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La salute dell’anziano segue regole diverse da quelle del bambino e dell’adulto, e questo vale anche quando si parla di vaccinazioni. Dal 23 al 29 aprile, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha promosso la settimana europea dell’immunizzazione. HappyAgeing – l’Alleanza Italiana per l’invecchiamento attivo fa chiarezza, rispondendo alle domande più frequenti con l’obiettivo di combattere la disinformazione e rendere tutti più consapevoli.
Quali sono le malattie infettive più frequenti negli anziani?
Le persone anziane hanno un sistema immunitario meno efficiente che rende l’organismo meno reattivo e quindi più suscettibile alle malattie infettive, quali le polmoniti ma anche le meningiti e le meningo-encefaliti o la sepsi, inoltre spesso possono essere presenti una o più malattie croniche che rendono più alta la possibilità di avere complicanze gravi. Altra malattia infettiva frequente dell’anziano è l’herpes zoster, conosciuto come “Fuoco di Sant’Antonio “. Tutte queste patologie possono essere prevenute con le vaccinazioni, che contribuiscono ad aumentare le aspettative e la qualità di vita. Tuttavia, in Italia si vaccina soltanto il 52% per cento degli anziani contro l’influenza, anche se i dati mostrano un leggero aumento rispetto alla stagione precedente. Inoltre è ancora scarsa la conoscenza di questa opportunità di prevenzione.
Quali sono i vaccini raccomandati per gli anziani?
Molte vaccinazioni sono fondamentali per la prevenzione delle malattie infettive nella popolazione anziana. Al momento, in Europa e in Italia sono raccomandati i seguenti vaccini per la popolazione adulta di età pari o superiore ai 65 anni:
• Influenza: è una delle patologie più comuni, ma anche una delle più pericolose. Nei paesi UE/EEA si registrano 38.500 decessi ogni anno di cui il 90% nella popolazione adulta legati alle complicanze dell’influenza. Il vaccino è raccomandato ogni anno negli adulti con patologie croniche e nei soggetti di età pari o superiore ai 65 anni per ridurre complicanze, ospedalizzazioni e morti dovute a tale infezione. Il vaccino deve essere somministrato ogni anno (periodo ottobre-dicembre).
• Malattie da pneumococco: Lo pneumococco è un batterio patogeno molto comune per l’uomo può provocare diverse malattie talvolta mortali: infatti, ogni anno nel mondo lo pneumococco provoca circa 1,6 milioni di morti. Questo tipo di patologie sono prevenibili con un vaccino coniugato 13valente che, oltre ad essere molto efficace, ha la caratteristica che deve essere fatto solo una volta nella vita e protegge da queste malattie per sempre. È raccomandato ai bambini nel primo anno di vita, gli adulti dai 65 anni in su e le persone a maggior rischio per patologie croniche o alterazioni del sistema immunitario. Riguardo questo vaccino è importante considerare che può essere offerto simultaneamente alla vaccinazione antiinfluenzale, ma può pure essere somministrato indipendentemente e in qualsiasi stagione dell’anno.
• Zoster: la vaccinazione contro l’Herpes zoster è in grado di ridurre significativamente l’incidenza dei casi di malattia e della nevralgia post-erpetica, che è una delle complicanze più frequenti e debilitanti della malattia. Vengono registrati più di 1.7 milioni di nuovi casi ogni anno in Europa in tutte le fasce di età ma con un incidenza che aumenta all’aumentare dell’età. L’unico strumento di prevenzione contro l’herpes zoster è il vaccino e per il quale non è raccomandata una dose di richiamo.
Cosa cambia per gli anziani con i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)?
