Tempo di lettura: 3 minutiIl 29 settembre 1994 la morte di un bambino, Nicholas Green, cambio per sempre la storia dei trapianti in Italia. Il piccolo di soli 7 anni era in vacanza con la famiglia e venne colpito da un proiettile mentre viaggiava in auto sulla Salerno-Reggio Calabria. I suoi genitori, Reginald e Margaret, decisero di donare i suoi organi dopo la sua morte, dando speranza e una nuova vita a molte persone. Questo atto di straordinaria generosità innescò un cambiamento profondo nella percezione della donazione di organi nel nostro Paese.
Risultato incredibile
A distanza di 30 anni, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha commemorato questo importante anniversario con il convegno “Il dono della vita”, celebrando i risultati eccezionali ottenuti nel campo dei trapianti pediatrici. Ma cosa è cambiato in questi tre decenni e qual è il ruolo del Bambino Gesù in questa storia di speranza e progresso? Scopriamolo insieme.
I primi trapianti al Bambino Gesù
La storia dei trapianti di organi solidi al Bambino Gesù inizia la notte tra il 10 e l’11 febbraio 1986, con il primo trapianto di cuore pediatrico eseguito in Italia su un bambino di soli 15 mesi. Questo intervento segnò un momento cruciale per la medicina pediatrica italiana, aprendo la strada a una serie di successi che avrebbero reso il Bambino Gesù un centro di eccellenza nel settore.
Un decennio di progresso
Negli anni successivi, l’ospedale continuò a pionierizzare nel campo della trapiantologia pediatrica: nel 1993 il primo trapianto combinato cuore-rene, nel 1995 il primo trapianto di polmone e nel 2008 il primo trapianto di fegato. Questi interventi non solo hanno salvato numerose vite, ma hanno anche contribuito a sviluppare competenze mediche e infrastrutture cruciali per la gestione dei trapianti di organi nei pazienti più giovani.
La creazione del Centro Nazionale Trapianti (CNT)
Un passaggio fondamentale per la crescita della donazione di organi in Italia è stato l’introduzione della Legge 91 del 1999, che ha istituito il Centro Nazionale Trapianti (CNT). Questa legge ha strutturato l’intero sistema nazionale di donazione e trapianto, creando una rete coordinata che ha permesso di aumentare notevolmente il numero di donazioni e trapianti.
L’aumento delle donazioni
Grazie a una maggiore consapevolezza e a una migliore organizzazione, il tasso di donazione in Italia è quadruplicato negli ultimi 30 anni, passando da 7,9 donatori per milione di abitanti nel 1994 a 28,2 nel 2023. Questo risultato è stato possibile anche grazie all’esempio di famiglie come i Green, che con la loro scelta hanno ispirato migliaia di persone a considerare la donazione come un gesto di amore e solidarietà.
I risultati del Bambino Gesù negli ultimi 30 anni
Dal 1994 al 2023, al Bambino Gesù sono stati eseguiti 1.231 trapianti di organi solidi. Il numero annuale di interventi è cresciuto in modo esponenziale, passando dai 6 trapianti del 1994 agli 82 del 2023, con un incremento di oltre 13 volte.
Supporto alla rete trapiantologica nazionale
Nel 2023, l’Ospedale ha effettuato il 42% di tutti i trapianti pediatrici di organi solidi in Italia, consolidando il suo ruolo di riferimento a livello nazionale. Questo risultato è stato reso possibile grazie a un team multidisciplinare composto da decine di professionisti altamente specializzati e all’adozione di tecnologie all’avanguardia per la conservazione e l’utilizzo degli
Come funziona la donazione di organi
Donare gli organi è un gesto che può salvare molte vite, ma è importante comprendere come funziona il processo. In Italia, ogni cittadino può esprimere la propria volontà in merito alla donazione degli organi attraverso diverse modalità, come la registrazione presso l’ASL, la tessera del donatore, o tramite la dichiarazione al momento del rinnovo della carta d’identità.
Perché donare?
Donare gli organi è un atto di generosità che può trasformare la tragedia di una perdita in una possibilità di vita per chi è in attesa di un trapianto. L’esempio di Nicholas Green e di tante altre famiglie dimostra come la donazione possa avere un impatto positivo non solo per i riceventi, ma anche per l’intera comunità, contribuendo a rafforzare una cultura del dono basata su solidarietà e altruismo.
L’Effetto Nicholas: un esempio di solidarietà
Nel corso del convegno “Il dono della vita”, Reginald Green ha ricordato un gioco fatto con Nicholas durante il loro viaggio in Italia: “Quando arriverai a Roma, sarai trattato come un eroe. Le persone scriveranno poemi su di te”, gli avevano detto. Nicholas non è diventato un eroe in senso tradizionale, ma il suo gesto ha avuto un impatto ben più grande e duraturo: ha salvato vite con il potere del cuore, non delle armi.
