Tempo di lettura: 3 minutiParlare di malattia psoriasica non è semplice, il rischio è di banalizzare una condizione che è spesso molto invalidante. Tanti pazienti non sanno come comportarsi o come affrontare la malattia, non sanno neanche che alcune forme di psoriasi possono essere accompagnate da un grave coinvolgimento articolare. Per provare a cambiare le cose arriva a Napoli il 7 novembre una campagna di comunicazione e informazione che mette “l’Esperienza al Centro”, paradigma dal quale prende anche il titolo. Promossa da Novartis, l’obiettivo di questa campagna è naturalmente quello di accendere un faro sulla malattia psoriasica, aiutando i pazienti a riconoscere i primi segni della psoriasi e a cogliere gli eventuali sintomi di un coinvolgimento articolare.
Sfatare falsi miti
Tappa naturale di questa campagna è l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli, dove i clinici terranno dei consulti specialistici gratuiti volti proprio a sfatare falsi miti e portare alla luce eventuali problemi. «Siamo sempre al fianco dei nostri pazienti – ricorda il direttore generale dell’A.O.U. Ferdinando Russo – di fatto il nostro è già uno dei Centri di Riferimento specializzati nel trattamento dell’artrite psoriasica; e per questa ragione siamo ben lieti di mettere a disposizione le specialità in materia del nostro Policlinico, che rappresentano un’eccellenza in questo campo, per una diagnosi tempestiva che risulta essere fondamentale per il decorso della malattia».
Nuove terapie
Il professor Giuseppe Argenziano, della Clinica Dermatologica dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” sottolinea come parlare di psoriasi è sempre importante «Trasmettere una corretta informazione e aiutare i pazienti ad orientarsi è un compito al quale siamo chiamati e che dobbiamo svolgere cercando sempre di adoperare un linguaggio semplice e diretto». Argenziano pone poi l’accento sulle nuove opportunità di cura: «Oggi possiamo incidere molto più di come potevamo fare anni fa – dice – abbiamo infatti a disposizione farmaci biologici anti-interleuchinici, vale a dire capaci di bloccare solo quella parte del sistema immunitario che è coinvolta nella genesi della malattia. L’appello che possiamo fare a chi soffre di psoriasi è quello di rivolgersi sempre ad uno specialista che, in base alla gravità della malattia, potrà prospettare le migliori opzioni terapeutiche».
Non solo la pelle
Nuovi dati dello studio globale Psoriasis and Beyond, rivelano un urgente bisogno di maggior informazione sui legami tra psoriasi, artrite psoriasica e comorbidità comuni. I risultati mostrano che meno di un terzo delle persone che vivono con la malattia psoriasica sono consapevoli del rischio di condizioni associate come malattie cardiovascolari, diabete, depressione e ansia. Inoltre, solo il 29% degli intervistati con psoriasi è consapevole dei legami tra psoriasi e artrite psoriasica. Francesco Ciccia, direttore dell’UOC di Reumatologia dell’A.O.U. L. Vanvitelli accende poi un faro sul numero dei casi che vede un coinvolgimento articolare.«L’artrite psoriasica è una malattia infiammatoria cronica articolare che coinvolge circa il 30% dei pazienti con psoriasi – spiega – quindi, in considerazione dell’elevata prevalenza della psoriasi nella popolazione generale, probabilmente è la malattia infiammatoria articolare con la maggiore prevalenza nella popolazione italiana».
Approccio multidisciplinare
È una malattia cronica invalidante, molto spesso associata ad una serie di comorbilità, per cui si preferisce parlare di malattia psoriasica. «L’approccio multidisciplinare è fondamentale e deve garantire diagnosi precoci, terapie mirate e quanto più possibile on-time per prevenire il rischio di danno articolare, ma anche di mortalità legato al carattere sistemico della malattia».
Per avere tutte le informazioni necessarie e per prendere parte alla campagna CLICCA QUI. L’esperienza al centro è patrocinata dalle principali Associazioni di Pazienti, ANMAR – Associazione Nazionale Malati Reumatici, APMARR- Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, AMRER – Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna, APIAFCO – Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza, ADIPSO Odv – Associazione per la difesa degli Psoriasici
Editoria: Speciale Salute e Prevenzione di Novembre
News Presa, Prevenzione, SpecialiSi continua a parlare di prevenzione e di salute nello speciale che il network PreSa ha realizzato assieme a Il Mattino. I maggiori esperti nazionali ed internazionali sentiti sui temi di stretta attualità, sempre con un linguaggio chiaro e diretto. In questo numero occhi puntati sulle malattie della pelle e tanto altro.