Il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019 (PNPV), approvato in Conferenza Stato-Regioni il 19 gennaio 2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio 2017, costituisce il documento di riferimento in cui si riconosce, come priorità di sanità pubblica, la riduzione o l’eliminazione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino, attraverso l’individuazione di strategie efficaci e omogenee da implementare sull’intero territorio nazionale. I nuovi Lea prevedono che dal 2017 il vaccino pneumococcico sia raccomandato e gratuito in tutte le regioni per tutti coloro che hanno 65 anni o per chi ha una malattia cronica come ad esempio patologie polmonari croniche, malattie cardiovascolari o il diabete. Da quest’anno è raccomandato e disponibile gratuitamente anche il vaccino contro l’herpes zoster, comunemente detto Fuoco di Sant’Antonio. Soprattutto nella popolazione adulta e anziana è importante che tutti abbiano la consapevolezza del rischio di queste malattie e che tutti possano usufruire del proprio diritto a essere vaccinati. La vera sfida per le vaccinazioni è farlo sapere ai cittadini, attivando strategie vaccinali, di comunicazione pubblica e di promozione della salute al fine di assicurare a tutti l’esercizio democratico del diritto alla salute.
Tumori: dilagano fake news sulle cause. Ecco le più diffuse
Stili di vitaIl 43% delle persone è convinto che a scatenare il tumore sia lo stress, il 42% gli additivi alimentari. Per il 19% è colpa dei forni a microonde e per il 15% del bere dalle bottiglie di plastica. Le fake news invadono tutti i campi, soprattutto quando si tratta di salute, ma quelle che riguardano i tumori e le loro possibili cause sono in aumento.
C’è poi più di un terzo che considera come fattori di rischio le frequenze elettromagnetiche (35%) e il cibo ogm (34%). A disegnare i contorni delle bufale sulle cause del cancro è una ricerca dello University College di Londra e dell’università di Leeds, pubblicata sull’European Journal of Cancer.
Lo studio, condotto su 1.330 persone, ha indagato le convinzioni delle persone su uno dei mali più diffusi dei nostri tempi. Oltre alle notizie prive di fondamento scientifico, per quando riguarda invece quelle verificate, è emerso che l’88% ha saputo identificare correttamente il fumo, l’80% il fumo passivo e il 60% le scottature solari. Chi ha convinzioni errate sulle cause del cancro, precisano i ricercatori, non ha però uno stile di vita più rischioso. Tuttavia, chi ha informazioni corrette è più incline a non fumare.
Parkinson. Virus rabbia: traino per far entrare farmaco al cervello
Ricerca innovazioneLa strategia che usa il virus della rabbia per muoversi nel cervello umano in futuro potrà essere usata per curare il Parkinson. E’ questa la scoperta a cui sono arrivati alcuni ricercatori cinesi in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Acs Nano. In pratica, per raggiungere il suo obiettivo, il virus della rabbia “inganna” il sistema nervoso e attraversa la barriera emato-encefalica grazie alla glicoproteina 29 (una sorta di ‘ariete’ che permette di far entrare il virus con facilità). Ciò che oggi si sa del Parkinson è che porta a un accumulo di ferro nei neuroni e questo causa una morte delle cellule. Si tratta di una malattia neurodegenerativa che non si arresta, ma può essere tenuta sotto controllo rallentandone la progressione. Gli studiosi ora stanno analizzando il ruolo della deferoxamina per ridurre l’eccesso di ferro nei pazienti, ma sono necessarie alte dosi a causa della limitata capacità del farmaco di entrare direttamente nel cervello. Proprio per questo i ricercatori cinesi hanno deciso di intraprendere questa strada e utilizzate il virus della rabbia come veicolo per arrivare più facilmente al cervello. Sono riusciti ad attaccare la glicoproteina 29 a una nanoparticella piena di deferoxamina e le hanno iniettate nei topi. L’effetto di questa loro sperimentazione è stato positivo: i livelli di ferro si sono ridotti invertendo il danno cerebrale.
Ogni anno il Parkinson colpisce 300mila italiani, ma nei prossimi 15 anni questo numero è destinato a raddoppiare al ritmo di circa 6.000 nuovi casi l’anno, di cui la metà ancora in età lavorativa.
