenza più elevata rispetto ad altri Paesi (l’ictus colpisce in età più avanzata rispetto alla cardiopatia ischemica), sia per lo stile di vita che l’alimentazione. Inoltre alcune condizioni che si ritrovano più frequenti in età avanzata sono riconosciute come predittori dell’ictus (per esempio, la fibrillazione atriale, l’ipertrofia ventricolare sinistra, lo spessore medio-intimale delle arterie, l’infarto del miocardio).
Per chi ha già ha avuto un evento cardiovascolare o soffre di episodi di fibrillazione atriale esistono oggi terapie molto efficaci che permettono di vivere con una buona qualità di vita. La prevenzione dell’ ictus parte però anche da a un corretto stile di vita. È stato osservato ad esempio che persone che hanno episodi di fibrillazione atriale, durante i mesi estivi registrano meno episodi, così come durante i fine settimana. Un andamento che rispetta l’aumento del movimento: in estate, come durante i fine settimana si tende a svolgere più attività fisica che durante la stagione invernale.
I trattamenti farmacologici non rappresentano, dunque, una alternativa agli stili di vita, ma devono essere accompagnati da un cambiamento di abitudini: abolizione del fumo; riduzione del consumo di bevande alcoliche (non più di un bicchiere di vino al giorno); diminuzione del consumo di sale (facendo attenzione anche alla quantità contenuta negli alimenti preconfezionati); riduzione dei grassi animali e colesterolo (in particolare di carni, burro, panna, formaggi e uova).
Questo vale anche perché chi non ha mai avuto un evento: l’attività fisica (nel senso di movimento quotidiano, camminata a passo svelto, andare in bicicletta, salire le scale a piedi) deve impegnare almeno 150 minuti a settimana, e nei bambini almeno 60 minuti al giorno; l’alimentazione deve essere varia e bilanciata con molta verdura e frutta, legumi, cereali integrali, pesce e poca carne, tutto in porzioni modeste.
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HIV non si arresta in Europa. I dati della 16ª Conferenza europea
PrevenzioneL’Hiv continua a marciare in Europa. Nel 2015 sono stati diagnosticati quasi 30 mila nuovi casi. Una situazione che non è affatto migliorata negli ultimi dieci anni.
Nella 16a edizione della European Aids Conference gli esperti hanno affrontato le sfide epidemiologiche del futuro.
“Osservando i dati, notiamo come i diversi Paesi applichino i vari strumenti di prevenzione e trattamento in modo molto differente, dalla diagnosi in poi. Il risultato è che la prevenzione e l’incidenza dell’Hiv nella regione europea variano ampiamente: questa disomogeneità rappresenta la vera sfida per la futura risposta globale europea all’Hiv”. A dirlo è Anastasia Pharris, esperta dell’Hiv dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), in apertura della discussione al centro dell’ultima giornata della 16a edizione della European Aids Conference.
“Per ridurre il numero delle nuove infezioni – ha continuato – l’Europa deve concentrare tutti i suoi sforzi in tre aree principali: dare priorità ai programmi di prevenzione, facilitare la diffusione del test dell’Hiv e, naturalmente, agevolare l’accesso al trattamento per chi è stato diagnosticato”.
Secondo i più recenti dati sul continuum of care, che l’Ecdc sta monitorando in Europa e in Asia Centrale, 1,2 milioni di persone vivono con l’Hiv, e solo il 75% di queste ha ricevuto una diagnosi. “Tra questi casi diagnosticati – ha spiegato Teymur Noori, esperto di Hiv dell’Ecdc – circa uno su quattro non sta ricevendo alcun trattamento. Sebbene il trattamento per l’Hiv sia efficace, due persone su cinque con Hiv non hanno raggiunto la soppressione virale. Questo significa che una percentuale significativa di persone in Europa e in Asia Centrale non beneficia dei trattamenti altamente efficaci per l’Hiv, e che la trasmissione continua, soprattutto tra le popolazioni chiave”.
A questi numeri vanno aggiunti coloro che convivono con il virus senza saperlo e sfuggono alle statistiche ufficiali. Durante la prima giornata della confernza gli esperti hanno parlato di almeno 122 mila persone.