Un sogno realizzato
Margaret Green ha ricordato la curiosità del figlio, che da grande avrebbe voluto fare “ogni lavoro del mondo”. Oggi, grazie agli organi donati da Nicholas, tante persone hanno potuto realizzare i propri sogni e contribuire alla società in mille modi diversi, da autisti di autobus a medici, insegnanti e artisti.
Donare la vita
Il percorso trentennale del Bambino Gesù nel campo della trapiantologia è una storia di dedizione, competenza e amore per la vita. L’esempio di Nicholas Green e l’impegno delle famiglie dei donatori sono il cuore pulsante di questo successo, che ha portato l’Italia ai vertici europei per numero di donazioni e trapianti. Continuare a sostenere e promuovere la donazione di organi è fondamentale per garantire una seconda possibilità a chi ne ha più bisogno.
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Caffè: consumo moderato previene diabete, ictus e malattie cardiache
Alimentazione, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneIl consumo regolare e moderato di caffè può essere un fattore di protezione contro alcune delle malattie più diffuse. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, che suggerisce un legame tra l’assunzione di caffeina e una riduzione del rischio di patologie cardiometaboliche come il diabete di tipo 2, le malattie cardiache e l’ictus.
Lo studio: dati dalla UK Biobank
L’analisi si basa su dati raccolti dalla UK Biobank, una delle più grandi banche dati al mondo in ambito medico. Con oltre 500.000 partecipanti di età compresa tra 37 e 73 anni, lo studio ha esaminato il consumo di caffeina e il suo impatto sulla salute cardiometabolica. Secondo i risultati, chi consuma 200-300 mg di caffeina al giorno, corrispondenti a circa tre tazze di caffè, riduce il rischio di sviluppare malattie cardiometaboliche del 40,7%. Un consumo regolare di tre tazze al giorno è stato associato a una riduzione del rischio del 48,1%. I campioni esaminati comprendevano individui inizialmente privi di malattie cardiometaboliche per valutare l’effetto a lungo termine della caffeina sul rischio di nuove patologie.
I benefici della caffeina: meccanismi ancora in studio
I benefici della caffeina sono legati principalmente al miglioramento della sensibilità all’insulina e alla riduzione del colesterolo LDL, fattore chiave nello sviluppo dell’arteriosclerosi. Tuttavia, i meccanismi attraverso cui la caffeina esercita questo effetto protettivo non sono ancora del tutto chiari, ma potrebbero dipendere da una combinazione di effetti antinfiammatori e antiossidanti. L’infiammazione cronica di basso grado è infatti riconosciuta come una delle cause principali delle malattie cardiometaboliche, e la caffeina potrebbe contribuire a ridurre questo tipo di infiammazione.
Caffè e ipertensione: quali rischi
Una delle questioni più dibattute riguarda l’effetto della sostanza sulla pressione arteriosa. Sebbene la caffeina possa provocare un aumento temporaneo della pressione, i consumatori abituali sviluppano una tolleranza che mitiga questo effetto nel lungo termine. Pertanto, anche le persone affette da ipertensione possono assumerne in quantità moderate senza incorrere in rischi significativi.
La linee guida dell’EFSA: quanta caffeina si può assumere
Secondo le raccomandazioni dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), gli adulti possono consumare fino a 400 mg di caffeina al giorno, ovvero circa cinque tazzine di espresso. Per le donne in gravidanza o in allattamento, il limite scende a 200 mg, pari a due o tre tazzine. Tuttavia, ci sono differenze individuali nella capacità di metabolizzare la caffeina: ogni individuo ha una risposta diversa e per alcuni potrebbe essere necessario ridurre il consumo.
Caffeina e teina: la stessa sostanza, effetti diversi
Una curiosità che spesso sfugge è che caffeina e teina sono chimicamente la stessa sostanza. La differenza tra gli effetti del caffè e del tè è legata alla presenza di altre sostanze che influiscono sull’assorbimento della caffeina. Il caffè, ad esempio, provoca una stimolazione più rapida e intensa, mentre il tè offre una stimolazione più lenta e graduale, che può essere preferita da chi desidera un effetto più lieve e prolungato.
La battaglia contro la CAD: una sfida rara
RubricheMolte malattie rare hanno nomi complicati e sono sconosciute ai più, sono però malattie che spesso devastano la vita dei pazienti e delle loro famiglie. Ed è per questo che è importante parlarne, fare in modo che sempre più cada quel velo di indifferenza che le circonda. Della cold agglutinin disease (o semplicemente CAD) abbiamo parlato con la dottoressa Claudia Giordano (Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia Unità di Ematologia dell’Università Federico II di Napoli). «Si tratta di una rara patologia ematologica caratterizzata dalla distruzione dei globuli rossi da parte di anticorpi prodotti dal proprio sistema immunitario (auto-anticorpi) che esercitano la loro azione a temperature corporee inferiori ai 37°», ci spiega.
