Tempo di lettura: 4 minutiAl via la campagna di prevenzione del tumore al seno “Care for Caring – Ambasciatrici della Prevenzione”. L’iniziativa ideata e coordinata da Ladies First, nasce dalla collaborazione tra la Polizia di Stato, la Fondazione IRCCS Ca’ Granda, l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, gli Spedali Civili di Brescia, l’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Sant’Orsola-Malpighi e –l’AUSL di Piacenza.
L’iniziativa, pianificata dalla Direzione Centrale di Sanità – Ufficio di Coordinamento Sanitario per le Regioni Lombardia e Emilia Romagna, rientra nell’ambito dell’attività di promozione della salute nel personale della Polizia di Stato. Si rivolge alle donne in forza e alle Allieve delle Scuole di Polizia, con l’obiettivo di ampliare in modo mirato la prevenzione del cancro alla mammella. Quattro le città coinvolte: Milano, Brescia, Bologna e Piacenza.
Il progetto ha il patrocinio dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), con il supporto non condizionante di AstraZeneca e dei partner tecnici, Centro Diagnostico Italiano-Gruppo Bracco, GE HealthCare e Samsung Electronics.
Controlli gratuiti a tutte le donne in servizio nella Polizia di Stato
“Care for Caring – Ambasciatrici della Prevenzione” offre controlli clinici ed ecografici gratuiti alle donne in servizio nella Polizia di Stato, anche nella fascia di età tra i 20 e i 44 anni, cioè una popolazione non compresa nei programmi di screening mammografico regionali che oggi coprono le fasce di età tra i 45 e i 49 anni (una volta all’anno) e tra i 50 e i 74 anni (ogni due anni).
Visite per la prevenzione del tumore al seno
L’iniziativa offe a circa 1500 donne, a seconda della fascia di età, di accedere a visite specialistiche e controllo ecografico o a colloqui individuali con medici specialisti per sessioni educazionali su prevenzione oncologica, importanza di controlli mammografici regolari, autopalpazione e conduzione di stili di vita sani.
Nel corso del progetto, verranno inoltre diffusi materiali informativi per ampliarne il raggio d’azione e sostenere le azioni di prevenzione messe in atto dalle Regioni per il controllo mammografico, con l’obiettivo di incrementare il numero delle donne che rispondono positivamente all’invito allo screening e inserirle quindi nei programmi nazionali di prevenzione.
Le prenotazioni delle visite sono già aperte sul sito ufficiale della campagna.
Le visite e i colloqui saranno effettuati presso gli Uffici Sanitari Provinciali della Polizia di Stato delle città coinvolte grazie alla collaborazione di medici specialisti in senologia e radiologia. Le attività saranno concentrate su tre giorni infrasettimanali, oltre il sabato a Milano e a Bologna, e su due giorni infrasettimanali a Brescia e Piacenza. Le donne che dovessero avere necessità di approfondimenti diagnostici saranno indirizzate a Ospedali, Presidi o Poliambulatori del territorio.
Prevenzione dei tumori
L’attività educazionale riguarderà anche altre forme di tumore, come quello ovarico, del collo dell’utero, del colon, oggi monitorabili attraverso i programmi di screening e prevenzione messi a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale per tutta la popolazione.
”L’incidenza del tumore al seno è in aumento e quindi diventa sempre più importante monitorare la donna nel corso della sua vita, già a partire da un’età inferiore a quella attualmente prevista dai programmi di screening”, dichiara il professore Giuseppe Curigliano, Presidente della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e Vice Direttore Scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. “Oltre a garantire una prospettiva di salute o di intervento immediato laddove il problema si presenti – aggiunge il professore -, è necessario incrementare la consapevolezza dell’importanza della prevenzione primaria, cioè di sottoporsi a controlli regolari, astenersi dal fumare e dal consumo di alcool, adottare stili di vita sani e una corretta alimentazione, associati all’attività fisica”.
La campagna
La campagna sarà diffusa attraverso i canali di comunicazione della Polizia di Stato, anche con la distribuzione di locandine e flyer presso gli Uffici Sanitari ed altri ambienti accessibili al personale.
“Un’iniziativa preziosa perché sensibilizza le donne sull’importanza della prevenzione nella lotta al tumore al seno – afferma Romano La Russa, assessore regionale alla Sicurezza -. L’adesione agli screening è fondamentale, insieme all’adozione dei corretti stili di vita raccomandati dai medici. Temi sui quali Regione Lombardia è impegnata attivamente con campagne e iniziative. Ringrazio quindi la Polizia di Stato e tutti gli enti promotori di ‘Care for Caring’, con l’auspicio che sempre più donne si affidino con fiducia ai programmi di screening”.
“Il progetto, intitolato “Care For Caring – Ambasciatrici della prevenzione” riveste un ruolo fondamentale all’interno del panorama di azioni che Regione Lombardia sta portando avanti rispetto al tema della prevenzione primaria e secondaria”, precisa al riguardo il consigliere regionale, capo gruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale, Christian Garavaglia.
“Passare dal modello di cura a quello del prendersi cura è quindi ben declinato in questa campagna di sensibilizzazione alla prevenzione del tumore della mammella dedicata alle donne in forza alla Polizia di Stato delle Province di Milano e di Bologna, di Brescia (Sede della Scuola di Polizia Giudiziaria) e di Piacenza (Sede della Scuola Allievi Agenti)”. Massima attenzione quindi alle Forze dell’Ordine, uno dei pilastri fondamentali della nostra società così come alla salute dei propri agenti. Ringrazio quindi i promotori, Ladies First, unitamente a tutti i soggetti partner istituzionali e non, che hanno reso possibile questa azione e beneficio delle donne, della salute, della nostra comunità”.
“Questa iniziativa è frutto di una particolare sensibilità nei confronti del personale femminile della Polizia di Stato. Abituati a vedere i nostri poliziotti nella loro veste di donne e uomini a servizio degli altri, attenti a prendersi cura del proprio ufficio in virtù del giuramento prestato, a nome dell’Istituzione che rappresento, condivido profonda gratitudine nei confronti della Direzione Centrale di Sanità nei suoi rappresentanti intervenuti, Medici dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e verso Ladies First, cuore e motore di questa collaborazione che ha alla base la tutela del diritto costituzionale della salute. Per me è un privilegio essere testimone di questo progetto perché dietro ogni uniforme ci sono persone che, al di là del proprio lavoro, affrontano quotidianamente le vicissitudini personali e familiari provando, e spesso riuscendo, a conciliarle con il lavoro di tutori e garanti della pubblica sicurezza”, afferma Bruno Megale, Questore di Milano.