Inoltre si stima infatti che, a livello mondiale, 2,3 milioni di pazienti siano coinfetti da Hiv ed Hcv. La maggior parte di loro ha una storia di uso di droghe con siringa. Con l’avvento degli antivirali per il trattamento dell’epatite C, l’eliminazione dell’Hcv è diventata un obiettivo raggiungibile, nonostante questo la percentuale di persone che raggiungono risposte virologiche dopo la terapia Hcv in Europa continua a rimanere bassa, evidenziando gli ostacoli all’accesso alle cure per l’Hcv e una forte necessità di miglioramento in quest’area.
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Stili di vita, i segreti per invecchiare al meglio
Prevenzione, RubricheUna vita media che tende ad innalzarsi, ma anche una natalità fortemente ridotta, e ovviamente l’aumento di malattie croniche legate all’età. A conferma che «vivere di più» non significa necessariamente «vivere meglio», nelle scorse settimane il presidente dell’Istituto nazionale di statistica, Giorgio Alleva, ha tenuto una lectio magistralis organizzata da Federsanità Anci e dal Centro documentazione dei comuni italiani, dal titolo «La salute degli italiani. Aspetti sociali e demografici». Alleva ha ben chiarito che, se una volta la domanda principale era: «Quanto vivremo?», l’interrogativo di oggi è: «Come sarà la qualità della vita nei tanti anni in cui vivremo?». Del resto, sempre più spesso si sente parlare di limitazioni funzionali e malattie croniche. Inoltre, l’Istat ha certificato che il miglioramento dei tassi di mortalità in generale ha un secondo aspetto che non può essere ignorato: è accompagnato da una riduzione del tasso di natalità, con una progressiva riduzione della quota di giovani. Tanto per citare qualche numero, dei 103mila nati in meno in Italia tra il 2008 al 2016, solo l’un terzo dipende dal fatto che le donne in età feconda sono diminuite.
Il calo delle nascite
Il dato registrato nel 2016 è pari solo al record negativo osservato nella seconda metà del 500, quando però l’Italia aveva un quinto della popolazione odierna. Nella fascia di popolazione fra i 18 e i 34 anni, il saldo è sceso di 1,1milioni di persone. Tanto che l’Istat stima per il 2065 una vera e propria «rivoluzione grigia». La questione sanitaria è evidente, visto che circa 1 anziano su 2 soffre di almeno una malattia cronica grave o è multi cronico e che la riduzione di autonomia personale riguarda oltre 1 anziano su 10. Resta grave anche il divario tra regioni, la speranza di vita vede differenze territoriali piuttosto marcate. Il differenziale tra le regioni italiane è di 3 anni ad esempio tra Trentino Alto Adige e Campania, inoltre le differenze sono ancor più marcate se si guarda alla speranza di vita in buona salute. Addirittura, considerando la seconda regione, che è l’Emilia Romagna, la differenza con quella meno performante, che è la Calabria, è di 10 anni. Quindi tra la seconda e l’ultima delle regioni italiane c’è una differenza di 10 anni di buona salute, secondo quella che è la percezione dei cittadini. (continua a leggere)
La lotta all’ ictus parte dalla prevenzione primaria
PrevenzioneIeri si è celebrata la giornata mondiale dell’ ictus. La ricerca epidemiologica oggi ha dimostrato che più del 50% degli eventi può essere prevenuto. Per le dimensioni epidemiologiche di questa patologia, l’impatto socio-economico e le sue conseguenze in termini di mortalità, disabilità e disturbi della capacità cognitiva, diventa fondamentale la prevenzione, sia sulle persone ad elevato rischio sia su coloro che hanno già avuto un evento.
Gli ultimi dati di mortalità disponibili dal Rapporto Istisan 2014 riportano per gli uomini di tutte le età 22.488 decessi, con tasso standardizzato di 76,82 x 100.000 persone, e per le donne 34.520 decessi, con tasso standardizzato 63,44 x 100.000. Sebbene in numeri assoluti la malattia cerebrovascolare produca più eventi nelle donne, perché più numerose in età avanzata, a parità di età gli uomini risultano più colpiti.
L’Italia è un Paese ad elevato rischio di ictus sia per la sopravvivenza più elevata rispetto ad altri Paesi (l’ictus colpisce in età più avanzata rispetto alla cardiopatia ischemica), sia per lo stile di vita che l’alimentazione. Inoltre alcune condizioni che si ritrovano più frequenti in età avanzata sono riconosciute come predittori dell’ictus (per esempio, la fibrillazione atriale, l’ipertrofia ventricolare sinistra, lo spessore medio-intimale delle arterie, l’infarto del miocardio).
