Tempo di lettura: 4 minutiIl bisogno di assistenza domiciliare agli anziani aumenta, nonostante il trend di crescita degli over-65 che beneficiano di cure a casa. Sono, infatti, passati dai 252mila (1,95% del totale) del 2014 ai quasi 550mila (3,89%) del 2023. Secondo i dati forniti dalle Regioni al Ministero della Salute, sarebbero oltre 80mila in più gli anziani che nell’ultimo anno sono stati assistiti al domicilio rispetto al 2022, dato positivo ma che sembra non trovare riscontro nel ‘mondo reale’, secondo l’analisi di Italia Longeva. C’è poi un altro 2,88% di ultra 65enni (404.235 persone) che ha ricevuto cure residenziali (RSA) nell’ultimo anno.
“Un’accelerazione dell’offerta dei servizi di ADI e RSA è quanto mai prioritaria per evitare che la mancata gestione dell’invecchiamento diventi la vera malattia del Paese, sempre più chiamato a fare i conti con le conseguenze della pressione demografica: aumento del carico di cronicità, disabilità e non autosufficienza che amplificano i bisogni di salute, oltretutto in un contesto di assottigliamento delle reti familiari”. È quanto scrive l’associazione in una nota.
Anziani in aumento, oggi 65% delle persone con demenza senza assistenza
Nei prossimi 20 anni, si stima saranno all’incirca 6 milioni gli over-65 soli e a rischio di isolamento. Oggi il 64% delle persone con demenza, tra le prime cause di perdita di autonomia negli anziani, non viene preso in carico in una struttura sociosanitaria, con un onere fortissimo per milioni di famiglie. Va poi considerato che laddove c’è meno assistenza domiciliare aumentano gli accessi al Pronto Soccorso e i ricoveri inappropriati e, dunque, la spesa a carico del servizio sanitario.
È quanto emerge dall’Indagine 2024 di Italia Longeva che, a partire dai dati del Sistema informativo del Ministero della Salute, fotografa l’andamento della long-term care nel nostro Paese, cioè dell’assistenza territoriale offerta ai cittadini fragili in risposta ai diversi livelli di intensità dei loro bisogni. Il Report è stato presentato oggi al Ministero della Salute, nel corso della nona edizione degli “Stati Generali dell’assistenza a lungo termine – Long-Term Care NINE”, l’appuntamento annuale di Italia Longeva che riunisce gli attori che, ai vari livelli, si occupano di programmare e gestire l’assistenza agli anziani.
“Leggiamo con cauto ottimismo i numeri sull’ADI forniti dalle Regioni. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie ad esso correlate – diabete, patologie cardiovascolari, demenze -, ci impongono di premere l’acceleratore per potenziare e rendere più omogenea l’assistenza sul territorio”, commenta Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva. “Continuiamo a concentrarci sull’ADI perché siamo convinti che sia l’unica risposta possibile di un servizio sanitario in grado di affrontare e non di subire l’assistenza agli anziani. Pensiamo agli accessi in Pronto Soccorso e ai ricoveri inappropriati, ma anche alla necessità di garantire la messa in sicurezza dei pazienti fragili che vengono dimessi dall’ospedale, soprattutto di coloro che sono privi di un supporto familiare”.
600 mila i ricoveri inappropriati
A tal proposito, sono state calcolate 600mila giornate di degenza inappropriate all’anno per gli over-70 (fonte Agenas su dati SDO 2019), solo per la gestione di cronicità come diabete e ipertensione, che contribuiscono al sovraffollamento degli ospedali e all’aumento delle liste d’attesa, nonché al fenomeno delle dimissioni tardive per mancata disponibilità di presa in carico sul territorio. “Potenziare i servizi di long-term care, in particolare le cure domiciliari – aggiunge Bernabei -, significa costruire un ponte tra ospedale e casa, e dare finalmente un’assistenza congrua ai nostri anziani”.
Il peso delle malattie neurodegenerative
Alzheimer
L’urgenza di rafforzare l’offerta di long-term care va letta anche alla luce del peso crescente delle malattie neurodegenerative in un Paese con 14,3 milioni di anziani, di cui oltre 4,5 milioni di 80enni, e previsioni che stimano una quota del 34% di over-65 nei prossimi 20 anni, con gli over-80 che supereranno i 6 milioni. L’Indagine 2024 di Italia Longeva ha aperto una finestra sulla demenza, condizione che in Italia interessa 1,5 milioni di persone, di cui oltre 600.000 sono affette da malattia di Alzheimer, cui si aggiungono altri 900mila italiani con diagnosi di pre-demenza. Questi numeri, uniti all’impatto economico della gestione e del trattamento dei pazienti con demenza – 23,6 miliardi di euro, di cui oltre il 60% a totale carico delle famiglie – danno la misura dell’imponente domanda di cure e supporto specifici che si rendono necessari e sempre di più lo saranno nel prossimo futuro.
Il report
“Anche quest’anno Italia Longeva ha offerto una fotografia sullo stato dell’arte della long-term care lungo lo Stivale, aggiungendo un focus specifico sulle malattie neurodegenerative che accompagnano l’invecchiamento della popolazione”, aggiunge Davide Vetrano, geriatra ed epidemiologo, consulente scientifico di Italia Longeva. “L’Italia sta facendo dei passi in avanti nell’organizzazione e nell’offerta dei servizi di ADI e RSA, che rappresentano le due componenti cruciali di una risposta sanitaria coerente alle esigenze degli anziani più fragili. Il panorama geografico delle cure domiciliari resta estremamente variegato: Molise, Abruzzo, Basilicata, Toscana e Umbria sono quelle che fanno meglio, con tassi di copertura di ADI superiori al 4,5%. Per quanto riguarda le cure residenziali, sono poco più di 400mila gli over-65 che ne hanno beneficiato nell’ultimo anno, ancora una volta con una distribuzione a macchia di leopardo: tassi di residenzialità più elevati si registrano nelle regioni del Nord – Provincia Autonoma di Trento (9,9%), Veneto (5,9%), Piemonte (5,4%), Lombardia (4,6%) e Provincia Autonoma di Bolzano (4,3%) – e sono per lo più correlati alle peculiari caratteristiche del tessuto sociale”.
Le cure sul territorio
“Per affrontare efficacemente la fragilità degli anziani sono necessari setting assistenziali, conoscenze e competenze specifiche, e la capacità del sistema di assicurare la continuità della presa in carico tra i diversi livelli e luoghi di cura. Innanzitutto, prendendo in carico gli anziani nel proprio ambiente domestico il più a lungo possibile, fornendo cure mediche, infermieristiche e riabilitative e supporto adeguati per mantenere una buona qualità della vita. Ma il principio guida di questa rete di assistenza è quello di trovare la migliore soluzione assistenziale per il paziente sul territorio, a seconda della complessità dei suoi bisogni: servizi di ADI, accesso in RSA, strutture di lungodegenza o hospice, in cui ciascun attore, professionista, caregiver, gioca la sua parte per dare risposte coerenti alle esigenze degli anziani”, conclude il presidente di Italia Longeva.