“Ringrazio i promotori di questa campagna per aver scelto i professionisti del Policlinico, già impegnati nel rafforzare il servizio ai cittadini con le aperture straordinarie, e la Polizia di Stato a cui desidero confermare il nostro apprezzamento e la nostra vicinanza”, sottolinea Matteo Stocco, Direttore Generale della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Resistenza antimicrobica e il ruolo delle associazioni dei pazienti. L’evento Altems
Associazioni pazienti, Farmaceutica, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa resistenza antimicrobica (AMR) è una pandemia silenziosa che minaccia la salute pubblica. Solo in Europa, oltre 35.000 persone muoiono ogni anno a causa di infezioni provocate dai batteri resistenti agli antibiotici. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, senza interventi, l’AMR potrebbe causare fino a 10 milioni di decessi all’anno entro il 2050. Un ultimo studio del Global Research on Antimicrobial Resistance (GRAM) Project, pubblicato su Lancet , ha calcolato più di 39 milioni di persone in tutto il mondo che potrebbero morire nei prossimi 25 anni. Il fenomeno è legato anche all’uso scorretto di antibiotici in ambito umano, veterinario e agricolo. Una tendenza che ha portato a una diffusione crescente di batteri resistenti, aumentando i costi e la pressione sui sistemi sanitari.
Il workshop di Altems
Il tema è stato al centro di un workshop, il 18 settembre a Roma, organizzato dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto non condizionante di Pfizer. L’iniziativa, parte del progetto Patient Advocacy Lab (PAL), ha coinvolto le associazioni dei pazienti per rafforzare il loro ruolo nel contrasto all’AMR. Durante l’incontro sono state individuate strategie per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’uso corretto degli antibiotici. Questo incontro rientra in un percorso che ha l’obiettivo di preparare le associazioni a diventare interlocutori nelle politiche di contrasto all’AMR.
Incontro al senato il 3 ottobre
Il 3 ottobre, le associazioni dei pazienti presenteranno al Senato le proposte elaborate durante il workshop del 18 settembre. L’evento si terrà presso la Sala Santa Maria in Aquiro su iniziativa del Senatore Francesco Zaffini. Tra i partecipanti all’incontro ci saranno esponenti del Ministero della Salute e dell’ALTEMS, che discuteranno le misure necessarie per affrontare l’AMR in Italia. Parteciperanno tra gli altri Maria Rosaria Campitiello, Capo Dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie, Ministero della Salute, e Giuseppe Arbia, Direttore ALTEMS, Università Cattolica del Sacro Cuore.
La resistenza antimicrobica in italia
L’AMR comporta costi elevati per il sistema sanitario e aumenta la difficoltà di trattamento delle infezioni comuni. L’Italia è uno dei Paesi europei più colpiti dalla resistenza antimicrobica. L’uso improprio degli antibiotici è diffuso e rappresenta uno dei fattori che alimentano la crescita del fenomeno. Secondo l’OMS, circa la metà degli antibiotici prescritti non è necessaria.
Settimana per sensibilizzare sulle malattie delle valvole cardiache: sintomi, prevenzione e screening
News, Associazioni pazienti, News, PrevenzioneIn Italia le malattie delle valvole cardiache sono destinate ad aumentare. Colpiscono annualmente il 13 per cento degli individui di età superiore ai 65 anni. Lo studio Prevasc (PREvalenza delle malattie cardioVASColari) condotto dalla Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) sugli over 65, ha rivelato che su oltre 800 persone esaminate, il 7 per cento di chi aveva più di 80 anni era affetto da stenosi aortica, il 10 per cento da insufficienza mitralica, il 15 per cento da fibrillazione atriale o scompenso cardiaco. L’Italia è il Paese più anziano d’Europa, con il 24,1 per cento della popolazione che supera i 65 anni, percentuale che si prevede supererà il 30 per cento entro il 2050. Un inarrestabile processo di invecchiamento della popolazione in cui l’impatto di queste malattie si prefigura come un problema crescente.
È partita anche in Italia la Settimana di sensibilizzazione sulle malattie delle valvole cardiache (16-22 settembre), promossa nel nostro Paese dall’Associazione Cuore Nostro, insieme a Fondazione Longevitas, in collaborazione con il Global Heart Hub, e presentata ieri al Senato della Repubblica in un evento realizzato su iniziativa della Senatrice Daniela Sbrollini, Vicepresidente della 10ª Commissione permanente (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città. All’evento ha partecipato lo schermidore Daniele Garozzo, Campione Olimpionico e medico.
I segnali delle malattie delle valvole cardiache
Le malattie delle valvole cardiache possono manifestarsi in modi diversi, ma i segni più comuni includono vertigini, stanchezza e affanno. Sintomi che possono sembrare banali, ma che spesso sono, invece, un segnale d’allarme che il cuore potrebbe non funzionare correttamente. Con una diagnosi precoce e un trattamento adeguato, molte di queste malattie sono curabili e gestibili: da qui l’importanza della campagna promossa per la Settimana di sensibilizzazione di quest’anno.
Una delle chiavi per il riconoscimento precoce delle malattie delle valvole cardiache è un controllo regolare con lo stetoscopio da parte del medico di medicina generale. Questo semplice esame può rivelare eventuali anomalie nelle valvole cardiache e fare la differenza nella vita delle persone, consentendo un trattamento tempestivo che può migliorare la loro qualità di vita e prevenire complicazioni gravi.
Le iniziative
In occasione della #settimanadellevalvole2024, Cuore Nostro promuove il messaggio #ascoltailtuocuore e ha presentato inoltre le attività del progetto #valorizzailtuocuore, che prevede iniziative di informazione, sensibilizzazione e screening, con 13 giornate di monitoraggio della salute del cuore nel 2024 promosse da Fondazione Longevitas e Cuore Nostro. Nel mese di settembre, in occasione della Settimana di sensibilizzazione, ai 13 eventi previsti, se ne aggiungono altri 5 di auscultazione cardiaca nei centri anziani di diverse regioni italiane: Frosinone 17 e 18 settembre, Roma 19 e 20 settembre, Tolve in Basilicata il 21 settembre. Entro la fine del 2024 si terranno eventi informativi e di screening a Civitanova Marche, Nuoro, Bassano del Grappa, Padova.
Tutti sono invitati a sostenere la campagna sui social media utilizzando gli hashtag #ascoltailtuocuore, #settimanadellevalvole2024 e #valorizzailtuocuore, a condividere informazioni importanti, storie personali di chi ha affrontato una malattia valvolare, per diffondere la consapevolezza sulle malattie delle valvole cardiache e il loro impatto sulla vita delle persone. I progetti di Cuore Nostro sono realizzati grazie al contributo non condizionato di Edwards Lifesciences.
Il progetto di ricerca sull’attività motoria preventiva
L’evento è stata occasione anche per presentare storie e progetti di successo. Nell’ambito dell’accordo quadro per collaborazione per fini di ricerca e didattica tra l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e l’Università dello Sport-Foro Italico stipulato nel settembre 2023, ad aprile 2024 è iniziato un progetto di ricerca sull’Attività Motoria Preventiva e Adattata (AMPA) nei bambini e ragazzi affetti da cardiopatia o da altre malattie rare croniche.