Per chi ha già ha avuto un evento cardiovascolare o soffre di episodi di fibrillazione atriale esistono oggi terapie molto efficaci che permettono di vivere con una buona qualità di vita. La prevenzione dell’ ictus parte però anche da a un corretto stile di vita. È stato osservato ad esempio che persone che hanno episodi di fibrillazione atriale, durante i mesi estivi registrano meno episodi, così come durante i fine settimana. Un andamento che rispetta l’aumento del movimento: in estate, come durante i fine settimana si tende a svolgere più attività fisica che durante la stagione invernale.
I trattamenti farmacologici non rappresentano, dunque, una alternativa agli stili di vita, ma devono essere accompagnati da un cambiamento di abitudini: abolizione del fumo; riduzione del consumo di bevande alcoliche (non più di un bicchiere di vino al giorno); diminuzione del consumo di sale (facendo attenzione anche alla quantità contenuta negli alimenti preconfezionati); riduzione dei grassi animali e colesterolo (in particolare di carni, burro, panna, formaggi e uova).
Questo vale anche perché chi non ha mai avuto un evento: l’attività fisica (nel senso di movimento quotidiano, camminata a passo svelto, andare in bicicletta, salire le scale a piedi) deve impegnare almeno 150 minuti a settimana, e nei bambini almeno 60 minuti al giorno; l’alimentazione deve essere varia e bilanciata con molta verdura e frutta, legumi, cereali integrali, pesce e poca carne, tutto in porzioni modeste.
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Infezioni ospedaliere: boom negli ultimi 10 anni, più vittime che sulla strada
PrevenzioneNonostante i ricoveri siano 3 milioni in meno rispetto al 2007, le infezioni ospedaliere in corsia, sia mediche che chirurgiche, sono letteralmente esplose negli ultimi 10 anni, con incrementi preoccupanti in quasi tutto il territorio.
In Italia nel 2015, secondo l’Istat e l’ultimo rapporto di Epicentro, il portale curato dal Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità, le infezioni ospedaliere causano ogni anno più vittime degli incidenti stradali: tra 4.500 e 7mila decessi contro 3.419 vittime della strada. Circa il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera. Quasi 500mila casi, dovuti soprattutto a infezioni urinarie, di ferite chirurgiche, polmoniti e sepsi. Di queste, si stima che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili (dalle 135 alle 210mila) e che siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi.
Analizzando la situazione nelle Regioni, il confronto tra il 2016 e il 2007 mostra che per le infezioni mediche le uniche Regioni a registrare un calo sono Trento, Friuli Venezia Giulia e Liguria, mentre per quelle chirurgiche Toscana, Abruzzo e Molise.
Con la particolarità però che, analizzando per grandi linee i risultati della mobilità ospedaliera dei due anni a confronto, si vede che a Trento, Friuli Venezia Giulia e Toscana il dato è andato sempre migliorando negli anni, cosa che non è accaduta in Liguria dove la mobilità passiva è peggiorata di oltre 7.500 ricoveri nel 2016 rispetto al 2007, in Molise di quasi 4.500 ricoveri e in Abruzzo di oltre 11mila ricoveri. Un segnale questo che il miglioramento nelle prestazioni potrebbe essere legato anche a un ridotto numero di ricoveri rispetto alle condizioni originarie del 2007.
Nel 2016, comunque, le Regioni con un saldo di mobilità attiva erano 8 contro le dieci del 2007 (nove nel 2010 e ancora 8 nel 2015).
Dal punto di vista economico, secondo la ricerca Burden economico delle infezioni ospedaliere in Italia del maggio 2017, realizzata dal Ceis dell’Università di Roma Tor Vergata, per ogni infezione ospedaliera si stimano tra i 9mila e 10.500 euro.
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Farmaci, un software intelligente ne riduce l’abuso
News Presa, PrevenzioneGli italiani sono troppo dipendenti dai farmaci. E al cosa grave è che questa tendenza sembrerebbe essere legata ad un eccesso di prescrizioni di farmaci agli anziani, inutili e spesso dannose. Si entra in ospedale con cinque farmaci e si esce con l’aggiunta di un paio di nuove medicine, nel 44% dei casi non necessarie, e che spesso «cozzano» con le terapie precedenti, provocando interazioni ed effetti collaterali che nel giro di tre mesi in un caso su cinque rendono necessario un nuovo ricovero. A lanciare l’allarme sono gli esperti riuniti per il Congresso nazionale della Società italiana di medicina interna (Simi), sottolineando come circa un milione di over 65 vada in ospedale per problemi legati ai farmaci assunti e oltre due milioni sperimenti ogni anno una reazione avversa da farmaci, con aumento di visite mediche e specialistiche. Il 25% sarebbe evitabile, così come il 55% dei ricoveri, migliorando l’appropriatezza nelle prescrizioni e riducendo i farmaci inutili.