Mal di schiena: nuove terapie e chirurgia mini-invasiva per tornare allo sport a 70 anni
Ricerca innovazione, AnzianiIl mal di schiena riguarda circa il 70-80% degli italiani e spesso è correlato agli stili di vita sbagliati, con scarsa attività fisica e una postura scorretta. Questi numeri comportano costi stimati in 36 miliardi di euro, infatti il mal di schiena è la principale ragione di visite mediche e la causa più frequente di assenza dal lavoro. Si tratta di 2,3 punti del PIL, da cui derivano risvolti socioeconomici, sia come costi diretti (diagnostici e terapeutici) che indiretti (assenze dal lavoro, mancata produttività).
L’innovazione tecnologica apre a nuove opportunità contro il mal di schiena. Gli interventi mininvasivi sempre più precisi consentono ricoveri più brevi, convalescenze più veloci e il ritorno alle proprie abitudini – anche sportive – in tempi prima impensabili. Anche i rischi nell’intervento sono ridotti, così come i tempi di recupero, con benefici per il paziente e le strutture. La stenosi del canale lombare è una patologia diffusa soprattutto nella popolazione che ha superato i 65 anni.
Mal di schiena e chirurgia innovativa
L’intervento chirurgico per la stenosi del canale lombare è sempre più frequente grazie all’innovazione. La patologia impatta sulla qualità della vita per il restringimento (la stenosi, appunto) del canale lombare, che spesso si verifica in tarda età. Una donna su 5 con la menopausa e un uomo su 8 dopo i 65 anni possono incorrere in una frattura vertebrale; le condizioni possono aggravarsi senza interventi tempestivi: dopo la prima frattura, la probabilità di una recidiva aumenta di 5 volte, mentre il rischio di una terza ricaduta può aumentare fino a 25 volte.
“In passato, la stenosi del canale lombare era associata all’invecchiamento e alla riduzione dell’autonomia e della qualità di vita, mentre solo di rado si ricorreva all’intervento chirurgico che era invasivo, con una pesante anestesia e una lunga convalescenza, condannando le persone a rinunciare all’operazione e a rassegnarsi a una vita meno dinamica – spiega il Dott. Luca Serra, Responsabile UO Chirurgia Vertebrale, Ospedale Israelitico.
”Oggi è possibile sottoporsi all’intervento e tornare a una vita dinamica e persino sportiva. Il canale lombare che si è ristretto va allargato e successivamente stabilizzato: questa seconda parte dell’intervento, che prima si associava a possibili complicazioni, adesso si può fare senza aprire la colonna vertebrale, ma con semplici incisioni. L’intervento è facilmente realizzabile anche in tarda età, fino anche a 90 anni. La diffusione di questo tipo di attività chirurgica ha aperto la strada ad altri interventi mini-invasivi, con queste tecniche percutanee sempre più diffuse contro i vari tipi di mal di schiena”.
Dott. Luca Serra
Robotica per la stenosi del canale lombare
Nel caso della stenosi del canale lombare, “grazie alla tecnica chirurgica dell’artrodesi conservativa consentita dalla robotica, è possibile allargare canali in persone anziane che fino a qualche anno fa si rassegnavano ad avere una vita scadente, a non camminare più, a fare interventi molto invasivi – commenta il Dott. Luca Serra.
”Possiamo poi contare su procedimenti come la navigazione, ossia la possibilità di seguire l’intervento in tempo reale nel corpo umano anche in aree delicate come il canale vertebrale, dove passano il midollo e il nervo, il cui monitoraggio rende l’atto chirurgico molto più sicuro. Questi miglioramenti sono però oggi disponibili solo in alcuni centri selezionati.
Apparentemente il costo di queste innovazioni è rilevante, ma saranno sempre più necessarie in tutte le chirurgie vertebrali e rappresenteranno un investimento ampiamente compensato dal risultato. Ne beneficia sia il paziente, che può contare su tempi di recupero più brevi, maggiore precisione e sicurezza dell’intervento, un minore impatto operatorio e minore ricorso a farmaci e terapie; sia per la struttura, che può così svolgere più attività e non rischiare complicazioni dell’intervento”.
Mal di schiena sempre più diffuso, il 10 per cento sono casi severi
“La patologie che portano al mal di schiena sono numerose, come l’artrosi, l’ernia del disco, l’osteoporosi, le deviazioni della colonna (scoliosi o cifosi), o ancora scivolamenti, instabilità, spondilolistesi – sottolinea il Dott. Luca Serra.
”Sono fondamentali le moderne tecnologie per diagnosi accurate e trattamenti mirati, come terapia del dolore, chirurgia mininvasiva, infiltrazioni terapeutiche. Tolte le forme transitorie, resta il 10% di patologia seria, su cui servono trattamenti specifici e, talvolta, l’intervento chirurgico, necessario soprattutto in tarda età per patologie come la stenosi del canale vertebrale, le fratture vertebrali, l’osteoporosi”.
Vaccini adulti e fragili, impatto delle infezioni respiratorie
Anziani, Bambini, PrevenzioneÈ di questi giorni l’ultimo monitoraggio di Iss e Ministero della Salute sui nuovi casi di COVID-19 (4 al 10 luglio 2024). Sono, infatti, in aumento del 42% nell’ultima settimana con un numero assoluto di casi pari a 5.503 e con 33 decessi. In tutto il 2023 i casi certificati di COVID-19 sono stati più di 5,3 milioni con 10.000 decessi e 82.000 ricoveri ospedalieri; a questi si aggiungono più di 14 milioni di casi di influenza con circa 9.900 decessi e quasi 300.000 casi di RSV con 26.000 ricoveri e 1.800 decessi; le polmoniti sono responsabili ogni anno di circa 150.000 ricoveri e 9.000 decessi. I vaccini rappresentano un mezzo di protezione efficace, soprattutto per i soggetti fragili.
Vaccini contro Covid, influenza, RSV, polmoniti
COVID-19, influenza, RSV, polmoniti rientrano tra le infezioni respiratorie che, in Italia, continuano a rappresentare la prima causa di mortalità tra le malattie infettive, in modo proporzionalmente crescente all’aumentare dell’età, senza dimenticare la correlazione col fenomeno dell’AMR che ogni anno è responsabile nel nostro Paese di circa 11.000 morti (12% dei decessi totali a livello OCSE) con un impatto economico di 2,4 miliardi di euro a parità di potere d’acquisto.
Degli strumenti di protezione dei soggetti anziani e fragili (che rappresenteranno il 34,5% della popolazione rispetto all’attuale 24%) attraverso le vaccinazioni e di come favorire l’invecchiamento attivo si è parlato nel corso dell’evento “Politiche di immunizzazione dei soggetti adulti e fragili: dalla promozione della buona salute al contrasto dell’AMR”, realizzato da The European House-Ambrosetti con il contributo non condizionante di Pfizer.
