Tempo di lettura: 5 minutiSalvare il sistema sanitario e i posti di lavoro (circa 200mila) dopo la sentenza della Consulta sul payback dei dispositivi medici, che rischierebbe di mandare sul lastrico oltre 2mila aziende. È stato questo il tema, e l’appello, lanciato in una conferenza stampa organizzata da PMI Sanità, l’associazione nazionale delle piccole e medie imprese che riforniscono gli ospedali di materiali necessari a diagnosi e cure. Il dibattito si è incentrato sulle conseguenze elaborate dallo studio di Nomisma delle due sentenze pubblicate nei giorni scorsi dalla Corte Costituzionale (n. 139 e n. 140) sul meccanismo del payback. “Il payback presenta di per sé diverse criticità ma non risulta irragionevole”, secondo la Corte.
Non sono della stessa opinione le imprese, che chiedono al Governo un tavolo di crisi urgente. All’incontro hanno partecipato il dott. Francesco Conti, l’avv. Giampaolo Austa e il dott. Gennaro Broya de Lucia, rispettivamente Responsabile Relazioni Istituzionali, Legal Team e Presidente di PMI Sanità.
«Una norma sbagliata e inutilmente dannosa», ha sottolineato dal Presidente Broya de Lucia, quella sul payback, che rischia di impattare gravemente sulle imprese, sui lavoratori e sull’esercizio del diritto alla salute di tutti i cittadini, spiega l’associazione. Un rischio che fino a pochi giorni fa era temibile, e ora la sentenza della Consulta ha reso imminente, richiamando l’urgenza di individuare una soluzione.
In una nota anche il vicepresidente della commissione Affari sociali della Camera, Luciano Ciocchetti si è espresso. “Riguardo al payback dispositivi medici, ritengo, al di là delle sentenze della Corte Costituzionale, che la norma del payback dispositivi medici che risale al 2015 debba essere affrontata e risolta con il suo superamento al più presto.
Come più volte il Parlamento si è espresso con atti di indirizzo. Auspico per questo che il ministero della Salute, il Mef e il Mimit attivino un tavolo con tutte le associazioni rappresentative delle aziende piccole, medie e grandi che forniscono il Ssn dei fondamentali dispositivi medici utili a curare al meglio i pazienti”.
Cos’è il payback
Oltre 8 anni fa, dal Governo Renzi, è stato pensato il sistema di tassazione del payback, di fatto, finora mai applicato, per la sua complessità nonché discussa legittimità. Il D.L. cosiddetto “Aiuti bis”, nel quale è stato inserito nell’ottobre 2022, definisce le regole per l’applicazione di un sistema di compartecipazione delle imprese, allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria.
All’atto pratico, lo Stato sposta ex lege una parte dei costi per le cure indispensabili degli italiani sulle aziende private del settore che sono chiamate a sanare lo sforamento del tetto fissato sulla spesa regionale, con una mega tassa pari al 50 per cento dell’intero importo dichiarato dalle regioni. Una cifra enorme, pari a 5 miliardi di euro del quale i fornitori non avevano contezza preventiva né controllo alcuno. Si tratta, di fatto, di una imposizione insostenibile – sottolineano i rappresentanti di PMI Sanità – applicata su forniture effettuate dal 2015 al 2018.
A rischio imprese più piccole
Un meccanismo questo che mette a rischio molte imprese – spiegano – soprattutto quelle più piccole, che non sono in grado di sostenerlo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n.140/2024 ha infatti respinto le questioni di legittimità promosse dal TAR Lazio, al quale erano stati rivolti circa 2 mila ricorsi, ritenendo, in sintesi, che il payback: debba essere considerato come un «contributo di solidatierà» necessario a sostenere il SSN; è proporzionato vista la riduzione al 48 per cento disposta dal Governo per il periodo 2015-2018.
“Era prevedibile visto che la legge è del 2015 nonostante i decreti con la determinazione del quantum siano stati pubblicati nel 2022”. Sempre la Corte Costituzionale, con la sentenza n.139/2024, ha stabilito che la riduzione al 48 per cento per il payback 2015-2018 debba essere applicata a tutti gli operatori soggetti a tale misura e non solo a quelli che hanno rinunciato al ricorso. “Con queste sentenze i rischi che fino a pochi giorni fa erano possibili, sono diventati imminenti, dipingendo uno scenario drammatico”.
Lo studio di Momisma
Secondo lo studio “Analisi dei meccanismi di ripartizione del payback per le imprese della filiera dei dispositivi medici” (settembre 2023), sviluppato da Nomisma per PMI Sanità, il payback coinvolge oltre 6.000 imprese di cui il 44 per cento circa ha meno di 10 addetti e il 70 per cento circa ha meno di 50 addetti. Un’impresa su 8 esistente nel 2015 è cessata o è già in stato di insolvenza per cui non potrà pagare. Due imprese su 5 si troverebbero in difficoltà economico-finanziaria se dovessero pagare il payback. Le imprese con almeno un fattore di criticità economico-finanziaria dopo l’applicazione del payback sono, in 3 casi su 4, con meno di 50 addetti, ossia PMI.
Lo studio Nomisma mostra che salvo qualche eccezione, – in proporzione – il payback va a colpire relativamente di più le imprese meno strutturate, condizionandone l’operatività e, in molti casi, la stessa esistenza sul mercato e che continuerà a generare debito e quindi gravi problemi per le società. La scomparsa dal mercato di molte piccole e medie imprese determinerebbe minore concorrenza e, conseguentemente, un abbassamento della qualità dei dispositivi e un innalzamento generalizzato dei prezzi (per ammortizzare il «costo» del payback), che, giocoforza, farebbe ulteriormente aumentare anche l’inflazione (con effetto anche sulla revisione prezzi). Ultima conseguenza infine sarebbe l’eliminazione del gettito ricavato dalle imprese fornitrici che dovessero uscire dal mercato pubblico.