Ritardo diagnostico
Ma Qual è la disfunzione che la caratterizza? La dottoressa Giordano chiarisce che la malattia porta ad una grave anemia (riduzione dei globuli rossi) di tipo emolitico. Questo significa che i globuli rossi si rompono e rilasciano sostanze tra le quali emoglobina e scarti. «Quindi, quando un paziente ha la CAD presenta i sintomi tipici dell’anemia: facile affaticabilità, incremento del battito cardiaco, dispnea per sforzi lievi, ma anche sintomi dovuti all’azione di questi particolari auto-anticorpi che agiscono soprattutto a basse temperature», dice Giordano. I numeri ci dicono che in Italia la malattia da agglutinine fredde riguarda più o meno una persona su un milione. O meglio, una su un milione riceve una diagnosi ogni anno. «Per questo motivo la CAD è spesso misconosciuta e il paziente è correttamente diagnosticato anche dopo molto tempo dall’esordio dei sintomi».
I sintomi
Ci sono, come in tutte le malattie, dei campanelli d’allarme ai quali è possibile prestare attenzione. La specialista ci spiega che «i pazienti con CAD possono riferire come primo sintomo una facile affaticabilità, oppure presentare le dita delle mani o piedi fredde e bluastre con relativa difficoltà nei movimenti di precisione. Il paziente può presentare ittero (cute e sclere degli occhi giallastri) per l’incremento della bilirubina dovuto alla distruzione dei globuli rossi». Se questi sono i sintomi principali, resta da capire come si arriva ad una diagnosi. Un percorso, lo diciamo subito, che spesso si trasforma in un’epopea. «Il primo esame da praticare se si ha un sospetto diagnostico è l’emocromo, che evidenzierà una riduzione dell’emoglobina. In seguito, il paziente dovrà praticare un consulto con lo specialista ematologo che provvederà a tutti gli esami del sangue specifici per evidenziare la presenza dell’effettiva distruzione dei globuli rossi in circolo. C’è un test specifico (Test di Coombs) che consente di accertare la presenza di anticorpi che legano e distruggono i globuli rossi proprio a temperature più fredde.
Evitare il freddo
Trattandosi di una malattia che reagisce al freddo, una delle raccomandazioni dei medici è quella di modifiche lo stile di vita, in primis, ma ci sono anche delle terapie specifiche quando la condizione diventa più severa. «Spieghiamo ai nostri pazienti che è necessario evitare l’esposizione a temperature più fredde e, comunque, che bisogna utilizzare indumenti che proteggano le parti più a rischio per il freddo (mani e piedi, ndr)». Quanto alla terapia «quella più comunemente usata fino ad ora per trattare la CAD è basata su un farmaco che agisce sui linfociti del paziente (globuli bianchi) impedendo ad essi di produrre gli autoanticorpi che attaccano i globuli rossi. Si tratta di un farmaco efficace, ma il paziente può perdere la risposta dopo qualche anno e avere bisogno di un nuovo ciclo di terapia. È importante anche informare i pazienti che questa terapia non è scevra da controindicazioni. Si tratta infatti di un farmaco che lo espone ad un maggior rischio di infezioni e di aver bisogno, in alcuni casi, di una profilassi per le infezioni batteriche e virali».
Una terapia efficace
La vera novità riguarda invece un nuovo farmaco per la CAD, approvato solo di recente, che agisce impedendo direttamente gli autoanticorpi di legarsi e quindi attaccare i globuli rossi e migliora in poco tempo i sintomi correlati all’anemia. Un capitolo a parte lo meritano le trasfusioni di sangue. «Se la CAD è in forma grave (acuta), il medico può aver bisogno di eseguire una trasfusione di sangue o una plasmaferesi – spiega Giordano – per stabilizzare la condizione. Purtroppo – conclude la specialista – non esiste una cura definitiva per questa malattia, la plasmaferesi agisce riducendo il numero di autoanticorpi circolanti nel sangue. La CAD è insomma una patologia cronica con la quale il paziente deve imparare a convivere, imparare a riconoscere i sintomi correlati ad un’acutizzazione della malattia ed evitare esposizioni a temperature più fredde».
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 29 settembre 2024 a Firma di Marcella Travazza con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
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Editoria: Speciale Salute e Prevenzione di Settembre
SpecialiAncora una volta il Network editoriale PreSa si impegna a promuovere la prevenzione e l’informazione sui temi della salute e lo fa, come sempre, attraverso le pagine de Il Mattino. In questo numero si parla di malattie rare, con un approfondimento dedicato alla CAD (Anemia Emolitica da Freddo), una patologia poco conosciuta ma che influisce notevolmente sulla qualità della vita delle persone colpite. A fornire un quadro completo su questa condizione è stata la dottoressa Claudia Giordano (Ematologia Federico II). Non manca poi uno sguardo alla salute globale, con l’obiettivo di comprendere come le sfide sanitarie attuali influenzano la popolazione mondiale. Il numero esplora anche il legame profondo tra arte, cultura e salute, un tema di crescente interesse che sottolinea l’importanza delle dimensioni culturali e creative nel promuovere il benessere. Un’edizione ricca di contenuti rilevanti, scritta come sempre in modo chiaro e diretto, per informare e sensibilizzare su temi cruciali per la salute di tutti.