La ricerca è finanziata dalla ONLUS La Stella di Lorenzo (Presidente Ing. Maurizio Fabbri) ed è sotto la guida del Dr. Fabrizio Drago, Direttore della UOC di Cardiologia S. Paolo, Palidoro-S. Marinella e Aritmologia, che ha illustrato l’iniziativa nel corso dell’evento, e del Rettore dell’Università, Prof. Attilio Parisi. L’obiettivo della ricerca è quello di far svolgere ai pazienti, dopo accurata valutazione medica, un programma di addestramento fisico della durata di 3 mesi svolto negli spazi dell’Università, per il miglioramento della capacità aerobica, della forza, dell’elasticità e della mobilità articolare per poi valutarne l’efficacia. Tale attività motoria adattata e monitorata, che potrebbe poi essere prescritta come terapia, permette di spostare al di fuori del percorso Ospedaliero il trattamento a lungo termine del paziente, portandolo in un contesto meno “medicalizzato” e favorendo il superamento della percezione di malattia e un miglioramento del grado di socializzazione.
«Le persone spesso non conoscono le malattie valvolari cardiache o associano sintomi come stanchezza e fiato corto al semplice processo di invecchiamento. – dichiara la Presidente di Cuore Nostro e di Fondazione Longevitas, Eleonora Selvi – Con le iniziative messe in campo per la Settimana di sensibilizzazione e con il progetto #valorizzailtuocuore vogliamo, aiutare le persone a riconoscere segni e sintomi, ascoltare i bisogni di chi sta vivendo l’esperienza della malattia, dare voce alle testimonianze di coloro che l’hanno superata, e soprattutto promuovere il monitoraggio e la diagnosi precoce, che rappresentano la chiave per poter affrontare tempestivamente e adeguatamente queste malattie».
Sbrollini: percorsi per migliorare la qualità della vita
«È fondamentale che le Istituzioni ascoltino le associazioni dei pazienti, supportandole nei loro percorsi per migliorare la qualità della vita delle persone, ed è per questo che sono al fianco di Cuore Nostro nell’impegno al contrasto delle malattie valvolari cardiache. – dichiara la Sen. Daniela Sbrollini, Vicepresidente della 10ª Commissione permanente (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città – Le istituzioni possono essere vicine alle persone che soffrono di patologie valvolari cardiache e alle loro famiglie in modo concreto, soprattutto lavorando per un più rapido accesso alla diagnosi, abbattendo le liste d’attesa anche per gli interventi e lavorando assieme alle associazioni dei pazienti e alla comunità medico scientifica per diffondere la consapevolezza rispetto a queste malattie in tutte le sedi. È un obiettivo importante ed è per questo che il mio impegno è rivolto a portare questo tema alla dovuta attenzione delle Istituzioni e della politica».
Importanza degli screening
«I dati di Real Life relativi all’incidenza delle malattie valvolari cardiache, emersi dallo studio Prevasc, sono più alti rispetto alla letteratura scientifica attualmente disponibile. Da qui la necessità di uno screening cardiologico differenziato per età, in modo da poter disporre di dati aggiornati su cui basare le politiche per un piano nazionale cardiologico – dichiara Alessandro Boccanelli, cardiologo, Vice Presidente SICGe, Professore di Medicina Narrativa presso l’Università Unicamillus e componente del Comitato Scientifico di Cuore Nostro – La valenza davvero unica dello studio Prevasc è quella di aver fatto emergere vizi valvolari latenti che, se non diagnosticati precocemente e seguiti nel tempo, nel 10 per cento dei casi rischiano di evolvere, nell’arco di 4-5 anni, in forme gravi che possono diventare fatali nella metà dei pazienti. Tutto questo ha gravi conseguenze, con una stima di 150mila decessi evitabili grazie all’adozione di programmi strutturati di screening “salvavita” come per i tumori mammario, colon-rettale e della cervice uterina. Ciò permetterebbe un aumento del numero delle diagnosi dall’attuale 25 per cento al 60 per cento, consentendo di intervenire precocemente in modo da aumentare la probabilità di sopravvivenza».
Aggressioni ai medici di Melito: situazione fuori controllo
News, News, News BreviAncora delle aggressioni ai medici, a vederle sembrano immagini della serie Gomorra. Un uomo di stazza che si dimena e all’improvviso scaglia una sedia contro un malcapitato medico. Tutt’attorno il caos e le grida di chi assiste alla scena. Qualcuno trova il coraggio di filmare un’aggressione che altrimenti sarebbe esistita solo nel racconto di chi l’ha subita. È successo a Melito (provincia di Napoli) in un ambulatorio della Continuità Assistenziale, quella che fino a poco tempo fa tutti conoscevano come Guardia Medica. A quanto pare, in cinque si sono introdotti nell’ambulatorio. La richiesta sarebbe stata quella di visitare a casa un paziente che presentava uno stato febbrile da poche ore. Il medico avrebbe cercato di spiegare che esistono dei protocolli da seguire, ma al diniego sarebbe scattata l’aggressione.
La reazione per le aggressioni ai medici
«Ai colleghi aggrediti a Melito va la nostra piena solidarietà. Continuiamo a parlare di episodi, ma ormai è chiaro a tutti che non si tratta di eventi sporadici. Siamo di fronte ad una deriva culturale che viene puntualmente alimentata da sommari, e altrettanto violenti, processi mediatici». Così il presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli Bruno Zuccarelli. Nella giornata di oggi (18 settembre), assieme al Prefetto, una rappresentanza dell’Ordine di Napoli si recherà a Melito per far arrivare con forza la solidarietà a chi ieri notte ha vissuto nel terrore di non tornare a casa. «È assurdo che queste persone siano già a piede libero – prosegue Zuccarelli – non si può più andare avanti sotterrando queste aggressioni sotto la retorica del faremo. Serve che le massime autorità dello Stato intervengano con forza e con chiarezza, che si diano delle pene esemplari»
Accelerare sulle AFT
Solidarietà anche da parte dei colleghi della medicina generale. Luigi Sparano e Corrado Calamaro (Fimmg Napoli) stigmatizzano quanto avvenuto. «Come ha detto il nostro segretario generale Silvestro Scotti “non c’è un reparto, uno studio o un ambulatorio nel quale un medico possa sentirsi al sicuro. Le aggressioni non riguardano una branca, uno specifico setting assistenziale, sono dilaganti, perché è dilagante la deriva culturale che investe ormai tutto il Paese. Ma le aggressioni vanno fermate subito”». «Si deve accelerare sulle Aggregazioni Funzionali Territoriali – dice Calamaro – e puntare anche sugli studi di riferimento delle AFT. Viviamo in un contesto ormai alla deriva, nel quale le aggressioni sono spregiudicate». La percezione è che la violenza si stia rapidamente diffondendo al territorio e coinvolga sempre più la medicina generale. «I medici di medicina generale – conclude i Sparano – sono soli sul territorio e son protetti in alcun modo. È tempo di sensibilizzare la parte Istituzionale per compiere una profonda riforma del territorio che guardi all’evoluzione delle AFT e gli studi di riferimento».