Per leggere lo speciale clicca QUI
Malattia psoriasica, l’Esperienza al Centro
News Presa, PrevenzioneParlare di malattia psoriasica non è semplice, il rischio è di banalizzare una condizione che è spesso molto invalidante. Tanti pazienti non sanno come comportarsi o come affrontare la malattia, non sanno neanche che alcune forme di psoriasi possono essere accompagnate da un grave coinvolgimento articolare. Per provare a cambiare le cose arriva a Napoli il 7 novembre una campagna di comunicazione e informazione che mette “l’Esperienza al Centro”, paradigma dal quale prende anche il titolo. Promossa da Novartis, l’obiettivo di questa campagna è naturalmente quello di accendere un faro sulla malattia psoriasica, aiutando i pazienti a riconoscere i primi segni della psoriasi e a cogliere gli eventuali sintomi di un coinvolgimento articolare.
Sfatare falsi miti
Tappa naturale di questa campagna è l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli, dove i clinici terranno dei consulti specialistici gratuiti volti proprio a sfatare falsi miti e portare alla luce eventuali problemi. «Siamo sempre al fianco dei nostri pazienti – ricorda il direttore generale dell’A.O.U. Ferdinando Russo – di fatto il nostro è già uno dei Centri di Riferimento specializzati nel trattamento dell’artrite psoriasica; e per questa ragione siamo ben lieti di mettere a disposizione le specialità in materia del nostro Policlinico, che rappresentano un’eccellenza in questo campo, per una diagnosi tempestiva che risulta essere fondamentale per il decorso della malattia».
Nuove terapie
Il professor Giuseppe Argenziano, della Clinica Dermatologica dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” sottolinea come parlare di psoriasi è sempre importante «Trasmettere una corretta informazione e aiutare i pazienti ad orientarsi è un compito al quale siamo chiamati e che dobbiamo svolgere cercando sempre di adoperare un linguaggio semplice e diretto». Argenziano pone poi l’accento sulle nuove opportunità di cura: «Oggi possiamo incidere molto più di come potevamo fare anni fa – dice – abbiamo infatti a disposizione farmaci biologici anti-interleuchinici, vale a dire capaci di bloccare solo quella parte del sistema immunitario che è coinvolta nella genesi della malattia. L’appello che possiamo fare a chi soffre di psoriasi è quello di rivolgersi sempre ad uno specialista che, in base alla gravità della malattia, potrà prospettare le migliori opzioni terapeutiche».
Non solo la pelle
Nuovi dati dello studio globale Psoriasis and Beyond, rivelano un urgente bisogno di maggior informazione sui legami tra psoriasi, artrite psoriasica e comorbidità comuni. I risultati mostrano che meno di un terzo delle persone che vivono con la malattia psoriasica sono consapevoli del rischio di condizioni associate come malattie cardiovascolari, diabete, depressione e ansia. Inoltre, solo il 29% degli intervistati con psoriasi è consapevole dei legami tra psoriasi e artrite psoriasica. Francesco Ciccia, direttore dell’UOC di Reumatologia dell’A.O.U. L. Vanvitelli accende poi un faro sul numero dei casi che vede un coinvolgimento articolare.«L’artrite psoriasica è una malattia infiammatoria cronica articolare che coinvolge circa il 30% dei pazienti con psoriasi – spiega – quindi, in considerazione dell’elevata prevalenza della psoriasi nella popolazione generale, probabilmente è la malattia infiammatoria articolare con la maggiore prevalenza nella popolazione italiana».
Approccio multidisciplinare
È una malattia cronica invalidante, molto spesso associata ad una serie di comorbilità, per cui si preferisce parlare di malattia psoriasica. «L’approccio multidisciplinare è fondamentale e deve garantire diagnosi precoci, terapie mirate e quanto più possibile on-time per prevenire il rischio di danno articolare, ma anche di mortalità legato al carattere sistemico della malattia».