Progetto CvRisk-IT, in 30mila ne potranno far parte
Prevenzione, NewsSaranno 30mila i cittadini che potranno essere selezionati per quello che si annuncia come uno dei più innovativi progetti di prevenzione del rischio cardiovascolare mai realizzati. Il progetto, coordinato dalla Rete cardiologica Irccs del ministero della Salute (chiamato a CvRisk-IT) prenderà il via nel mese di gennaio e coinvolgerà solo candidati che abbiano un’età compresa tra i 40 e gli 80 e non abbiano mai avuto malattie cardiovascolari o diabete di tipo 2.
La community
Ma come si fa a saperne di più o a candidarsi? È molto semplice, chi vuole partecipare all’iniziativa o desidera informazioni sulle modalità di reclutamento e le fasi del trial può iscriversi alla community. Farlo significa anche acquisire maggior consapevolezza su un problema che è ancora oggi la prima causa di morte in Italia (30,8%) e in Europa (32%). Nonostante ciò, il 54% degli italiani ritiene erroneamente di non essere a rischio e solo un italiano su due dichiara di fare “qualcosa” per la prevenzione cardiovascolare.
Tre nuovi criteri di rischio
Lo studio CvRisk-IT, finanziato dal ministero della Salute con 20 milioni per il quadriennio 2023-2026, mira a rivoluzionare l’approccio alla prevenzione cardiovascolare introducendo tre nuovi modificatori di rischio nei protocolli di valutazione: componente ereditaria, presenza e quantità di calcio coronarico e analisi dell’arteria carotidea. Elementi che, come sottolinea Lorenzo Menicanti, presidente della Rete cardiologica, nella nota, permetteranno di identificare con maggiore precisione i soggetti a rischio e di proporre interventi preventivi mirati e personalizzati.
Prevenzione personalizzata
Lo studio è tra i progetti finanziati dallo Stato, con la legge di bilancio 2023. A questo proposito, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato come “CvRisk-IT si distingue per l’approccio metodologico innovativo e per il potenziale impatto sulla salute dei cittadini, proponendo lo sviluppo di strategie di prevenzione primaria integrate e personalizzate con l’utilizzo di dati avanzati e tecnologie all’avanguardia per identificare precocemente il rischio cardiovascolare e intervenire in modo tempestivo”.
Sintomi
Le malattie cardiovascolari comprendono un’ampia gamma di condizioni che colpiscono il cuore e i vasi sanguigni. I sintomi possono variare a seconda del tipo specifico di malattia, ma ci sono alcuni segnali comuni che possono indicare la presenza di un problema cardiovascolare. Ecco quali sono i principali sintomi che dovrebbero far scattare un campanello d’allarme:
Sono invece sintomi specifici di infarto miocardico (attacco di cuore): il dolore al petto che dura più di qualche minuto o che va e viene. Il dolore in altre parti del corpo, come braccio sinistro, spalle, collo, mandibola o schiena. La sudorazione fredda, nausea o vomito. La difficoltà respiratorie improvvise.
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La mindfulness entra nelle scuole: un antidoto a stress e depressione giovanile
Adolescenti, Benessere, News, Prevenzione, PsicologiaNegli Stati Uniti, il benessere mentale degli studenti è diventato una priorità per il sistema educativo. La pandemia di Covid-19 ha esacerbato il disagio tra i più giovani, con ansia e depressione in aumento. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), più di un terzo degli studenti delle scuole superiori ha riferito di aver sperimentato una tristezza profonda e persistente nel 2021. La mindfulness, una pratica che si concentra sul qui e ora, si sta diffondendo nelle scuole americane come uno strumento per ridurre lo stress e migliorare il rendimento scolastico.
Come la pandemia ha colpito la salute mentale dei giovani
La pandemia ha lasciato segni indelebili sulla salute mentale degli studenti. Isolamento, chiusura delle scuole e incertezza hanno alimentato l’ansia tra i più giovani. Secondo i dati del CDC, nel 2021, il 37% degli studenti delle scuole superiori ha riportato sintomi di depressione, e tra i preadolescenti neri e ispanici, i tassi di suicidio sono aumentati del 144% tra il 2019 e il 2020. Le scuole situate in quartieri con una popolazione a basso reddito e con una maggioranza di studenti di colore hanno minori risorse per affrontare il problema. Gli studenti di queste comunità, come riportano i CDC, hanno meno accesso a servizi di salute mentale rispetto ai loro coetanei dei quartieri più ricchi.
La mindfulness è vista come una possibile soluzione. La pratica, che aiuta le persone a sviluppare consapevolezza e capacità di autoregolazione, sta trovando sempre più spazio nei programmi scolastici. Le ricerche dimostrano che riduce i sintomi dell’ansia e migliora la concentrazione e il rendimento scolastico.