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Prevenzione del tumore al seno, Polizia di Stato lancia campagna di sensibilizzazione
NewsAl via la campagna di prevenzione del tumore al seno “Care for Caring – Ambasciatrici della Prevenzione”. L’iniziativa ideata e coordinata da Ladies First, nasce dalla collaborazione tra la Polizia di Stato, la Fondazione IRCCS Ca’ Granda, l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, gli Spedali Civili di Brescia, l’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Sant’Orsola-Malpighi e –l’AUSL di Piacenza.
L’iniziativa, pianificata dalla Direzione Centrale di Sanità – Ufficio di Coordinamento Sanitario per le Regioni Lombardia e Emilia Romagna, rientra nell’ambito dell’attività di promozione della salute nel personale della Polizia di Stato. Si rivolge alle donne in forza e alle Allieve delle Scuole di Polizia, con l’obiettivo di ampliare in modo mirato la prevenzione del cancro alla mammella. Quattro le città coinvolte: Milano, Brescia, Bologna e Piacenza.
Il progetto ha il patrocinio dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), con il supporto non condizionante di AstraZeneca e dei partner tecnici, Centro Diagnostico Italiano-Gruppo Bracco, GE HealthCare e Samsung Electronics.
Controlli gratuiti a tutte le donne in servizio nella Polizia di Stato
“Care for Caring – Ambasciatrici della Prevenzione” offre controlli clinici ed ecografici gratuiti alle donne in servizio nella Polizia di Stato, anche nella fascia di età tra i 20 e i 44 anni, cioè una popolazione non compresa nei programmi di screening mammografico regionali che oggi coprono le fasce di età tra i 45 e i 49 anni (una volta all’anno) e tra i 50 e i 74 anni (ogni due anni).
Visite per la prevenzione del tumore al seno
L’iniziativa offe a circa 1500 donne, a seconda della fascia di età, di accedere a visite specialistiche e controllo ecografico o a colloqui individuali con medici specialisti per sessioni educazionali su prevenzione oncologica, importanza di controlli mammografici regolari, autopalpazione e conduzione di stili di vita sani.
Nel corso del progetto, verranno inoltre diffusi materiali informativi per ampliarne il raggio d’azione e sostenere le azioni di prevenzione messe in atto dalle Regioni per il controllo mammografico, con l’obiettivo di incrementare il numero delle donne che rispondono positivamente all’invito allo screening e inserirle quindi nei programmi nazionali di prevenzione.
Le prenotazioni delle visite sono già aperte sul sito ufficiale della campagna.
Le visite e i colloqui saranno effettuati presso gli Uffici Sanitari Provinciali della Polizia di Stato delle città coinvolte grazie alla collaborazione di medici specialisti in senologia e radiologia. Le attività saranno concentrate su tre giorni infrasettimanali, oltre il sabato a Milano e a Bologna, e su due giorni infrasettimanali a Brescia e Piacenza. Le donne che dovessero avere necessità di approfondimenti diagnostici saranno indirizzate a Ospedali, Presidi o Poliambulatori del territorio.
Prevenzione dei tumori
L’attività educazionale riguarderà anche altre forme di tumore, come quello ovarico, del collo dell’utero, del colon, oggi monitorabili attraverso i programmi di screening e prevenzione messi a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale per tutta la popolazione.
”L’incidenza del tumore al seno è in aumento e quindi diventa sempre più importante monitorare la donna nel corso della sua vita, già a partire da un’età inferiore a quella attualmente prevista dai programmi di screening”, dichiara il professore Giuseppe Curigliano, Presidente della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e Vice Direttore Scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. “Oltre a garantire una prospettiva di salute o di intervento immediato laddove il problema si presenti – aggiunge il professore -, è necessario incrementare la consapevolezza dell’importanza della prevenzione primaria, cioè di sottoporsi a controlli regolari, astenersi dal fumare e dal consumo di alcool, adottare stili di vita sani e una corretta alimentazione, associati all’attività fisica”.
La campagna
La campagna sarà diffusa attraverso i canali di comunicazione della Polizia di Stato, anche con la distribuzione di locandine e flyer presso gli Uffici Sanitari ed altri ambienti accessibili al personale.
“Un’iniziativa preziosa perché sensibilizza le donne sull’importanza della prevenzione nella lotta al tumore al seno – afferma Romano La Russa, assessore regionale alla Sicurezza -. L’adesione agli screening è fondamentale, insieme all’adozione dei corretti stili di vita raccomandati dai medici. Temi sui quali Regione Lombardia è impegnata attivamente con campagne e iniziative. Ringrazio quindi la Polizia di Stato e tutti gli enti promotori di ‘Care for Caring’, con l’auspicio che sempre più donne si affidino con fiducia ai programmi di screening”.
“Il progetto, intitolato “Care For Caring – Ambasciatrici della prevenzione” riveste un ruolo fondamentale all’interno del panorama di azioni che Regione Lombardia sta portando avanti rispetto al tema della prevenzione primaria e secondaria”, precisa al riguardo il consigliere regionale, capo gruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale, Christian Garavaglia.
“Passare dal modello di cura a quello del prendersi cura è quindi ben declinato in questa campagna di sensibilizzazione alla prevenzione del tumore della mammella dedicata alle donne in forza alla Polizia di Stato delle Province di Milano e di Bologna, di Brescia (Sede della Scuola di Polizia Giudiziaria) e di Piacenza (Sede della Scuola Allievi Agenti)”. Massima attenzione quindi alle Forze dell’Ordine, uno dei pilastri fondamentali della nostra società così come alla salute dei propri agenti. Ringrazio quindi i promotori, Ladies First, unitamente a tutti i soggetti partner istituzionali e non, che hanno reso possibile questa azione e beneficio delle donne, della salute, della nostra comunità”.
“Questa iniziativa è frutto di una particolare sensibilità nei confronti del personale femminile della Polizia di Stato. Abituati a vedere i nostri poliziotti nella loro veste di donne e uomini a servizio degli altri, attenti a prendersi cura del proprio ufficio in virtù del giuramento prestato, a nome dell’Istituzione che rappresento, condivido profonda gratitudine nei confronti della Direzione Centrale di Sanità nei suoi rappresentanti intervenuti, Medici dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e verso Ladies First, cuore e motore di questa collaborazione che ha alla base la tutela del diritto costituzionale della salute. Per me è un privilegio essere testimone di questo progetto perché dietro ogni uniforme ci sono persone che, al di là del proprio lavoro, affrontano quotidianamente le vicissitudini personali e familiari provando, e spesso riuscendo, a conciliarle con il lavoro di tutori e garanti della pubblica sicurezza”, afferma Bruno Megale, Questore di Milano.