Per avere tutte le informazioni necessarie e per prendere parte alla campagna CLICCA QUI. L’esperienza al centro è patrocinata dalle principali Associazioni di Pazienti, ANMAR – Associazione Nazionale Malati Reumatici, APMARR- Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, AMRER – Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna, APIAFCO – Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza, ADIPSO Odv – Associazione per la difesa degli Psoriasici
Nanoplastiche possono causare patologie ossee
News Presa, Nuove tendenze, One health, Prevenzione, Ricerca innovazioneLe nanoplastiche sono contaminanti emergenti. Solo negli ultimi anni sono iniziati ad apparire dati sui rischi per la salute umana e per l’ecosistema. Gli studi vanno avanti e la lista dei possibili danni continua ad allungarsi. Un ultimo studio collega le nanoparticelle plastiche a problematiche ossee. La complessa combinazione di sostanze chimiche altera il delicato equilibrio e la relazione esistente nel microambiente osseo. Ciò potrebbe aumentare il rischio di patologie legate all’impoverimento osseo. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Science Direct – Journal of Hazardous Materials.
Come nascono le nanoplastiche
La plastica è un materiale che dalla metà dello scorso secolo è andato sempre più diffondendosi. Tuttavia ci sono voluti molti decenni per osservarne gli effetti e la gestione inadeguata dei rifiuti ha creato un accumulo soprattutto nei mari, tanto da interferire con gli ecosistemi. La plastica si scompone continuamente nell’ambiente e con il tempo si disgrega in fibre minuscole, particelle in grado di fluttuare nell’aria ed entrare nelle vie respiratorie. Con la frammentazione nascono poi micro e nanoplastiche, misurate rispettivamente in micrometri (ovvero con dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 m, ovvero 5mm) e nanometri (le cui dimensioni vanno da 0,001 a 0,1 m, cioè da 1 a 100 nanometri).
Il team di scienziati
Lo studio è frutto di una collaborazione interdisciplinare, interdipartimentale e interuniversitaria tra Lavinia Casati, ricercatore di Patologia Generale presso il Dipartimento di Scienze della Salute della Statale di Milano, il laboratorio di Patologia Generale coordinato da Raffaella Chiaramonte, docente di Patologia Generale dello stesso Ateneo, e altri gruppi di ricercatori, tra cui il team di ricerca di Marco Parolini, docente di Ecologia del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, i ricercatori del Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Parma.
Le nanoplastiche sono in grado di entrare nelle cellule
“A oggi esistono pochi studi inerenti agli effetti indotti dall’esposizione alle nanoplastiche su modelli ecotossicologici e ancora meno studi sull’uomo”, spiega Lavina Casati, ultimo autore e corresponding author della ricerca. La ricerca ha permesso di descrivere l’azione di questi contaminanti sull’osso, attraverso un modello in vitro che potesse dare una visione ad ampio spettro. Per poter scattare la fotografia del microambiente osseo, gli scienziati hanno considerato tre principali tipologie cellulari coinvolte nel mantenimento della massa ossea. Utilizzando tecniche di colture cellulari, hanno esposto queste cellule alle nanoplastiche fluorescenti di dimensioni pari a 50 nanometri. Le nanoplastiche sono entrate nella cellula, come è emerso dalla localizzazione con tecniche di imaging e citofluorimetria.
I danni
In sostanza le nanoplastiche sono in grado di entrare nelle cellule in un modo che è sia attivo che passivo, e vanno a localizzarsi a livello citoplasmatico. Le nanoplastiche riducono la vitalità delle cellule, ne aumentano la morte e inducono la formazione di radicali liberi. Serviranno ulteriori studi per delineare la complessa interrelazione tra nanoplastiche e rimodellamento osseo. Tuttavia lo studio rappresenta un punto importante per capire l’impatto della nanoparticelle sul delicato equilibrio umano.
Fibromialgia: sintomi, diagnosi e opzioni di trattamento
News PresaLa fibromialgia è una condizione medica complessa e spesso fraintesa che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Caratterizzata da sintomi dolorosi e debilitanti, questa patologia può avere un impatto significativo sulla qualità della vita di chi ne soffre. In questo articolo, esploreremo i sintomi caratteristici della fibromialgia, come viene diagnosticata e quali sono le possibili opzioni di trattamento disponibili.