“L’invecchiamento della popolazione e i grandi progressi compiuti dalla medicina hanno aumentato il numero di soggetti fragili e quindi predisposti alle infezioni – ha affermato Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT). In questo scenario, le infezioni correlate alle pratiche assistenziali sono diventate un problema prioritario di sanità pubblica e la crescente diffusione di ceppi batterici multi-resistenti agli antibiotici (ABR) rende ancora più difficile il controllo di queste infezioni. In questa popolazione gli interventi di prevenzione, primi tra tutti le vaccinazioni, rappresentano un efficace strumento in grado di ridurre significativamente il rischio di infezioni con tutto quello che comporta in termini di morbosità e mortalità e di impatti socioeconomici”.
I dati dell’ultima campagna anti-COVID-19 riportano un tasso di copertura medio a livello nazionale per gli over 60 del 10,2% con valori compresi tra il 19,2% della Toscana e l’1,8% della Sicilia; la campagna antinfluenzale tra gli over 65 non ha raggiunto il 50% secondo le prime stime.
“Nonostante il valore della vaccinazione sia noto, purtroppo, nel nostro Paese stiamo assistendo ad una disaffezione importante alle pratiche vaccinali con una riduzione importante delle coperture per molti virus respiratori – ha aggiunto Roberta Siliquini, Presidente della Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI). È necessario che il sistema della sanità pubblica, in un lavoro sinergico di tutte le sue componenti, si organizzi per definire al meglio, ciascuno nel proprio ruolo, campagne informative serie, programmi di sensibilizzazione, modelli organizzativi che facilitino l’accesso alle vaccinazioni.”
Covid e vaccini
Per le ultime campagne vaccinali anti-COVID-19 e antinfluenzale, a livello organizzativo le Regioni, pur con le proprie differenze e peculiarità, hanno messo in campo molti strumenti per agevolare la vaccinazione di questi soggetti, dal coinvolgimento simultaneo di centri vaccinali, MMG e farmacisti, alla chiamata attiva dei soggetti, alla realizzazione degli open day; in molti casi è stato anche agevolato l’accesso alla vaccinazione attraverso un sito unico di prenotazione.
Le Regioni si sono impegnate a rafforzare il proprio operato investendo anche nella comunicazione.
Una comunicazione affidabile, basata sulle evidenze, accessibile, permette di accrescere la fiducia dei cittadini e contrastare la disinformazione e l’esitazione vaccinale: su quest’ultimo punto, in tutte le Regioni italiane, secondo una survey realizzata nel 2023 da The European House – Ambrosetti in collaborazione con SWG, un’informazione più dettagliata da parte del Ministero della Salute e delle ASL e un maggior dialogo da parte del cittadino con il proprio medico o farmacista di fiducia, sono ritenuti gli strumenti più efficaci di contrasto all’esitazione vaccinale.
“Per lavorare efficacemente sulle scelte delle persone, in ottica di promozione della salute e contrasto all’AMR, e recuperare fiducia e convinzione nelle vaccinazioni nei soggetti fragili, bisogna investire in campagne informative a cura delle istituzioni e garantire messaggi univoci e coerenti tra professionisti – ha aggiunto Valeria Fava, Responsabile del Coordinamento delle politiche per la salute di Cittadinanzattiva. Alla comunicazione devono affiancarsi strategie efficaci ed omogenee sul territorio nazionale, una maggiore digitalizzazione, semplificazione nell’accesso, specie per i soggetti fragili, e un puntuale monitoraggio, a partire dall’estensione degli indicatori della griglia di monitoraggio LEA a tutte le vaccinazioni incluse nel calendario”.
I risultati ottenuti nelle ultime campagne vaccinali antinfluenzale e anti-COVID-19 aprono però una riflessione sull’efficacia degli attuali modelli di organizzazione e gestione delle campagne vaccinali rivolte all’adulto, incluse le attività di comunicazione, in un contesto in cui l’offerta vaccinale verso questi soggetti è destinata ad aumentare.
“Attualmente, in Italia la spesa per i programmi vaccinali delle Regioni è caratterizzata da elevata variabilità e rappresenta il 21% della spesa in prevenzione, un valore di 24,5 euro a livello pro capite – ha sottolineato Rossana Bubbico, Senior Consultant della Practice Healthcare di The European House-Ambrosetti. Investire nelle politiche di immunizzazione vuol dire contribuire alla salute del singolo e della collettività, alla sostenibilità del SSN e del sistema socio-sanitario e alla crescita del sistema economico: per le sole vaccinazioni dell’adulto, per ogni euro investito il Paese ne recupererebbe 19 nel caso di raggiungimento degli obiettivi di copertura previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale. Per questo accogliamo positivamente la dichiarazione del Ministro della Salute sulla volontà di aumentare la quota di investimenti in prevenzione dall’attuale 5% del Fondo sanitario Nazionale: investire in prevenzione vuol dire investire in stili di vita, screening e vaccinazioni”. Nel corso dell’evento è stata anche lanciata una call to action per rilanciare le coperture vaccinali nell’adulto e nei fragili con proposte per il Governo centrale e le Regioni.
I cibi che aumentano il testosterone
Alimentazione, News, NewsSempre più uomini soffrono di infertilità, basti pensare che colpisce tra il 15 e il 20% delle coppie a livello globale. Molti cibi promettono di migliorare la funzionalità e la salute sessuale maschile, e uno studio recente guidato dall’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR ha quantificato per la prima volta l’effetto di una dieta sana come quella mediterranea bio nel migliorare i livelli di testosterone e combattere l’infertilità. Questo studio, presentato al congresso nazionale della Società Italiana di Andrologia (SIA) e pubblicato su Current Research in Food Science, offre nuove speranze per coloro che lottano con problemi di fertilità.
Le cause dell’infertilità maschile
“Le cause dell’infertilità maschile possono essere diverse,” spiega Alessandro Palmieri, Presidente SIA e Professore di Urologia all’Università Federico II di Napoli. “Lo stile di vita, i fattori ambientali, lo stress e le condizioni socio-economiche sono fattori significativi.” Una dieta scorretta può accentuare gli effetti deleteri e pro-ossidanti dello stress e dell’inquinamento, causando la frammentazione del DNA negli spermatozoi, uno dei principali fattori alla base dell’infertilità maschile.
Il potere della dieta mediterranea bio
La dieta mediterranea è universalmente riconosciuta come benefica per il mantenimento della salute generale e per ridurre l’incidenza delle principali malattie croniche. Fabrizio Palumbo, Dirigente Medico presso l’UOC Urologia Ospedale Di Venere di Bari, sottolinea come questo regime alimentare possa avere un impatto positivo anche sulla fertilità maschile. Lo studio ha coinvolto 50 uomini di età compresa tra i 35 e i 45 anni, normopeso, non fumatori e che non facevano consumo abituale di alcolici, senza malattie croniche o varicocele.