“Ringrazio i promotori di questa campagna per aver scelto i professionisti del Policlinico, già impegnati nel rafforzare il servizio ai cittadini con le aperture straordinarie, e la Polizia di Stato a cui desidero confermare il nostro apprezzamento e la nostra vicinanza”, sottolinea Matteo Stocco, Direttore Generale della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Fibre: perché sono così importanti. Il ruolo dei batteri
Alimentazione, Benessere, News, Ricerca innovazioneIl cibo ingerito determina la composizione del microbiota, l’insieme di batteri e altri microrganismi che vivono nell’intestino. Non si tratta solo di quantità o qualità. La dieta condiziona anche il comportamento dei batteri intestinali e le fibre giocano un ruolo chiave. Questa è la conclusione di uno studio condotto da ricercatori del DTU National Food Institute e del Department of Nutrition, Exercise and Sports dell’Università di Copenaghen.
La ricerca mostra che i batteri non agiscono solo in modo passivo. Possono competere tra loro per utilizzare sostanze specifiche, come il triptofano, un aminoacido presente in molti alimenti proteici. La competizione tra batteri determina se il triptofano sarà trasformato in composti benefici o dannosi per la nostra salute. Il comportamento di questi batteri varia in base a ciò che mangiamo.
Batteri intestinali e triptofano, la competizione
Il triptofano è un aminoacido che il corpo usa per produrre serotonina, un neurotrasmettitore associato al benessere psicofisico. Il nostro organismo non è in grado di sintetizzare questo aminoacido, che deve essere introdotto attraverso la dieta. Tuttavia, diversi batteri presenti nell’intestino competono per l’utilizzo di questa sostanza, con risultati diversi per la salute.
Lo studio danese, pubblicato su Nature Microbiology, ha rivelato che una dieta ricca di fibre alimentari favorisce la produzione di sostanze salutari a partire dal triptofano. Se le fibre sono insufficienti, il triptofano può invece essere convertito in composti potenzialmente dannosi. Escherichia coli, un comune batterio intestinale, può trasformare il triptofano in indolo, un composto associato alla progressione della malattia renale cronica. Al contrario, Clostridium sporogenes, un altro batterio, può convertire il triptofano in composti utili per la protezione contro malattie infiammatorie intestinali, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari.
Le fibre come regolatori della competizione batterica
I batteri intestinali che scompongono le fibre alimentari giocano un ruolo fondamentale in questo processo. Bacteroides thetaiotaomicron è un batterio che degrada le fibre trasformandole in zuccheri semplici. Questi zuccheri vengono preferiti da Escherichia coli rispetto al triptofano. In presenza di fibre, quindi, l’Escherichia coli abbandona la trasformazione del triptofano in indolo, lasciando campo libero a Clostridium sporogenes per produrre composti benefici.
Il dottor Martin Frederik Laursen, uno degli autori dello studio, sottolinea l’importanza di capire non solo la composizione del microbiota, ma anche come i batteri interagiscono tra loro. “Non basta classificare i batteri come buoni o cattivi”, spiega Laursen, “dobbiamo concentrarci su come si comportano in base alle circostanze”. Il comportamento dei batteri, dunque, non è fisso, ma cambia a seconda della dieta.
La collaborazione microbica: non solo competizione
Stefano Erzegovesi, nutrizionista e psichiatra, intervistato dal Corriere della Sera, sottolinea un concetto chiave emerso dallo studio: non è sufficiente sapere quali batteri sono presenti nel nostro intestino, ma anche come si relazionano tra loro. “Escherichia coli non è sempre dannoso”, afferma Erzegovesi. “Il suo effetto dipende dalla quantità di batteri presenti e dalla competizione microbica”. Questa competizione determina se il triptofano sarà usato per produrre sostanze utili, come la serotonina, o composti dannosi come l’indolo.
Un microbiota ricco di un solo tipo di batteri non garantisce necessariamente una buona salute. La collaborazione tra specie batteriche diverse è essenziale per un equilibrio salutare. Una dieta ricca di fibre aiuta a mantenere questo equilibrio, promuovendo la “collaborazione” tra i batteri che favoriscono la produzione di composti utili.
Il ruolo del cibo: proteine e triptofano
Il triptofano si trova in molti alimenti proteici, tuttavia, mangiare alimenti ricchi non garantisce automaticamente una produzione maggiore di serotonina. Se il microbiota non è in equilibrio, il triptofano può essere metabolizzato in sostanze infiammatorie anziché in serotonina. Per questo è importante mangiare più fibre.
Come tradurre la scienza in scelte alimentari quotidiane
Lo studio danese, pur condotto in laboratorio, fornisce indicazioni chiare su come migliorare la salute attraverso la dieta. La chiave sta nell’aumentare l’apporto di fibre alimentari. Frutta con la buccia, verdura, cereali integrali, legumi, frutta a guscio e semi oleaginosi sono alimenti che favoriscono una composizione intestinale più equilibrata.
In altre parole, aumentare il consumo di alimenti vegetali ricchi di fibre non solo migliora il microbiota, ma ottimizza anche la gestione del resto degli alimenti assunti. Più fibre significano più batteri “buoni” che trasformano il triptofano in sostanze utili, contribuendo a migliorare la salute generale.
Lesioni cerebrali, il cervello si può “risvegliare”
NewsUno studio italiano finanziato dall’Unione Europea getta una nuova luce sul comportamento del cervello dopo aver subito lesioni cerebrali, rivelando che alcune sue parti entrano in uno stato di “sonno”. Secondo questa ricerca, riuscire a “risvegliare” le zone dormienti potrebbe migliorare significativamente l’efficacia degli interventi di riabilitazione.
Un passo avanti nella comprensione delle lesioni cerebrali
Il lavoro, pubblicato su Nature Communications, è frutto di un team internazionale di medici e scienziati, coordinati da Marcello Massimini, docente di Fisiologia presso l’Università Statale di Milano. Lo studio integra dati esistenti con i risultati iniziali del progetto Nemesis (Neurological Mechanisms of Injury and Sleep-like cellular dynamics), che nel 2022 ha ricevuto un finanziamento di oltre 10 milioni di euro dal Consiglio europeo della ricerca (ERC).
Zone cerebrali “addormentate” dopo una lesione
L’ipotesi centrale dello studio è che i deficit funzionali conseguenti a un danno strutturale al cervello – sia esso ischemico, emorragico o traumatico – siano dovuti non solo alla perdita diretta di neuroni, ma anche al fatto che le aree corticali adiacenti o connesse alla lesione entrano in uno stato simile al sonno, nonostante il paziente sia sveglio.