Payback inefficace per contenere i costi
In conclusione, secondo lo studio il payback è uno strumento inefficace per contenere i costi vista la dinamica di aumento dei prezzi che ne deriverebbe almeno per il futuro. La riduzione di concorrenza nel mercato avrebbe l’effetto non solo di aumentare i prezzi, ma anche di ridurre la qualità dei dispositivi offerti perché pagati di più in altri mercati (es. USA).
È imprescindibile sterilizzare gli effetti del payback per il passato (2015-2021) e abolire l’istituto per il futuro salvaguardando, in special modo, le PMI che sono il nocciolo duro dei fornitori del settore – sottolineano i rappresentanti. Una soluzione intermedia, che potrebbe essere auspicabile, è quella della franchigia, che consentirebbe a molte imprese di evitare il fallimento, specie se micro, medie e piccole, eviterebbe la crisi delle forniture direttamente connessa alla crisi finanziaria dei fornitori di dispositivi medici e garantirebbe il mantenimento della concorrenza nel settore.
Broya de Lucia: immediato tavolo di crisi con il Governo e con la Conferenza-Stato Regioni
Gennaro Broya de Lucia, Francesco Conti, Giampaolo Austa
«Le conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale possono mettere a rischio molte imprese – dichiara il dott. Gennaro Broya de Lucia – Il payback dispositivi medici è un istituto che sposta artificiosamente miliardi di debito pubblico su malcapitate aziende private che da anni si prodigano quotidianamente per il funzionamento della sanità italiana, specialmente di quella pubblica. Aziende con oltre 30 anni di storia o nuove società, che vengono distrutte.
Questo significa che 200 mila famiglie vedranno in pochi istanti azzerata la loro esistenza professionale e non solo. Per molte delle 6.000 imprese destinatarie della norma mostro, specialmente per le più piccole, significa uscire dal mercato non con una valanga di debiti impagabili imposti per legge e prima inesistenti, debiti enormi perché di una intera nazione. Le nostre società, i nostri collaboratori, i nostri medici e infermieri assistiti, non meritano tutto questo.
Dinnanzi a questa legge profondamente sbagliata e foriera di irreversibili iniquità, il Governo ha ora la possibilità e il dovere di intervenire ed agire nell’interesse della tenuta del sistema sanitario, del lavoro e della Giustizia. PMI Sanità chiede un immediato tavolo di crisi con il Governo e con la Conferenza-Stato Regioni che comprenda le conseguenze sulle piccole e le medie imprese italiane e si adoperi per una soluzione definitiva che tuteli questo strategico comparto. Ai tanti colleghi chiedo: non perdetevi d’animo, non possiamo e non dobbiamo arrenderci.»
Il Covid rialza la testa
CovidMal di gola, tosse e mal di testa: il Covid sta inaspettatamente rialzando la testa con sintomi che stanno costringendo a casa migliaia di italiani. Non si parla del virus che costrinse in casa l’Italia intera, ma è certamente un indicatore da non sottovalutare il fatto che (i dati sono quelli dell’Istituto Superiore di Sanità e del ministero della Salute) i casi di Covid in Italia sono aumentati del 53,3% la scorsa settimana, passando da circa 9mila a 13.672.
Indice di trasmissibilità del Covid
Resta sopra la soglia epidemia di 1, ma sostanzialmente “stabile”, l”indice di trasmissibilità Rt, calcolato con dati aggiornati al 24 luglio 2024 e basato sui casi con ricovero ospedaliero: al 15 luglio è pari a 1,24 (con valori compresi fra 1,14-1,35), rispetto al valore di 1,20 (1,08-1,32) della settimana precedente
Attenzione agli anziani
Questi dati tratteggiano una variante che si sta rivelando più aggressiva delle altre. Al 24 luglio risultano in leggero aumento i ricoveri in area medica, pari a 2,4% (1.517 ricoverati) e stabili quelli nelle terapie intensive, pari a 0,4% (38 ricoverati). I ricoveri sono inoltre più elevati nelle fasce di età più alte, pari a 47 su un milione di abitanti nell’età compresa fra 80 e 89 anni e 86 su un milione per gli ultranovantenni; nelle terapie intensive sono a pari a 1 su un milione per entrambe le fasce d’età e la mortalità risulta di 4 su un milione per l’età compresa fra 80 e 89 anni e di 12 su un milione oltre i 90 anni.
I dati
L’incidenza di casi di Covid-19 diagnosticati e segnalati nel periodo fra il 18 e il 24 luglio è pari a 23 casi per 100mila abitanti, “in lieve aumento rispetto alla settimana precedente, pur rimanendo bassa”, si rileva nel monitoraggio, pari a 15 casi per 100mila abitanti nella settimana dall’11 al 17 luglio. In questa stessa settimana l’incidenza dei casi diagnosticati e segnalati risulta in lieve aumento nella maggior parte delle Regioni e Province autonome rispetto alla settimana precedente.
Campania in testa
L’incidenza più elevata è riportata in Campania (45 casi per 100mila abitanti) e la più bassa nelle Marche (2 casi per 100mila abitanti). Le fasce d’età che registrano il più alto tasso di incidenza settimanale sono quelle comprese fra 80 e 89 anni e oltre i 90 anni. L’incidenza settimanale risulta comunque “in aumento nella maggior parte delle fasce d’età” e l’età mediana alla diagnosi è di 60 anni, in leggera diminuzione rispetto alla settimana precedente. Sempre rispetto alla settimana precedente, le reinfezioni risultano essere il 48% circa, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente.