Inner explorer: il programma che promuove la mindfulness nelle scuole
Inner Explorer è nasce per diffondere la pratica della mindfulness. La piattaforma utilizza una app che propone sessioni quotidiane di meditazione e riflessione, guidate da insegnanti o direttamente dall’app stessa. Le lezioni durano dai 5 ai 10 minuti e sono state pensate per essere integrate facilmente nella giornata scolastica.
Attualmente, Inner Explorer è utilizzato in oltre 100 scuole negli Stati Uniti. Gli insegnanti che hanno adottato il programma riportano risultati positivi: gli studenti mostrano una maggiore capacità di gestire le emozioni, meno assenze e migliori prestazioni accademiche. I dati raccolti dalle scuole dimostrano che praticare mindfulness aiuta a ridurre comportamenti impulsivi, diminuisce le sospensioni e favorisce la creazione di un ambiente di apprendimento più sereno e produttivo.
Il legame tra mindfulness e risultati scolastici
Le evidenze scientifiche a supporto della mindfulness sono numerose. Uno studio condotto dall’Università di Cambridge ha rilevato che gli studenti che praticano la mindfulness regolarmente hanno una maggiore capacità di concentrazione e sono in grado di gestire meglio lo stress. Secondo i ricercatori, gli effetti benefici della mindfulness si traducono in una migliore memoria a breve termine, maggiore capacità di risolvere problemi e un aumento del benessere emotivo generale.
La pratica della mindfulness favorisce anche l’autoregolazione, ossia la capacità di controllare i propri impulsi e comportamenti. Questo si riflette in una riduzione delle interruzioni durante le lezioni e in una maggiore partecipazione attiva degli studenti. Gli insegnanti che hanno integrato la mindfulness nelle loro classi riferiscono che gli studenti sono più tranquilli, meno propensi a reagire in modo aggressivo e più attenti durante le lezioni.
In uno studio pubblicato su Mindfulness è stato osservato che gli studenti che praticano regolarmente mindfulness ottengono voti più alti e mostrano un miglioramento nella capacità di autoregolarsi rispetto ai loro coetanei che non partecipano a questo tipo di programmi.
Mindfulness e inclusione sociale
Nelle scuole che adottano programmi di mindfulness, i ragazzi provenienti da contesti svantaggiati hanno l’opportunità di sviluppare competenze emotive e relazionali che li aiutano a sentirsi parte di una comunità. Questo è particolarmente importante nelle scuole situate in quartieri a basso reddito, dove le difficoltà economiche e sociali possono alimentare tensioni e conflitti.
Secondo un report del National Center for Education Statistics, le scuole con una popolazione studentesca a basso reddito hanno il doppio delle probabilità di segnalare problemi di comportamento rispetto alle scuole in quartieri benestanti. La mindfulness può contribuire a ridurre queste disuguaglianze, aiutando i ragazzi a sviluppare empatia e a migliorare le relazioni con i coetanei e gli insegnanti.
Mindfulness e salute mentale: i dati a supporto
Una meta-analisi condotta su oltre 80 studi ha rilevato che la mindfulness riduce i sintomi dell’ansia e della depressione in modo significativo. Gli studenti che partecipano a programmi di mindfulness mostrano una riduzione del 30% dei sintomi legati allo stress e un aumento del 20% nella capacità di autoregolazione.
Secondo uno studio condotto dall’American Psychological Association, gli effetti positivi della mindfulness sulla salute mentale sono particolarmente evidenti nei ragazzi che vivono in contesti svantaggiati. Lo studio ha rilevato che i giovani che praticano mindfulness in scuole situate in quartieri a basso reddito mostrano una riduzione del 25% dei sintomi legati all’ansia e una maggiore capacità di gestire le emozioni rispetto ai loro coetanei.
Giornata Mondiale Cuore: aderenza alle cure riduce quasi del 50% rischio cardiovascolare
Associazioni pazienti, Eventi d'interesse, Farmaceutica, News, Prevenzione, Stili di vitaSecondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la mancata aderenza alle terapie rappresenta una delle principali cause di complicazioni e morte per malattie croniche, incluse quelle cardiovascolari che sono la fetta predominante. L’OMS sottolinea che aderire a uno stile di vita sano e assumere le terapie prescritte fa la differenza sulla salute della popolazione molto più di qualsiasi miglioramento di cure mediche specifiche.
I dati a disposizione stimano che, a livello globale, l’aderenza media alle terapie croniche si aggiri intorno al 50%. Solo in Europa, circa il 50% dei ricoveri ospedalieri per malattie cardiovascolari causa circa 200.000 decessi ogni anno. In Italia, per far qualche esempio, tra le persone in trattamento con farmaci per il diabete l‘aderenza subottimale riguarda quasi il 70% dei pazienti mentre si aggira intorno al 40% nel caso di terapie ipolipemizzanti. Anche in altre condizioni di ambito cardio-cerebrovascolare l’aderenza subottimale è un dato di fatto poiché è meno del 50% nei pazienti in trattamento con farmaci per ipertensione, scompenso cardiaco e anticoagulanti, per arrivare addirittura all’80% in caso di pazienti trattati con farmaci per asma e BPCO2.