Marcello Massimini sottolinea come “le conseguenze delle lesioni cerebrali focali vadano ben oltre il danno causato direttamente dalla perdita dei neuroni”. Già nel 1914, il neurologo Constantin Von Monakow aveva ipotizzato che i sintomi neurologici potessero dipendere da un effetto a distanza del danno locale su aree cerebrali lontane. Dopo un secolo, questa intuizione trova conferma grazie a moderne tecniche di neuroimaging: una lesione focale si associa ad alterazioni diffuse dei network cerebrali, che spiegano la sintomatologia.
Le onde lente: la chiave per comprendere le alterazioni funzionali
Il nuovo studio riscopre un concetto antico ma trascurato: la presenza di onde elettroencefalografiche lente, simili a quelle del sonno, nelle aree circostanti la lesione. Analizzando queste osservazioni attraverso recenti indagini elettrofisiologiche, i ricercatori hanno notato che tali onde rappresentano intrusioni di dinamiche corticali tipiche del sonno durante la veglia. Queste dinamiche possono causare una disgregazione dei network cerebrali e portare a deficit comportamentali.
Risvegliare il cervello per migliorare la riabilitazione
Gli autori del lavoro suggeriscono uno scenario promettente: modulare le onde lente post-lesione potrebbe permettere di “risvegliare” le parti del cervello addormentate. Questa strategia potrebbe ottimizzare gli interventi di riabilitazione, promuovendo un recupero più efficace delle funzioni cerebrali compromesse.
Nasce insomma una nuova prospettiva sul modo in cui il cervello reagisce a una lesione e apre la strada a possibili interventi mirati, basati sulla stimolazione delle zone “addormentate”, per potenziare la riabilitazione e il recupero dei pazienti.
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Parkinson, gli ultrasuoni fermano il tremore
News, News, Ricerca innovazioneGrazie agli ultrasuoni e con il supporto di una risonanza magnetica è possibile fermare il tremore del Parkinson. Una tecnologia di altissima precisione che, entro 60 giorni, entrerà in funzione presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli. Grazie all’impiego dei fondi regionali previsti dall’Art. 20/88, la direzione strategica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria ha infatti acquistato un sistema di terapia ad ultrasuoni focalizzati, guidati dalla risonanza magnetica, che consente di trattare i tremori, in particolare il tremore parkinsoniano resistente ai farmaci e il tremore essenziale.
Efficace nel 70% dei pazienti
La MR-guided Focused Ultra-Sound, questo il nome della tecnologia impiegata, cambia radicalmente la vita dei pazienti, restituendo loro l’autonomia funzionale perduta, spiega i direttore generale Ferdinando Russo. Con l’acquisizione di questa tecnologia, la Campania è l’unica regione del Mezzogiorno (e tra le pochissime in Italia) a poter offrire il trattamento che, negli studi finora pubblicati, si è dimostrato efficace in oltre il 70% dei pazienti. Quanto alla procedura, viene eseguita all’interno di una risonanza magnetica senza il bisogno di sedazione. La terapia dura in media dalle 3 alle 4 ore, durante le quali vengono eseguiti controlli di qualità sull’apparecchiatura, scansioni RMN, misure per individuare il nucleo target, per poi procedere con l’erogazione di ultrasuoni focalizzati.
Azione controlaterale
A differenza di quello che accade per i normali esami diagnostici di risonanza magnetica, la testa del paziente viene fissata al lettino grazie ad un caschetto stereotassico e una membrana che contiene al suo interno dell’acqua facilita il passaggio degli ultrasuoni. “Gli ultrasuoni focalizzati vanno a colpire le lesioni del talamo, in particolare il nucleo pallido – chiarisce il professor Alessandro Tessitore, direttore dell’U.O.C. di Neurologia – in questo modo si necrotizza l’area che produce il tremore. L’azione è controlaterale, questo significa che il “bombardamento” sull’emisfero destro risolve il tremore a sinistra e viceversa”. I due trattamenti vengono eseguiti a distanza di nove mesi e non c’è esigenza di ripetere la procedura.
Cos’è il Parkinson
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa cronica che colpisce principalmente il sistema nervoso centrale, compromettendo progressivamente le capacità motorie e cognitive della persona. È una delle malattie neurodegenerative più comuni, seconda solo all’Alzheimer, e viene generalmente associata a una carenza di dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale per il controllo dei movimenti. Questa carenza è causata dalla morte graduale dei neuroni dopaminergici presenti in una specifica area del cervello chiamata sostanza nera.
Sintomi principali
I sintomi del Parkinson si sviluppano lentamente e variano da persona a persona, ma i più comuni sono:
Oltre ai sintomi motori, il Parkinson può causare disturbi non motori come depressione, ansia, disturbi del sonno, problemi di memoria e difficoltà di parola. Nonostante non esista ancora una cura definitiva, esistono diverse terapie e farmaci che possono aiutare a gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Lavoro di squadra
«Grazie ad un enorme lavoro di squadra portato avanti da tutto lo staff della direzione strategica staff e la collaborazione degli Uffici Regionali preposti – conclude il direttore generale Russo – siamo riusciti a predisporre in tempi brevi quanto necessario per l’acquisizione di questa importantissima apparecchiatura che di fatto fa del nostro Policlinico Universitari e della regione Campania un polo d’attrazione per centinaia di migliaia di pazienti da tutta Italia».
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Tumori aggressivi in aumento nelle giovani donne + 9%: stili di vita possibili cause
Alimentazione, Articoli, News, News, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaSono in aumento nelle donne tra i 18 e i 34 anni i tumori al pancreas, ma anche tumore gastrico, mieloma e neoplasie del colon-retto. A evidenziato è un nuovo studio dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE). I risultati sono stati pubblicati su BMC Medicine, del gruppo Springer Nature.
Lo studio sull’aumento dei tumori aggressivi nelle giovani donne
Lo studio è stato realizzato dall’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) e dall’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). I risultati evidenziano un significativo aumento dell’incidenza di tumori aggressivi. L’analisi, basata su oltre 10 milioni di casi registrati nel database SEER tra il 2000 e il 2020 e relativa alla popolazione statunitense, mostra una crescita particolarmente rapida dell’incidenza di cancro al pancreas nelle donne tra i 18 e i 34 anni.
In particolare, i tassi di crescita quasi doppi rispetto agli uomini della stessa fascia di età. I dati indicano un tasso medio annuo di crescita del 9,37% tra le donne di età compresa tra i 18 e i 26 anni, rispetto al 4,43% tra gli uomini. Oltre al cancro al pancreas, si è registrato tra le giovani donne un aumento dei tassi di incidenza di altri tumori aggressivi, come quello gastrico, il mieloma e le neoplasie del colon-retto.
