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La salute dell’anziano segue regole diverse da quelle del bambino e dell’adulto, e questo vale anche quando si parla di vaccinazioni. Dal 23 al 29 aprile, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha promosso la settimana europea dell’immunizzazione. HappyAgeing – l’Alleanza Italiana per l’invecchiamento attivo fa chiarezza, rispondendo alle domande più frequenti con l’obiettivo di combattere la disinformazione e rendere tutti più consapevoli.
Quali sono le malattie infettive più frequenti negli anziani?
Le persone anziane hanno un sistema immunitario meno efficiente che rende l’organismo meno reattivo e quindi più suscettibile alle malattie infettive, quali le polmoniti ma anche le meningiti e le meningo-encefaliti o la sepsi, inoltre spesso possono essere presenti una o più malattie croniche che rendono più alta la possibilità di avere complicanze gravi. Altra malattia infettiva frequente dell’anziano è l’herpes zoster, conosciuto come “Fuoco di Sant’Antonio “. Tutte queste patologie possono essere prevenute con le vaccinazioni, che contribuiscono ad aumentare le aspettative e la qualità di vita. Tuttavia, in Italia si vaccina soltanto il 52% per cento degli anziani contro l’influenza, anche se i dati mostrano un leggero aumento rispetto alla stagione precedente. Inoltre è ancora scarsa la conoscenza di questa opportunità di prevenzione.
Quali sono i vaccini raccomandati per gli anziani?
Molte vaccinazioni sono fondamentali per la prevenzione delle malattie infettive nella popolazione anziana. Al momento, in Europa e in Italia sono raccomandati i seguenti vaccini per la popolazione adulta di età pari o superiore ai 65 anni:
• Influenza: è una delle patologie più comuni, ma anche una delle più pericolose. Nei paesi UE/EEA si registrano 38.500 decessi ogni anno di cui il 90% nella popolazione adulta legati alle complicanze dell’influenza. Il vaccino è raccomandato ogni anno negli adulti con patologie croniche e nei soggetti di età pari o superiore ai 65 anni per ridurre complicanze, ospedalizzazioni e morti dovute a tale infezione. Il vaccino deve essere somministrato ogni anno (periodo ottobre-dicembre).
• Malattie da pneumococco: Lo pneumococco è un batterio patogeno molto comune per l’uomo può provocare diverse malattie talvolta mortali: infatti, ogni anno nel mondo lo pneumococco provoca circa 1,6 milioni di morti. Questo tipo di patologie sono prevenibili con un vaccino coniugato 13valente che, oltre ad essere molto efficace, ha la caratteristica che deve essere fatto solo una volta nella vita e protegge da queste malattie per sempre. È raccomandato ai bambini nel primo anno di vita, gli adulti dai 65 anni in su e le persone a maggior rischio per patologie croniche o alterazioni del sistema immunitario. Riguardo questo vaccino è importante considerare che può essere offerto simultaneamente alla vaccinazione antiinfluenzale, ma può pure essere somministrato indipendentemente e in qualsiasi stagione dell’anno.
• Zoster: la vaccinazione contro l’Herpes zoster è in grado di ridurre significativamente l’incidenza dei casi di malattia e della nevralgia post-erpetica, che è una delle complicanze più frequenti e debilitanti della malattia. Vengono registrati più di 1.7 milioni di nuovi casi ogni anno in Europa in tutte le fasce di età ma con un incidenza che aumenta all’aumentare dell’età. L’unico strumento di prevenzione contro l’herpes zoster è il vaccino e per il quale non è raccomandata una dose di richiamo.
Cosa cambia per gli anziani con i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)?
Il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019 (PNPV), approvato in Conferenza Stato-Regioni il 19 gennaio 2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio 2017, costituisce il documento di riferimento in cui si riconosce, come priorità di sanità pubblica, la riduzione o l’eliminazione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino, attraverso l’individuazione di strategie efficaci e omogenee da implementare sull’intero territorio nazionale. I nuovi Lea prevedono che dal 2017 il vaccino pneumococcico sia raccomandato e gratuito in tutte le regioni per tutti coloro che hanno 65 anni o per chi ha una malattia cronica come ad esempio patologie polmonari croniche, malattie cardiovascolari o il diabete. Da quest’anno è raccomandato e disponibile gratuitamente anche il vaccino contro l’herpes zoster, comunemente detto Fuoco di Sant’Antonio. Soprattutto nella popolazione adulta e anziana è importante che tutti abbiano la consapevolezza del rischio di queste malattie e che tutti possano usufruire del proprio diritto a essere vaccinati. La vera sfida per le vaccinazioni è farlo sapere ai cittadini, attivando strategie vaccinali, di comunicazione pubblica e di promozione della salute al fine di assicurare a tutti l’esercizio democratico del diritto alla salute.