Montali: «Così il golf ci tiene in salute»
News Presa, PrevenzioneSport e salute è un binomio abbastanza ovvio. Tuttavia, ragionando sulle attività più adatte a tenersi in forma, in pochi scommetterebbero sul golf. Ma sono proprio quei pochi che dimostrerebbero di saperla lunga. Lo sa bene Gian Paolo Montali, direttore generale del progetto Ryder Cup 2022: «Il golf – dice – è uno sport che unisce tecnica e allenamento. Basti pensare che lo swing (movimento con il quale si colpisce la pallina, ndr) mette in azione 600 dei 752 muscoli del nostro corpo».
Ma è alla portata di tutti?
«Che non lo sia è ormai solo un luogo comune. Inoltre, il nostro obiettivo è quello di rendere ancor più semplice il coinvolgimento del grande pubblico creando campi di allenamento. Il progetto Ryder Cup ha tra i suoi obiettivi il coinvolgimento dei Comuni per recuperare zone dismesse e farne proprio dei luoghi per la pratica».
Come può il golf essere d’aiuto sul tema della prevenzione?
«Il fatto che non ci sia una massimizzazione dello sforzo, come invece avviene in altre pratiche, non deve trarre in inganno. Quattro anni fa l’Oms ha definito l’ormai famosa raccomandazione dei 10mila passi al giorno. Beh, durante le partite si cammina molto. Si genera così un’attività di almeno cinque ore a bassa intensità, perfetta per tenere in allenamento il cuore senza sforzarlo e migliorare la circolazione».
Serve una preparazione prima della partita?
«Questo è un altro aspetto sottovalutato. Non solo prima della partita, ma anche prima degli allenamenti si fanno esercizi di stretching che, ovviamente, ripetuti nel tempo migliorano la condizione fisica. Inoltre il golf è uno sport che allena il cervello».
Può spiegarci meglio?
Gian Paolo Montali
«Imprimere alla pallina la giusta traiettoria e forza significa sviluppare una grande coordinazione neuromuscolare. Il cervello dev’essere considerato come un muscolo, che con l’allenamento migliora. Giocare un’intera partita e cercare di vincerla equivale ad essere concentrati per ore, studiare il terreno e capire come arrivare al green nel miglior modo possibile è un allenamento formidabile. Si sviluppano capacità che ci aiutano ad avere successo anche nella quotidianità».
Lei parla spesso di un alto valore educativo, perché?
«In questo sport si è arbitri di se stessi. Si impara a darsi delle regole e a rispettarle. Non è superfluo sottolineare quanto questo sia importante rapportato ai nostri stili di vita e alla nostra salute. E poi il golf è uno sport incredibilmente democratico. Con il meccanismo dell’handicap giocatori di diverse categorie possono affrontarsi alla pari».
In cosa consiste l’handicap?
«In poche parole è un vantaggio che viene assegnato ai partecipanti dei tornei dilettantistici. Più un giocatore è bravo, meno colpi gli sono concessi per chiudere ogni buca».
Si può dire che il golf è uno sport inclusivo?
«Io ne sono convinto, ne è la prova il fatto che la Ryder Cup ha una grande attenzione al sociale. Nel progetto sono previsti una serie di eventi per persone con disabilità, ad esempio con sindrome autistica. Di recente abbiamo dato origine al settore paralimpico. C’è da sempre grande partecipazione al progetto SuperAbili durante gli Open di Golf e quest’anno Roma ospiterà anche il campionato per non vedenti».
Quando la prevenzione diventa stile di vita
News Presa, SpecialiDalla tv ai giornali, oggi tutti parlano di prevenzione. Un tema fondamentale, ma anche complesso e spesso trattato in modo confusionario. Molti si interrogano ad esempio su quella che i medici definiscono “prevenzione secondaria”, perché non sempre è chiaro quali screening siano utili e quando debbano essere portato avanti. I dubbi da parte dei cittadini sono tanti, anche e soprattutto in campo oncologico. Del resto, non è possibile e non è utile muoversi a casaccio, lo sa bene Evaristo Maiello, direttore dell’unità operativa complessa di oncologia dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza.