Aumento del testosterone
Dopo tre mesi dall’inizio della dieta mediterranea bio, i partecipanti hanno registrato un aumento del 116% dei livelli di testosterone. Contemporaneamente, è stata osservata una riduzione nella percentuale di spermatozoi con DNA frammentato, scesa dal 44,2% iniziale al 23,2%. Questo miglioramento è stato attribuito alla riduzione dei carboidrati e all’aumento di antiossidanti attraverso il consumo giornaliero di frutti rossi e un minimo di tre porzioni di verdure fresche al giorno.
Gli alimenti chiave per la fertilità
Tra gli alimenti che possono migliorare la fertilità maschile, spiccano la noce moscata, i chiodi di garofano, lo zenzero e il melograno. Questi cibi, ricchi di antiossidanti e nutrienti essenziali, contribuiscono a ridurre lo stress ossidativo e migliorare la qualità dello sperma. La dieta mediterranea bio, caratterizzata da un alto consumo di frutta, verdura, legumi, cereali integrali e olio d’oliva, insieme a un moderato consumo di pesce e pollame, offre un’ampia gamma di benefici per la salute riproduttiva.
L’importanza di un approccio olistico
“Una dieta scorretta può causare danni significativi alla salute riproduttiva maschile,” afferma Veronica Corsetti, biologa nutrizionista, ricercatore del CNR, Presidente dell’Associazione “Fertilelife” e prima autrice dello studio. Un approccio olistico che includa una dieta equilibrata, esercizio fisico regolare e la riduzione dello stress è fondamentale per migliorare la fertilità maschile. Questo studio dimostra che una semplice modifica nello stile di vita e nell’alimentazione può avere un impatto significativo sulla salute sessuale e riproduttiva degli uomini.
Le giuste abitudini
L’infertilità maschile è una condizione complessa che può essere influenzata da molteplici fattori. Tuttavia, adottare una dieta sana e bilanciata come quella mediterranea bio può rappresentare un passo importante verso il miglioramento della fertilità. Lo studio condotto dall’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR offre prove concrete dei benefici di questo regime alimentare, evidenziando l’importanza di un approccio integrato alla salute riproduttiva. Con un aumento significativo dei livelli di testosterone e una riduzione della frammentazione del DNA degli spermatozoi, la dieta mediterranea bio si conferma come un valido alleato nella lotta contro l’infertilità maschile.
Quindi, se l’obiettivo è quello di avere una gravidanza la chiave potrebbe trovarsi nel piatto: una dieta ricca di frutti rossi, verdure fresche e altri alimenti tipici della dieta mediterranea bio può fare una differenza significativa.
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Un farmaco per l’asma combatte il tumore al pancreas
Ricerca innovazioneCome spesso accade nella ricerca medica, le migliori scoperte avvengono con un pizzico di fortuna e una grande intuizione. Proprio questi sono gli ingredienti di una ricerca che ha osservato una sorprendente correlazione inversa tra asma e incidenza di tumore al pancreas. Questa scoperta ha guidato un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Igb), assieme a colleghi e colleghe dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, dell’Instituto de Investigaciones Biomedicas Sols-Morreale di Madrid e della statunitense Università del Tennessee.
Il ruolo del farmaco
Una risposta alla correlazione osservata potrebbe risiedere nell’effetto del farmaco glucocorticoide ampiamente utilizzato per il trattamento dell’asma. Secondo i risultati dello studio pubblicati a luglio 2024 sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, il farmaco sembra avere la sorprendente capacità di contrastare la proliferazione delle cellule tumorali dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), la forma più comune e aggressiva di tumore al pancreas.
I risultati della ricerca per il tumore al pancreas
Gabriella Minchiotti (Cnr-Igb), coordinatrice del lavoro, spiega: “Ci siamo concentrati sulla correlazione inversa che, secondo dati statistici, vede un’associazione negativa tra i pazienti asmatici sotto terapia da lungo tempo e la frequenza del tumore al pancreas. Abbiamo scoperto che il budesonide è in grado di limitare le caratteristiche più aggressive delle cellule umane di tumore del pancreas, come la capacità di proliferare, migrare e invadere altri tessuti e organi, alla base della disseminazione delle metastasi”.
Gli esperimenti condotti su cellule in coltura e animali di laboratorio hanno dimostrato che il farmaco arresta la crescita delle cellule del tumore pancreatico modificandone il metabolismo e interferendo con i cambiamenti necessari alla progressione tumorale.
L’aggressività del PDAC
L’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC) è noto per essere particolarmente aggressivo. Nel 2023, in Italia, sono state stimate circa 14.800 nuove diagnosi di questo tipo di tumore, secondo i dati del rapporto “I numeri del cancro in Italia”, pubblicato dall’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) in collaborazione con l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM). Essendo spesso resistente alle terapie classiche come chemioterapia e radioterapia, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è inferiore al 12%. La mancanza di metodi di screening efficaci contribuisce ulteriormente alla difficoltà di trattare questo tumore, che spesso viene diagnosticato in fase avanzata.
Potenziali implicazioni cliniche
Cristina D’Aniello (Cnr-Igb), coautrice corrispondente dell’articolo, sottolinea: “I risultati ottenuti suggeriscono un possibile utilizzo del budesonide anche nella terapia preventiva o come coadiuvante nel trattamento dell’adenocarcinoma duttale pancreatico. Questo approccio, noto come ‘riposizionamento’, utilizza farmaci già approvati per altre indicazioni terapeutiche, riducendo tempi e costi per lo sviluppo di nuove terapie.”
Sostegno e finanziamenti
La ricerca ha ricevuto il sostegno fondamentale della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e del Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del programma PRIN 2022. Inoltre, il progetto D3 4 Health, parte del piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC), è stato finanziato dall’Unione Europea– Next Generation EU.
Nuove prospettive
Questa scoperta potrebbe aprire nuove frontiere nella lotta contro il tumore al pancreas, offrendo speranza a molti pazienti. La correlazione tra l’uso di questo farmaco nei pazienti asmatici e una minore incidenza di PDAC potrebbe portare a nuovi approcci terapeutici, migliorando le prospettive di trattamento per una delle forme più aggressive di cancro. La possibilità di riposizionare il farmaco per il trattamento del PDAC rappresenta un promettente sviluppo, evidenziando l’importanza della ricerca scientifica nella scoperta di nuovi utilizzi per farmaci esistenti. La continua ricerca e il sostegno finanziario saranno cruciali per approfondire queste scoperte e trasformarle in soluzioni cliniche efficaci.
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Tumore al pancreas, l’efficacia di una nuova terapia
Tumori al colon, AI diventa terzo occhio dell’endoscopista
Associazioni pazienti, Prevenzione, Ricerca innovazioneL’intelligenza artificiale ha un ruolo sempre più importante nel supportare lo specialista nella diagnosi dei tumori. Di recente a Milano si è discusso delle applicazioni nella prevenzione del tumore al colon durante l’edizione italiana di ‘AI NOW ITALY – Embracing the Future Right Here, Right Now’. L’iniziativa è promossa da Medtronic ed è dedicata all’adozione dell’AI nell’ambito endoscopico per il rilevamento dei polipi del colon-retto. Clinici provenienti da tutta Italia hanno condiviso la propria esperienza ed esplorato temi della AI in gastroenterologia.