Anziani: tutti i miti da sfatare sui vaccini
AnzianiLa salute dell’anziano segue regole diverse da quelle del bambino e dell’adulto, e questo vale anche quando si parla di vaccinazioni. Dal 23 al 29 aprile, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha promosso la settimana europea dell’immunizzazione. HappyAgeing – l’Alleanza Italiana per l’invecchiamento attivo fa chiarezza, rispondendo alle domande più frequenti con l’obiettivo di combattere la disinformazione e rendere tutti più consapevoli.
Quali sono le malattie infettive più frequenti negli anziani?
Le persone anziane hanno un sistema immunitario meno efficiente che rende l’organismo meno reattivo e quindi più suscettibile alle malattie infettive, quali le polmoniti ma anche le meningiti e le meningo-encefaliti o la sepsi, inoltre spesso possono essere presenti una o più malattie croniche che rendono più alta la possibilità di avere complicanze gravi. Altra malattia infettiva frequente dell’anziano è l’herpes zoster, conosciuto come “Fuoco di Sant’Antonio “. Tutte queste patologie possono essere prevenute con le vaccinazioni, che contribuiscono ad aumentare le aspettative e la qualità di vita. Tuttavia, in Italia si vaccina soltanto il 52% per cento degli anziani contro l’influenza, anche se i dati mostrano un leggero aumento rispetto alla stagione precedente. Inoltre è ancora scarsa la conoscenza di questa opportunità di prevenzione.
Quali sono i vaccini raccomandati per gli anziani?
Molte vaccinazioni sono fondamentali per la prevenzione delle malattie infettive nella popolazione anziana. Al momento, in Europa e in Italia sono raccomandati i seguenti vaccini per la popolazione adulta di età pari o superiore ai 65 anni:
• Influenza: è una delle patologie più comuni, ma anche una delle più pericolose. Nei paesi UE/EEA si registrano 38.500 decessi ogni anno di cui il 90% nella popolazione adulta legati alle complicanze dell’influenza. Il vaccino è raccomandato ogni anno negli adulti con patologie croniche e nei soggetti di età pari o superiore ai 65 anni per ridurre complicanze, ospedalizzazioni e morti dovute a tale infezione. Il vaccino deve essere somministrato ogni anno (periodo ottobre-dicembre).
• Malattie da pneumococco: Lo pneumococco è un batterio patogeno molto comune per l’uomo può provocare diverse malattie talvolta mortali: infatti, ogni anno nel mondo lo pneumococco provoca circa 1,6 milioni di morti. Questo tipo di patologie sono prevenibili con un vaccino coniugato 13valente che, oltre ad essere molto efficace, ha la caratteristica che deve essere fatto solo una volta nella vita e protegge da queste malattie per sempre. È raccomandato ai bambini nel primo anno di vita, gli adulti dai 65 anni in su e le persone a maggior rischio per patologie croniche o alterazioni del sistema immunitario. Riguardo questo vaccino è importante considerare che può essere offerto simultaneamente alla vaccinazione antiinfluenzale, ma può pure essere somministrato indipendentemente e in qualsiasi stagione dell’anno.
• Zoster: la vaccinazione contro l’Herpes zoster è in grado di ridurre significativamente l’incidenza dei casi di malattia e della nevralgia post-erpetica, che è una delle complicanze più frequenti e debilitanti della malattia. Vengono registrati più di 1.7 milioni di nuovi casi ogni anno in Europa in tutte le fasce di età ma con un incidenza che aumenta all’aumentare dell’età. L’unico strumento di prevenzione contro l’herpes zoster è il vaccino e per il quale non è raccomandata una dose di richiamo.
Cosa cambia per gli anziani con i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)?
