Tempo di lettura: 5 minutiAumentano i disagi psichici fra gli adolescenti. Il 39 per cento dei ragazzi coinvolti nel progetto Unicef-Gemelli soffre di una sintomatologia affettiva ansioso-depressiva. Dei 1.571 giovani partecipanti, 971 sono stati sottoposti a valutazione psicodiagnostica e presi in carico. Fra questi 462 ragazzi (il 47% del campione) hanno messo in luce una condizione di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA). Il 53% restante del campione ha altre condizioni, tra cui disturbi del neurosviluppo, come disabilità intellettiva.
Il progetto di Unicef e Gemelli
Per rispondere a quella che è stata definita come una vera e propria emergenza sociale di salute mentale, il Comitato Italiano per l’UNICEF Fondazione Onlus e l’Unità Operativa Semplice di Psicologia Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS hanno avviato il Progetto #WITH YOU Wellness Training For Health – La Psicologia con Te.
Il Progetto, iniziato nel maggio 2022, ha coinvolto migliaia di ragazzi e genitori sul territorio di Roma. L’obiettivo è promuovere un percorso di sostegno psicologico per pre-adolescenti e adolescenti, progettare e realizzare interventi di prevenzione del disagio giovanile e contribuire a dare un aiuto concreto alle famiglie.
#WITH YOU è durato un anno e ha coinvolto 1.571 giovani (il 46% femmine ed il 54% maschi) – di cui 971 sottoposti anche a valutazione psicodiagnostica e presi in carico e 600 coinvolti con le attività nelle scuole – e 1.942 genitori, per un totale di 3.513 beneficiari diretti e 35.130 beneficiari indiretti. Sono stati attivati percorsi di valutazione, presa in carico integrata, focus group e attività di prevenzione sulla salute mentale e il benessere psicosociale nelle scuole superiori.
I disturbi tra gli adolescenti
Le valutazioni hanno messo in luce una condizione di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) e correlato disordine psicologico su 462 dei 971 ragazzi presi in carico, ovvero il 47% del campione. Il 53% restante del campione presenta altre condizioni, tra cui disturbi del neurosviluppo, come disabilità intellettiva, disturbi della nutrizione, disturbo dello spettro dell’autismo, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbi del movimento, patologie neurologiche e/o neuro-muscolari.
Nel campione arruolato e seguito è stato possibile constatare che in 383 valutazioni (39%) emerge un’alterazione clinicamente significativa nella scala Internalizzante, costituita dalle sottoscale Ansia/Depressione (30%), Alienazione/Depressione (23%) e sintomi psicosomatici che non hanno una base medica accertata (21%); mentre in 176 valutazioni (18%) si evidenzia un’alterazione clinicamente significativa nella scala Esternalizzante, costituita dalle sottoscale Comportamento Dirompente (9%) e Comportamento Aggressivo e iperconnessione (13%).
Di questi, 149 (16%), presentano una compromissione globale più marcata e generale, con alterazione della personalità su diverse dimensioni psicologiche e psichiatriche.
Di tutti i ragazzi seguiti in alcuni casi è stato necessario per garantire un’integrazione scolastica, applicare delle misure di cautela per la scuola. Nello specifico: 459 ragazzi (47%) hanno avuto necessità di un Piano Didattico Personalizzato che contempla l’adozione di misure compensative e dispensative per garantire il diritto allo studio; 8 ragazzi (0,8%) hanno avuto la necessità di un BES (Bisogni Educativi Speciali); 150 ragazzi (15%) hanno avuto necessità di essere affiancati da un insegnante di sostegno; 168 ragazzi (17%) hanno avuto l’indicazione di aderire a un percorso di psicoterapia.
Il cambio di rotta grazie alla presa in carico
Sebbene il 39% dei presi in carico avverta e soffra di una sintomatologia affettiva ansioso-depressiva che potrebbe sfociare in una definitiva psicopatologia, dai dati preliminari si evince che alcuni disordini possono cambiare traiettoria, virare verso il benessere e la promozione della salute dei ragazzi, se riconosciuti e “accompagnati” nella loro interezza.
Da un’analisi preliminare, gli esiti di efficacia secondo il modello Evidence Based (strumento CORE OM Clinical Outcomes in Routine Evaluation Outcome Measure) mettono in risalto che le soglie di gravità clinica percepita si riducono da un livello medio grave del 31% a un 16% e da un livello moderato del 19% a un 8%. Secondo la Good Practice (JCI), il grado di soddisfazione risulta essere del 98% per i genitori e al 96% per i ragazzi. In nessun caso si è avuto un drop out, cioè un abbandono del trattamento.
Il progetto ha beneficiato anche di un intervento del Fondo di Beneficenza di Intesa Sanpaolo. “Esprimo grande soddisfazione per la prosecuzione della collaborazione con una realtà di alto valore sociale come UNICEF Italia, con particolare riguardo a temi di grande rilievo quali la salute mentale e il benessere psicosociale di bambini e adolescenti. Attraverso un’analisi approfondita e originale cercheremo di offrire insieme possibili soluzioni a problemi che impattano su tante famiglie” – ha dichiarato il professor Marco Elefanti, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
“I giovani di oggi sembrano vivere una vera e propria ‘emergenza sociale’ in ambito di salute mentale e benessere psicosociale. Il nostro impegno come UNICEF Italia, anche attraverso questo progetto realizzato con il Policlinico Gemelli, è quello di accendere un faro su questo tema perché supportando i bambini e i giovani e le loro famiglie possiamo fare concretamente la differenza nelle loro vite e nelle nostre comunità” – ha dichiarato Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia.
“I risultati di questo rapporto confermano i drammatici dati che, come UNICEF, abbiamo diffuso a livello internazionale: 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato; tra questi 89 milioni sono ragazzi e 77 milioni sono ragazze; 86 milioni hanno fra i 15 e i 19 anni e 80 milioni hanno tra i 10 e i 14 anni. In Italia, nel 2019, si stimava che il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni, circa 956.000, soffrissero di problemi di salute mentale”- ha sottolineato Andrea Iacomini, Portavoce dell’UNICEF Italia.