Le varianti
Per quanto riguarda le varianti del virus SarsCov2, i dati del sequenziamento presenti nella piattaforma nazionale I-Co-Gen, indicano la circolazione simultanea di diverse sottovarianti di JN1, secondo quanto emerge nell’ultimo mese di campionamento consolidato. In aumento i sequenziamenti della variante KP.3.1.1, oggetto di monitoraggio internazionale e che secondo ricerche recenti potrebbe avere un ruolo nell’aumento di circolazione del virus.
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Covid, ecco sta succedendo
Alzheimer si manifesta 18 anni prima, gli 8 segnali della malattia
Anziani, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneI segnali predittivi dell’Alzheimer possono comparire fino a 18 anni prima della diagnosi. Lo ha evidenziato uno studio cinese pubblicato sul The New England Journal of Medicine a inizio anno. L’indagine, durata 20 anni, ha coinvolto migliaia di partecipanti e ha evidenziato una sequenza precisa di eventi biologici. Tuttavia, lo studio conferma tesi già note, ma ne approfondisce la tempistica, offrendo la sequenza temporale dei biomarcatori nella progressione della malattia. Resta però il fatto che non esistono ancora strumenti predittivi sufficienti per prevenire con precisione l’Alzheimer.
Cos’è l’Alzheimer
L’Alzheimer è la forma più comune di demenza, una malattia neurodegenerativa che distrugge progressivamente le cellule nervose. Il sintomo principale è la perdita della memoria a breve termine. Nel cervello dei malati si osservano neuroni danneggiati circondati da proteina beta-amiloide e cellule infiammatorie. L’infiammazione cerebrale e i danni ai vasi sanguigni sono altre caratteristiche della malattia.
Diffusione globale dell’Alzheimer
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 55 milioni di persone nel mondo soffrono di demenza, e si stima che questo numero crescerà fino a 78 milioni entro il 2030. In Italia, circa 1,2 milioni di persone soffrono di demenza, di cui 600 mila sono malati di Alzheimer. Circa 3 milioni di persone sono coinvolte direttamente o indirettamente nella gestione della malattia.
Alzheimer colpisce anche i giovani
Secondo lo studio cinese, l’Alzheimer può manifestarsi anche in età giovane. Gli scienziati hanno analizzato la variazione di proteine specifiche e le alterazioni nel tessuto cerebrale. Questi cambiamenti compaiono in una sequenza definita, culminando nella malattia. Nonostante l’accumulo di beta-amiloide sia un segno distintivo, non è sempre presente in tutti i malati.
Dettagli dello studio cinese
Lo studio, condotto dal professor Jianping Jia, ha coinvolto migliaia di partecipanti nello studio China Cognition and Aging Study (COAST) tra il 2000 e il 2020. I partecipanti sono stati sottoposti a esami regolari, tra cui test del liquido cerebrospinale, scansioni cerebrali e valutazioni cognitive. L’età media dei partecipanti era di 61 anni, e il 50,6% erano maschi. I ricercatori hanno confrontato i dati di 648 individui sani con quelli di 648 persone che hanno sviluppato l’Alzheimer.
Otto segnali del countdown dell’Alzheimer
La ricerca cinese ha dato un contributo significativo per la sua ampiezza e durata, tuttavia l’accumulo di beta-amiloide e la comparsa della proteina tau sono processi conosciuti da tempo. La perdita di volume cerebrale e i primi disturbi cognitivi sono osservabili anni prima della diagnosi.
Differenze di genere nello sviluppo dell’Alzheimer
alzheimer
Un altro studio, condotto dalla Case Western Reserve University e pubblicato su “Cell”, ha scoperto che le donne hanno il doppio delle probabilità rispetto agli uomini di sviluppare l’Alzheimer. Questo potrebbe essere dovuto a una maggiore deposizione di proteina tau nel cervello delle donne. I ricercatori hanno identificato un enzima, USP11, più presente nel cervello femminile, che è collegato alla patologia della tau cerebrale.
Presa Weekly 26 Luglio 2024
PreSa WeeklyAcqua potabile contaminata, l’allarme del rapporto PAN Europe su PFAS e TFA
Alimentazione, Benessere, News, News, Ricerca innovazione, Stili di vitaQuando si parla di contaminanti dell’acqua potabile, i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) sono spesso i primi a venire in mente. Tuttavia, oltre ai noti PFAS, esiste un altro composto tossico derivato da questi, che sta emergendo come una seria minaccia per la salute pubblica: l’acido trifluoroacetico (TFA). Un recente rapporto di PAN Europe ha messo in luce la presenza di TFA nell’acqua potabile, rivelando una situazione preoccupante e sottolineando la necessità di un intervento urgente.
Il problema del TFA: un’eredità dei PFAS
L’acido trifluoroacetico (TFA) si forma dalla degradazione dei PFAS. Come i PFAS, il TFA è estremamente stabile e duraturo nell’ambiente, rendendolo una sostanza persistente che contamina le acque europee. Nonostante la sua stabilità e potenziale pericolosità, il TFA è poco conosciuto e scarsamente regolamentato. La sua presenza rappresenta una nuova sfida nella lotta contro l’inquinamento delle acque potabili.
Risultati del rapporto di PAN Europe, numeri oltre i limiti di sicurezza
PAN Europe ha condotto un’analisi su 23 campioni di acque superficiali e sei campioni di acque sotterranee provenienti da dieci paesi dell’UE. Il rapporto ha rivelato che tutti i campioni analizzati contenevano PFAS, con il TFA che costituiva oltre il 98% del totale dei PFAS rilevati. I dati mostrano un quadro allarmante della contaminazione da TFA nelle acque potabili europee.