Il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019 (PNPV), approvato in Conferenza Stato-Regioni il 19 gennaio 2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio 2017, costituisce il documento di riferimento in cui si riconosce, come priorità di sanità pubblica, la riduzione o l’eliminazione del carico delle malattie infettive prevenibili da vaccino, attraverso l’individuazione di strategie efficaci e omogenee da implementare sull’intero territorio nazionale. I nuovi Lea prevedono che dal 2017 il vaccino pneumococcico sia raccomandato e gratuito in tutte le regioni per tutti coloro che hanno 65 anni o per chi ha una malattia cronica come ad esempio patologie polmonari croniche, malattie cardiovascolari o il diabete. Da quest’anno è raccomandato e disponibile gratuitamente anche il vaccino contro l’herpes zoster, comunemente detto Fuoco di Sant’Antonio. Soprattutto nella popolazione adulta e anziana è importante che tutti abbiano la consapevolezza del rischio di queste malattie e che tutti possano usufruire del proprio diritto a essere vaccinati. La vera sfida per le vaccinazioni è farlo sapere ai cittadini, attivando strategie vaccinali, di comunicazione pubblica e di promozione della salute al fine di assicurare a tutti l’esercizio democratico del diritto alla salute.
Resezione pancreatica: grano saraceno migliora valori pazienti operati
Ricerca innovazioneIl grano saraceno ha proprietà antiossidanti ed antiinfiammatorie che possono migliorare la qualità di vita di chi ha subito una resezione pancreatica. È quanto emerge dallo studio condotto dal CREA, con il suo Centro Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione e dall’Università di Roma Sapienza, con il Dipartimento di medicina interna, che è stato appena presentato al II Simposio Europeo sul grano saraceno.
Lo studio
Il prof. Piero Chirletti, ordinario di Chirurgia Generale alla Sapienza Università di Roma e direttore della UOC Chirurgia Generale N presso il Dipartimento di Chirurgia “F. Durante” al Policlinico Umberto, I ha selezionato 18 pazienti, operati da 3 anni di resezione pancreatica, non soggetti a chemioterapia e con un indice di massa corporea inferiore a 19.
A 9 di questi per un mese è stato somministrato uno snack al giorno di 70 grammi di grano saraceno maltato, realizzato da Giovanni Bonafaccia, primo ricercatore CREA Alimenti e Nutrizione. Ai restanti 9, invece, è stato dato uno snack equivalente, ma a base riso.
Tutti i pazienti coinvolti sono stati attentamente monitorati prima, durante e dopo lo studio: hanno tenuto un diario alimentare, compilato un questionario sui disturbi gastrointestinali e uno sulla qualità della vita e si sono sottoposti a visite nutrizionali e ad una serie di analisi per la valutazione dell’assetto nutrizionale, infiammatorio e ossidativo.
I risultati hanno evidenziato che chi ha assunto le barrette di grano saraceno maltato – a differenza del gruppo di quelli con somministrazione di barrette di solo riso – ha migliorato il proprio stato nutrizionale, aumentando la capacità intestinale di assorbimento degli alimenti con un aumento della massa magra a discapito della massa grassa. Inoltre, i pazienti hanno riferito – dato fondamentale per una migliore qualità della vita – di una diminuzione dei dolori addominali, che purtroppo spesso si presentano dopo l’ingestione di cibo in chi ha subito questo tipo di interventi ed una diminuzione consistente delle steatorree (feci con grassi non digeriti), tipiche di pazienti sottoposti ad asportazione totale del pancreas.
“La maltazione – afferma Giovanni Bonafaccia, coordinatore CREA della ricerca – aumenta di almeno 4 volte il già elevato potere antiossidante ed antiinfammatorio di questo pseudo-cereale, prodotto dimenticato delle nostre valli, che presenta anche interessanti potenzialità agronomiche: è resistente e in grado di adattarsi a suoli e climi diversi, è facilmente coltivabile e a basso impatto ambientale”.
Cos’è il grano saraceno
Il grano saraceno è una specie con caratteristiche diverse da quelle degli altri cereali. E’ infatti l’unico che non appartiene alla famiglia botanica delle Graminacee, bensì a quella delle Poligonacee e si caratterizza per l’elevato valore biologico delle proteine, superiore a quello di qualsiasi altro prodotto di origine vegetale. Un tempo veniva coltivato soprattutto nelle vallate alpine, in particolare in Valtellina (Sondrio) e in Alto Adige (Bolzano), e in misura minore sugli Appennini. Data la quasi totale scomparsa della coltura, il nostro Paese si trova a dover importare oltre il 90% della quantità consumata, in particolar modo dalla Cina e dall’Europa orientale.