AI, applicazioni
In campo sanitario, oggi l’AI sta ridefinendo anche il modo in cui vengono diagnosticate molte patologie, tra cui il tumore al colon. Attraverso algoritmi di apprendimento automatico ed analisi dei dati, l’intelligenza artificiale (AI) elabora grandi quantità di informazioni mediche in modo rapido ed accurato. Questo rende sempre più precise le decisioni cliniche e migliora gli esiti di salute dei pazienti.
Oggi esiste il primo sistema di rilevamento assistito da computer (CADe) disponibile in commercio che utilizza l’Intelligenza Artificiale per identificare i polipi del colon-retto. La sua efficacia è stata studiata in più di 30 pubblicazioni scientifiche, coinvolgendo un totale di oltre 23.000 pazienti. In base ai sistemi attualmente presenti, il sistema ha un impatto potenziale su 2.7 milioni di pazienti nel mondo ogni anno.
Il dispositivo si è evoluto significativamente nel corso degli anni: oltre a essere programmato per rilevare polipi di diverse forme e misure, oggi è dotato di una funzione di caratterizzazione (CADx) che consiste nella capacità di fornire una predizione sulla natura istologica del polipo rilevato: “no adenoma” (e quindi innocuo) o “adenoma” (potenzialmente pericoloso). Quando l’operatore si sofferma su una lesione, la funzione si attiva in automatico e in pochi secondi fornisce il proprio responso.
“L’intelligenza artificiale in endoscopia digestiva è ormai uno strumento validato ed indispensabile in particolare per aumentare significativamente la diagnosi di lesioni potenzialmente neoplastiche durante la colonscopia – ha osservato il dottor Marco Emilio Dinelli, Direttore SC Endoscopia Interventistica della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza – Il suo impiego è previsto rapidamente estendersi anche al riconoscimento delle lesioni potenzialmente neoplastiche di esofago e stomaco e, quando associato alla videocapsula, a quelle sanguinanti del piccolo intestino”.
Lo studio
In particolare, la qualità della colonscopia è misurata da due indicatori i cui valori dimostrano anche l’efficacia dell’AI: l’Adenoma Miss Rate (AMR) e l’Adenoma Detection Rate (ADR). Il primo indica la percentuale di lesioni non diagnosticate dalla colonscopia che deve essere la più bassa possibile; il secondo rappresenta il tasso di rilevamento dell’adenoma e deve essere il più alto possibile.
Lo studio randomizzato “Impact of Artificial Intelligence on Miss Rate of Colorectal Neoplasia” (Wallace et al., Gastroenterology, 2022), condotto in 8 centri tra Italia, UK e USA su 230 pazienti, ha evidenziato che l’Intelligenza Artificiale di GI Genius™ può ridurre l’AMR di circa il 50%. Questi risultati si affiancano al precedente studio multicentrico randomizzato “Efficacy of Real-Time Computer-Aided Detection of Colorectal Neoplasia in a Randomized Trial” (Repici et al., Gastroenterology, 2020), che ha coinvolto 685 pazienti in 3 ospedali, confermando che l’assistenza computerizzata in tempo reale migliora significativamente l’ADR senza prolungare il tempo di procedura. Gli studi dimostrano quindi anche che con il decisivo ausilio dell’AI la qualità delle colonscopie viene aumentata e standardizzata.
Colonscopia più efficace con AI
“Uno degli aspetti critici di una colonscopia è l’impossibilità di esplorare completamente la mucosa del colon per la variabilità della anatomia e del risultato della toilette intestinale. La conformazione del colon rende poco visibili, in particolare, le superfici prossimali delle Haustra Coli (gli infossamenti o tasche della superficie interna dell’organo ndr). L’AI ha dimostrato in una molteplice serie di lavori scientifici di essere di notevole ausilio nell’implementare la ricerca di polipi precursori dei tumori colici. La IA è il terzo occhio dell’endoscopista che aiuta a focalizzare aree della superficie della mucosa colica a volte poco percettibili nella pratica routinaria endoscopica” ha spiegato il Dott. Massimo Cianci, Responsabile UF di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva presso la CdC Pierangeli di Pescara.
Anziani, 1 mln italiani over 90 entro 3 anni
Anziani, Associazioni pazienti, Economia sanitaria, NewsIl bisogno di assistenza domiciliare agli anziani aumenta, nonostante il trend di crescita degli over-65 che beneficiano di cure a casa. Sono, infatti, passati dai 252mila (1,95% del totale) del 2014 ai quasi 550mila (3,89%) del 2023. Secondo i dati forniti dalle Regioni al Ministero della Salute, sarebbero oltre 80mila in più gli anziani che nell’ultimo anno sono stati assistiti al domicilio rispetto al 2022, dato positivo ma che sembra non trovare riscontro nel ‘mondo reale’, secondo l’analisi di Italia Longeva. C’è poi un altro 2,88% di ultra 65enni (404.235 persone) che ha ricevuto cure residenziali (RSA) nell’ultimo anno.
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Anziani in aumento, oggi 65% delle persone con demenza senza assistenza
Nei prossimi 20 anni, si stima saranno all’incirca 6 milioni gli over-65 soli e a rischio di isolamento. Oggi il 64% delle persone con demenza, tra le prime cause di perdita di autonomia negli anziani, non viene preso in carico in una struttura sociosanitaria, con un onere fortissimo per milioni di famiglie. Va poi considerato che laddove c’è meno assistenza domiciliare aumentano gli accessi al Pronto Soccorso e i ricoveri inappropriati e, dunque, la spesa a carico del servizio sanitario.
È quanto emerge dall’Indagine 2024 di Italia Longeva che, a partire dai dati del Sistema informativo del Ministero della Salute, fotografa l’andamento della long-term care nel nostro Paese, cioè dell’assistenza territoriale offerta ai cittadini fragili in risposta ai diversi livelli di intensità dei loro bisogni. Il Report è stato presentato oggi al Ministero della Salute, nel corso della nona edizione degli “Stati Generali dell’assistenza a lungo termine – Long-Term Care NINE”, l’appuntamento annuale di Italia Longeva che riunisce gli attori che, ai vari livelli, si occupano di programmare e gestire l’assistenza agli anziani.
“Leggiamo con cauto ottimismo i numeri sull’ADI forniti dalle Regioni. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie ad esso correlate – diabete, patologie cardiovascolari, demenze -, ci impongono di premere l’acceleratore per potenziare e rendere più omogenea l’assistenza sul territorio”, commenta Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva. “Continuiamo a concentrarci sull’ADI perché siamo convinti che sia l’unica risposta possibile di un servizio sanitario in grado di affrontare e non di subire l’assistenza agli anziani. Pensiamo agli accessi in Pronto Soccorso e ai ricoveri inappropriati, ma anche alla necessità di garantire la messa in sicurezza dei pazienti fragili che vengono dimessi dall’ospedale, soprattutto di coloro che sono privi di un supporto familiare”.