La Giornata mondiale del cuore
In occasione della Giornata Mondiale del Cuore (29 Settembre), la Fondazione Italiana per il Cuore (FIPC) lancia la campagna puntando i riflettori sull’aderenza terapeutica. L’obiettivo è ridurre la mortalità e migliorare la qualità della vita delle persone con malattie cardiovascolari (1 su 3 muore per malattie cardiovascolari e l’80% di esse è prevenibile).
“Non è solo questione di “prendere correttamente le medicine prescritte”, ma anche quella di comprendere che ogni scelta e ogni comportamento contribuiscono a migliorare la propria salute perché aderenza significa anche adottare e mantenere stili di vita salutari ed eseguire controlli medici regolari”. Lo ha sottolineato Emanuela Folco, Presidente FIPC. “Siamo molto orgogliosi – ha proseguito – che il Ministero della Salute abbia pubblicato il documento redatto da un tavolo di lavoro composto da 43 membri dell’’Alleanza Italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari, e coordinato da FIPC, focalizzato proprio sulla tematica dell’aderenza terapeutica dal titolo “Aderenza terapeutica: analisi critica e prospettive per un percorso efficace di cura delle malattie cardio-cerebrovascolari”.
Nel documento viene sottolineato come una scarsa aderenza alle terapie riduca drasticamente l’efficacia dei trattamenti, portando ad un aumento della mortalità e delle complicanze legate alle malattie cardiovascolari, oltre che un aumento della spesa sanitaria.
“I farmaci funzionano solo se vengono presi correttamente e seguite con scrupolo le indicazioni condivise con il proprio medico. Essere consapevoli e contribuire attivamente al proprio percorso di cura, assumendo le terapie e seguendo i consigli dei professionisti della Salute, significa ridurre drasticamente il rischio di complicazioni e migliorare la propria aspettativa di vita. L’ aderenza terapeutica – ha continuato Folco – è una strategia che permette di prevenire e ridurre i principali fattori di rischio cardiovascolare e cardiometabolico. È dimostrato infatti che i pazienti che aderiscono alle terapie cardiovascolari hanno una riduzione del 47% del rischio di mortalità per tutte le cause, ictus e infarto miocardico, rispetto a quei pazienti che invece non lo fanno”.
Tra le iniziative, screening gratuiti
Il 29 settembre di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale del Cuore, una campagna internazionale che coinvolge più di 100 paesi per sensibilizzare sulle malattie cardio-cerebrovascolari. Promossa dalla World Heart Federation insieme a oltre 200 organizzazioni nazionali, la giornata intende educare le persone su come prevenire queste patologie attraverso l’informazione e la prevenzione. In Italia, l’evento è coordinato dalla Fondazione Italiana per il Cuore (FIPC), che fa parte del Comitato Organizzatore internazionale. Con il supporto di Conacuore, che riunisce numerose associazioni di volontariato, e della Fondazione Giovanni Lorenzini, vengono organizzati eventi gratuiti durante i mesi di settembre e ottobre. Questi includono screening, incontri informativi e la distribuzione di opuscoli che offrono consigli pratici per la cura del cuore.
“Queste iniziative – ha concluso Giuseppe Ciancamerla, Presidente di Conacuore – permettono di educare i cittadini su prevenzione, stili di vita salutari e sull’importanza di controlli regolari, contribuendo a ridurre significativamente i rischi per la salute. È attraverso il coinvolgimento della comunità che possiamo fare la differenza, unendo le forze per un futuro con meno malattie cardiovascolari”.
Cos’è il mieloma multiplo e perché è importante la compliance terapeutica
Podcast, NewsPresa Weekly 27 Settembre 2024
PreSa WeeklyIsolamento sociale over 65: a rischio 1 su 7
Anziani, News, PrevenzioneGli over 65 italiani vivono lo spettro dell’isolamento sociale. Eppure sono spesso risorsa per i propri familiari e amici, a cui offrono aiuto e assistenza. Il 16%, nel biennio 2022-2023, dichiara che, nel corso di una settimana normale, non ha avuto contatti, neppure telefonici, con altre persone. Ben il 75% riferisce di non aver frequentato alcun punto di aggregazione (come parrocchia, circoli per anziani o circoli di partiti o di associazioni). Il quadro emerge dai dati della sorveglianza “Passi d’Argento” dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicati in vista della Giornata mondiale delle persone anziane, che si celebra il primo ottobre.