Sintomi del dolore diffuso
La fibromialgia è nota per una serie di sintomi che possono variare da persona a persona. Alcuni dei sintomi più comuni includono:
Diagnosi
La diagnosi può essere una sfida, in quanto non esiste un test diagnostico specifico. Di solito, il medico giunge a una diagnosi basandosi sui sintomi del paziente e sull’esclusione di altre condizioni simili. Spesso, il processo di diagnosi richiede tempo e la collaborazione di diversi professionisti medici. Uno strumento comune utilizzato per aiutare nella diagnosi è la “criteri del 2016” stabiliti dal Collegio Americano de Reumatologia. Questi criteri si basano su un punteggio che considera il dolore generalizzato, i sintomi come affaticamento, disturbi del sonno e problemi cognitivi, oltre ad altri aspetti. Un paziente deve soddisfare determinati criteri per essere diagnosticato con questa patologia.
Opzioni di trattamento
Il trattamento è multifattoriale e mira a migliorare la qualità della vita del paziente, riducendo i sintomi e aumentando la funzionalità. Alcune delle opzioni includono:
Con una diagnosi accurata e un trattamento adeguato, i pazienti possono imparare a gestire i sintomi e migliorare la loro qualità di vita. La consapevolezza e il supporto continuo sono fondamentali per coloro che vivono con questa condizione.
Cancro alla prostata il più frequente maschile. Siu lancia App Movember
Associazioni pazienti, Eventi d'interesse, News Presa, PrevenzioneOgni anno sono 36 mila le nuove diagnosi di cancro alla prostata. Oggi questo tipo di tumore è il più frequente tra quelli maschili. Eppure, insieme al cancro del testicolo, sono ancora argomenti tabù per molti uomini e la prevenzione è un tema spesso trascurato.
Per questi tipi di tumori, i fattori di rischio principali sono l’età avanzata e la familiarità, ma entra in gioco anche la possibile presenza di mutazioni genetiche ereditarie.
Novembre mese della prevenzione maschile
Novembre è considerato il mese della prevenzione del tumore della prostata e più in generale della prevenzione maschile supportata dal movimento internazionale “Movember”. L’obiettivo è sensibilizzare sull’importanza di visite ed esami preventivi, promuovere stili di vita salutari e sostenere la ricerca per rendere le cure sempre più efficaci.
La Società Italiana di Urologia – SIU ha lanciato la campagna che verrà presentata martedì prossimo (7 novembre) in Senato, insieme a un’applicazione per smartphone. Saranno quasi 300 i centri urologici, dislocati su tutto il territorio nazionale, che in questo mese metteranno a disposizione dei cittadini informazioni sulla prevenzione, cura e diagnosi delle patologie urologiche. Il Prof. Giuseppe Carrieri, Presidente della SIU ed Ordinario di Urologia all’Università di Foggia, ha ribadito: “sebbene il 53% degli uomini dichiari di temere una diagnosi di neoplasia prostatica, solo uno su quattro ha effettuato un esame di controllo.”
L’App per la prevenzione del cancro alla prostata
Il tumore alla prostata è il più diffuso tra quelli maschili. Nonostante l’81% degli uomini ne sia consapevole, molti mostrano una scarsa conoscenza delle funzioni di questa ghiandola, spiega la SIU che per aumentare la consapevolezza della popolazione ha sviluppato l’App, Movember SIU, disponibile sia per iOS sia per Android. Attraverso l’applicazione è possibile richiedere un consulto da uno specialista urologo e trovare risposte sulla salute urologica e il benessere individuale.
Controlli dai 40 anni
Il Prof. Vincenzo Mirone, Consigliere Nazionale della SIU ed Ordinario di Urologia all’Università
degli Studi di Napoli, ha sottolineato: “tutti gli uomini oltre i 40 anni dovrebbero consultare uno specialista urologo”. Infatti, “solo una valutazione urologica adeguata può determinare il rischio di sviluppare il cancro alla prostata e stabilire il momento
giusto per iniziare a monitorare i livelli di PSA nel sangue e sottoporsi a un esame clinico della
prostata”, prosegue. “Per quanto riguarda il cancro al testicolo, l’autopalpazione dei testicoli rappresenta la migliore forma di prevenzione e dovrebbe essere praticata fin dalla giovane età”, conclude. Durante la conferenza presso il Senato della Repubblica, verranno condivise testimonianze di pazienti affetti da patologie uro-oncologiche e saranno presentati i dati epidemiologici raccolti dalla SIU.