“Il progetto WITHYOU ha permesso di intercettare precocemente un trigger di comportamenti non necessariamente patologici ma espressione di profonda sofferenza, grazie a questo abbiamo potuto rispondere alla richiesta di aiuto dei nostri ragazzi, anche quelli più giovani. WITHYOU è un viaggio con i più giovani di prevenzione e di promozione della salute mentale verso il cambiamento, per favorirlo è necessario comprendere la formulazione di aiuto del ragazzo, della famiglia in cui vive, e del mondo sociale in cui si realizza. Quindi una visione identificando il Suo valore, il Suo Talento e il sistema all’interno del quale si esprime, riducendo al minimo la matrice generativa dei più severi quadri psicopatologici” – ha sostenuto Daniela Chieffo, Responsabile Unità Operativa Psicologia Clinica Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS.
Sviluppi del progetto
Il Progetto ha messo in evidenza quanto sia importante il tema della salute mentale dei ragazzi e quanto sia importante un’individuazione precoce dei fattori di rischio di disagio psicologico, in un’ottica di prevenzione.
Nell’intervento per i ragazzi, uno dei metodi che presenta una maggiore efficacia è la presa in carico globale dei casi, in un’ottica bio-psico-sociale. Nello specifico, si dovrebbe tentare di costruire l’adolescenza iniziando da un processo di immedesimazione e bisogno che trova la cornice iniziale nella famiglia, perché è proprio nel sistema familiare di riferimento che si possono trovare o ri-trovare le risorse per uscire dalla condizione di impasse, che caratterizza i disturbi mentali.
Nei casi più gravi, si assiste a un vero e proprio attacco al corpo, con tentativi anticonservativi, agiti aggressivi rivolti a se stessi per mezzo dell’autolesionismo e con ideazione suicidaria. La maggior parte di questi ragazzi sembrano aver manifestato precoci segnali di allarme, spesso, non visibili o non visti. In tutti i casi, questi ragazzi sembrano essersi fatti portavoce di una sofferenza più generale dei sistemi familiari di appartenenza. Pertanto, un intervento familiare precoce sembra essere, ad ora, uno dei metodi con maggiore efficacia per questa fascia di età. Un’azione di prevenzione potrebbe ridurre al minimo anche l’uso di assunzione di farmaci, nonché un minor ricorso a ricoveri in regime ordinario, che talvolta gravano significativamente sul sistema sanitario, e trasformano una fragilità emotiva in una cronicità della sofferenza psichica.
In edicola il nuovo Speciale Salute
Articoli, Med. narrativa, News Presa, SpecialiUn nuovo viaggio attraverso i temi della prevenzione, guidati come sempre dai maggiori esperti del campo attraverso una scrittura semplice e diretta. In edicola con Il Mattino, lo Speciale Salute che il network editoriale PreSa dedica ai propri lettori si è occupato questa volta di alcune delle patologie più frequenti e spesso invalidanti: dalla dermatite atopica al tumore del seno, passando per i diverticoli.
QUESTIONE DI PELLE
Ad aprire lo speciale è un ampio approfondimento che vede la partecipazione del professor Cataldo Patruno, docente di Malattie cutanee e veneree all’università Magna Grecia di Catanzaro. È lui a sfatare i falsi miti che da sempre ruotano attorno alla dermatite atopica, patologia infiammatoria cronica della pelle, dovuta essenzialmente a un’alterazione dei sistemi di difesa della cute. Non meno interessanti gli articoli dedicati, rispettivamente, alla diagnosi precoce del carcinoma al seno – con la guida esperta della dottoressa Marcella Montemarano (responsabile del centro di screening mammario I e II livello dell’Asl Napoli 1 Centro) e alla diagnosi e terapia per la diverticolite – nelle mani del professor Francesco Selvaggi (ordinario di Chirurgia e primario del reparto di Chirurgia colorettale al Policlinico di Napoli Luigi Vanvitelli).
MEDICINA NARRATIVA
La firma di Arcangelo Barbato, infine, impreziosisce la pubblicazione con un editoriale dedicato alla medicina narrativa. «Sbaglia chi pensa che la medicina sia solo analisi di referti e valutazione dei sintomi», scrive. «La medicina, quella autentica, è ascolto, condivisione ed empatia. La medicina è anche narrazione, perché non solo le parole hanno in sé il potere di curare, ma sono una parte importante della diagnosi. Per comprenderlo è importante riscoprire quella che la comunità scientifica definisce “narrative based medicine”, ovvero la medicina basata sulla narrazione. La medicina narrativa non è tanto un insieme di tecniche, ma un cambio di paradigma nell’approccio alle cure, che consiste nella possibilità di esplorare, attraverso il racconto sia dei medici, sia dei pazienti, l’esperienza individuale della malattia». Non ci resta, dunque, che augurarvi buona lettura. Scarica lo speciale in PDF.
Meningite, scuole più a rischio: “vaccinazione sicura”
Pediatria, PrevenzioneLa meningite è una malattia a basso tasso di circolazione, ma può avere un’alta letalità. Fino al 30 per cento della popolazione ne è portatrice sana, cioè veicolo di contagio. Non è una malattia esclusivamente pediatrica, nel 50 per cento dei casi interessa persone con più di 20 anni, per le quale non esistono strategie vaccinali.
I rischi e le criticità dell’infezione da meningococco sono stati discussi durante il Dialogue Meeting promosso dalla rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB), sul tema La vaccinazione antimeningococcica: si può fare di più e meglio, all’Istituto Luigi Sturzo di Roma.
La vaccinazione contro la meningite
Oggi solo sei regioni raccomandano la vaccinazione contro il meningococco B agli adolescenti: Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.
Anche nelle fasce d’età per cui è raccomandata la vaccinazione contro il meningococco ACWY e meningogocco B, l’obiettivo del Piano Nazionale Prevenzione Vaccini è lontano. I dati nazionali del 2021 riportano una copertura media contro il meningococco B e contro i meningococchi ACWY rispettivamente del 44 e del 78% a 36 mesi.