Utero, mammella, colon
«Le patologie per le quali abbiamo screening molto efficaci – dice – sono soprattutto il carcinoma del collo dell’utero, il tumore della mammella e il tumore del colon-retto». Maiello spiega che lo screening per il carcinoma del collo dell’utero è quello che ha avuto il maggior successo. «Si è partiti negli Anni 60, quando si è capito che il Pap Test poteva essere estremamente utile». E i risultati sono nei numeri degli ultimi rapporti su questa malattia, che parlano di circa 2.100 casi l’anno, il che significa che in Italia è la nona causa di morte, mentre nei paesi in del terzo mondo è ancora tra le prime.
Vaccinazione
Maiello sottolinea come la mortalità sia in calo proprio grazie alle diagnosi precoci e inoltre, dice, «ci aspettiamo un ulteriore calo per effetto della vaccinazione da papilloma virus che gioca un ruolo determinate nella formazione del carcinoma della cervice uterina». Ci si vaccina a partire dai 12 anni, ma per quel che riguarda il Pap Test, quando è opportuno iniziare? «E’ bene iniziare tra i 25 e i 35 anni, con uno screening l’anno. Ovviamente questa è un’indicazione di massima, perché si deve valutare ogni singolo caso».
L’autopalpazione non basta
Gli altri due nemici dai quali proteggersi con screening appropriati sono il tumore della mammella e del colon. Andiamo con ordine. «Per il tumore della mammella – dice l’oncologo – in Italia si regista una riduzione di circa 2 punti l’anno». Anche se, con 50mila nuovi casi l’anno, per incidenza, questo resta il primo tumore nelle donne. Serve la mammografia bilaterale. «L’autopalpazione e l’ecografia possono aiutare, ma da sole non sono determinanti per una diagnosi precoce». L’età giusta per iniziare lo screening è tra i 50 e 69 anni. Anche se, spiega Maiello, «il Piano nazionale di prevenzione suggerisce di estendere l’invito agli screening alle donne nella fascia tra i 45 ai 74 anni. Con una cadenza bi annuale». Anche in questo caso vale il principio della personalizzazione. Sarà il senologo a definire in relazione alla densità del tessuto mammario e alla storia clinica e familiare della paziente come procedere.
Alimentazione
Di tutte queste neoplasie, quella maggiormente legata agli stili di vita e all’alimentazione è il tumore del colon. Un tumore che in Campania, in molti casi, non è ancora adeguatamente coperto dagli screening.
In Italia, l’incidenza è di circa 53mila diagnosi l’anno. In questo caso per fare prevenzione secondaria si procede con un test per nulla invasivo: la ricerca di sangue occulto delle feci. «In condizioni normali – dice Maiello – il test si effettua tra i 50 e 70 anni e nel caso di una positività si procede con la colonscopia. Lo screening per il tumore del colon – aggiunge – è quello che va più a rilento, soprattutto al Sud. Basti pensare che nel 2015 la copertura era dell’80% tra Nord e Centro Italia e solo del 40% al Sud. Fortunatamente le cose stanno cambiando e il Sud sta recuperando il divario». Fare screening del carcinoma del colon-retto permette anche di intercettare e curare con l’asportazione definitiva eventuali adenomi, che rappresentano le prime fasi di un processo che nel tempo porterà al cancro del colon. Continua a leggere CLICCA QUI
Diabete: amici e parenti intorno producono effetto positivo
PrevenzioneI pazienti con diabete possono controllare meglio la glicemia (lo zucchero nel sangue) se hanno amici e parenti intorno. A dirlo è uno studio Usa pubblicato sulla rivista Diabetes Care. Secondo il team di ricercatori, l’incoraggiamento degli affetti vicini nella gestione della malattia è associato a un miglior controllo glicemico.
Il lavoro è stato condotto da Aaron Lee del centro ‘Ann Arbor Center for Clinical Management Research’ in Michigan ed ha coinvolto 308 pazienti diabetici di età media 66 anni e con un controllo non del tutto adeguato della propria malattia all’inizio dello studio.