Il 79% dei campioni d’acqua testati presentava livelli di TFA superiori al limite proposto di 500 ng/l per i PFAS totali dalla Direttiva UE sulle acque potabili. Nessuno degli altri 23 PFAS analizzati ha superato i rispettivi limiti proposti dalla stessa direttiva. I livelli di TFA nei campioni variavano da 370 ng/l a 3.300 ng/l, con una media di 1.180 ng/l, mentre la somma di tutti gli altri 23 PFAS aveva una media di 17,5 ng/l.
Implicazioni della contaminazione da TFA
I livelli di TFA trovati rappresentano la più grande contaminazione idrica territoriale causata da una sostanza chimica prodotta dall’uomo. I pesticidi PFAS sono la causa principale della contaminazione da TFA nelle aree rurali, seguiti da refrigeranti, trattamenti delle acque reflue e inquinamento industriale. La classificazione dei TFA come metaboliti “non rilevanti” nel regolamento UE sui pesticidi ha ostacolato la protezione efficace delle falde acquifere.
Fallimenti regolatori
Il “divieto di deterioramento” della direttiva quadro sulle acque dell’UE non è riuscito a prevenire l’inquinamento crescente da TFA. L’idea che i PFAS a catena corta, come i TFA, siano innocui è sempre più smentita dalle attuali prove scientifiche. Alcuni studi mostrano effetti negativi simili a quelli dei PFAS, in particolare sul sistema riproduttivo.
Mancanza di studi e regolamentazioni
Nonostante la sua potenziale pericolosità, il TFA è poco studiato e non ci sono attualmente valori soglia stabiliti per la sua presenza nell’acqua potabile. L’European Food Safety Authority (EFSA) ha fissato nel 2016 un valore tollerabile di 50 microgrammi (µg) di TFA per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Più recentemente, l’Istituto nazionale olandese per la salute pubblica e l’ambiente (RIVM) ha proposto un limite molto più basso, di soli 0,32 µg/kg/giorno.
Richiesta di intervento da parte di PAN Europe
PAN Europe chiede ai governi di agire con urgenza per affrontare questa minaccia. Le misure proposte includono il divieto immediato dei pesticidi contenenti PFAS, dei gas fluorurati e la definizione di un limite massimo di TFA nell’acqua potabile a livello europeo. Proteggere l’acqua potabile è fondamentale per la salute pubblica e richiede un impegno congiunto da parte delle autorità e della comunità scientifica, sottolinea.
Paybak dispositivi medici. Pmi Sanità: al fallimento oltre 2mila aziende
Economia sanitaria, Farmaceutica, News, NewsSalvare il sistema sanitario e i posti di lavoro (circa 200mila) dopo la sentenza della Consulta sul payback dei dispositivi medici, che rischierebbe di mandare sul lastrico oltre 2mila aziende. È stato questo il tema, e l’appello, lanciato in una conferenza stampa organizzata da PMI Sanità, l’associazione nazionale delle piccole e medie imprese che riforniscono gli ospedali di materiali necessari a diagnosi e cure. Il dibattito si è incentrato sulle conseguenze elaborate dallo studio di Nomisma delle due sentenze pubblicate nei giorni scorsi dalla Corte Costituzionale (n. 139 e n. 140) sul meccanismo del payback. “Il payback presenta di per sé diverse criticità ma non risulta irragionevole”, secondo la Corte.
Non sono della stessa opinione le imprese, che chiedono al Governo un tavolo di crisi urgente. All’incontro hanno partecipato il dott. Francesco Conti, l’avv. Giampaolo Austa e il dott. Gennaro Broya de Lucia, rispettivamente Responsabile Relazioni Istituzionali, Legal Team e Presidente di PMI Sanità.
«Una norma sbagliata e inutilmente dannosa», ha sottolineato dal Presidente Broya de Lucia, quella sul payback, che rischia di impattare gravemente sulle imprese, sui lavoratori e sull’esercizio del diritto alla salute di tutti i cittadini, spiega l’associazione. Un rischio che fino a pochi giorni fa era temibile, e ora la sentenza della Consulta ha reso imminente, richiamando l’urgenza di individuare una soluzione.
In una nota anche il vicepresidente della commissione Affari sociali della Camera, Luciano Ciocchetti si è espresso. “Riguardo al payback dispositivi medici, ritengo, al di là delle sentenze della Corte Costituzionale, che la norma del payback dispositivi medici che risale al 2015 debba essere affrontata e risolta con il suo superamento al più presto.
Come più volte il Parlamento si è espresso con atti di indirizzo. Auspico per questo che il ministero della Salute, il Mef e il Mimit attivino un tavolo con tutte le associazioni rappresentative delle aziende piccole, medie e grandi che forniscono il Ssn dei fondamentali dispositivi medici utili a curare al meglio i pazienti”.
Cos’è il payback
Oltre 8 anni fa, dal Governo Renzi, è stato pensato il sistema di tassazione del payback, di fatto, finora mai applicato, per la sua complessità nonché discussa legittimità. Il D.L. cosiddetto “Aiuti bis”, nel quale è stato inserito nell’ottobre 2022, definisce le regole per l’applicazione di un sistema di compartecipazione delle imprese, allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria.