Si sta lavorando alla reintroduzione del grano saraceno anche attraverso la messa a punto di agrotecniche moderne, ma a basso impatto ambientale.
Dalle scuole «pillole di salute» per i turisti
PrevenzioneStudenti in campo per promuovere la salute. Sono i ragazzi del liceo scientifico statale Galileo Galilei di Catania i protagonisti di questa bella iniziativa basata sulla corretta informazione. Saranno loro infatti a collaborare ad un progetto di informazione sanitaria della rete civica della salute, la piattaforma web promossa dall’assessorato regionale della Salute che ha l’obiettivo migliorare la comunicazione tra cittadini e sistema sanitario.
Protocollo di intesa
Giovedì 26 aprile (alle 11.00) nella sede del comitato consultivo del Policlinico-Vittorio Emanuele verrà sottoscritto il protocollo d’intesa tra l’Azienda ospedaliera e l’istituto scolastico: «Grazie a quest’accordo –spiega Pieremilio Vasta, presidente della conferenza dei comitati consultivi delle aziende sanitarie regionali – gli studenti si occuperanno della traduzione multilingue di una “pillola informativa” riguardante l’indicazione dei setting assistenziali e delle strutture presenti sul territorio alternativi al Pronto Soccorso in casi di bisogni di cura meno gravi». La “pillola”, intitolata “Se mi sento male dove vado?” verrà diffusa, grazie alla collaborazione di Uras-Federalberghi Sicilia, nelle strutture ricettive alberghiere e paralberghiere dell’Isola affinché anche i turisti possano usufruire di queste informazioni.
Pillole della Salute
Le pillole di salute sono informazioni brevi e utilissime su educazione, prevenzione e tutela della salute, che vengono diffuse periodicamente dalla rete civica della salute per via telematica. «Il Piano Regionale della Salute – conclude Vasta – attribuisce grande importanza al miglioramento della comunicazione tra cittadini e sistema sanitario, alla corretta informazione, alla tutela della dignità e della riservatezza, alla valorizzazione dell’attività di volontariato, all’accoglienza e accessibilità delle strutture ospedaliere, all’umanizzazione e personalizzazione della relazione medico-paziente».
Muoversi, mangiar sano e vaccinarsi. La campagna HappyAgeing
AnzianiL’Italia è un Paese per vecchi? Nei prossimi decenni il Paese sarà popolato prevalentemente da anziani. Ad oggi, dati l’Istat, oltre 13 milioni di Italiani, più di una persona su cinque, ha un’età superiore ai 65 anni, e, secondo le previsioni, nel 2040 circa un individuo su tre sarà over 65. Nel 2050, le personeultrasessantenni supereranno i nuovi nati. E’ necessario attivare politiche e programmi che tengano conto della salute della fascia di popolazione più anziana, per aggiungere vita agli anni e vivere meglio: è questo uno degli obiettivi che si pone HappyAgeing l’Alleanza per l’invecchiamento attivo che ha attivato una campagna di prevenzione sul territorio, attraverso una vera e propria road map nelle regioni italiane. A Pisa, Giovedì 26 aprile 2018 ore 15:00 presso l’Auditorium “Le Benedettine”, un panel di esperti porrà al centro del confronto le leve di prevenzione per l’invecchiamento attivo, muoversi, vaccinarsi e mangiar sano e le più efficaci e innovative soluzioni e strategie per mantenersi in buona salute. All’evento, aperto da Stefania Saccardi, Assessore al diritto alla salute della Regione Toscana, interverranno tra gli altri Annalaura Carducci, Presidente sezione Toscana S.It.I. Società Italiana di Igiene e Sanità Pubblica – Osservatorio della Comunicazione Sanitaria dell’Università di Pisa (OCS-Unipi); il Professor Pier Luigi Lopalco, Direttore del Centro Prosit e Professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva presso l’Università di Pisa e Michele Conversano, Presidente HappyAgeing – Alleanza italiana per l’invecchiamento attivo.