600 mila i ricoveri inappropriati
A tal proposito, sono state calcolate 600mila giornate di degenza inappropriate all’anno per gli over-70 (fonte Agenas su dati SDO 2019), solo per la gestione di cronicità come diabete e ipertensione, che contribuiscono al sovraffollamento degli ospedali e all’aumento delle liste d’attesa, nonché al fenomeno delle dimissioni tardive per mancata disponibilità di presa in carico sul territorio. “Potenziare i servizi di long-term care, in particolare le cure domiciliari – aggiunge Bernabei -, significa costruire un ponte tra ospedale e casa, e dare finalmente un’assistenza congrua ai nostri anziani”.
Il peso delle malattie neurodegenerative
Alzheimer
L’urgenza di rafforzare l’offerta di long-term care va letta anche alla luce del peso crescente delle malattie neurodegenerative in un Paese con 14,3 milioni di anziani, di cui oltre 4,5 milioni di 80enni, e previsioni che stimano una quota del 34% di over-65 nei prossimi 20 anni, con gli over-80 che supereranno i 6 milioni. L’Indagine 2024 di Italia Longeva ha aperto una finestra sulla demenza, condizione che in Italia interessa 1,5 milioni di persone, di cui oltre 600.000 sono affette da malattia di Alzheimer, cui si aggiungono altri 900mila italiani con diagnosi di pre-demenza. Questi numeri, uniti all’impatto economico della gestione e del trattamento dei pazienti con demenza – 23,6 miliardi di euro, di cui oltre il 60% a totale carico delle famiglie – danno la misura dell’imponente domanda di cure e supporto specifici che si rendono necessari e sempre di più lo saranno nel prossimo futuro.
Il report
“Anche quest’anno Italia Longeva ha offerto una fotografia sullo stato dell’arte della long-term care lungo lo Stivale, aggiungendo un focus specifico sulle malattie neurodegenerative che accompagnano l’invecchiamento della popolazione”, aggiunge Davide Vetrano, geriatra ed epidemiologo, consulente scientifico di Italia Longeva. “L’Italia sta facendo dei passi in avanti nell’organizzazione e nell’offerta dei servizi di ADI e RSA, che rappresentano le due componenti cruciali di una risposta sanitaria coerente alle esigenze degli anziani più fragili. Il panorama geografico delle cure domiciliari resta estremamente variegato: Molise, Abruzzo, Basilicata, Toscana e Umbria sono quelle che fanno meglio, con tassi di copertura di ADI superiori al 4,5%. Per quanto riguarda le cure residenziali, sono poco più di 400mila gli over-65 che ne hanno beneficiato nell’ultimo anno, ancora una volta con una distribuzione a macchia di leopardo: tassi di residenzialità più elevati si registrano nelle regioni del Nord – Provincia Autonoma di Trento (9,9%), Veneto (5,9%), Piemonte (5,4%), Lombardia (4,6%) e Provincia Autonoma di Bolzano (4,3%) – e sono per lo più correlati alle peculiari caratteristiche del tessuto sociale”.
Le cure sul territorio
“Per affrontare efficacemente la fragilità degli anziani sono necessari setting assistenziali, conoscenze e competenze specifiche, e la capacità del sistema di assicurare la continuità della presa in carico tra i diversi livelli e luoghi di cura. Innanzitutto, prendendo in carico gli anziani nel proprio ambiente domestico il più a lungo possibile, fornendo cure mediche, infermieristiche e riabilitative e supporto adeguati per mantenere una buona qualità della vita. Ma il principio guida di questa rete di assistenza è quello di trovare la migliore soluzione assistenziale per il paziente sul territorio, a seconda della complessità dei suoi bisogni: servizi di ADI, accesso in RSA, strutture di lungodegenza o hospice, in cui ciascun attore, professionista, caregiver, gioca la sua parte per dare risposte coerenti alle esigenze degli anziani”, conclude il presidente di Italia Longeva.
Astenia, ecco come combatterla con l’alimentazione
Alimentazione, NewsL’astenia, o più semplicemente la stanchezza, può essere causata da vari fattori fisiologici e psicofisici. Un fenomeno particolarmente accentuato durante i mesi invernali, quando la riduzione della luce solare porta a una diminuzione della produzione di serotonina (l’ormone che regola l’umore) e un aumento della produzione di melatonina (l’ormone che favorisce il sonno). Ma l’astenia può anche essere causata dal grande caldo. Per combattere la stanchezza, l’alimentazione può diventare un alleato prezioso, purché si presti attenzione a non eccedere con zuccheri e caffeina. Questi, infatti, offrono un rapido sollievo ma, a lungo termine, possono aumentare la sensazione di fatica e la fame. Vediamo allora come adeguare la dieta per combattere la stanchezza e quali alimenti preferire.
Gli alimenti che combattono l’astenia
I tre macronutrienti principali che contribuiscono alle nostre riserve energetiche sono carboidrati, proteine e grassi. Le proteine, in particolare se associate ai carboidrati, forniscono energia di lunga durata. Le fonti proteiche animali includono carne, pesce, latticini e uova, mentre le fonti vegetali comprendono legumi, frutta secca e i loro derivati. I cereali, ricchi di carboidrati, favoriscono una ripresa veloce delle energie. I nutrizionisti consigliano di solito l’assunzione regolare di grano integrale, farina d’avena e riso bianco. In generale, consumare prodotti di stagione è sempre una scelta saggia, poiché contengono una maggiore concentrazione di nutrienti come sali minerali e vitamine.
Vitamine e minerali: micronutrienti essenziali
Le vitamine e i minerali non forniscono energia diretta ma sono fondamentali per il mantenimento dei processi biologici ed energetici. La frutta e la verdura sono ricche di questi micronutrienti e dovrebbero essere consumate fresche per evitare l’eccesso di zuccheri presente nei succhi e nelle centrifughe. Tra i frutti più nutrienti troviamo:
Per quanto riguarda le verdure, si distinguono:
L’importanza delle vitamine
Le vitamine A ed E hanno funzioni antiossidanti, mentre quelle del gruppo B, in particolare la B5 e la B7, sono cruciali per il metabolismo energetico. La vitamina C facilita l’assorbimento del ferro, e la vitamina D sostiene l’apparato osseo e riduce l’affaticamento muscolare. Alimenti ricchi di vitamina D includono il tuorlo d’uovo, il salmone e lo sgombro.
Come suddividere i pasti?
Una buona qualità del sonno è essenziale per avere energia durante il giorno, e l’alimentazione gioca un ruolo cruciale nel mantenere un ritmo sonno-veglia regolare. È consigliato consumare una colazione abbondante, un pranzo soddisfacente e una cena leggera, distanziata dal momento di andare a dormire.