All’atto pratico, lo Stato sposta ex lege una parte dei costi per le cure indispensabili degli italiani sulle aziende private del settore che sono chiamate a sanare lo sforamento del tetto fissato sulla spesa regionale, con una mega tassa pari al 50 per cento dell’intero importo dichiarato dalle regioni. Una cifra enorme, pari a 5 miliardi di euro del quale i fornitori non avevano contezza preventiva né controllo alcuno. Si tratta, di fatto, di una imposizione insostenibile – sottolineano i rappresentanti di PMI Sanità – applicata su forniture effettuate dal 2015 al 2018.
A rischio imprese più piccole
Un meccanismo questo che mette a rischio molte imprese – spiegano – soprattutto quelle più piccole, che non sono in grado di sostenerlo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n.140/2024 ha infatti respinto le questioni di legittimità promosse dal TAR Lazio, al quale erano stati rivolti circa 2 mila ricorsi, ritenendo, in sintesi, che il payback: debba essere considerato come un «contributo di solidatierà» necessario a sostenere il SSN; è proporzionato vista la riduzione al 48 per cento disposta dal Governo per il periodo 2015-2018.
“Era prevedibile visto che la legge è del 2015 nonostante i decreti con la determinazione del quantum siano stati pubblicati nel 2022”. Sempre la Corte Costituzionale, con la sentenza n.139/2024, ha stabilito che la riduzione al 48 per cento per il payback 2015-2018 debba essere applicata a tutti gli operatori soggetti a tale misura e non solo a quelli che hanno rinunciato al ricorso. “Con queste sentenze i rischi che fino a pochi giorni fa erano possibili, sono diventati imminenti, dipingendo uno scenario drammatico”.
Lo studio di Momisma
Secondo lo studio “Analisi dei meccanismi di ripartizione del payback per le imprese della filiera dei dispositivi medici” (settembre 2023), sviluppato da Nomisma per PMI Sanità, il payback coinvolge oltre 6.000 imprese di cui il 44 per cento circa ha meno di 10 addetti e il 70 per cento circa ha meno di 50 addetti. Un’impresa su 8 esistente nel 2015 è cessata o è già in stato di insolvenza per cui non potrà pagare. Due imprese su 5 si troverebbero in difficoltà economico-finanziaria se dovessero pagare il payback. Le imprese con almeno un fattore di criticità economico-finanziaria dopo l’applicazione del payback sono, in 3 casi su 4, con meno di 50 addetti, ossia PMI.
Lo studio Nomisma mostra che salvo qualche eccezione, – in proporzione – il payback va a colpire relativamente di più le imprese meno strutturate, condizionandone l’operatività e, in molti casi, la stessa esistenza sul mercato e che continuerà a generare debito e quindi gravi problemi per le società. La scomparsa dal mercato di molte piccole e medie imprese determinerebbe minore concorrenza e, conseguentemente, un abbassamento della qualità dei dispositivi e un innalzamento generalizzato dei prezzi (per ammortizzare il «costo» del payback), che, giocoforza, farebbe ulteriormente aumentare anche l’inflazione (con effetto anche sulla revisione prezzi). Ultima conseguenza infine sarebbe l’eliminazione del gettito ricavato dalle imprese fornitrici che dovessero uscire dal mercato pubblico.
Payback inefficace per contenere i costi
In conclusione, secondo lo studio il payback è uno strumento inefficace per contenere i costi vista la dinamica di aumento dei prezzi che ne deriverebbe almeno per il futuro. La riduzione di concorrenza nel mercato avrebbe l’effetto non solo di aumentare i prezzi, ma anche di ridurre la qualità dei dispositivi offerti perché pagati di più in altri mercati (es. USA).
È imprescindibile sterilizzare gli effetti del payback per il passato (2015-2021) e abolire l’istituto per il futuro salvaguardando, in special modo, le PMI che sono il nocciolo duro dei fornitori del settore – sottolineano i rappresentanti. Una soluzione intermedia, che potrebbe essere auspicabile, è quella della franchigia, che consentirebbe a molte imprese di evitare il fallimento, specie se micro, medie e piccole, eviterebbe la crisi delle forniture direttamente connessa alla crisi finanziaria dei fornitori di dispositivi medici e garantirebbe il mantenimento della concorrenza nel settore.
Broya de Lucia: immediato tavolo di crisi con il Governo e con la Conferenza-Stato Regioni
Gennaro Broya de Lucia, Francesco Conti, Giampaolo Austa
«Le conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale possono mettere a rischio molte imprese – dichiara il dott. Gennaro Broya de Lucia – Il payback dispositivi medici è un istituto che sposta artificiosamente miliardi di debito pubblico su malcapitate aziende private che da anni si prodigano quotidianamente per il funzionamento della sanità italiana, specialmente di quella pubblica. Aziende con oltre 30 anni di storia o nuove società, che vengono distrutte.
Questo significa che 200 mila famiglie vedranno in pochi istanti azzerata la loro esistenza professionale e non solo. Per molte delle 6.000 imprese destinatarie della norma mostro, specialmente per le più piccole, significa uscire dal mercato non con una valanga di debiti impagabili imposti per legge e prima inesistenti, debiti enormi perché di una intera nazione. Le nostre società, i nostri collaboratori, i nostri medici e infermieri assistiti, non meritano tutto questo.
Dinnanzi a questa legge profondamente sbagliata e foriera di irreversibili iniquità, il Governo ha ora la possibilità e il dovere di intervenire ed agire nell’interesse della tenuta del sistema sanitario, del lavoro e della Giustizia. PMI Sanità chiede un immediato tavolo di crisi con il Governo e con la Conferenza-Stato Regioni che comprenda le conseguenze sulle piccole e le medie imprese italiane e si adoperi per una soluzione definitiva che tuteli questo strategico comparto. Ai tanti colleghi chiedo: non perdetevi d’animo, non possiamo e non dobbiamo arrenderci.»