I pazienti hanno risposto prima a dei questionari somministrati dai medici per misurare lo stress associato alla malattia (con un punteggio da 1 a sei). Al crescere del disagio provocato dalla gestione della malattia diminuiva proporzionalmente la capacità di controllo glicemico del paziente, come evidenziato dall’esito di un test classico (esame della ‘emoglobina glicata’ che dà una misura della glicemia media degli ultimi mesi). Tuttavia, se il paziente riceveva incoraggiamenti positivi da amici e parenti, ad esempio su alimentazione corretta, pratica di esercizio fisico, monitoraggio costante della glicemia e uso dei farmaci, la sua capacità di controllo glicemico risultava aumentata.
Il diabete è una malattia cronica che si manifesta con elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) ed è dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina. L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas, che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno.
Questo nuovo studio mostra come avere il giusto supporto emotivo da amici e parenti può fare una grande differenza nella gestione di questa malattia.
Smalto denti rovinato per 4 italiani su 10: colpa di cibi acidi e drink
PrevenzioneI denti del 40% degli italiani stanno perdendo smalto per colpa di drink e cibi troppo acidi, tuttavia lo sa solo il 13%. Ignora i rischi una persona su dieci e la metà pensa che lo smalto si riformi da sé. Tra le conseguenze dell’erosione dello smalto c’è l’ingiallimento dei denti, che diventano più fragili al punto da scheggiarsi facilmente ed essere ipersensibili al caldo e al freddo. Tutta la salute della bocca è a rischio, oltre che la bellezza del sorriso. Gli acidi che rovinano i denti possono trovarsi nel cavo orale a causa di varie patologie dell’apparato digerente come il reflusso gastro-esofageo o disturbi alimentari, ma più spesso sono dovuti al consumo frequente di cibi e bevande molto acidi come energy drink, bibite gassate e spremute di agrumi (soprattutto se vengono sorseggiate a lungo senza lasciare tempo alla saliva di riportare il pH orale a un livello “di sicurezza”). Per bere senza rischi anche un centrifugato o un estratto che contenga agrumi frutta o verdure acide , meglio usare una cannuccia, raccomandano gli esperti, in modo che il contatto con i denti sia minimo.
I numeri emergono da un’indagine dell’Accademia Italiana di Odontoiatria Conservativa e Restaurativa (AIC) presentata in occasione del 20esimo Congresso Nazionale, che si terrà a Torino dal 10 al 12 maggio. Tra i consigli dei medici c’è quello di optare per verdure a foglia larga, ortaggi ricchi di fibre che aiutano i denti a pulirsi mentre si mastica e frutta non troppo acida, perché gli acidi naturalmente presenti nei cibi sono capaci di sciogliere lo smalto dei denti.
Dopo aver bevuto una bibita o un energy drink, spiegano gli esperti, è importante far seguire un bicchiere d’acqua, usare la cannuccia ed evitare di bere a piccoli sorsi per limitare al minimo il contatto con i denti e ridurre il tempo di esposizione alle sostanze acide.
Gli italiani sono poco ferrati anche sull’igiene orale: due su tre non sanno che dopo aver mangiato frutta o verdura acida come agrumi o pomodori è opportuno aspettare circa mezz’ora prima di lavare i denti per ridurre i rischi per lo smalto.
Sono assolte invece le sigarette elettroniche o le chewing-gum senza zucchero, perché non mettono a rischio il sorriso, tuttavia lo sa appena un italiano su dieci. Per quanto riguarda lo smalto, quasi la metà della popolazione crede che si auto-rigeneri e pochissimi si accorgono se c’è un problema. Appena l’8% sa che i denti ingialliti possono essere sintomo di una riduzione dello smalto, soltanto uno su tre che lo è anche l’ipersensibilità a caldo e freddo. La maggioranza degli italiani si rivolge al dentista solo per motivi estetici o in caso di sintomi molto evidenti di lesioni allo smalto. Altrettanto sconosciuti i rischi delle diete con eccessivi consumi di vegetali acidi: meglio optare per ortaggi poco acidi e fibrosi come sedano, broccoli, verdura a foglia, che aiutano anche a “spazzolare” i denti durante la masticazione. Infine può essere rischioso anche il cloro nell’acqua delle piscine, se si nuota almeno quattro volte a settimana per più di due ore.