Per aumentare la copertura vaccinale, gli specialisti auspicano la creazione della cosiddetta “filiera della salute” nella quale sia il personale sanitario che il mondo della scuola possano sensibilizzare sull’importanza della vaccinazione.
La Prof.ssa Roberta Siliquini, Presidente della Società d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (S.I.T.I.), ha sottolineato: «la vaccinazione antimeningococcica è sicura ed efficace contro una patologia gravissima che si manifesta normalmente con cluster epidemici all’interno di scuole o luoghi ricreativi. I dati relativi alle coperture vaccinali ci dimostrano – ha proseguito la Presidente S.I.T.I. – come la popolazione non abbia la corretta percezione del rischio corso, soprattutto dai bambini e dai giovani ed è quindi necessario impegnarsi affinchè l’offerta attiva e gratuita della vaccinazione sia supportata da percorsi di informazione dei genitori anche in ambito scolastico. I Dipartimenti di Prevenzione vanno quindi forniti di risorse adeguate per poter svolgere quella parte comunicativa che, nel nostro Paese, è ancora particolarmente debole».
Chi è più a rischio
La vaccinazione contro la meningite assume più importanza per le categorie più fragili o a rischio come i soggetti immunocompromessi, i trapiantati, oltre alla popolazione esposta a rischi professionali che spesso non è informata sulla raccomandazione e sulla gratuità delle vaccinazioni anti-meningococciche.
Il Prof. Stefano Vella, infettivologo, ricercatore e docente di Salute Globale presso l’Università Cattolica di Roma, ha dichiarato: «i vaccini rappresentano il più importante strumento di Sanità Pubblica che la scienza ha messo a disposizione del genere umano. La prevenzione di numerose malattie infettive ha permesso la straordinaria crescita dell’aspettativa e della qualità di vita di milioni di persone. Nello specifico – ha sottolineato l’infettivologo – la malattia meningococcica è una malattia batterica rara ma molto grave, che può causare danni a lungo termine, come la perdita di arti o gravi lesioni cerebrali, ed essere mortale. La vaccinazione è il modo migliore per prevenire la malattia meningococcica».
In un tempo in cui i sistemi sanitari si trovano a dover rivedere le proprie scelte e i propri assetti, la prevenzione attiva si ripropone come uno dei pilastri per una sanità efficace e sostenibile nel tempo, concludono gli specialisti.
Herpes Zoster: aumenta rischio cardiovascolare per 12 anni. Lo studio
Anziani, PrevenzioneL’Herpes Zoster è un’eruzione cutanea causata dal Varicella-Zoster-Virus (VZV). Si tratta dello stesso virus che provoca la varicella in età pediatrica, capace di rimanere inattivo nel tessuto nervoso e riattivarsi ad anni di distanza, scatenando quello che comunemente è definito Fuoco di sant’Antonio.
Si stima che circa il 90% della popolazione italiana abbia contratto la varicella almeno una volta nella vita (in genere nell’infanzia), tra questi il 10% decenni più tardi avrà una recidiva con una riattivazione del virus sotto forma di herpes zoster.
L’incidenza dell’infezione aumenta con l’età. Tra le conseguenze non vi è solo la nevralgia posterpetica, ma anche un aumento del rischio cardiovascolare. A confermarlo è un’analisi dell’Istituto di Ricerca Health Search della SIMG che ha dimostrato lo stretto rapporto tra questa infezione e un meccanismo infiammatorio a livello vascolare arterioso.
Herpes Zoster e rischio cardiovascolare
Recenti studi americani dimostrano la correlazione tra l’infezione da Herpes Zoster e le malattie cardiovascolari. Il virus della varicella che si riattiva in età adulta nella forma spesso nota come “Fuoco di Sant’Antonio” aumenta infatti il rischio di questo tipo di complicanze, soprattutto nei pazienti a rischio. Questi dati, analizzati dall’Istituto di Ricerca Health Search della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie – SIMG, rafforzano l’importanza delle coperture vaccinali.
L’analisi degli studi sulle complicanze dell’infezione da Herpes Zoster è stata presentata alla stampa dal Dott. Francesco Lapi, Direttore Ricerca Health Search®, Istituto di Ricerca SIMG, Firenze, e dal Dott. Alessandro Rossi, Responsabile Patologie Acute SIMG, nel corso della conferenza moderata dal giornalista scientifico Daniel Della Seta.
La vaccinazione contro l’Herpes Zoster
“L’Herpes Zoster ha un’incidenza di circa 8 casi per mille abitanti per anno, che aumenta con l’età, tanto che a 80 anni si ha il 50% di possibilità in più di incorrere in questa patologia – ha spiegato il dott. Alessandro Rossi – L’Herpes Zoster comporta una fastidiosa fase acuta e delle sequele, tra cui la più nota è la nevralgia post-erpetica, un dolore che colpisce la zona dove si è manifestata l’infezione e che persiste anche per mesi. La letteratura scientifica più recente ha evidenziato anche complicanze cardio e cerebro-vascolari. Esiste infatti un rapporto stretto tra questa infezione virale e un meccanismo infiammatorio a livello vascolare arterioso. La varietà e la gravità di queste conseguenze ci inducono a raccomandare fortemente la prevenzione, che può essere attuata grazie alla vaccinazione. In particolare, è disponibile un vaccino ricombinante adiuvato, che ha dimostrato un rapporto rischio/beneficio nettamente favorevole, oltre che una persistenza d’effetto nel tempo, che raggiunge i 10 anni. Tale vaccino, inoltre, può essere somministrato anche nei pazienti immunocompromessi, che sono insieme alla popolazione anziana ed ai pazienti affetti da patologie croniche i più esposti all’infezione e rappresentano pertanto i destinatari più indicati per la somministrazione della vaccinazione”.