Tumori della mammella e del colon: mortalità cala ma non al Sud
NewsAl Sud d’Italia si perdono più anni di vita per i tumori della mammella e del colon. Lo evidenzia il primo rapporto del Gruppo di Lavoro su equità e salute nelle Regioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). La mortalità per questi tumori, storicamente più bassa rispetto al Nord, è ora paragonabile. La causa principale è il minore ricorso agli screening nelle regioni meridionali che produce anche un alto indice di fuga, ovvero il numero di pazienti costretti a spostarsi per curarsi.
I dati
Il gruppo istituito dal presidente dell’ISS, Rocco Bellantone, ha analizzato dati di mortalità, coperture degli screening oncologici e schede di dimissione ospedaliera. Sono state esaminate le differenze regionali nella mortalità per tumore della mammella e del colon-retto, che rappresentano il 40% delle diagnosi di tumore in Italia. Il rapporto ha valutato l’impatto degli screening sulla riduzione della mortalità negli ultimi 20 anni e la capacità delle singole regioni di gestire i pazienti oncologici, analizzando la mobilità sanitaria extra-regionale.
Mortalità cala ma non al Sud
In Italia, la mortalità per tumore della mammella è calata del 16% dal 2001 al 2021. Tuttavia, al Sud la riduzione è stata inferiore rispetto al Nord (-6% vs -21%). In alcune regioni meridionali come Calabria, Molise e Basilicata, si sono osservati incrementi della mortalità pari al 9%, 6% e 0,8% rispettivamente.
Anche per il tumore del colon, il divario tra Nord e Sud è significativo. Nelle donne, la mortalità si è ridotta del 30% al Nord e al Centro, ma solo del 14% al Sud. La situazione è ancora più critica per gli uomini: calo del 33% al Nord, del 26% al Centro e solo dell’8% al Sud. La Calabria è la regione più critica, con una riduzione minima della mortalità nelle donne (-2%) e quasi nulla negli uomini (-0,9%).
Meno decessi dove si fanno più controlli
La copertura degli screening mammografici e del colon-retto mostra un divario Nord-Sud. Al Nord, la copertura degli screening mammografici raggiunge il 90%, mentre al Sud si attesta intorno al 60%. Per i tumori del colon, la copertura è del 67% al Nord, del 51% al Centro e del 26% al Sud. Nelle regioni del Nord, dove gli screening sono più diffusi, la riduzione della mortalità per tumore della mammella è stata del 35% dal 2001 al 2021, molto più elevata rispetto al Sud. Anche per i tumori del colon, nelle regioni del Nord e del Centro, la mortalità si è ridotta del 30%, mentre al Sud solo del 14% nelle donne e dell’8% negli uomini.
Meno screening, indice di fuga più alto
Il rapporto mostra che nel Sud i livelli di mobilità dei pazienti sono tre volte più alti rispetto al Centro-Nord. Per il tumore della mammella, le regioni con coperture di screening più alte presentano indici di fuga più bassi. Nelle regioni con buoni livelli di screening, il sistema sanitario riesce a prendersi carico dei casi di tumore della mammella che necessitano di intervento chirurgico, cosa che non avviene nelle regioni con screening insufficienti. Calabria e Molise sono tra le regioni con i più bassi livelli di copertura dello screening mammografico e i più alti indici di fuga.
In conclusione, il rapporto dell’ISS sottolinea come le disparità regionali nell’accesso agli screening oncologici influiscano negativamente sulla mortalità e sugli anni di vita persi per tumore. La situazione è particolarmente critica nel Sud Italia, dove la riduzione della mortalità per tumori della mammella e del colon è significativamente inferiore rispetto al Nord.
Infezioni ospedaliere: 11mila decessi l’anno in Italia, come prevenire
NewsLe infezioni ospedaliere o meglio note come Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), sono provocate da germi multiresistenti agli antibiotici e rappresentano una nuova pandemia. L’Italia è uno dei Paesi con le peggiori performance, con 11mila decessi l’anno, un terzo di quelli che si verificano in tutta Europa. Secondo l’ultimo report dell’ECDC, le infezioni contratte in ospedale in Italia sono almeno 430mila, mentre l’incidenza è tra le maggiori in Europa (8.2 persone con una Infezione Correlata all’Assistenza ogni 100 ricoverati).
“Lo scenario italiano in tema di infezioni Correlate all’Assistenza rende indispensabile una appropriatezza prescrittiva della terapia antibiotica e una sua rapida applicazione per incrementare la possibilità di sopravvivenza del paziente – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – Numerosi studi confermano che l’appropriatezza prescrittiva realizzata con una efficace consulenza infettivologica può ridurre in maniera significativa la mortalità dei pazienti con infezioni gravi. Altrettanto importante è la rapidità dei tempi: in un paziente con sepsi, passate sei ore, la somministrazione della corretta terapia antibiotica riduce rischio di mortalità ogni ora dell’8%”.
Infezioni ospedaliere, distanza tra domanda e offerta nella consulenza infettivologica
In Italia, le strutture sanitarie dotate di una Unità Operativa di Malattie Infettive sono poche e questo è un limite alla lotta all’antimicrobico resistenza e alle infezioni ospedaliere. Molte strutture stipulano convenzioni per la consulenza infettivologica, spesso attraverso mezzi inadeguati. Da questa esigenza è nata la piattaforma CADIS di Nomos che consente una consulenza in tempo reale, con la possibilità di scambiare dati, immagini e referti, tra il medico che gestisce il paziente e il consulente infettivologo. Il dispositivo medico certificato CE, inoltre, assicura la sicurezza dei dati e la privacy.