Notifiche smartphone come droga per il cervello. Aumentano depressione
PsicologiaSiamo sempre connessi e informati, ma sempre più dipendenti da notifiche e-mail, messaggi e post che arrivano sui nostri social network. Oggi uno studio pubblicato su NeuroRegulation mostra come l’abuso di smartphone sia simile all’abuso di sostanze stupefacenti, come gli oppiacei. Insomma crea dipendenza. “La dipendenza dall’uso di smartphone inizia a formare connessioni neurologiche nel cervello in modo simile a quelle che si sviluppano in coloro acquisiscono una dipendenza da farmaci oppioidi per alleviare il dolore”, ha spiegato Erik Peper, professore di educazione alla salute presso l’Università di San Francisco e primo autore dello studio.
I numeri
Da un sondaggio su 135 studenti è emerso che chi utilizzava continuamente il telefono – sostituendo l’interazione faccia a faccia con una comunicazione priva del linguaggio del corpo – aveva più alti livelli di senso di isolamento, depressione e ansia. Quegli stessi studenti erano propensi, mentre studiavano e mangiavano, a guardare smartphone in una condizione di “semi-tasking” (lo svolgere più compiti insieme, ottenendo la metà dei risultati rispetto a quando ci si focalizza su un compito alla volta). In altre parole, le notifiche per il cervello sono come il canto delle sirene di Ulisse, non riusciamo ad ignorarle perché attivano nella nostra testa gli stessi percorsi neuronali nel che una volta ci avvisavano di un pericolo imminente, come l’attacco di un predatore. “Ma ora – spiega Peper – siamo dirottati, dagli stessi meccanismi che una volta ci proteggevano, verso le informazioni più banali”.
Lotta ai tumori, la Puglia in prima fila
PrevenzioneOgni anno a Lecce più di 1.610 casi di cancro potrebbero essere evitati seguendo uno stile di vita sano (no al fumo, attività fisica costante e dieta corretta). Per sensibilizzare tutti i cittadini sull’importanza della prevenzione, la città diventa per 3 giorni la capitale della lotta ai tumori. Il capoluogo pugliese ospita dal 26 al 28 aprile la quinta tappa della nuova edizione del «Festival della prevenzione e innovazione in oncologia». Un pullman sarà allestito in Piazza Sant’Oronzo dove gli oncologi dell’Associazione italiana di oncologia medica forniranno consigli e informazioni sulla prevenzione, sull’innovazione terapeutica e sui progressi della ricerca in campo oncologico.
Regole d’oro
In provincia di Lecce ogni anno vengono diagnosticati circa 4.030 casi (2.261 uomini e 1.769 donne). «Almeno il 40% potrebbe essere evitato adottando semplici regole», spiega il professor Saverio Cinieri, tesoriere nazionale Aiom, direttore del dipartimento di oncologia medica e responsabile della breast unit dell’ospedale Perrino di Brindisi. La prima riguarda l’adesione ai programmi di screening. Ma non basta, serve infatti più impegno sugli stili di vita. I pugliesi sembrano ignorare questi consigli: il 41,9% è sedentario, il 33,2% è in sovrappeso e il 12,4% obeso, percentuali superiori rispetto alla media nazionale (rispettivamente pari al 32,5%, 31,7% e 10,5%). «È dimostrato – continua Cinieri – che il 20% del totale dei tumori è causato dalla sedentarietà. I benefici dell’attività fisica sono evidenti e diversi studi hanno evidenziato la sua influenza su alcune delle neoplasie più frequenti: riduce del 12% il rischio di sviluppare il cancro al seno e del 44% al colon-retto. E un tumore alla mammella su 5 (il 23% del totale) si può prevenire in post-menopausa evitando il sovrappeso. Le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità consigliano circa 150 minuti a settimana, cioè 2 ore e mezza, di attività fisica aerobica, come camminare, correre, andare in bicicletta, a un ritmo moderato-intenso. Il movimento fisico esercita effetti preventivi e terapeutici e può essere paragonato a un farmaco che, opportunamente somministrato, previene gravi malattie come i tumori e ne impedisce lo sviluppo, garantendo considerevoli vantaggi sia ai cittadini che al sistema sanitario».