Rischio cardiovascolare permane per 12 anni
Tra gli studi più significativi che hanno rilevato la relazione tra Herpes Zoster e rischio di eventi cardiovascolari come stroke e infarto, vi sono quelli delle Università di Harvard e Buffalo. Questi studi hanno riportato stime di rischio relative all’insorgenza di stroke post-erpetico in specifiche finestre temporali. I dati prodotti sono stati oggetto di attenzione da parte dell’Istituto di Ricerca Health Search della SIMG, che ha potuto analizzare per la prima volta la variazione mese dopo mese del rischio di stroke in chi incorre nella malattia da Herpes Zoster.
“Gli studi americani individuano specifiche finestre temporali in cui la relazione Zoster-stroke esplica la massima forza di associazione – ha sottolineato il dott. Francesco Lapi – Il rischio è due volte superiore rispetto ai soggetti che non presentano la malattia nel primo mese dopo l’infezione. Resta presente fino a 12 anni dall’infezione, sebbene vada progressivamente diminuendo il suo peso. Nella finestra 9-12 anni, il rischio di stroke in chi ha avuto l’Herpes Zoster si mantiene più elevato del 28%”.
“I dati dell’Istituto di Ricerca Health Search della SIMG attestano che nei primi 6 anni dell’infezione ci sono due picchi del 30% di aumento del rischio di stroke rispetto a chi non presenta la malattia, uno nel primo anno dall’infezione e uno nel sesto anno. Nell’intervallo temporale tra questi due picchi vi è una riduzione del rischio, ma si mantiene la significatività della correlazione – aggiunge Lapi – Poi l’andamento cala nel tempo, fino al 12°-13° anno dall’infezione. Solo a quel punto perde di significatività. Da questi dati si evince che non solo la vaccinazione è importante per evitare l’infezione, ma anche per ridurre sensibilmente il rischio di queste complicanze e per esserne protetti a lungo nel tempo”.
Diabete aumenta rischio
Tra i pazienti a rischio vi sono i pazienti diabetici. “Il diabete è una malattia ad elevato impatto socio-sanitario, la cui incidenza è in aumento in tutti i paesi occidentali – ha proseguito il dott. Alessandro Rossi – Il diabete è già una malattia che determina un aumento del rischio cardiovascolare, ma dobbiamo essere consapevoli che il paziente diabetico ha un rischio superiore del 30% di incorrere nella malattia da Herpes Zoster rispetto alla popolazione generale, soprattutto se affetto da comorbilità (es. scompenso cardiaco). Alla luce dei recenti studi che rilevano le complicanze cardiovascolari dell’infezione da Zoster fino a 12-13 anni dall’insorgenza della stessa, si può intuire l’ulteriore rischio elevato di questi pazienti rispetto alla popolazione generale. Questo riafferma l’importanza della vaccinazione nelle popolazioni interessate, in particolare nei soggetti con malattie croniche. Sull’importanza di questa vaccinazione e sull’attenzione da dedicare ai soggetti a cui andrebbe somministrata con priorità, la SIMG sta lavorando a una mappa decisionale, che sarà presto offerta come strumento guida a tutti i medici di famiglia sul territorio nazionale”.
Dolore cronico, l’attività fisica ha un effetto calmante
News Presa, Ricerca innovazione, SportContro il dolore cronico l’attività fisica funziona. Lo dicono i dati di una ricerca svolta su più di 10.000 adulti, condotta da Anders Årnes dell’Università della Norvegia Settentrionale a Troms e pubblicata sulla rivista Plos One. L’evidenza scientifica dimostra che le persone che praticano sport, anche a livello amatoriale, tollerano meglio il dolore rispetto a quelle sedentarie. Inoltre, più si è attivi più si alza la soglia di tolleranza al dolore.
LA RICERCA
Non è la prima volta che una ricerca indaga il rapporto tra l’attività fisica e la tolleranza al dolore. Ma è di certo la prima volta che si analizza un campione così ampio. Gli esperti hanno analizzato i dati di 10.732 adulti coinvolti in uno studio condotto periodicamente in Norvegia. I ricercatori hanno utilizzato i dati di due cicli condotti dal 2007 al 2008 e l’altro dal 2015 al 2016. I dati comprendevano i livelli di attività fisica auto-riferiti dai partecipanti e i loro livelli di tolleranza al dolore, valutati con un test che prevedeva l’immersione della mano in acqua fredda.
DOLORE CRONICO
Quasi inutile sottolineare che gli studi hanno confermato le ipotesi di partenza, ma ciò che sorprende è la diretta correlazione che si nota tra il praticare attività fisica e la capacità di avvertire meno il dolore. I partecipanti con livelli di attività totale più elevati avevano una maggiore tolleranza al dolore e coloro che avevano un’attività più intensa nel 2015/2016 rispetto al 2007/2008 avevano un livello complessivo di tolleranza al dolore più elevato. Ne consegue che l’aumento dell’attività fisica potrebbe diventare un’indicazione terapeutica per soggetti affetti da dolore cronico.
Adolescenti e disagi psichici. Unicef-Gemelli: 39% con ansia e depressione
Adolescenti, Bambini, Genitorialità, Prevenzione, PsicologiaAumentano i disagi psichici fra gli adolescenti. Il 39 per cento dei ragazzi coinvolti nel progetto Unicef-Gemelli soffre di una sintomatologia affettiva ansioso-depressiva. Dei 1.571 giovani partecipanti, 971 sono stati sottoposti a valutazione psicodiagnostica e presi in carico. Fra questi 462 ragazzi (il 47% del campione) hanno messo in luce una condizione di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA). Il 53% restante del campione ha altre condizioni, tra cui disturbi del neurosviluppo, come disabilità intellettiva.
Il progetto di Unicef e Gemelli
Per rispondere a quella che è stata definita come una vera e propria emergenza sociale di salute mentale, il Comitato Italiano per l’UNICEF Fondazione Onlus e l’Unità Operativa Semplice di Psicologia Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS hanno avviato il Progetto #WITH YOU Wellness Training For Health – La Psicologia con Te.
Il Progetto, iniziato nel maggio 2022, ha coinvolto migliaia di ragazzi e genitori sul territorio di Roma. L’obiettivo è promuovere un percorso di sostegno psicologico per pre-adolescenti e adolescenti, progettare e realizzare interventi di prevenzione del disagio giovanile e contribuire a dare un aiuto concreto alle famiglie.