Sensibilizzare i medici
La Simi, insieme all’Istituto Mario Negri di Milano, ha scelto di dare vita al progetto «De-prescribing» per la riduzione e sospensione dei farmaci, un progetto che coinvolgerà oltre 300 tra medici di medicina generale, internisti e geriatri ospedalieri. Attraverso l’ausilio di software intelligenti per il controllo dei farmaci portati con sé dal paziente, telefonate e sms dei medici, diari degli effetti collaterali, colloqui più approfonditi coi pazienti è possibile ridurre di oltre il 30% il carico delle terapie negli anziani, ottimizzando la gestione della cura. «Il ricovero è un momento cardine ma oggi, anziché essere l’occasione per una revisione critica delle terapie nell’ottica di tagliare medicinali inutili o inappropriati, è purtroppo una circostanza in cui il carico di farmaci aumenta», osserva Franco Perticone, presidente Simi. Lo dimostrano i dati dello studio Reposi (REgistro POliterapie SIMI), raccolti dal 2008 dalla Simi con l’Istituto Mario Negri e il Policlinico di Milano, su oltre 5.000 pazienti ricoverati nei reparti di medicina interna e geriatria di tutta Italia. Secondo i risultati dello studio il 60% degli anziani quando arriva in ospedale prende 5 farmaci al giorno e, alle dimissioni, esce con 7, con un’aggiunta in media di due farmaci a ogni ricovero.
Troppi ricoveri
Il carico aumenta spesso senza che ve ne sia un reale bisogno e tutto questo crea un effetto “porte girevoli” per cui i ricoveri si susseguono a causa di terapie non adeguatamente gestite. Le difficoltà a semplificare e ad alleggerire la terapia derivano soprattutto dalla mancanza di linee guida specifiche, dal timore dei pazienti di sospendere i farmaci e dal preoccupante fenomeno della medicina difensiva. Dai dati del Registro emerge inoltre che, sei milioni di over 65 prendono ogni giorno più di cinque medicinali, 1,3 milioni addirittura più di dieci al giorno, oltre 3 milioni sono esposti al rischio di interazione fra i tanti medicinali assunti, che in 1 milione di casi può essere estremamente grave rendendo necessario il ricovero. Con un taglio ragionato e appropriato alle politerapie, i ricoveri potrebbero ridursi di oltre il 50% con un risparmio di circa 5 miliardi di euro dei costi delle cure per gli over 65, che oggi sfiorano i 16 miliardi e drenano il 70% della spesa sanitaria nazionale.
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Ora solare: aumento dei crimini nelle successive 24 ore
Ricerca innovazioneMancano poche ore al ritorno dell’ora solare. Uno degli effetti pare sia un aumento delle aggressioni del 3% nel primo giorno dopo il cambio. Proprio così: lo spostamento delle lancette dell’orologio è correlato a un aumento della violenza. A metterlo in evidenza è stato uno studio pubblicato dal Journal of Experimental Criminology dell’università della Pennsylvania, che ha trovato anche la relazione inversa, con un calo dei crimini, nel giorno in cui invece si passa all’ora legale.
I ricercatori sono arrivati al risultato consultando i dati del National Incidence Based Reporting System americano, a cui hanno aggiunto quelli delle città di Philadelphia, Los Angeles, Chicago e New York, alla ricerca di eventuali effetti del maggiore o minore sonno sui reati violenti. Dai dati è emerso che, rispetto al lunedì precedente, le aggressioni diminuiscono del 2,9% quando si dorme un’ora in meno, quando cioè entra l’ora legale, mentre è stata notata anche la relazione inversa, con un aumento di questi crimini del 2,8% il giorno dopo il ritorno all’ora solare.