Sport
Un altro aspetto rilevante, anche se troppo spesso sottovalutato, riguarda il ruolo dell’attività fisica nelle persone che hanno già ricevuto una diagnosi di cancro. Purtroppo solo il 20-30% di questi pazienti pratica sport al termine delle cure. In realtà i vantaggi sono chiari. Ad esempio, uno studio che ha coinvolto più di 1.200 pazienti con tumore del colon-retto in fase metastatica ha dimostrato che la mortalità si è ridotta del 19% e la progressione della malattia del 16% nelle persone che hanno svolto 30 minuti di attività fisica moderata al giorno. E nel tumore del seno l’esercizio regolare riduce il rischio di recidiva fino al 50% nelle donne con neoplasie ormono-dipendenti, cioè con un alto numero di recettori per gli estrogeni.
Stili di vita
Un lavoro svolto dall’Agenzia Regionale Sanitaria – Puglia (AReS) disegna una regione con 166mila persone che hanno avuto una diagnosi di cancro: a Lecce sono 28.712 (15.821 donne e 12.891 uomini). In Puglia sono alti i tassi di incidenza per i tumori del polmone e della vescica negli uomini, con percentuali superiori alla media nazionale rilevata dall’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM). Nella regione, in particolare, il tumore del polmone rappresenta il 18,1% del totale dei casi fra gli uomini (a livello nazionale, l’incidenza è pari al 15%). Anche la frequenza del cancro alla vescica nei pugliesi (13,7%) è superiore alla media nazionale (11% Italia). Il fattore di rischio preponderante nello sviluppo di entrambe queste neoplasie è costituito dal fumo di sigaretta. Complessivamente più di centomila casi di tumore ogni anno in Italia sono dovuti proprio alle bionde. L’85-90% di quelli al polmone, il 75% alla testa e collo (in particolare a laringe e faringe), il 50-65% di quelli alla vescica, il 25-30% al pancreas. Il fumo inoltre aumenta del 50% la probabilità di sviluppare una neoplasia del rene e fino a 10 volte all’esofago. Numeri che ricordano quelli di un’epidemia. Ciononostante, nel 2016 è rimasta quasi invariata la percentuale di fumatori in Italia rispetto al 2015: sono 11,5 milioni, circa il 22% della popolazione, rispetto ai 10,9 milioni (il 20,8%) del 2015. E in Puglia il 25,4% della popolazione fuma. Da qui l’importanza delle campagne di sensibilizzazione come questo Festival.
Obesità nel mondo, costi pari a tre trilioni di dollari
PrevenzioneNel mondo c’è un’epidemia di obesità, in rapida diffusione. I dati oggi disponibili ci dicono che i 500 milioni di obesi registrati negli anni Ottanta oggi sono un miliardo e mezzo, con tutte le patologie che all’obesità si accompagnano. Inoltre, l’obesità si è globalizzata: in Medio Oriente è grave, ma la stessa gravità è riscontrata negli Stati Uniti e in sud Africa. Sull’80 per cento delle cause di morte da sovrappeso e obesità, con patologie connesse, si potrebbe intervenire soltanto modificando gli stili di vita. Il costo derivante dalla necessità di intervenire da parte del Sistema sanitario sono giganteschi: nel 2025 si calcola che saranno pari a due o tre trilioni di dollari annui, in pratica il Pil di 104 nazioni del mondo. Controllo del peso corporeo, attività fisica e una sana alimentazione, oltre alla rinuncia al fumo e ad un uso moderato dell’alcol, restano i pilastri alla base della prevenzione dei tumori”.
Done che sanno
A lanciare l’allarme – durante il quarto incontro di Donne che Sanno dal titolo «Sapere su genetica, stili di vita e prevenzione dei tumori» promosso da Fondo Mario e Paola Condorelli e da L’Altra Napoli è stato il professor Elio Riboli (uno degli epidemiologi più importanti al mondo sul tema delle malattie tumorali). La prevenzione si intreccia con gli stili di vita e alimentazione dei singoli, senza trascurare i fattori genetici. Ma occorre il coinvolgimento della gente. «La Campania ha due tristi primati – denuncia il professor Salvatore Panico (Università degli Studi Federico II Napoli) – i fattori legati allo stile di vita che si stanno rapidamente modificando, soprattutto nelle giovani generazioni verso caratteristiche che sfavoriscono lo stato di buona salute, non a caso la nostra regione ha il record di obesi e inattivi, e una carenza organizzativa per il percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti oncologici in alcune aree della Regione che sono la causa di statistiche quali la minore sopravvivenza dei pazienti con tumore in queste aree rispetto ad altre aree italiane. Anche per questo partecipa agli accertamenti primari solo il 5% della popolazione, contro il 70 per cento delle regioni del Centro-Nord. Un dato negativo importante, che si accompagna con la scarsa cultura della prevenzione e con l’abbandono dei vantaggi derivanti dallo stile di vita mediterraneo, basato sul movimento e sulla tradizionale genuinità del cibo».