#WITH YOU è durato un anno e ha coinvolto 1.571 giovani (il 46% femmine ed il 54% maschi) – di cui 971 sottoposti anche a valutazione psicodiagnostica e presi in carico e 600 coinvolti con le attività nelle scuole – e 1.942 genitori, per un totale di 3.513 beneficiari diretti e 35.130 beneficiari indiretti. Sono stati attivati percorsi di valutazione, presa in carico integrata, focus group e attività di prevenzione sulla salute mentale e il benessere psicosociale nelle scuole superiori.
I disturbi tra gli adolescenti
Le valutazioni hanno messo in luce una condizione di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) e correlato disordine psicologico su 462 dei 971 ragazzi presi in carico, ovvero il 47% del campione. Il 53% restante del campione presenta altre condizioni, tra cui disturbi del neurosviluppo, come disabilità intellettiva, disturbi della nutrizione, disturbo dello spettro dell’autismo, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbi del movimento, patologie neurologiche e/o neuro-muscolari.
Nel campione arruolato e seguito è stato possibile constatare che in 383 valutazioni (39%) emerge un’alterazione clinicamente significativa nella scala Internalizzante, costituita dalle sottoscale Ansia/Depressione (30%), Alienazione/Depressione (23%) e sintomi psicosomatici che non hanno una base medica accertata (21%); mentre in 176 valutazioni (18%) si evidenzia un’alterazione clinicamente significativa nella scala Esternalizzante, costituita dalle sottoscale Comportamento Dirompente (9%) e Comportamento Aggressivo e iperconnessione (13%).
Di questi, 149 (16%), presentano una compromissione globale più marcata e generale, con alterazione della personalità su diverse dimensioni psicologiche e psichiatriche.
Di tutti i ragazzi seguiti in alcuni casi è stato necessario per garantire un’integrazione scolastica, applicare delle misure di cautela per la scuola. Nello specifico: 459 ragazzi (47%) hanno avuto necessità di un Piano Didattico Personalizzato che contempla l’adozione di misure compensative e dispensative per garantire il diritto allo studio; 8 ragazzi (0,8%) hanno avuto la necessità di un BES (Bisogni Educativi Speciali); 150 ragazzi (15%) hanno avuto necessità di essere affiancati da un insegnante di sostegno; 168 ragazzi (17%) hanno avuto l’indicazione di aderire a un percorso di psicoterapia.
Il cambio di rotta grazie alla presa in carico
Sebbene il 39% dei presi in carico avverta e soffra di una sintomatologia affettiva ansioso-depressiva che potrebbe sfociare in una definitiva psicopatologia, dai dati preliminari si evince che alcuni disordini possono cambiare traiettoria, virare verso il benessere e la promozione della salute dei ragazzi, se riconosciuti e “accompagnati” nella loro interezza.
Da un’analisi preliminare, gli esiti di efficacia secondo il modello Evidence Based (strumento CORE OM Clinical Outcomes in Routine Evaluation Outcome Measure) mettono in risalto che le soglie di gravità clinica percepita si riducono da un livello medio grave del 31% a un 16% e da un livello moderato del 19% a un 8%. Secondo la Good Practice (JCI), il grado di soddisfazione risulta essere del 98% per i genitori e al 96% per i ragazzi. In nessun caso si è avuto un drop out, cioè un abbandono del trattamento.
Il progetto ha beneficiato anche di un intervento del Fondo di Beneficenza di Intesa Sanpaolo. “Esprimo grande soddisfazione per la prosecuzione della collaborazione con una realtà di alto valore sociale come UNICEF Italia, con particolare riguardo a temi di grande rilievo quali la salute mentale e il benessere psicosociale di bambini e adolescenti. Attraverso un’analisi approfondita e originale cercheremo di offrire insieme possibili soluzioni a problemi che impattano su tante famiglie” – ha dichiarato il professor Marco Elefanti, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
“I giovani di oggi sembrano vivere una vera e propria ‘emergenza sociale’ in ambito di salute mentale e benessere psicosociale. Il nostro impegno come UNICEF Italia, anche attraverso questo progetto realizzato con il Policlinico Gemelli, è quello di accendere un faro su questo tema perché supportando i bambini e i giovani e le loro famiglie possiamo fare concretamente la differenza nelle loro vite e nelle nostre comunità” – ha dichiarato Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia.
“I risultati di questo rapporto confermano i drammatici dati che, come UNICEF, abbiamo diffuso a livello internazionale: 1 adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato; tra questi 89 milioni sono ragazzi e 77 milioni sono ragazze; 86 milioni hanno fra i 15 e i 19 anni e 80 milioni hanno tra i 10 e i 14 anni. In Italia, nel 2019, si stimava che il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni, circa 956.000, soffrissero di problemi di salute mentale”- ha sottolineato Andrea Iacomini, Portavoce dell’UNICEF Italia.
“Il progetto WITHYOU ha permesso di intercettare precocemente un trigger di comportamenti non necessariamente patologici ma espressione di profonda sofferenza, grazie a questo abbiamo potuto rispondere alla richiesta di aiuto dei nostri ragazzi, anche quelli più giovani. WITHYOU è un viaggio con i più giovani di prevenzione e di promozione della salute mentale verso il cambiamento, per favorirlo è necessario comprendere la formulazione di aiuto del ragazzo, della famiglia in cui vive, e del mondo sociale in cui si realizza. Quindi una visione identificando il Suo valore, il Suo Talento e il sistema all’interno del quale si esprime, riducendo al minimo la matrice generativa dei più severi quadri psicopatologici” – ha sostenuto Daniela Chieffo, Responsabile Unità Operativa Psicologia Clinica Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS.
Sviluppi del progetto
Il Progetto ha messo in evidenza quanto sia importante il tema della salute mentale dei ragazzi e quanto sia importante un’individuazione precoce dei fattori di rischio di disagio psicologico, in un’ottica di prevenzione.