Colazione
È unanime l’idea che la colazione sia il pasto più importante della giornata. Una colazione ideale potrebbe includere:
Spuntini, pranzo e cena
Per lo spuntino di metà mattina, si consigliano frutta secca, cioccolato fondente e frutta fresca. Invece, per pranzo e cena servono altri alimenti. A pranzo e cena, zuppe e minestre con verdure in inverno, cereali e legumi – più in estate – sono ottime per l’assunzione di sali minerali e vitamine. Questi alimenti sono anche ricchi di fibre, che aiutano a ridurre l’assorbimento di grassi e zuccheri. Le proteine animali dovrebbero essere consumate a rotazione settimanale.
Idratazione
Mantenersi idratati è fondamentale per avere energia e prevenire la dispersione dei sali minerali. È consigliato bere 8-10 bicchieri d’acqua al giorno, preferibilmente a temperatura ambiente. Se la stanchezza persiste senza cause apparenti, è importante consultare un medico per escludere patologie sottostanti. Una volta confermato che lo stato di salute è normale, un nutrizionista può aiutare a modificare l’alimentazione per combattere la stanchezza. In alcuni casi, il medico potrebbe prescrivere integratori di vitamina D, vitamina C o vitamina B, specialmente per chi segue una dieta vegetariana o vegana. Gli sportivi potrebbero aver bisogno di integratori di sali minerali come potassio e magnesio. È sempre meglio chiedere consiglio al medico ed evitare l’assunzione autonoma di integratori.
Dunque, un’alimentazione equilibrata e ricca di nutrienti, insieme a una buona idratazione e a un adeguato ritmo sonno-veglia, può aiutare a combattere la stanchezza e a mantenere alti i livelli di energia durante tutto l’anno.
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Dieta occidentale accorcia la vita del 10%
Alimentazione, Benessere, Medicina Sociale, Prevenzione, Stili di vitaUna dieta sbagliata, sia per eccesso che per difetto, impatta sulla salute degli europei. Eppure la gestione clinica della malnutrizione non ha ancora un percorso ben definito.
“Le conseguenze negative della malnutrizione sono numerose e gravi: aumenta il rischio di patologie nei soggetti sani, il rischio di complicazioni nelle persone con patologie croniche, allunga la degenza ospedaliera, riduce la durata e la qualità della vita. Purtroppo, la gestione della malnutrizione nell’ambito sanitario è spesso inadeguata” sottolinea il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC, la Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo che aggiunge: “La SINuC sottolinea l’enorme importanza di un fondo sanitario dedicato alla prevenzione delle malattie proprio con approcci nutrizionali improntati a corretti stili di vita sin dalla prima infanzia e per tutta la durata della vita”.
Incriminata dieta con troppi grassi e cibi ultraprocessati
Lo studio della Fondazione Aletheia, patrocinato dal ministero della Salute, ha evidenziato che per coprire i costi di sovrappeso e obesità, ogni Italiano paga quasi 300 euro di tasse l’anno il che comporta una contrazione del PIL del 2,8%. Pesano nel calcolo l’adozione di una dieta di tipo ‘western’ ricca di carne e cibi pronti o ultra-processati che influisce sullo sviluppo di sovrappeso e obesità anche nei giovani. Negli ultimi venti anni in Italia, c’è stato un aumento del 7,1% delle persone in sovrappeso e del 36,4% di quelle obese.
“Uno studio presentato all’ultimo meeting dell’American Society for Nutrition ha sottolineato proprio l’impatto di bevande analcoliche e carni lavorate: secondo l’indagine, assumere quantità elevate di cibo ultra-processato può ridurre la durata della vita di oltre il 10%. Il rischio di mortalità sale al 15% per gli uomini e al 14% per le donne” afferma il Professor Alessio Molfino, del Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione Sapienza Università di Roma.
“Quando parliamo di malnutrizione dobbiamo considerare entrambe le facce della medaglia, la malnutrizione per eccesso, ma anche quella per difetto con obesità e perdita di massa muscolare – condizione nota come obesità sarcopenica, in grado di aumentare il rischio di fragilità, peggiorando i quadri clinici”.
Dieta mediterranea fa risparmiare e previene 688 mila malattie croniche
Il rapporto realizzato da Fondazione Aletheia indica che una riduzione del 20% delle calorie assunte da alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale e grassi saturi potrebbe prevenire in Italia 688 mila malattie croniche entro il 2050 e far risparmiare 278 milioni di euro l’anno di spesa sanitaria.
Mentre l’aderenza alla dieta mediterranea ha mostrato vantaggi a lungo termine: maggiore longevità, invecchiamento in salute, diminuzione dell’infiammazione e migliore immunità grazie anche al miglior profilo del microbiota intestinale e dei parametri metabolici.
Ragno violino, è allarme
NewsNegli ultimi giorni si è creato un vero e proprio allarme sul web per la possibile pericolosità del ragno violino. Un allarme, diciamolo subito, che in realtà è più una psicosi, visto che il ragno violino è comunemente presente in Italia e il suo morso (benché pericoloso) non è letale. Tant’è, dopo che del ragno violino se n’è parlato come possibile causa di morte di un carabiniere 52enne a Palermo, il web è come impazzito.
Aumento delle segnalazioni
In particolare, con il clamore suscitato dalla vicenda di Palermo, le chiamate ai centri antiveleni dei principali ospedali italiani sono aumentate a dismisura. Tutte chiamate, è bene ricordarlo, che si sono concluse con un nulla di fatto o con semplici raccomandazioni. Molte le domande su come comportarsi e come fare a capire se in casa abbiamo il temutissimo aracnide. In realtà il ragno violino è presente in moltissime case, soprattutto nelle regioni del Nord Italia. È un ragno che non ama la presenza dell’uomo, non a caso viene anche chiamato ragno eremita. Per questo, tendenzialmente se ne sta in posti dove non viene disturbato e morde solo se in qualche modo si sente attaccato.
Le caratteristiche del morso del ragno violino
Benché non ci sia alcun allarme per questo aracnide, questo non significa che il suo morso – che non è letale – vada sottovalutato. Il morso del ragno violino ha delle caratteristiche peculiari che lo rendono particolarmente insidioso. Inizialmente, il morso è asintomatico e indolore, senza alcuna alterazione visibile nell’area interessata. Tuttavia, nelle ore successive, la situazione può cambiare significativamente. Certo, va detto che in letteratura né in medicina, così come nella casistica dei centri antiveleni, non risultano decessi da morso di ragno violino.
Sintomi e sviluppo della lesione
Dopo qualche ora dal morso, può comparire una lesione arrossata accompagnata da prurito, bruciore e formicolii. Nel corso delle 48-72 ore successive, la lesione può evolvere, diventando necrotica e potenzialmente ulcerandosi. Oltre all’iniezione del veleno, il ragno violino può introdurre nei tessuti batteri anaerobi, microrganismi che proliferano in assenza di ossigeno, complicando ulteriormente il decorso della lesione. L’azione di questi batteri provoca la liquefazione dei tessuti colpiti, aggravando la gravità della ferita.