La relazione tra i crimini e l’ora solare è difficile da spiegare ed è contraria alle altre già trovate, con un’ora in meno di sonno che causa un aumento degli incidenti stradali, degli infortuni sul lavoro, dei crolli in borsa. “Una persona può pensare che se dorme meno sarà nervosa e aggressiva – scrivono -. Probabilmente si ha la propensione ad agire più aggressivamente, ma il comportamento non la riflette perchè si è stanchi, troppo letargici e assonnati per agire”. Chi lo avrebbe mai detto che un’ora in più di sonno potesse fare arrabbiare.
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Da Bari un trucco contro il cancro
News PresaPazienti a scuola di trucco, pronti a rifarsi il look. Piccoli escamotage, lontani dalla vanità, possono infatti camuffare gli effetti collaterali dei trattamenti terapeutici e cali di autostima, ridando nuova linfa a volti affaticati e in preda alle storture della malattia. È questa la mission con cui lunedì 30 ottobre alle ore 16.30 presso la sala d’attesa degli ambulatori di Oncologia medica per la presa in carico del paziente, sarà inaugurato l’Atelier di maquillage correttivo, uno spazio benessere di bellezza e cosmesi, abitato dal cuore grande dei volontari e rivolto ai pazienti oncologici, per sfumare le loro giornate in bianco e nero con pennellate di colori. «Il servizio è rivolto a tutti i pazienti in corso di trattamento chemioterapico– precisa il dottor Attilio Guarini, Direttore dell’Unità operativa di Ematologia, abituato a pensare al plurale, mettendo progettualità e inventiva al servizio dei degenti – Ogni lunedì sarà garantito un incontro con personale specializzato che eseguirà una dimostrazione pratica di come ci si può rifare il trucco per ottenere un valido risultato estetico utilizzando la tecnica del camouflage. Si tratta di un metodo di trucco volto a nascondere diverse tipologie di inestetismi cutanei. Alla fine della seduta il paziente saprà eseguire la tecnica autonomamente».
Lavoro di squadra
Da una parte, l’associazione di volontariato PH8 fondata da Nick Difino, autore e conduttore di programmi TV/web e documentari sul cibo che, dopo aver superato un linfoma grazie anche allo spirito di convivialità e di condivisione come parte fondamentale della cura della malattia, ha deciso di non disperdere le emozioni, ribaltandole in termini di riscossa; dall’altra, a mostrare vicinanza e sensibilità al benessere dei pazienti, è stato il laboratorio dermatologico La Roche-Posay che, per il tramite della responsabile del centro milanese, Lisa Bressan, già lunedì avvierà alcune pazienti all’arte del camouflage, mentre le musiche del maestro chitarrista Marco Vinicio Carnicello e dal collega pianista Carmine Chiarelli faranno da colonna sonora. Dall’altra parte ancora, il Direttore Generale dell’Istituto di via Orazio Flacco, Antonio Delvino, abituato a coniugare la cura della malattia con la promozione di iniziative che vadano oltre la terapia, favorendo la riabilitazione psicologica dei pazienti.
Trattamenti per l’anima
Del resto, i trattamenti farmacologici non sono l’unica medicina in grado di azzannare le mille facce del cancro. Proprio per tendere la mano a quanti vivono sotto la tirannia della malattia, l’Unità di Ematologia in stretta collaborazione con il Servizio Sperimentale di Psiconcologia, sta sperimentando i benefici del bagno sonoro con le campane tibetane, in grado di far defluire le tensioni fisiche e mentali. Avvolti dalle coccole del personale sono anche i familiari dei pazienti, grazie a “Un porto sicuro”: un gruppo di ascolto psicologico con musicoterapia destinato a guidare i parenti dei degenti nella condivisione della propria esperienza, per ridurre il senso di isolamento e alleggerire il carico emotivo. A condurre le attività, le dottoresse Francesca Romito e Claudia Cormio, psicologhe psicoterapeute e la dottoressa Fulvia Lagattolla, musicoterapeuta che lunedì presenteranno il progetto a battesimo solo qualche giorno fa.
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Chirurgia plastica, quando e come ricorrere al bisturi
News Presa, PartnerNella società dell’immagine apparire è spesso considerato più importante di essere. Ma sarà proprio così? Di chirurgia plastica si parlerà nel corso del consueto appuntamento che Radio Kiss Kiss, in collaborazione con il network editoriale PreSa, dedica ai temi della salute e della prevenzione. Ospite di Good Morning Kiss Kiss, nella puntata di domani 28 ottobre (come sempre alle 11 circa), ci sarà il professor Roberto Grella, Chirurgo Plastico e Consigliere della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica. Sarà lui a svelare quali sono le novità più interessanti nel campo della chirurgia plastica e a sfatare qualche mito, dandoci anche qualche buon consiglio su come capire quando magari non è il caso di ricorrere al bisturi.