Il ruolo della genetica
In maniera significativa per il trattamento dei tumori, oggi la genetica è di grande aiuto. L’identificazione di alcuni difetti specifici del cancro consente l’applicazione di trattamenti mirati contro cellule tumorali risparmiando quelle sane e riducendo la tossicità. È questo il principio alla base della medicina di precisione o personalizzata che, insieme alla immunoterapia, rappresenta un ottimo filone di progresso. Differenza di cure tra Nord e Sud? “Assolutamente no – dice Francesco Perrone dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Napoliné -. La qualità delle cure al Sud è pressoché uguale al Nord anche se il Sud spesso soffre di carenze di organizzazione. Mi riconosco pienamente nell’hashtag #iomicuroalsud anche perché migrare per curarsi produce regolarmente disagi economici che impattano negativamente su prognosi dei pazienti. Purtroppo non ci si riflette abbastanza, ma viaggiare per trovare altrove cure di uguale efficacia rispetto a casa propria peggiora i risultati terapeutici».
Testa: il chirurgo italiano in top100 Time per trapianto utero
Ricerca innovazioneE’ il padovano Giuliano Testa e opera a Dallas, il chirurgo italiano del Baylor University Medical Center, fra le 100 persone più influenti del 2018, segnalate dalla rivista Times. Il medico è originario di Padova ed è a capo del team che ha realizzato il primo trapianto di utero negli Usa, la donna su cui è stato effettuato ha dato alla luce un bambino. L’articolo che spiega l’importanza del medico è stato scritto dalla protagonista dell’intervento che è rimasta anonima. Il bimbo dato alla luce nel 2017 è il secondo nato a seguito di un trapianto, il primo è stato in Svezia nel 2014. “L’esperienza – racconta la donna, che ha partorito nel novembre 2017 – non è stata priva di delusioni. Ma nonostante le avversità il dottor Testa è stato un pilastro di forza e affidabilità, e la sua sicurezza è stata contagiosa”.
Il medico padovano è a capo del team che ha messo in piedi negli Usa il primo test clinico sul trapianto, che può avvenire da donatore vivente o da cadavere, su dieci donne affette dalla sindrome di Mayer-Rokitansky-Küster-Hauser, o MRKH, una rara malattia genetica per cui si nasce senza utero. “Facciamo trapianti tutti i giorni – aveva affermato Testa dopo la nascita del bambino – ma questo è diverso. Non posso descrivere cosa ci ha insegnato dal punto di vista emozionale”.
Sono dunque due gli italiani che quest’anno sono stati ‘premiati’ dalla rivista americana, nell’elenco c’è infatti anche Marica Branchesi, l’astrofisica delle onde gravitazionali.
Salute del cuore, screening alle elementari
PrevenzioneLa morte improvvisa del capitano della Fiorentina Davide Astori ha riacceso la luce sul tema della prevenzione cardiologica, facendo scattare in molti genitori il desiderio di accertarsi della salute dei propri figli. L’idea che un infarto improvviso possa mettere fine ai sogni e alle speranze di una vita è spaventosa, e lo è ancor più se questo avviene in una persona apparentemente sana.