Complicazioni severe
Molto di rado, in situazioni particolarmente gravi, il morso del ragno violino può causare sintomi sistemici come febbre, rash cutaneo ed ecchimosi. L’evoluzione da semplice morso a lesione necrotica è molto rara e solo meno dell’1% di questi casi evolve ulteriormente comportando sintomi simil-influenzali, febbricola, dolori articolari. Se accade, i danni possono estendersi ai muscoli, ai reni, e in casi estremi, possono verificarsi emorragie. In questi casi la gravità di questi sintomi richiede un trattamento specifico, come la terapia in camera iperbarica. Ma si tratta di situazioni veramente al limite.
Cosa fare in caso di puntura del ragno violino?
In caso di puntura è fondamentale agire rapidamente e con precisione:
Mai sottovalutare il morso
Quindi, benché non ci sia ragione di finire in una psicosi collettiva, è bene non sottovalutare mai il morso di un ragno violino. In caso di peggioramento dei sintomi locali nelle ore successive, o se compare una lesione con una zona centrale inizialmente arrossata che diventa più scura, è cruciale contattare immediatamente il Centro Antiveleni più vicino per ottenere assistenza medica appropriata.
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Nuovi criteri per obesità: BMI superato e attenzione al grasso addominale
Alimentazione, Associazioni pazienti, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaLa distribuzione del grasso corporeo ha molto più valore dell’indice di massa corporeo. Quest’ultimo, infatti, non è più considerato un parametro affidabile. Con il nuovo schema, molte più persone potrebbero beneficiare dal trattamento dell’obesità anche se si trovano al di sotto del livello di soglia di BMI di 30.
Diagnosticare e curare l’obesità
Il sistema per diagnosticare e gestire l’obesità non può più basarsi solo sull’indice di massa corporea (BMI), che esclude molte persone che trarrebbero beneficio dal trattamento dell’obesità. La diagnosi, la stadiazione e la gestione negli adulti seguirà un nuovo schema. Lo ha stabilito l’European Association for the Study of Obesity (EASO). Lo studio è stato pubblicato su Nature Medicine e propone di modernizzare la diagnosi e il trattamento della patologia tenendo conto di tutti gli ultimi sviluppi nel campo, compresa la nuova generazione di farmaci.
Malattia multifattoriale
L’obesità è una malattia multifattoriale, cronica, recidivante e non trasmissibile, caratterizzata da un accumulo anormale e/o eccessivo di grasso corporeo. Tuttavia la diagnosi è ancora in molti contesti basata esclusivamente sui valori di soglia del BMI e non riflette il ruolo della distribuzione e della funzione del tessuto adiposo nella gravità della malattia.
Il Gruppo di Lavoro EASO, composto da esperti tra cui gli attuali e i precedenti Presidenti dell’Associazione, ha redatto una serie di dichiarazioni sulla diagnosi, la stadiazione e il trattamento dell’obesità che allineeranno la gestione della condizione con le più recenti conoscenze e sviluppi scientifici.
Grasso addominale fattore di rischio
Gli autori affermano: “Una novità importante del nostro schema riguarda la componente antropometrica della diagnosi. La base di questo cambiamento è il riconoscimento che il solo BMI è insufficiente come criterio diagnostico e che la distribuzione del grasso corporeo ha un effetto sostanziale sulla salute. Più specificamente, l’accumulo di grasso addominale è associato ad un aumento del rischio di sviluppare complicazioni cardiometaboliche ed è un determinante più forte dello sviluppo della malattia rispetto al BMI, anche in individui con un livello di BMI inferiore ai valori di soglia standard per la diagnosi di obesità (BMI di 30).”
Il nuovo schema chiarisce che l’accumulo di grasso addominale (viscerale) è un importante fattore di rischio per il deterioramento della salute, anche in persone con BMI basso e ancora prive di manifestazioni cliniche evidenti. Il nuovo schema include persone con BMI basso (≥25–30 kg/m2) ma accumulo di grasso addominale aumentato e presenza di eventuali compromissioni mediche, funzionali o psicologiche nella definizione di obesità, riducendo quindi il rischio di sottotrattamento in questo particolare gruppo di pazienti rispetto all’attuale definizione di obesità basata sul BMI.
Trattamento e linee guida
Gli autori chiariscono che i pilastri del trattamento delle persone con obesità nelle loro raccomandazioni aderiscono sostanzialmente alle linee guida attualmente disponibili. Le modifiche comportamentali, inclusa la terapia nutrizionale, l’attività fisica, la riduzione dello stress e il miglioramento del sonno, sono stati concordati come i principali capisaldi della gestione dell’obesità, con la possibile aggiunta di terapia psicologica, farmaci per l’obesità e procedure metaboliche o bariatriche (chirurgiche ed endoscopiche).
Tuttavia, per queste ultime due opzioni, il comitato direttivo ha discusso il fatto che le attuali linee guida si basano su evidenze cliniche derivanti da studi clinici, in cui i criteri di inclusione erano per lo più basati su valori di soglia antropometrici piuttosto che su una valutazione clinica completa. Nella pratica attuale, l’applicazione rigorosa di questi criteri basati su evidenze preclude l’uso di farmaci per l’obesità o procedure metaboliche/bariatriche in pazienti con un sostanziale carico di malattia da obesità ma valori di BMI bassi.
Farmaci
I membri del comitato direttivo hanno proposto che, in particolare, l’uso di farmaci dovrebbe essere considerato in pazienti con BMI di 25 kg/m2 o superiore e un rapporto vita-altezza superiore a 0,5 e la presenza di compromissioni o complicazioni mediche, funzionali o psicologiche, indipendentemente dai valori di soglia di BMI attuali.
Gli autori affermano: “Questa dichiarazione può anche essere vista come un appello alle aziende farmaceutiche e alle autorità regolatorie a utilizzare criteri di inclusione più aderenti alla stadiazione clinica dell’obesità e meno ai tradizionali cut-off di BMI quando si progettano futuri studi clinici con farmaci per l’obesità.”
Concludono: “Questa dichiarazione avvicinerà la gestione dell’obesità a quella di altre malattie croniche non trasmissibili, in cui l’obiettivo non è rappresentato da esiti intermedi a breve termine, ma da benefici per la salute a lungo termine. Definire obiettivi terapeutici personalizzati a lungo termine dovrebbe informare la discussione con i pazienti dall’inizio del trattamento, considerando lo stadio e la gravità della malattia, le opzioni terapeutiche disponibili e i possibili effetti collaterali e rischi concomitanti, le preferenze del paziente, i fattori individuali che determinano l’obesità e le possibili barriere al trattamento. Si sottolinea la necessità di un piano di trattamento globale a lungo termine o per tutta la vita piuttosto che di una riduzione del peso corporeo a breve termine.”