Il Pascale “apre le frontiere” alla Russia
News PresaDopo la Cina il Pascale di Napoli “apre le frontiere” anche alla Russia. L’Istituto dei tumori di Napoli ha siglato un accordo con il Ministero della Salute della Federazione Russa per dare il via a corsi di formazione oncologica. Dal prossimo ottobre, e per i prossimi cinque anni, medici dell’Università di Medicina Statale di Perm verranno a formarsi al Pascale. La cooperazione prevede però che anche oncologi del Pascale vadano in Russia a formare giovani professionisti.
Formazione
Lo scopo di questa mobilità formativa, cosi come accaduto con la Cina (dallo scorso anno medici provenienti dalla Terra dei Ciliegi stanno affiancando i professionisti del Pascale) è quello di sviluppare progetti per studenti e medici sotto la guida degli specialisti e di incoraggiare scambi di informazioni, studi di ricerca condivisi e pubblicazioni scientifiche. Per ora la cooperazione riguarderà prevalentemente l’oncologia testa collo e in particolare il reparto di Franco Ionna. E’ stato il chirurgo napoletano a sollecitare al management dell’Irccs partenopeo la cooperazione in seguito alle continue richieste provenienti dall’Istituto di Educazione Superiore dello Stato Federale Università di Medicina di Perm.
Eccellenza
«Due anni fa – racconta il primario – conobbi un medico di Perm. Rimase incantato dal lavoro della mia equipe e cominciò da allora ad insistere perché io, ma anche altri chirurghi e medici del Pascale, andassimo nella sua terra a formare giovani oncologi. Negli ultimi anni, con la direzione di Attilio Bianchi, il Pascale si è affermato enormemente a livello internazionale grazie a un lavoro pregresso ma anche all’avvio di accordi siglati con ogni parte del mondo. I tempi, insomma, erano maturi perché nascesse questa cooperazione».
Una cooperazione che conferma il grande lavoro di internazionalizzazione voluto dalla direzione del Pascale che finora ha portato a Napoli 90 medici cinesi (altri 360 sono previsti nei prossimi due anni), ma ha anche avviato accordi di cooperazione coni paesi dell’America Latina (in Colombia è nata la prima rete oncologica internazionale), con il Nord Africa ed ora con la Russia.
Disfunzione erettile, si batte con lo sport
News PresaAnche se il maschio italico è particolarmente sensibile all’argomento, capita che ad una certa età non si abbia più la verve di un tempo, soprattutto nell’intimità. Problemi di disfunzione erettile possono interessare anche i giovani, ma in assenza di una patologia, il più delle volte si tratta di stress. Cosa fare? La risposta è semplice: ginnastica. Uno studio guidato dall’Institute of Public Health della University of Southern Denmark, pubblicato sulla rivista Sexual Medicine spiega come l’esercizio fisico sia un toccasana per il cuore, la pressione sanguigna, le articolazioni, i muscoli e per l’umore. Ma soprattutto tiene lontana la disfunzione erettile negli uomini. Fare attività fisica più volte a settimana (sono raccomandati 40 minuti 4 volte a settimana per almeno sei mesi, anche se sul tempo prescritto c’è ancora dibattito) migliora infatti la funzione erettile, in particolare se si ha uno stile di vita sedentario, si è in sovrappeso, si ha la pressione alta o si soffre di ‘irrigidimento’ delle arterie.
Bici e non solo
Gli autori hanno revisionato circa 2000 studi pubblicati tra il 2006 e il 2016, selezionandone alla fine 10 e la conclusione a cui sono arrivati si basa su prove di esercizio fisico da moderato ad intenso, che possono riguardare diverse attività: dall’uso della bici per andare a lavoro allo sci di fondo. Dalla revisione emerge che più esercizio si fa maggiore è l’effetto e più è l’impegno profuso superiore è anche l’efficacia dell’attività fisica. Secondo gli studiosi queste conclusioni sono supportate da meccanismi noti: l’attività fisica rende infatti i vasi sanguigni più elastici, consentendo un maggior flusso di sangue agli organi sessuali e stimola la produzione corporea di ossido di azoto, permettendo ai vasi sanguigni di espandersi.