Over 65, i dati sull’isolamento
“In base ai nostri dati, quasi un over 65 su 7, vive in modo isolato – rileva Rocco Bellatone, Presidente dell’Iss – è necessario spezzare il cerchio di solitudine che si stringe intorno agli anziani perché questa condizione psicologica influsice in modo significativo sula qualità della loro vita e la loro salute. Oggi più che mai, in un mondo digitalizzato che può favorire l’isolamento, costruire reti e relazioni è essenziale per il benessere delle intere comunità”.
Complessivamente, infatti, il 15% riferisce di non aver aver avuto cotnatti neppure telefonici con altre persone e di non aver frequentato luoghi di aggregazione, e di fatto ha vissuto in una condizione di isolamento. Questo incide sulla qualità della vita e, oltre a condizionare gli aspetti della vita di relazione, può compromettere le attività quotidiane.
Isolamento sociale stabile, la pandemia ha frenato un calo costante
L’isolamento sociale coinvolgeva il 20% degli ultra 65enni nel 2016-2017 ed è sceso al 17% nel 2018-2019, a poco meno del 16% nel 2020-2021 e rimane stabile al 15% fino al biennio 2022-2023. Gli esperti evidenziano quindi che negli ultimi anni si va osservando una lenta ma costante riduzione della quota di persone a rischio di isolamento sociale, che tuttavia la pandemia sembra aver rallentato.
La condizione di isolamento sociale non mostra significative differenze di genere, ma è più frequente fra gli ultra 85enni (32% rispetto al 10% fra i 65-74enni), tra chi ha un basso livello di istruzione (24% rispetto al 10% fra persone più istruite) e maggiori difficoltà economiche (27% rispetto all’11% fra chi non ne ha) e fra i residenti nel Regioni meridionali (20% rispetto il 13% nel Centro e 10% nel Nord). Negli ultimi anni si andava osservando una lenta ma costante riduzione della quota di persone a rischio di isolamento sociale. La pandemia sembra non aver arrestato questa discesa, ma certamente l’ha rallentata.
Specie in tema di socialità intesa come frequentazione di luoghi di aggregazione come parrocchie, centri anziani, il calo significativo della quota di persone che ha partecipato ad attività aggregative o incontri nel periodo della pandemia non migliora nel tempo: nel biennio pre-pandemico 2018-2019 la stima era pari al 29%, nel 2022-2023 è pari al 25%. Invece, la quota di persone che riferisce di aver avuto comunque la possibilità di fare una chiacchierata con qualcuno nel confronto tra gli stessi due periodi sale dall’81% all’84%.
Un anziano su 4 risorsa per la collettività, specie le donne
Dai dati di Passi d’Argento 2022-2023 emerge che il 28% degli anziani intervistati rappresenta una risorsa per i propri familiari o per la collettività: il 17% si prende cura di parenti con cui vive, il 14% di familiari o amici con cui non vive e il 5% partecipa ad attività di volontariato. Questa capacità/volontà di essere risorsa è una prerogativa femminile (31% fra le donne rispetto al 24% negli uomini), si riduce notevolmente con l’avanzare dell’età (coinvolge il 34% dei 65-74enni ma appena il 13% degli ultra 85enni), ed è minore fra le persone con un basso livello di istruzione e tra chi ha difficoltà economiche. Nelle Regioni del Sud la quota di over 65 risorsa per la collettività è mediamente più bassa che nel resto del Paese.
Gite organizzate, corsi di lingue, cucina e computer, gli interessi degli over 65
Altro aspetto importante legato alla socialità riguarda la partecipazione ad eventi sociali, che coinvolge il 20% degli ultra 65enni. Il 18% dichiara di aver partecipato a gite o soggiorni organizzati e il 5% frequenta un corso di formazione (lingua inglese, cucina, uso del computer o percorsi presso università della terza età). L’adesione ad attività di questo tipo si riduce con l’età (coinvolge il 27% dei 64-75enni ma appena l’8% degli ultra 85enni) ed è decisamente inferiore fra le persone con un basso livello distruzione e tra chi ha difficoltà economiche. Svolgere un’attività lavorativa retribuita è poco frequente (7%) ed è prerogativa di persone con un più alto titolo di studio (12% rispetto al 2% tra chi al più la licenza elementare).
30 Anni di trapianti al Bambino Gesù
Medicina Sociale, NewsIl 29 settembre 1994 la morte di un bambino, Nicholas Green, cambio per sempre la storia dei trapianti in Italia. Il piccolo di soli 7 anni era in vacanza con la famiglia e venne colpito da un proiettile mentre viaggiava in auto sulla Salerno-Reggio Calabria. I suoi genitori, Reginald e Margaret, decisero di donare i suoi organi dopo la sua morte, dando speranza e una nuova vita a molte persone. Questo atto di straordinaria generosità innescò un cambiamento profondo nella percezione della donazione di organi nel nostro Paese.