Nell’intervento per i ragazzi, uno dei metodi che presenta una maggiore efficacia è la presa in carico globale dei casi, in un’ottica bio-psico-sociale. Nello specifico, si dovrebbe tentare di costruire l’adolescenza iniziando da un processo di immedesimazione e bisogno che trova la cornice iniziale nella famiglia, perché è proprio nel sistema familiare di riferimento che si possono trovare o ri-trovare le risorse per uscire dalla condizione di impasse, che caratterizza i disturbi mentali.
Nei casi più gravi, si assiste a un vero e proprio attacco al corpo, con tentativi anticonservativi, agiti aggressivi rivolti a se stessi per mezzo dell’autolesionismo e con ideazione suicidaria. La maggior parte di questi ragazzi sembrano aver manifestato precoci segnali di allarme, spesso, non visibili o non visti. In tutti i casi, questi ragazzi sembrano essersi fatti portavoce di una sofferenza più generale dei sistemi familiari di appartenenza. Pertanto, un intervento familiare precoce sembra essere, ad ora, uno dei metodi con maggiore efficacia per questa fascia di età. Un’azione di prevenzione potrebbe ridurre al minimo anche l’uso di assunzione di farmaci, nonché un minor ricorso a ricoveri in regime ordinario, che talvolta gravano significativamente sul sistema sanitario, e trasformano una fragilità emotiva in una cronicità della sofferenza psichica.
Torna a camminare dopo 12 anni grazie alla tecnologia
News Presa, Ricerca innovazioneTorna a camminare dopo una paralisi che per 12 anni lo ha costretto su una sedia a rotelle. In questa storia, che sembra ripercorrere le scene di un copione di Hollywood, c’è di mezzo una nuova tecnologia che presto potrebbe cambiare la vita di moltissime persone. L’uomo ha potuto recuperare il controllo delle gambe grazie ad un’interfaccia digitale capace di fare da ponte tra il cervello e il midollo spinale. Ma, andiamo con ordine.
LA TECNICA
Il risultato sbalorditivo è stato reso possibile da una collaborazione tra due eccellenze: il Politecnico di Losanna (Epfl) e l’Ospedale universitario vodese (Chuv) in Svizzera. E non è un caso che l’intervento sia stato riportato in un articolo su Nature. In una nota congiunta, Grégoire Courtine e Jocelyne Bloch (autori della tecnica) spiegano di aver creato un ponte virtuale basato su una tecnologia che permette di trasformare il pensiero in azioni.
COME UN BAMBINO
Entusiasta delle nuove prospettive, il paziente olandese Gert-Jan Oskam ha riferito di sentirsi come un bambino che sta imparando a camminare. «È stato un lungo viaggio – ha aggiunto alla Bbc – ma ora posso alzarmi e bere una birra con il mio amico. È un piacere di cui molte persone non si rendono conto». Un’emozione comprensibile, visto che da 12 anni l’uomo era ormai costretto su una sedia a rotelle.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Neanche a dirlo, in questa storia un ruolo importante lo gioca l’intelligenza artificiale. Gert-Jan Oskam era rimasto paralizzato dopo un incidente in bicicletta. Impossibile curare la lesione del midollo spinale all’altezza delle vertebre cervicali. Ora invece può muovere autonomamente le gambe, reggendosi in piedi, e anche di camminare grazie all’uso di stampelle o del deambulatore, riuscendo persino a salire le scale. Grazie a un algoritmo che sfrutta l’intelligenza artificiale, le intenzioni da cui parte il movimento possono essere codificate e convertite in tempo reale in sequenze di stimoli elettrici nel midollo spinale, che a loro volta attivano i muscoli degli arti inferiori. Questa e molte altre nuove tecniche promettono di restituire la funzionalità delle gambe a chi non può più camminare.
Diabete tipo 1, nuovo farmaco lo ritarda fino a 5 anni
FarmaceuticaPer il trattamento del diabete di tipo 1 arriva, per la prima volta, un farmaco in grado di ritardarne l’insorgenza dai 3 ai 5 anni. Si tratta di un anticorpo monoclonale somministrabile per via endovenosa al cui sviluppo ha contribuito la ricerca italiana. È stato approvato a novembre dalla statunitense Food and Drugs Administration, aprendo la strada al suo utilizzo anche in Europa, dove è in fase di revisione da parte delle autorità di regolamentazione dei farmaci nel Regno Unito e nell’Unione Europea.
La sfida, come è emerso durante l’evento della Sid “Panorama Diabete” appena concluso a Riccione, è quella di individuare i soggetti idonei alla somministrazione. Il farmaco, infatti, va utilizzato prima dell’insorgenza della malattia.
Diabete di tipo 1, lo screening mirato
L’immunoterapia è stata approvata dalla FDA come un nuovo approccio terapeutico per rallentare la distruzione di β-cellule. Questo nuovo farmaco pone domande sulla opportunità di stratificare il rischio della malattia nella popolazione e di procedere a uno screening mirato. La terapia per ritardare la malattia è indirizzata a individui di età maggiore di 8 anni, con almeno due auto anticorpi circolanti e che abbiano una condizione di prediabete, ovvero alti tassi di zucchero nel sangue.
Gli specialisti hanno sottolineato come gli esami ematici abbiano un costo di poche decine di euro per individuo, quindi con un rapporto positivo tra costi e benefici. Se le persone con diabete di tipo 1 in Italia sono circa 180.000, il costo umano è alto poiché la patologia toglie dai 10 ai 15 anni all’aspettativa di vita. Inoltre il trattamento delle persone con diabete di tipo 1 è oneroso per il sistema sanitario nazionale, con una terapia insulinica a vita, una tecnologia di monitoraggio e l’assistenza medica specialistica. Infine, il diabete di tipo 1 è in crescita annua del 2%-3% e durante la pandemia, per cause ignote, è aumentato ancor di più.