PSA, non tutti sanno che può salvare la vita
PrevenzioneIl cancro alla prostata è una delle principali cause di mortalità tra gli uomini in tutto il mondo. La buona notizia è che molte forme di questo cancro sono curabili, ma la chiave per una diagnosi precoce e un trattamento efficace sta nel PSA, acronimo di Antigene Prostatico Specifico.
Cos’è?
Si tratta di una glicoproteina prodotta dalla prostata, una ghiandola che con l’avanzare degli anni può dare qualche problema. La sua funzione principale è quella di liquefare lo sperma durante l’eiaculazione, facilitando così la mobilità degli spermatozoi.Questa glicoproteina è normalmente presente nel sangue, ma la sua concentrazione aumenta quando ci sono problemi alla prostata, come l’infiammazione o il cancro. Anche se sono allo studio nuovi test, per il momento il PSA resta il più efficace.
Marker tumorale
Il PSA è uno strumento diagnostico vitale per il cancro alla prostata. Quando si verifica un’anomalia nella prostata, come la crescita incontrollata delle cellule tumorali, la concentrazione di PSA nel sangue può aumentare. Pertanto, il dosaggio di questa glicoproteina è uno strumento cruciale per rilevare precocemente l’eventuale sviluppo del cancro alla prostata. Molti medici considerano il PSA un “marcatore tumorale”, poiché fornisce importanti indicazioni sulla presenza e la gravità del cancro.
Prevenzione
La prevenzione è la chiave per combattere il cancro alla prostata con successo. La maggior parte dei casi di cancro alla prostata viene diagnosticata in uno stadio iniziale, quando la malattia è localizzata solo nella prostata, e le possibilità di cura sono elevate. Questa diagnosi precoce è resa possibile proprio dal dosaggio regolare del PSA e, naturalmente, dalla consulenza medica.
Chi dovrebbe fare il test?
Il test del PSA è raccomandato principalmente per gli uomini di età superiore ai 50 anni. Tuttavia, se si ha una storia familiare di cancro alla prostata o altri fattori di rischio è possibile che il medico consigli di iniziare prima il monitoraggio del PSA. È importante discutere con il medico l’opportunità di sottoporsi al test e stabilire la frequenza dei controlli.
Il dosaggio del PSA
Il dosaggio del PSA è un esame del sangue semplice e indolore. Un campione di sangue viene prelevato e analizzato in laboratorio per misurare la concentrazione di PSA nel sangue. I risultati verranno quindi valutati dal medico per determinare se sono presenti anomalie e se ulteriori indagini sono necessarie. La prevenzione del cancro alla prostata inizia proprio con il dosaggio regolare di questa glicoproteina e una consulenza medica appropriata. Ricordate che la vostra salute è preziosa, e il PSA è uno strumento potente per preservarla.
Doppio intervento per salvare mamma e neonato
Bambini, Genitorialità, News PresaUn doppio intervento che ha visto assieme ginecologi e cardiochirurghi per salvare mamma e neonato. È una storia commuovente, e per certi versi eccezionale, quella che arriva dell’ospedale Molinette di Torino dove l’intervento dei medici ha consentito di far nascere il piccolo Tommaso e, subito dopo, salvare la vita della mamma con un delicato intervento chirurgico al cuore. Un evento eccezionale che ha coinvolto varie équipes della Città della Salute di Torino. Cardiochirurghi, ginecologi, anestesisti, cardiologi, neonatologi, ostetriche, perfusionisti ed infermieri si sono dovuti confrontare sin dall’inizio con una situazione difficile ed eccezionale.
L’emergenza
Andiamo con ordine. La mamma del piccolo Tommaso è arrivata nel cuore della notte con gravidanza a termine e in gravi condizioni. Subito i medici l’hanno sottoposta ad approfondimenti (eseguiti dall’anestesista Erica Galliano e dal cardiologo Davide Forno) dai quali è risultato subito chiara la presenza di una massa benigna all’interno del cuore. La massa occludeva la valvola mitrale causando un danno importante alla contrattilità del cuore stesso, mettendo a rischio la vita della donna e quella del nascituro. Poche ore dopo la paziente è stata trasferita presso la Cardiochirurgia dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino.