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Glifosato: il Parlameno Europeo vuole il divieto totale entro il 2022
News PresaIl Parlamento Europeo si è opposto alla proposta della Commissione di rinnovare per dieci anni la licenza del glifosato. Lo scorso luglio la California ha vietato l’erbicida, classificandolo come sostanza cancerogena. Ora il dibattito è aperto in Europa: il Parlamento europeo ha appena votato per l’eliminazione progressiva degli erbicidi a base di questa sostanza entro dicembre del 2022, dimostrandosi così in disaccordo con la proposta della Commissione europea di rinnovare la licenza di questo erbicida a partire dal 15 dicembre (data di scadenza della licenza attuale). Per i deputati, l’Unione dovrebbe vietare la sostanza partendo dall’uso domestico per poi estendere a quello agricolo non appena saranno a disposizione alternative biologiche (ad esempio i cosiddetti sistemi di difesa integrata) capaci di tenere a bada le erbe infestanti.
L’obiettivo finale chiesto dai deputati deve essere un divieto totale, con le necessarie restrizioni intermedie. L’Agenzia per i tumori dell’Onu e le Agenzie dell’Ue per la sicurezza alimentare e per i prodotti chimici sono arrivate a conclusioni divergenti per quanto riguarda la sua sicurezza.
Negli Stati Uniti l’esposizione al glifosato è aumentata notevolmente negli ultimi 23 anni, ovvero dal momento in cui sono state introdotte le colture geneticamente modificate. A riferirlo sulle pagine di Jama è stato il team di ricercatori della University of California San Diego School of Medicine, secondo cui “i dati mettono a confronto i livelli di glifosato e del suo metabolita, l’acido aminometilfosfonico, nel corpo umano durante un periodo di 23 anni a partire dal 1993, cioè poco prima dell’introduzione delle colture geneticamente modificate negli Stati Uniti”, spiega l’autore Paul J. Mills, dimostrando come i livelli di esposizione all’erbicida siano aumentati di circa il 500%.
Per i deputati, inoltre, i documenti interni della Monsanto – l’azienda proprietaria e produttrice del Roundup, di cui il glifosato è la principale sostanza attiva – che sono stati resi pubblici, hanno fatto sorgere dubbi in merito alla credibilità di alcuni studi utilizzati dall’Ue per la valutazione della sicurezza del glifosato.
Un’iniziativa dei cittadini europei ha chiesto il divieto dell’erbicida, raggiungendo più di un milione di firme in meno di un anno e sarà quindi discussa durante un’audizione pubblica in Parlamento nel mese di novembre.
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Agricoltura biologica e fitofarmaci: un binomio im-possibile?
News PresaCosa hanno a che fare i fitofarmaci con l’agricoltura biologica? Apparentemente nulla. Eppure la risposta non è così scontata, stando agli ultimi orientamenti della ricerca. Di questo si parlerà in nella due giorni, che si svolgerà a Firenze il 26 e il 27 ottobre, dal titolo Piano di Azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN): il ruolo dei PSR e dell’Agricoltura biologica. Le buone pratiche agronomiche basate su un ridotto impiego di fitosanitari, la loro sostenibilità in agricoltura e le diverse alternative disponibili sono ormai al centro del dibattito politico europeo sullo sviluppo rurale con azioni dirette a ridurre i rischi e gli impatti sulla salute umana, sull’ambiente e sulla biodiversità dovuti dall’uso di fitosanitari. Tale politiche poi dovranno essere declinate nei territori attraverso strumenti diversificati che risultano fondamentali per sostenere la diffusione e lo sviluppo dei metodi di produzione biologica, secondo gli obiettivi prioritari di sviluppo rurale dell’UE.
Cosa sono i fitofarmaci? Denominati anche prodotti fitosanitari o agrofarmaci, sono tutti quei prodotti, di sintesi o naturali, che vengono utilizzati per combattere le principali avversità delle piante quali malattie infettive, fisiopatie, parassiti e fitofagi animali, piante infestanti.
L’evento, organizzato dal CREA Politiche e Bioeconomia nell’ambito della Rete Rurale Nazionale, è in collaborazione con il Mipaaf e il MATTM.
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