La terapia che ritarda l’insorgenza
“Dopo circa 30 anni di studi e relativi trials clinici finalizzati alla prevenzione dell’insorgenza clinica del diabete tipo 1 nei soggetti a rischio – dichiara il Presidente Eletto di SID, Raffaella Buzzetti – l’approvazione negli Stati Uniti di un farmaco a base di anticorpi monoclonali, il teplizumab, capace di dilazionare di circa 2 anni l’insorgenza della malattia apre nuovi scenari. Al di là dell’efficacia di questa molecola che necessita di ulteriori studi a lungo termine, questa approvazione offre nuova linfa ed entusiasmo, dopo anni di attesa, nella ricerca di base e nell’implementazione di studi clinici per prevenire o addirittura curare il diabete tipo 1”.
“È un momento particolare – dichiara il Presidente del Comitato Scientifico della SID, Lorenzo Piemonti, professore di endocrinologia e direttore del Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – perché per la prima volta abbiamo la possibilità di immaginare di intervenire in una fase precoce del diabete di tipo 1, prima che compaia la malattia clinica, grazie a dei sistemi di predizione molto opportuni. Si apre così una nuova era, sia dal punto di vista scientifico che di quello della sanità pubblica, poiché possono essere attuate strategie per ridurre il carico della malattia all’interno della popolazione. Si tratta di una delle novità più importanti nel campo della diabetologia per il diabete di tipo 1 in cui il nostro Paese ha giocato un ruolo importante, contribuendo a costruire questa prospettiva con la propria ricerca scientifica. È importante che ciò avvenga proprio mentre in Parlamento è in discussione l’approvazione di una legge che introduce per la prima volta al mondo lo screening di popolazione per il diabete di tipo 1: un primato che porrebbe l’Italia all’avanguardia nella predizione e prevenzione di questa malattia”.
Atrofia geografica e rischio cecità, 5 milioni di casi
Farmaceutica, News PresaUna patologia che colpisce 5 milioni di persone nel mondo e che porta alla perdita progressiva e irreversibile della vista. L’atrofia geografica (GA) è una forma avanzata di degenerazione maculare senile (AMD). Uno studio internazionale realizzato con il contributo nella Fase 3 della Fondazione IRCCS Bietti – Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico dedicato all’oftalmologia in Italia – ha scoperto un trattamento innovativo per questa patologia invalidante. Si tratta del primo e unico approvato dalla Food and Drug Administration. La scoperta può salvare la vista a milioni di persone.
Atrofia geografica e rischio cecità
“La perdita della vista causata dalla GA compromette gravemente l’indipendenza e la qualità della vita, rendendo difficile la partecipazione alle attività quotidiane – spiega la dott.ssa Monica Varano, direttrice scientifica dell’IRCCS Bietti -. Nelle persone affette da GA, i fotorecettori, che sono cellule fotosensibili, si deteriorano nella macula, una porzione centrale della retina responsabile della visione centrale e della percezione dei colori. Questo danno inizia nella forma di piccole areole che si sviluppano poi in aree più grandi. Una persona con degenerazione maculare senile (AMD) precoce può avvertire problemi con la lettura o la visione notturna. Alla fine, se la malattia progredisce a stadi avanzati, si svilupperanno punti ciechi permanenti (scotomi) al centro del campo visivo”.
Fattori di rischio
Si ritiene che l’AG abbia molti fattori di rischio ambientali e genetici. La disregolazione della cascata del complemento, una parte importante del sistema immunitario del corpo, gioca un ruolo fondamentale. “L’eccessiva attivazione della cascata del complemento provoca la distruzione di cellule sane, che può portare all’insorgenza o alla progressione di molte malattie tra cui la GA – prosegue la dottoressa Monica Varano. – Proprio le diverse fasi della cascata del complemento sono state il principale target dei Trials internazionali di questi ultimi anni. Una di queste molecole oggetto di studi è stata il Pegcetacoplan, noto anche come APL-2, che inibisce la scissione del fattore C3 in C3a e C3b.”
Il nuovo farmaco
Il 17 Febbraio 2023 la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato un nuovo farmaco a iniezione intravitreale per il trattamento dell’atrofia geografica (GA) secondaria alla degenerazione maculare legata all’età. “Syfovre è approvato per i pazienti con GA con o senza coinvolgimento subfoveale – specifica la direttrice scientifica della Fondazione Bietti -. Negli studi OAKS e DERBY, la terapia ha ridotto il tasso di crescita della lesione GA rispetto al gruppo di controllo e ha dimostrato effetti di trattamento crescenti nel tempo, con il beneficio maggiore (riduzione fino al 36% della crescita della lesione con il trattamento mensile in DERBY) che si è verificato tra i mesi 18-24. Il profilo di sicurezza di è ben dimostrato dopo 12.000 iniezioni” conclude la dottoressa Varano. A sua volta, l’Agenzia Europea dei Medicinali EMA – sta esaminando una domanda di autorizzazione all’immissione in commercio, con una decisione prevista per l’inizio del 2024.
Hiv: diminuiscono i casi negli Usa, ma l’Europa preoccupa
Economia sanitaria, News PresaSono sempre meno i casi di Hiv negli Stati Uniti. Una riduzione significativa dei contagi che sono scesi addirittura del 12 per cento tra il 2017 e il 2021. Se nel 2017, infatti, i casi di infezione erano 36.500, nel 2021 se ne sono contati poco più di 32.00. I dati sono quelli del Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) e mostrano un trend che fa ben sperare per il futuro.
LE DISEGUAGLIANZE
Purtroppo, dalle valutazioni dell’ente americano risulta evidente come ancora oggi permangano fattori di rischio, come le diseguaglianze sociali ed economiche. Ostacoli talvolta insormontabili per quanti potrebbero trarre enorme beneficio da un trattamento e una prevenzione altamente efficaci dell’Hiv. Il rapporto mostra che il calo dei nuovi casi è strettamente correlato all’aumento dell’attività di diagnosi, dell’accesso al trattamento e del ricorso alla profilassi pre-esposizione (PrEP), che ha registrato un balzo in avanti in soli 4 anni.