Le cause
Questa tendenza, secondo gli esperti, potrebbe essere spiegata da cambiamenti negli stili di vita delle nuove generazioni, con un aumento dell’esposizione precoce a fattori di rischio tipici della popolazione adulta, come obesità, diabete, eccessivo consumo di alcol e di sigarette.
L’aumento di questi tumori a esordio precoce richiede un’attenzione particolare da parte di ricercatori e medici, indirizzando ogni sforzo verso diagnosi precoce e terapie innovative, spiegano gli scienziati. Oltre all’IRE e all’IBBC hanno collaborato allo studio anche l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone” del CNR e l’Unità di Biostatistica, Epidemiologia e Sanità Pubblica dell’Università di Padova.
“I risultati della nostra ricerca – sottolinea Luca Cardone, ricercatore IRE e CNR-IBBC, responsabile e coordinatore dello studio – dimostrano che soprattutto negli ultimi 10 anni si è osservato un incremento generale dell’incidenza, tra i giovani, di alcuni tumori che presentano tassi di letalità elevati.
Inoltre, i nostri studi rivelano una disparità di genere nei giovani sotto i 35 anni, con le donne che mostrano tassi di incidenza maggiori degli uomini per alcuni di questi tumori particolarmente aggressivi. Studi mirati sono attualmente in corso per indagare i trend di esposizione nei giovani adulti a fattori di rischio comuni per le neoplasie in aumento, come obesità, diabete, consumo di alcol e di sigarette.”
“Alla luce di questi dati – evidenzia Gennaro Ciliberto, Direttore Scientifico IRE – è fondamentale promuovere campagne di sensibilizzazione sui rischi associati a stili di vita non salutari tra i giovani adulti, e considerare lo sviluppo di programmi di screening specifici per gruppi a rischio. Sebbene manchino ancora linee guida consolidate per la diagnosi precoce di tumori come quello pancreatico, soprattutto tra i giovani, una maggiore attenzione e consapevolezza dei sintomi potrebbe favorire la diagnosi precoce e migliorare significativamente gli esiti clinici di queste patologie aggressive”.
Sesso e il genere siano variabili chiave nella ricerca scientifica
Questi studi dimostrano quanto il sesso e il genere siano variabili chiave nella ricerca scientifica, per migliorare la precisione e l’equità delle cure. A tale proposito, è di recente pubblicazione su Journal of Personalized Medicine, il documento “Raccomandazioni per l’Applicazione della Medicina di Genere nella Ricerca Preclinica, Epidemiologica e Clinica”, frutto del lavoro del gruppo “Ricerca e Innovazione” dell’Osservatorio dedicato alla medicina di genere dell’Istituto Superiore di Sanità, coordinato da Marialuisa Appetecchia, in rappresentanza degli IRCCS e Responsabile della Endocrinologia Oncologica IRE-IFO.
Giovani e sport, perché è fondamentale l’ECG
News, Prevenzione, SportAnche i più giovani, quando fanno sport, devono sottoporsi a screening per evitare ogni possibile rischio e, in quest’ottica, l’elettrocardiogramma (ECG) è lo strumento fondamentale anche per il rilascio della certificazione sportiva agonistica. Proprio l’ECG permette di identificare precocemente eventuali cardiomiopatie o altre patologie che possono aumentare il rischio di malori o addirittura di morte improvvisa, anche in giovani atleti apparentemente sani. Uno studio recente condotto dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, pubblicato sulla rivista della Società Europea di Cardiologia Pediatrica (Cardiology in the Young), ha evidenziato l’importanza di questo esame, rilevando anomalie nel tracciato ECG nel 9% dei circa 600 bambini e ragazzi esaminati. In seguito a ulteriori approfondimenti, il 3% di questi giovani atleti è stato sospeso dall’attività agonistica per problemi cardiaci riscontrati.
L’inversione dell’onda T nell’esame ECG
L’ECG è un esame semplice ed efficace che registra l’attività elettrica del cuore attraverso una sequenza di onde e segmenti. Tra queste onde, l’Onda T è di particolare interesse poiché rappresenta la ripolarizzazione ventricolare, ovvero il “tempo di ricarica” del cuore dopo ogni battito. In condizioni normali, l’Onda T ha una forma positiva, con la curva rivolta verso l’alto. Tuttavia, quando l’Onda T appare negativa, ciò può indicare anomalie nel muscolo cardiaco, come alterazioni nella struttura o nella perfusione sanguigna.
Possibili cardiopatie
La presenza dell’Onda T negativa, chiamata anche inversione dell’Onda T (WTI), è un’anomalia della ripolarizzazione ventricolare. Questa può sollevare sospetti anche in soggetti giovani e apparentemente sani, portando a una possibile controindicazione alla pratica sportiva agonistica. I protocolli di valutazione per l’idoneità sportiva sono molto severi e prevedono ulteriori indagini, come ecocardiogrammi, risonanze magnetiche e TAC cardiache, per determinare se vi siano cardiopatie sottostanti.
Lo studio pubblicato su Cardiology in the Young
Partendo da queste considerazioni, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha condotto uno studio per valutare la prevalenza delle anomalie della ripolarizzazione, in particolare l’inversione dell’Onda T, in una popolazione di giovani atleti agonisti. La ricerca ha avuto l’obiettivo di comprendere se tali anomalie potessero essere associate allo sviluppo di cardiomiopatie in assenza di altri sintomi patologici.
Lo studio ha coinvolto 581 giovani atleti, con un’età media di 15 anni, l’80% dei quali di sesso maschile. Nell’arco di 18 mesi, questi atleti sono stati selezionati per la valutazione dell’idoneità all’attività sportiva agonistica. Durante questo periodo, il 9% degli atleti (53 in totale) ha mostrato anomalie nel tracciato ECG attribuibili all’inversione dell’Onda T. Questi soggetti sono stati sottoposti a ulteriori indagini, come ecocardiogrammi, Holter ECG e risonanze magnetiche, per identificare eventuali patologie cardiache.
Dopo questi approfondimenti, 17 atleti (il 3% del totale analizzato) sono stati esclusi dall’attività agonistica a causa delle patologie riscontrate, tra cui:
Gli altri 36 atleti con inversione dell’Onda T, ma senza ulteriori patologie rilevate, hanno ottenuto l’idoneità agonistica, con la raccomandazione di effettuare controlli periodici ogni 6-12 mesi.
L’importanza dello screening
Ugo Giordano, responsabile dell’Unità Operativa di Medicina dello Sport dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, ha sottolineato: “La probabilità che gli atleti agonisti abbiano una cardiomiopatia nascosta è bassa, ma non trascurabile. Lo screening elettrocardiografico per l’idoneità sportiva agonistica rappresenta quindi un’opportunità importante per identificare precocemente cardiomiopatie e altre patologie che possono aumentare il rischio di morte improvvisa in giovani atleti apparentemente sani. Le eventuali anomalie della ripolarizzazione, segnalate dall’inversione dell’Onda T, devono essere sempre approfondite rivolgendosi a centri specializzati”.