“La piattaforma CADIS – commenta Andreoni – offre l’opportunità di una consulenza infettivologica anche in quei centri non dotati di specialisti di malattie infettive, colmando un gap frequente, visto che questi reparti sono presenti in poco più del 30% degli ospedali italiani”.
“La valutazione in tempo reale dei dati analitici generati dai laboratori di microbiologia clinica rappresenta un momento cruciale nella gestione del paziente critico – evidenzia Paolo Fazii, Componente del Direttivo Nazionale dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani – Poiché la possibilità di un evento settico è molto alta, in questi casi bisogna intervenire con un’adeguata terapia antimicrobica nel più breve tempo possibile. Il management dei dati microbiologici trova nell’infettivologo il professionista dotato di maggiore expertise in ambito sanitario. Per tale motivo, ben vengano iniziative come quella della CADIS con l’obiettivo comune e condiviso del miglioramento degli outcome, della riduzione dei microrganismi multiresistenti e, non ultimo, della diminuzione delle spese sanitarie generate dalle complicanze infettive”.
Medici di Napoli, “ora basta polemiche”
NewsQuasi come fosse una soap estiva, le elezioni del Consiglio Direttivo dell’Ordine dei Medici Chirurgi ed Odontoiatri di Napoli e provincia si sono protratte tra polemiche e frecciatine. Ad infuocare gli animi stato un commissariamento deciso dalla CCEPS – Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, una questione di cavilli e di procedure più che di sostanza, che però ha interrotto bruscamente il quadriennio di presidenza di Bruno Zuccarelli rimescolando le carte. Alla fine, la nuova tornata elettorale – alla quale si è presentato anche Emilio Montemarano (figlio dell’ex assessore Angelo Montemarano) ha visto la conferma della lista Etica (quella che già aveva vinto le precedenti elezioni poi annullate).
La polemica dei medici “sconfitti”
Il risultato delle urne non ha però decretato la fine delle accuse e degli scontri a colpi di dichiarazioni. In ordine di tempo, il j’accuse mosso a Zuccarelli & Co. da alcuni dei medici che non sono riusciti ad ottenere sufficienti voti è stato quello di aver beneficiato di un sistema elettorale che ha penalizzato l’entrata in Consiglio di candidati delle liste avversarie che pure avevano ricevuto un numero considerevole di voti.
La replica degli odontoiatri
Non si sono fatte attendere le repliche. La prima è arrivata dal presidente Bruno Zuccarelli, che ha chiarito come i voti espressi abbiano definitivamente chiuso la questione. Poi è stata la volta del nuovo presidente della Commissione Albo Odontoiatri Pietro Rutigliani: “Più che una riforma elettorale per l’Ordine dei Medici di Napoli, a giudicare da come qualcuno legge i dati, servirebbe qualche ripetizione di matematica”, ha detto con una battuta. “Nonostante l’altissima percentuale di votanti odontoiatri in presenza (oltre 1.200), come non mai nella storia del nostro Ordine, alcuni dei medici candidati e risultati sconfitti nella competizione elettorale evidentemente vogliono negare la realtà”.
Il sistema di voto
Dati alla mano, il presidente della Commissione Albo Odontoiatri sottolinea come vada considerato per queste valutazioni espresse sull’organo di governo dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri di Napoli anche il voto degli odontoiatri e chiarisce, così come già fatto dal presidente Bruno Zuccarelli, il meccanismo elettorale: «Le preferenze vanno alla persona, non alla lista, e solo per comodità i colleghi hanno potuto esprimere 15 preferenze indicando semplicemente il nome della lista.
Il presidente CAO Pietro Rutigliani
Se un candidato di una lista alternativa alla nostra avesse raggiunto un numero sufficiente di preferenze sarebbe entrato nel Consiglio Direttivo. Se poi si considera il voto espresso dall’insieme di medici ed odontoiatri napoletani visibile chiaramente nelle preferenze e nelle percentuali raggiunte per le elezioni dei revisori si può facilmente vedere che si supera il 50% dei voti per la lista Etica. Sembra che i colleghi che fanno polemica – prosegue Rutigliani – provino a ignorare il voto degli odontoiatri quando forse dovrebbero provare a ragionare su un’elezione che è suonata per alcuni come una netta bocciatura».
La speranza di un chiarimento definitivo
Rutigliani ha infine voluto ringraziare i colleghi odontoiatri che «sono stati coerenti su un voto di preferenza della lista». Una presa di posizione netta, quella del neoeletto presidente della Commissione Albo Odontoiatri che vuole anche essere un definitivo chiarimento per rasserenare gli animi con un riconoscimento pieno degli odontoiatri come già ampiamente dimostrato dai numeri, ma che purtroppo «necessita ancora di uno sforzo importante anche nelle menti». Chissà se ora si potrà mettere la parola fine a questa soap estiva o se si proseguirà a colpi di comunicati anche durante il caldo mese di agosto.
Sinner ko, nessuno se lo aspettava
News, SportAlla fine è stata una tonsillite ad avere la meglio sul numero 1 al mondo del tennis Jannik Sinner. Nessuno se lo aspettava, ma il campione italiano ha dovuto arrendersi ed è stato costretto a rinunciare al sogno di essere a Parigi. Una sconfitta bruciante che non arriva sui campi in terra rossa, dove il golden boy era il favorito. La tonsillite che colpito Sinner è un’infezione della gola, che può essere virale o batterica, è una delle cause più comuni del mal di gola nei bambini e, qualche volta, può colpire anche gli adulti.
Differenza tra tonsillite, faringite e faringotonsillite.