IN EUROPA
Se negli Usa le cose sembrano migliorare, qual è il trend in Europa? Diciamo subito che la diffusione dell’Hiv resta un problema enorme. Nell’ultimo rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e dall’Ufficio regionale dell’OMS per l’Europa si rileva che, sebbene i modelli e le tendenze epidemiche varino ampiamente tra i Paesi europei, nel 2021 sono state effettuate quasi 300 nuove diagnosi da Hiv al giorno in 46 dei 53 paesi della Regione, di cui 45 al giorno provenienti da Paesi UE/SEE. Ciò equivale a 106.508 nuove diagnosi di infezione da Hiv in Europa, di cui 16.624 provenienti da Paesi dell’UE/SEE.
PREP
Quando si parla di PreEP, non tutti lo sanno, si fa riferimento all’assunzione di compresse prima e dopo un evento a rischio Hiv, come rapporti sessuali senza preservativo o la condivisione di siringe per utilizzare sostanze. La PrEP non va confusa con la PEP, che è la profilassi post-esposizione e consiste invece nel prendere tre farmaci contro l’Hiv entro poche ore da un episodio a rischio di infezione per evitare di contrarre il virus.
I GIOVANI
Resta comunque un dato molto positivo quello registrato dal Cdc, anche perché il calo delle nuove infezioni riguarda molto i più giovani (13-24 anni): in questa fascia di età, i nuovi casi sono passati dai 9.300 del 2017 ai 6.100 del 2021. Il calo è stato forte soprattutto nei giovani che si dichiarano gay o bisessuali, fetta della popolazione in cui si sono registrate circa l’80% delle nuove infezioni.
Digital Health, Italia ultima per competenze digitali. Il corso gratuito
Anziani, Associazioni pazientiUn corso di digitalizzazione per dare alle persone affette da patologia cronica respiratoria e agli anziani gli strumenti per sfruttare appieno le nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Lo ha proposto l’Associazione Respiriamo Insieme-APS, si tratta della seconda edizione dopo la prima realizzata in pandemia. La gestione corretta dei servizi di Digital Health è il presupposto per rendere efficace una terapia. “Per consentire all’innovazione tecnologica di trasformarsi da opportunità a reale risorsa, abbiamo ideato questo progetto “ABC-SALUTE” con l’obiettivo di abbattere le barriere ambientali, culturali ed economiche che ad oggi esistono e che limitano l’accesso a prestazioni essenziali digitali. Vogliamo che tutti i pazienti e gli anziani fragili – interviene Simona BARBAGLIA, Presidente Associazione Respiriamo Insieme-APS – possano veder garantito un buon livello di inserimento nel tessuto sociale di appartenenza e una adeguata presa in carico, anche attraverso gli strumenti digitali, alleggerendo il peso sul sistema sanitario e sociale”.
Digital Health, Italia agli ultimi posti
Nel rapporto DESI 2020 (Digital Economy and Society Index) della Commissione europea, l’Italia è al 25° posto su 28 Stati membri dell’UE nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società e nella dimensione “Capitale umano”. Quella che riguarda le competenze digitali, ottiene un punteggio molto basso, tanto da portare l’Italia all’ultimo posto in Europa.
“Vogliamo garantire ai destinatari del progetto l’opportunità e gli strumenti operativi di supporto per accedere ad assistenza specialistica, assistenziale e psicologica da remoto, ai servizi digitali delle amministrazioni pubbliche, private e del terzo settore. Vogliamo metterli nelle condizioni di migliorare la socialità durante periodi di convalescenza o isolamento (assenza di un familiare o caregiver) – continua BARBAGLIA – e creare una rete territoriale di auto-aiuto per promuovere e/o migliorare l’inserimento nel tessuto sociale d’appartenenza delle persone in situazione di fragilità sanitaria o sociale. La nostra grande aspirazione è quella di rafforzare una rete digitale che possa assistere i pazienti con patologia respiratoria e gli anziani attraverso informazioni e servizi da remoto a loro dedicati”.
Patologie respiratorie terza causa di morte nel mondo
Le patologie respiratorie sono la terza causa di morte nel mondo. La popolazione anziana è quella più a rischio, perché non sempre può contare su un familiare o caregiver addestrato che lo aiuti a gestire la malattia. Per i pazienti con patologia respiratoria e per gli anziani fragili, l’assenza, anche solo temporanea, di un familiare e/o caregiver comporta preoccupazioni e ansie, specialmente se questo limita l’accesso agli strumenti per la prevenzione o il monitoraggio della salute. Secondo i dati, in Italia il mondo della salute è uno dei settori professionali che risente di più del grave ritardo nel processo di digitalizzazione e di innovazione tecnologica.
“La digital health si sta rivelando essenziale per garantire i servizi di monitoraggio e cura di cui i pazienti e gli anziani fragili hanno bisogno. Ciò nonostante, è importante che queste persone siano pronte e messe in condizione, attraverso una adeguata formazione e gli strumenti necessari, di coglierne l’opportunità e di beneficiarne a pieno. Dalle verifiche effettuate tra i nostri numerosi soci (circa 2000) – conclude BARBAGLIA – è emerso che, fra la popolazione destinataria del progetto, non tutti (40%) purtroppo dispongono della tecnologia necessaria e che molti (circa il 50%) non ritengono di avere la competenza necessaria per usare, senza il supporto di un familiare, i servizi di telemedicina. C’è quindi il rischio che un servizio nato per raggiungere un numero ampio di persone crei in realtà disuguaglianze tra la popolazione, con la possibilità di “lasciare indietro” alcune categorie già svantaggiate”.
Il corso gratuito ABC-SALUTE
Il percorso formativo è gratuito e ha 2 livelli di formazione: quello base in presenza (con un massimo di 25 persone) e quello intermedio on-line (numero aperto).
Il primo è rivolto a chi non ha esperienza o ha una conoscenza di base delle tecnologie digitali. Tutti possono fare richiesta e avere a disposizione sia dispositivi digitali che la connessione internet. Viene fornita anche una dispensa cartacea.
Quello intermedio è pensato per chi ha frequentato il corso base o ha esperienza per poter partecipare a un corso online (es. usa la propria casella di posta, naviga su internet). Per iscriversi è necessario compilare il form e scegliere le date del corso.