Doppio intervento
Dopo un approfondito confronto multidisciplinare, e in tempi brevissimi, è stata allestita la sala operatoria per poter affrontare contemporaneamente i due delicatissimi interventi: il taglio cesareo per far nascere il neonato ed immediatamente dopo l’intervento cardiochirurgico. La paziente, in condizioni critiche al suo arrivo, è stata assistita e preparata per gli interventi. I ginecologi hanno eseguito con successo il parto cesareo, che ha permesso di far venire alla luce il piccolo Tommaso, dal peso di 3140 grammi. L’équipe neonatologica, si è subito attivata nel portare il piccolo con una incubatrice da trasporto presso la sala operatoria delle Molinette e sottoporlo a rianimazione e assistenza respiratoria. Tommaso è stato poi trasferirlo nel reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell’ospedale Sant’Anna.
Gioco di squadra
Immediatamente dopo il parto, la neomamma è stata messa in circolazione extracorporea, un macchinario artificiale che consente di ossigenare e pompare il sangue in circolo durante la fase centrale dell’intervento che viene eseguito a cuore fermo. L’intervento cardiochirurgico per rimuovere la massa cardiaca benigna è stato eseguito con una tecnica mininvasiva. Alla fine della procedura il cuore ha ricominciato a battere e la valvola mitralica ha ripreso a funzionare. La neomamma, trasferita subito dopo in terapia intensiva cardiochirurgica, si è poi svegliata in reparto di degenza. Un’altra storia a lieto fine alle Molinette, nonostante procedure complicate e con logistiche difficili da organizzare in tempi brevissimi, resa possibile da un gioco di squadra e dalla collaborazione tra le diverse équipes e specialità della Città della Salute di Torino.
Violenza sui medici, uno spot per dire basta
News PresaLa violenza sui medici resta un problema inascoltato. Lo testimoniano le grida di aiuto di una geriatra aggredita dalla figlia di una sua paziente. L’ultima aggressione di una lunga serie tra Napoli e provincia. Le immagini e le grida disperate, registrate con un cellulare dalla stessa dottoressa, hanno fatto il giro dei media nazionali scatenando l’indignazione. Bruno Zuccarelli, segretario regionale del sindacato dei medici dirigenti parla di una situazione ormai ben oltre il limite.
Molti vanno via
«Non è possibile lavorare su turni che possono durare anche 18 ore consecutive, essere insultati per un’attesa troppo lunga o massacrati di botte se qualcosa non piace o se non si riesce sempre e comunque ad evitare un decesso. Nessuno di noi ha studiato anni e sacrificato la propria vita familiare per questo. Molti restano, spinti dalla passione, ma sono sempre di più quelli che scelgono di andare via». Parole non certo di resa quelle di Zuccarelli, visto che il sindacato dei medici dirigenti lancia ora una campagna che sceglie un linguaggio duro, quello della guerra, per far comprendere quanto sia importante la sicurezza dei camici bianchi per la tenuta del sistema sanitario nazionale.
Lo spot
Di qui un’iniziativa forte e provocatoria, la registrazione di uno spot nel quale i medici protagonisti, dopo aver vestito il camice “d’ordinanza”, indossano anche giubbotto antiproiettile ed elmetto militare. «In un momento come questo, nel quale purtroppo si riaffacciano le ombre di guerre che sembravano impossibili, avremmo voluto evitare di ricorrere a questo linguaggio», sottolinea il leader regionale dell’Anaao Assomed. «Tuttavia non c’è più tempo e serve che la politica in primis, ma anche i tantissimi cittadini per bene, si sveglino dal torpore e si uniscano a noi per dire basta». Obiettivo della campagna è quello di evitare che di queste aggressioni si continui a parlare come di un destino ineluttabile, perché, spiega Zuccarelli «continuando così, molto presto, non ci sarà più una sanità pubblica da difendere e solo chi potrà permetterselo avrà accesso alle migliori cure».
Gelato e patatine come cocaina, creano dipendenza. Lo studio
Alimentazione, Benessere, News Presa, Nuove tendenze, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneDipendenza, se mangiando un pacco di patatine risulta difficile fermarsi, non è per il sapore irresistibile o per mancanza di volontà. Secondo un recente studio pubblicato su British Medical Journal la colpa è dei cibi ultra processati che creano assuefazione. Questi alimenti sono la principale fonte di carboidrati raffinati e di grassi aggiunti nell’alimentazione moderna. Vengono prodotti industrialmente e sottoposti a ripetute lavorazioni. Si tratta di prodotti comuni che riempiono gli scaffali dei supermercati e contengono molti ingredienti aggiunti come sale, zucchero, coloranti e additivi.