Trattamento sportivo
Questo è essenzialmente ciò che fa il più noto farmaco per la cura della disfunzione erettile. Da qui la conclusione che l’esercizio dovrebbe essere prescritto “come un trattamento”, magari rivolgendosi a un fisioterapista oltre che al medico nel praticarlo, anche per non ricascare nelle vecchie cattive abitudini che cancellerebbero i benefici ottenuti e anzi potrebbero peggiorare i problemi di erezione.
Trapianto di rene, a Napoli esperti da tutto il mondo
News PresaIl tema dei trapianti di rene porta a Napoli i maggiori esperti internazionali, medici che domani saranno in città in occasione del meeting «What’s new in Kidney Transplantation». L’evento è organizzato sotto l’egida dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e della Società Napoletana di Chirurgia. Il presidente del meeting, Michele Santangelo, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Generale e dei Trapianti di Rene dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, spiega che «obiettivo dell’incontro scientifico è fare il punto sui più recenti cambiamenti nella trapiantologia renale e diffondere i nuovi trend nazionali ed internazionali di questo affascinante campo della medicina e della chirurgia».
Il trapianto
Il gold standard per il trattamento dell’insufficienza renale cronica terminale è il trapianto renale, procedura effettuata nel 2014 in quasi 80.000 pazienti e nel 2017 in più di 85.000 pazienti in tutto il mondo. Numeri in continua ascesa, grazie ai miglioramenti nel campo della chirurgia, della nefrologia e dell’immunologia. Negli ultimi 10 anni, infatti, sono stati raggiunti ottimi risultati in questi settori, grazie alle nuove tecnologie che migliorano le procedure chirurgiche, all’utilizzo di nuovi e più sicuri farmaci immunosoppressori e alle nuove conoscenze su fattori di rischio e complicanze che intervengono nel paziente trapiantato.
Passato e nuovi approcci
«Il primo trapianto renale fu effettuato nei primi anni ’50- continua il professore Santangelo- da allora molto è cambiato nel mondo della trapiantologia renale. Basti pensare che l’indicazione chirurgica al trapianto è stata estesa a pazienti che prima non erano presi in considerazione per tale procedura e che pazienti anziani, affetti da diversi fattori di comorbidità, oggi possono essere ritenuti potenziali donatori. Inoltre, si sta ottimizzando e codificando l’uso di reni provenienti da donatori a cuore non battente, sono migliorate le tecniche di preservazione, come l’adozione della perfusione dinamica, che hanno reso possibile l’utilizzo di reni provenienti da donatori marginali, e nuovi approcci terapeutici e farmacologici stanno consentendo di forzare le barriere dell’istocompatibilità così da poter effettuare trapianti tra pazienti ABO incompatibili e con alti livelli di PRA». La velocità con cui sono cambiate le cose negli anni impone agli specialisti di essere sempre in prima linea nella formazione e nell’aggiornamento continuo, per non restare indietro in un settore in continuo sviluppo. Presidenti onorari dell’evento, due personalità che hanno fatto la storia dei trapianti in Campania: i professori Andrea Renda ed Enrico di Salvo.
Anziani: tutti i miti da sfatare sui vaccini
AnzianiLa salute dell’anziano segue regole diverse da quelle del bambino e dell’adulto, e questo vale anche quando si parla di vaccinazioni. Dal 23 al 29 aprile, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha promosso la settimana europea dell’immunizzazione. HappyAgeing – l’Alleanza Italiana per l’invecchiamento attivo fa chiarezza, rispondendo alle domande più frequenti con l’obiettivo di combattere la disinformazione e rendere tutti più consapevoli.
Quali sono le malattie infettive più frequenti negli anziani?