Anche se spesso ci limitiamo a pensare che un mal di gola sia solo un mal di gola, esistono importanti differenze. Importanti soprattutto per i rimedi ai quali si può ricorrere. Semplificando il più possibile: se l’infezione attacca prevalentemente le tonsille, si parla di tonsillite. Se colpisce soprattutto la gola viene chiamata faringite. Quando colpisce entrambi, si parla di faringotonsillite. Il trattamento per faringite e tonsillite dipende dalla causa. Se l’infiammazione è causata da un virus, la cura migliore è nel riposo, nell’idratazione e nell’uso di farmaci da banco che puntano ad alleviare i sintomi. Se la causata è un batterio, è necessario un trattamento antibiotico.
La delusione di Sinner e i sintomi
Per il campione azzurro questa è stata una delle delusioni più grandi degli ultimi tempi. I sintomi all’inizio avevano lasciato penare al Covid e, quando il tampone è risultato negativo, Jannik aveva tirato un sospiro di sollievo. Tuttavia, quei sintomi nascondevano altro. Il mal di gola, spiega il sito del Bambino Gesù, è causato nella maggior parte dei casi dai virus del raffreddore come i Rhinovirus e dai virus influenzali come i virus dell’influenza e i virus della parainfluenza.
Soltanto in 3 bambini su 10 il mal di gola è causato da un batterio, lo Streptococco di gruppo B. I sintomi più comuni della faringite e della tonsillite sono: mal di gola; deglutizione dolorosa; febbre; tonsille ingrossate e arrossate, spesso con zaffi biancastri di pus; piccole macchie rosse sulla volta del palato; linfonodi del collo ingrossati.
La cura con antibiotico
Tuttavia, non sempre le cose sono semplici e spesso è difficile anche per il medico stabilire con la visita soltanto se la faringotonsillite è causata da un virus o da un batterio. La diagnosi si basa anzitutto sulla raccolta della storia clinica e su una visita attenta. Ma è spesso necessario praticare un tampone faringeo con test rapido per stabilire se la faringotonsillite è causata dallo Streptococco di gruppo B. La cura con antibiotico ha tre obiettivi: abbrevia la durata dei sintomi; previene le complicazioni e in particolare la malattia reumatica; riduce il rischio di trasmettere lo Streptococco in famiglia, a scuola e in comunità.
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Scampia, sale a 3 il numero delle vittime
NewsIl crollo avvenuto nella Vela Celeste a Scampia ha prodotto una terza vittima. Non ce l’ha fatta Patrizia Della Ragione che era stata ricoverata per un politrauma dopo aver riportato anche la frattura della milza e del bacino. Le condizioni della donna (53 anni) erano apparse da subito disperate, tanto da essere immediatamente accolta nel reparto di rianimazione del padiglione di Emergenza dell’ospedale Cardarelli di Napoli. Attualmente lo stesso reparto accoglie una seconda donna giunta in ospedale a seguito del crollo; si tratta della paziente R.M. che, pur presentando un quadro estremamente grave, si trova in una condizione stabile. Sempre al Cardarelli è ricoverata nel Trauma Center anche un’altra paziente C.M. le cui condizioni – dicono i medici – sono soddisfacenti e il quadro clinico è in miglioramento rispetto alle 24 ore precedenti.
Lotta tra la vita e la morte
Restano gravissime le condizioni di due delle bimbe precipitate nel vuoto. L’ultimo bollettino dell’Ospedale Pediatrico Santobono di Napoli parla di un ricovero in rianimazione con prognosi riservata. Le piccole pazienti, A. P. e B. M, rispettivamente di 7 e 4 anni, restano stabili pur nell’estrema gravità. Le altre tre piccole pazienti: B.M., B. S., A.A., rispettivamente di 10, 2 e 9 anni, ricoverate in ortopedia, sono state sottoposte tutte e tre ad intervento chirurgico, una per frattura di femore esposta, un’altra per frattura chiusa del terzo distale dell’omero sinistro, l’ultima per frattura omero sinistro scomposta prossimale.
Lesioni multiple
Una delle tre bambine ricoverate in ortopedia B.M, che aveva riportato anche frattura infossata della sinfisi mandibolare, sarà successivamente sottoposta ad intervento di chirurgia maxillofacciale non appena sarà risolto lo pneumtorace riportato sempre in conseguenza del crollo.
Caso Noemi, l’ingresso del Santobono di Napoli
Le tre bambine sono al momento stabili. Le ultime due, A.G. e A. A., rispettivamente di 2 e 4 anni, ricoverate in chirurgia di urgenza, sono stabili ed in osservazione, A.G. ha cominciato ad alimentarsi, A.A. con lesioni multiple continua a non presentare al momento indicazioni chirurgiche, ma è sotto stretto monitoraggio.
Cordoglio dei medici per il crollo a Scampia
“La città di Napoli vive ore di grande tristezza e di profondo lutto”, dice il neo eletto presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri di Napoli e provincia Bruno Zuccarelli. “A nome mio e di tutto il Consiglio Direttivo un sentimento di cordoglio nei confronti delle tante famiglie coinvolte dal crollo avvenuto alla Vela Celeste di Scampia e allo stesso tempo voglio ringraziare i tantissimi colleghi medici che per ore si sono spesi senza mai arrendersi per prestare soccorso e salvare le vite di quanti sono stati investiti dal crollo. Il nostro pensiero – conclude Zuccarelli – va ai feriti e ai bimbi che in queste ore stanno lottando per la vita. Sappiamo con certezza che tutto ciò che si potrà fare sarà fatto per evitare che altre vittime si aggiungano a questo bilancio già così pesante”.