Risultato incredibile
A distanza di 30 anni, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha commemorato questo importante anniversario con il convegno “Il dono della vita”, celebrando i risultati eccezionali ottenuti nel campo dei trapianti pediatrici. Ma cosa è cambiato in questi tre decenni e qual è il ruolo del Bambino Gesù in questa storia di speranza e progresso? Scopriamolo insieme.
I primi trapianti al Bambino Gesù
La storia dei trapianti di organi solidi al Bambino Gesù inizia la notte tra il 10 e l’11 febbraio 1986, con il primo trapianto di cuore pediatrico eseguito in Italia su un bambino di soli 15 mesi. Questo intervento segnò un momento cruciale per la medicina pediatrica italiana, aprendo la strada a una serie di successi che avrebbero reso il Bambino Gesù un centro di eccellenza nel settore.
Un decennio di progresso
Negli anni successivi, l’ospedale continuò a pionierizzare nel campo della trapiantologia pediatrica: nel 1993 il primo trapianto combinato cuore-rene, nel 1995 il primo trapianto di polmone e nel 2008 il primo trapianto di fegato. Questi interventi non solo hanno salvato numerose vite, ma hanno anche contribuito a sviluppare competenze mediche e infrastrutture cruciali per la gestione dei trapianti di organi nei pazienti più giovani.
La creazione del Centro Nazionale Trapianti (CNT)
Un passaggio fondamentale per la crescita della donazione di organi in Italia è stato l’introduzione della Legge 91 del 1999, che ha istituito il Centro Nazionale Trapianti (CNT). Questa legge ha strutturato l’intero sistema nazionale di donazione e trapianto, creando una rete coordinata che ha permesso di aumentare notevolmente il numero di donazioni e trapianti.
L’aumento delle donazioni
Grazie a una maggiore consapevolezza e a una migliore organizzazione, il tasso di donazione in Italia è quadruplicato negli ultimi 30 anni, passando da 7,9 donatori per milione di abitanti nel 1994 a 28,2 nel 2023. Questo risultato è stato possibile anche grazie all’esempio di famiglie come i Green, che con la loro scelta hanno ispirato migliaia di persone a considerare la donazione come un gesto di amore e solidarietà.
I risultati del Bambino Gesù negli ultimi 30 anni
Dal 1994 al 2023, al Bambino Gesù sono stati eseguiti 1.231 trapianti di organi solidi. Il numero annuale di interventi è cresciuto in modo esponenziale, passando dai 6 trapianti del 1994 agli 82 del 2023, con un incremento di oltre 13 volte.
Supporto alla rete trapiantologica nazionale
Nel 2023, l’Ospedale ha effettuato il 42% di tutti i trapianti pediatrici di organi solidi in Italia, consolidando il suo ruolo di riferimento a livello nazionale. Questo risultato è stato reso possibile grazie a un team multidisciplinare composto da decine di professionisti altamente specializzati e all’adozione di tecnologie all’avanguardia per la conservazione e l’utilizzo degli
Come funziona la donazione di organi
Donare gli organi è un gesto che può salvare molte vite, ma è importante comprendere come funziona il processo. In Italia, ogni cittadino può esprimere la propria volontà in merito alla donazione degli organi attraverso diverse modalità, come la registrazione presso l’ASL, la tessera del donatore, o tramite la dichiarazione al momento del rinnovo della carta d’identità.
Perché donare?
Donare gli organi è un atto di generosità che può trasformare la tragedia di una perdita in una possibilità di vita per chi è in attesa di un trapianto. L’esempio di Nicholas Green e di tante altre famiglie dimostra come la donazione possa avere un impatto positivo non solo per i riceventi, ma anche per l’intera comunità, contribuendo a rafforzare una cultura del dono basata su solidarietà e altruismo.
L’Effetto Nicholas: un esempio di solidarietà
Nel corso del convegno “Il dono della vita”, Reginald Green ha ricordato un gioco fatto con Nicholas durante il loro viaggio in Italia: “Quando arriverai a Roma, sarai trattato come un eroe. Le persone scriveranno poemi su di te”, gli avevano detto. Nicholas non è diventato un eroe in senso tradizionale, ma il suo gesto ha avuto un impatto ben più grande e duraturo: ha salvato vite con il potere del cuore, non delle armi.
Un sogno realizzato
Margaret Green ha ricordato la curiosità del figlio, che da grande avrebbe voluto fare “ogni lavoro del mondo”. Oggi, grazie agli organi donati da Nicholas, tante persone hanno potuto realizzare i propri sogni e contribuire alla società in mille modi diversi, da autisti di autobus a medici, insegnanti e artisti.
Donare la vita
Il percorso trentennale del Bambino Gesù nel campo della trapiantologia è una storia di dedizione, competenza e amore per la vita. L’esempio di Nicholas Green e l’impegno delle famiglie dei donatori sono il cuore pulsante di questo successo, che ha portato l’Italia ai vertici europei per numero di donazioni e trapianti. Continuare a sostenere e promuovere la donazione di organi è fondamentale per garantire una seconda possibilità a chi ne ha più bisogno.
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