Screening nelle scuole
A Napoli la prevenzione cardiologica arriva nelle scuole elementari. L’iniziativa è promossa in quattro Istituti che per competenza appartengono alla Asl Napoli 2 Nord ed è il frutto dell’impegno del Rotary Club Porte di Napoli. Le scuole sono la “Antonio de Curtis” di Casalnuovo, “Guglielmo Marconi” di Afragola, “Cilea Mameli” di Caivano e “Giacomo Leopardi” di Sant’Antimo. Gli scolari, durante le ore di lezione (dalle 8.30 alle 16.00) potranno sottoporsi gratuitamente ad una visita cardiologica completa con Ecocardiogramma Color Doppler 2D, elettrocardiogramma e screening aritmico. Misurazione della pressione arteriosa e prelievo di una goccia di sangue dal dito per la valutazione del livello di glicemia. Questo screening permetterà di individuare eventuali problematiche sconosciute fare prevenzione sui bambini che spesso praticano attività sportiva senza conoscere a fondo la propria condizione di salute.
La banca del cuore
In fatto di prevenzione delle malattie cardiovascolari, uno dei progetti più interessanti è quello della Banca del Cuore. Nasce 2015 ed è innovativo e rivoluzionario, ideato dal Dottor Michele Massimo Gulizia, attuale Presidente della Fondazione per il Tuo cuore, che ha ricevuto il sostegno dell’Istituto Superiore di Sanità e la medaglia al merito “per l’alto valore scientifico, assistenziale e sociale” della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In pratica la banca del cuore è una “cassaforte” virtuale che custodisce l’elettrocardiogramma con i valori della pressione arteriosa e i dati clinici del cittadino.
Si tratta di fatto del primo grande registro permanente nazionale di elettrocardiogrammi e dati sanitari di area cardiovascolare che, nel rispetto delle normative di tutela sulla privacy, ne prevede la custodia gratuita e prontamente disponibile.
Violenza sui medici, il presidente Scotti: «Picchiate me»
News PresaIn Campania essere un medico dell’emergenza significa rischiare di prenderle. Una situazione che va talmente oltre il “normale” rischio professionale da spingere il presidente dell’Ordine dei Medici a iniziative eclatanti pur di cercare di accendere una luce sul problema. L‘ultimo episodio di violenza risale a pochi giorni fa e ha visto come vittima una dottoressa del 118, presa a calci e sputi da parenti e amici di una coppia finita a terra con lo scooter.
#PicchiateMe
Per far riflettere i decision maker della sanità e della politica e per suscitare una reazione nell’opinione pubblica, il segretario nazionale della Fimmg (nonché presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli) Silvestro Scotti ha scelto di scrivere una lettera aperta che dal contenuto molto chiaro, che non a caso lancia l’hashtag #PicchiateMe. «A tutti quelli che pensano che sia giusto picchiare un medico che cerca di fare il proprio dovere nei limiti di un’organizzazione che non dipende da lui, di una logistica che non dipende lui, di una condizione di malattia la cui evoluzione – nonostante il suo impegno – non potrà cambiare, voglio dare un occasione: picchiate me», si legge. «A tutti quelli che considerano che un medico debba essere aggredito perché magari ha assistito al meglio il paziente che ha di fronte (sulla base di regole che impongono di dedicare immediate attenzioni ai casi più gravi per poi passare a tutti gli altri) e che piuttosto credono che debba dedicarsi prima di tutto a loro, perché sono arrivati prima o perché hanno deciso che sono loro i più gravi, dico: picchiate me». Scotti che ben conosce il sacrificio dei colleghi medici e le ansie di quanti ogni giorno cercano di salvare delle vite, mettendo a rischio la propria incolumità, conclude la sua accorata lettera dicendo: «Picchiate me! Anche se forse non sarò l’ultimo, mentre mi starete picchiando, pensate che nel prossimo futuro ce ne saranno sempre di meno a farsi picchiare. Fino al punto di non trovarne nessuno. Allora sì che avrete fatto giustizia, ma di un’unica cosa, del vostro diritto di essere assistiti e curati. E in fondo solo allora capirete che se #PicchiateMe, picchiate voi stessi».
Il precedente
«Pettorina antiproiettile». Nel giugno del 2016 Silvestro Scotti scese in campo con un’iniziativa forte e provocatoria, al fianco dei medici partenopei nella battaglia per dire stop alla violenza nei confronti dei camici bianchi. Le pettorine, stampate come giubbotti antiproiettile, furono distribuite in tutti gli ospedali di Napoli e provincia e agli operatori del 118. Furono loro i testimonial di questa iniziativa di sensibilizzazione che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto ridurre il numero di aggressioni. Tutt’ora i medici sono costretti a difendersi dalla violenza dei familiari dei loro pazienti.