I cibi che danno dipendenza
Dall’analisi di quasi 300 ricerche sulla nutrizione, i ricercatori hanno dimostrato come questi alimenti possano creare una dipendenza simile a quella da droga o alcol. Gli alimenti ultraprocessati più comuni sono: patatine fritte, snack, bevande zuccherate e gelati. Anche salumi e bevande con un alto quantitativo di zuccheri, possono creare dipendenza proprio come l’eroina, la cocaina e la nicotina.
Lo studio
Lo studio è stato condotto da Ashley Gearhardt, professoressa dell’Università del Michigan. La scienziata qualche tempo fa ha messo a punto la Yale Food Addiction Scale (YFAS), una scala che misura la dipendenza da un certo alimento. I criteri sono gli stessi utilizzati per diagnosticare la dipendenza da sostanze, in base a quanto previsto dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5).
14% degli adulti ha dipendenza
Dall’analisi dei 281 studi precedenti condotti in 36 Paesi è emerso che il 14% degli adulti è dipendente dagli alimenti ultraprocessati e questo ha un impatto sulla salute. Infatti i dati mostrano un legame tra questi alimenti e l’aumento del rischio di cancro, morte precoce, declino cognitivo e problemi di salute mentale. “Molti alimenti ultraprocessati creano dipendenza in molte persone – ha dichiarato l’autore Chris van Tulleken al Guardian – E quando le persone sperimentano una dipendenza da cibo, è quasi sempre da prodotti ultraprocessati”.
La dopamina
Il motivo per cui questi prodotti causano dipendenza non è ancora del tutto chiaro. Secondo alcuni esperti alla base delle dipendenze alimentari non c’è una sostanza in particolare. Una possibile spiegazione potrebbe essere l’unione dell’elevato contenuto sia di grassi che di carboidrati, una caratteristica propria dei cibi industriali. Gli alimenti non trasformati, invece, in genere possono contenere più carboidrati o più grassi. Questa unione potrebbe innescare un picco di dopamina, seguito da un brusco calo del neurotrasmettitore, instaurando un ciclo di desiderio, soddisfazione e crollo simile a quello delle droghe e dell’alcol, anche se non tutti ne sono soggetti.
Malattie rare, costi più alti del 28% in assenza di terapia
Farmaceutica, News PresaUn paziente affetto da una malattia rara ha un costo annuo più alto del 28% quando manca una terapia specifica. Sono soprattutto i costi indiretti ad aumentare, cioè quelli che in genere sono a carico del paziente e delle famiglie. I dati emergono dal report “Rare Disease Burden of Care and the Economic Impact on Citizens“, realizzato dalla farmaceutica Chiesi con il supporto di Iqvia, presentato al World Orphan Drug Congress di Barcellona. L’analisi ha preso in considerazione i costi di una 23 malattie rare in Italia, Francia e Germania. In media, l’onere medio per ogni paziente è di 107mila euro all’anno, 15 volte in più rispetto a quello dei pazienti con malattie croniche (7mila). Di questi, 52 mila euro (49%) sono costi diretti, 31mila (29%) sono costi indiretti e 24 costi legati alla mortalità precoce (22%).
In particolare, dal report emerge che in assenza di terapie specifiche, i costi salgono del 28%, raggiungendo i 137mila euro a paziente. A crescere di più sarebbero i costi indiretti, che registrano quasi un raddoppio (61mila euro). Più contenuto è invece l’aumento dei costi legati alla mortalità. Invece, per quelli diretti si registra addirittura un calo.
Le patologie che traggono maggiore vantaggio dalla presenza di una terapia specifica, tra quelle analizzate, sono le malattie metaboliche. La differenza di costi è del 77,6% tra lo scenario senza terapia e quello con la terapia: 148 mila euro a paziente, contro 263mila. L’augurio è che i numeri del rapporto spingano verso un modo più organico di pensare alle malattie rare, affinché vengano considerate nelle politiche e negli impegni sociali futuri, ha sottolineato Enrico Piccinini, Head of Europe & Emerging Markets Rare Diseases di Chiesi.