Protocolli rigorosi
In Italia, i protocolli di valutazione per l’accesso all’attività sportiva agonistica sono molto rigorosi. La visita per il rilascio dell’idoneità prevede:
Per quanto riguarda l’attività sportiva non agonistica, anche se non è obbligatorio, i medici dello sport consigliano di effettuare sempre l’ECG a ogni visita per il rilascio del certificato. Questo esame rappresenta, infatti, uno strumento di screening prezioso per la salute degli atleti, consentendo di rilevare anomalie cardiache che potrebbero passare inosservate e potenzialmente mettere a rischio la vita.
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Bianca Balti e il tumore ovarico al terzo stadio: diagnosi, sintomi e cure
Farmaceutica, News, News, PrevenzioneBianca Balti ha annunciato di aver subito un intervento per un tumore ovarico scoperto al terzo stadio. La modella, già nel 2022, si era sottoposta a una mastectomia bilaterale preventiva, consapevole del rischio a cui era esposta a causa della mutazione BRCA. La mutazione di questo gene, infatti, aumenta le probabilità di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. L’annuncio sui social ha riportato attenzione su un tipo di cancro difficile da diagnosticare e da trattare.
Secondo i dati della American Cancer Society, fino al 25 per cento circa dei tumori dell’ovaio fanno parte di sindromi oncologiche familiari, ovvero sono associate al fatto di avere ereditato mutazioni in specifici geni. Si stima che le donne portatrici di mutazioni BRCA1 e BRCA2 abbiano una probabilità del 39-44% di sviluppare un tumore ovarico, contro l’1-2% della popolazione generale.
Secondo le stime, in Italia ogni anno circa 6 mila donne ricevono una diagnosi di tumore ovarico, la neoplasia rappresenta il 3% delle diagnosi di tumore nelle donne. Oltre a quelli genetici, tra i fattori di rischio per il cancro dell’ovaio c’è l’età: la maggior parte dei casi viene identificata tra i 50 e i 69 anni. Altri fattori di rischio sono l’obesità, un menarca (prima mestruazione) precoce o una menopausa tardiva e non aver avuto figli. Sono, invece, fattori protettivi, l’aver avuto più figli, l’allattamento al seno e l’uso a lungo termine di contraccettivi estroprogestinici.
Diagnosi tardiva e complessità del tumore ovarico
Il tumore ovarico è uno dei più complessi da curare. Ogni anno in Italia causa 3 mila decessi. L’ostacolo principale è la diagnosi tardiva. Nel 70% dei casi, il tumore viene scoperto in fase avanzata, rendendo più difficile l’intervento e la cura. Il terzo stadio, quello diagnosticato a Bianca Balti, indica che il tumore si è già esteso oltre le ovaie, invadendo il peritoneo o coinvolgendo altri organi. La prognosi peggiora sensibilmente rispetto agli stadi iniziali. Il tumore ovarico tende a infiltrare il peritoneo, una membrana che riveste gli organi addominali. L’intervento chirurgico è delicato e spesso seguito da chemioterapia per eliminare eventuali cellule tumorali residue.
Sintomi vaghi e diagnosi difficile
I sintomi del tumore ovarico sono spesso generici e possono essere facilmente confusi con altre patologie. Sensazione di sazietà a stomaco vuoto, gonfiore addominale persistente, fitte addominali, necessità frequente di urinare, perdite vaginali o problemi intestinali come diarrea o stitichezza, possono indicare la presenza del tumore. Domenica Lorusso, ordinario di ginecologia all’Humanitas University, ha spiegato al Corriere della Sera che questi segnali sono spesso vaghi e, per questo, molte donne trascurano i campanelli d’allarme. La difficoltà di diagnosi precoce rende il tumore ovarico particolarmente pericoloso.
Le mutazioni BRCA e il rischio genetico
Un fattore di rischio importante sono le mutazioni ereditarie nei geni BRCA1 e BRCA2 e di altri geni che possono essere alterati, nella cosiddetta sindrome ereditaria di seno-ovaio. Le donne portatrici delle mutazioni BRCA 1 e 2, quindi, hanno un rischio significativamente maggiore di sviluppare tumori al seno e alle ovaie.
Le mutazioni possono essere trasmesse geneticamente, quindi chi le possiede ha anche una maggiore probabilità di trasmetterle ai propri figli. Secondo le stime, una donna con mutazione BRCA1 ha il 60% di probabilità di sviluppare un tumore al seno e circa il 40% di probabilità di contrarre il cancro ovarico. Per le portatrici di mutazione BRCA2, il rischio per il tumore ovarico è più basso, ma comunque significativo, attorno al 20%.
Prevenzione e monitoraggio
Per le donne portatrici delle mutazioni BRCA, esistono due principali strategie preventive. La prima è un monitoraggio stretto e regolare, con controlli medici ogni sei mesi, che permettono di individuare eventuali tumori in una fase precoce. Tuttavia, per il tumore ovarico, la sorveglianza tramite ecografie si è rivelata deludente in termini di diagnosi anticipata.
La seconda opzione è la chirurgia preventiva. Si tratta della rimozione delle ovaie e delle tube (salpingo-ovariectomia) o, come nel caso di Balti, della mastectomia. Questa strategia è l’unica a ridurre significativamente il rischio di sviluppare il cancro ovarico, che non dispone di programmi di diagnosi precoce efficaci. Questo tipo di interventi richiede un approccio multidisciplinare e devono essere considerati anche aspetti come la maternità e gli effetti della menopausa precoce.
Intervento chirurgico e cure successive
Nelle donne con mutazione BRCA, si raccomanda di eseguire la salpingo-ovariectomia intorno ai 40 anni. L’intervento, pur riducendo drasticamente il rischio di sviluppare tumori ovarici, comporta l’immediato inizio della menopausa. Le pazienti con tumore ovarico al terzo stadio, come Balti, dopo l’intervento chirurgico, sono sottoposte a cicli di chemioterapia per eliminare le cellule tumorali residue. Questo trattamento riduce il rischio di recidiva e aumenta le possibilità di sopravvivenza.
Tumore sottovalutato
La percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è attorno al 43 per cento, soprattutto perché in molti casi la malattia viene diagnosticata quando è in fase già avanzata. Tuttavia, le statistiche dimostrano che la sopravvivenza a cinque anni per le donne con tumori in fase iniziale può arrivare al 90%. I test genetici per verificare la presenza di mutazioni BRCA sono il primo passo per adottare misure preventive efficaci. Il tumore ovarico resta una sfida per la medicina, ma la conoscenza dei fattori di rischio genetici e l’adozione di misure preventive possono fare la differenza.