Le persone anziane hanno un sistema immunitario meno efficiente che rende l’organismo meno reattivo e quindi più suscettibile alle malattie infettive, quali le polmoniti ma anche le meningiti e le meningo-encefaliti o la sepsi, inoltre spesso possono essere presenti una o più malattie croniche che rendono più alta la possibilità di avere complicanze gravi. Altra malattia infettiva frequente dell’anziano è l’herpes zoster, conosciuto come “Fuoco di Sant’Antonio “. Tutte queste patologie possono essere prevenute con le vaccinazioni, che contribuiscono ad aumentare le aspettative e la qualità di vita. Tuttavia, in Italia si vaccina soltanto il 52% per cento degli anziani contro l’influenza, anche se i dati mostrano un leggero aumento rispetto alla stagione precedente. Inoltre è ancora scarsa la conoscenza di questa opportunità di prevenzione.
Quali sono i vaccini raccomandati per gli anziani?
Molte vaccinazioni sono fondamentali per la prevenzione delle malattie infettive nella popolazione anziana. Al momento, in Europa e in Italia sono raccomandati i seguenti vaccini per la popolazione adulta di età pari o superiore ai 65 anni:
• Influenza: è una delle patologie più comuni, ma anche una delle più pericolose. Nei paesi UE/EEA si registrano 38.500 decessi ogni anno di cui il 90% nella popolazione adulta legati alle complicanze dell’influenza. Il vaccino è raccomandato ogni anno negli adulti con patologie croniche e nei soggetti di età pari o superiore ai 65 anni per ridurre complicanze, ospedalizzazioni e morti dovute a tale infezione. Il vaccino deve essere somministrato ogni anno (periodo ottobre-dicembre).
• Malattie da pneumococco: Lo pneumococco è un batterio patogeno molto comune per l’uomo può provocare diverse malattie talvolta mortali: infatti, ogni anno nel mondo lo pneumococco provoca circa 1,6 milioni di morti. Questo tipo di patologie sono prevenibili con un vaccino coniugato 13valente che, oltre ad essere molto efficace, ha la caratteristica che deve essere fatto solo una volta nella vita e protegge da queste malattie per sempre. È raccomandato ai bambini nel primo anno di vita, gli adulti dai 65 anni in su e le persone a maggior rischio per patologie croniche o alterazioni del sistema immunitario. Riguardo questo vaccino è importante considerare che può essere offerto simultaneamente alla vaccinazione antiinfluenzale, ma può pure essere somministrato indipendentemente e in qualsiasi stagione dell’anno.
• Zoster: la vaccinazione contro l’Herpes zoster è in grado di ridurre significativamente l’incidenza dei casi di malattia e della nevralgia post-erpetica, che è una delle complicanze più frequenti e debilitanti della malattia. Vengono registrati più di 1.7 milioni di nuovi casi ogni anno in Europa in tutte le fasce di età ma con un incidenza che aumenta all’aumentare dell’età. L’unico strumento di prevenzione contro l’herpes zoster è il vaccino e per il quale non è raccomandata una dose di richiamo.
Cosa cambia per gli anziani con i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)?
Il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019 (PNPV), approvato in Conferenza Stato-Regioni il 19 gennaio 2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio 2017, costituisce il documento di riferimento in cui si riconosce, come priorità di sanità pubblica, la riduzione o l’eliminazione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino, attraverso l’individuazione di strategie efficaci e omogenee da implementare sull’intero territorio nazionale. I nuovi Lea prevedono che dal 2017 il vaccino pneumococcico sia raccomandato e gratuito in tutte le regioni per tutti coloro che hanno 65 anni o per chi ha una malattia cronica come ad esempio patologie polmonari croniche, malattie cardiovascolari o il diabete. Da quest’anno è raccomandato e disponibile gratuitamente anche il vaccino contro l’herpes zoster, comunemente detto Fuoco di Sant’Antonio. Soprattutto nella popolazione adulta e anziana è importante che tutti abbiano la consapevolezza del rischio di queste malattie e che tutti possano usufruire del proprio diritto a essere vaccinati. La vera sfida per le vaccinazioni è farlo sapere ai cittadini, attivando strategie vaccinali, di comunicazione pubblica e di promozione della salute al fine di assicurare a tutti l’esercizio democratico del diritto alla salute.