Tempo di lettura: 5 minutiI casi di celiachia sono in aumento, ma migliora la prognosi. Nel nostro Paese sono oltre 244 mila i diagnosticati, ma in realtà si stima siano circa 600mila. Infatti, la malattia può essere asintomatica, pur provocando gravi conseguenze. Nel frattempo la ricerca va avanti e allo studio ci sono anche farmaci che potrebbero supportare la dieta senza glutine.
Linee guida nazionali
Per i pazienti affetti da celiachia la terapia da seguire è la dieta senza glutine. Alla diagnosi, alla terapia e al follow-up della malattia e della dermatite erpetiforme, la Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), in collaborazione con altre società scientifiche, ha dedicato un documento con le Linee guida nazionali, presentato questa mattina, 23 gennaio, al Senato.
Il documento fa parte della serie di quattro Linee guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità. Comprende il trattamento della celiachia, della pancreatite acuta, della diverticolosi del colon e dell’infezione da Helicobacter pylori. I quattro documenti sono stati inseriti nel Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità e dedicati a medici di medicina generale, pediatri, gastroenterologi e altri specialisti.
“Le malattie dell’apparato digerente rappresentano la terza causa per ricovero ordinario in Italia e hanno un notevole impatto anche sull’attività dei medici di medicina generale. La stesura di Linee guida sulle malattie gastroenterologiche più frequenti rappresenta un tentativo di fornire a tutti i medici uno strumento idoneo per migliorare la diagnosi e la cura dei pazienti, e per contenere la spesa sanitaria”, osserva il professor Luca Frulloni, docente ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Verona e presidente della SIGE.
Celiachia in Italia, pazienti discriminati
“Gli ultimi dati sui celiaci in Italia parlano di oltre 244 mila diagnosticati, ma gli stimati sono circa 600 mila. Spesso infatti la malattia è asintomatica, questo però non significa che non provochi danni all’organismo se non scoperta per tempo. Di frequente ci sono altre malattie ad essa correlate oppure accade che le altre patologie siano l’antitesi della celiachia o il semaforo di allerta. Ecco quindi che la collaborazione tra specialisti sanitari è importante e le Linee guida presentate oggi sono uno strumento di formazione anche per i medici di medicina generale e i pediatri che sono il primo punto di contatto del paziente. La formazione è importante e da portare avanti su più fronti: nelle scuole, con l’educazione alimentare per insegnanti e studenti, negli istituti alberghieri. A rendere la vita dei celiaci più difficile sono la discriminazione – molti li guardano con sospetto pensando che la dieta senza glutine serva solo a dimagrire – e i problemi di inclusione, a cominciare dal momento del pranzo nella mensa scolastica fino alle uscite al ristorante con gli amici.” Lo afferma la senatrice Elena Murelli, membro della Commissione Permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, promotrice dell’Intergruppo parlamentare su malattia celiaca, allergie alimentari e AFSM (Alimenti a fini medici speciali).
Celiachia
“La malattia celiaca è una malattia cronica del piccolo intestino, dovuta, in individui geneticamente predisposti, al consumo di glutine, la miscela proteica di grano e altri cereali. È causa di atrofia dei villi intestinali e conseguente riduzione della superficie assorbente intestinale e quindi riduzione dell’assorbimento dei nutrienti ingeriti. È molto frequente nella popolazione generale e in alcuni casi (<1%) insorgono complicanze. Negli ultimi venti anni la prognosi è comunque molto migliorata”, spiega il professor Federico Biagi, docente ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Pavia, tra i curatori delle Linee guida.
Diagnosi
“In caso di sospetta malattia celiaca e quindi in presenza di sintomi, patologie autoimmuni associate o anche solo per familiarità, un prelievo di sangue per la ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi IgA, associato al dosaggio delle Immunoglobuline IgA totali, indicherà se eseguire la biopsia intestinale per la valutazione del danno atrofico intestinale”, continua la professoressa Fabiana Zingone, docente associato di Gastroenterologia dell’Università di Padova e curatrice delle Linee guida insieme a Biagi. “Raccomandiamo – prosegue – di eseguire questi esami a dieta libera, quindi non iniziare la dieta priva di glutine prima di completare l’iter diagnostico. In ogni caso, è importante rivolgersi a un centro di riferimento regionale per la malattia celiaca per la corretta interpretazione degli esiti. Per i bambini è possibile, in caso di anticorpi molto elevati, evitare la biopsia intestinale, ma questa strategia deve essere decisa solo da pediatri dei centri di riferimento per la malattia celiaca. Uno studio internazionale, coordinato dall’Italia e recentemente pubblicato, dimostra che la strategia di diagnosi senza biopsia è applicabile anche, in casi selezionati, alla popolazione adulta. In un prossimo futuro, è pertanto possibile che tale approccio verrà utilizzato anche in un sottogruppo di pazienti adulti”.
Follow-up
“Una volta diagnosticata la malattia celiaca – aggiunge la Zingone – si raccomanda di continuare il follow-up presso un centro dedicato. Nelle visite si valuterà la progressiva remissione dei sintomi, la negativizzazione degli anticorpi e la corretta aderenza alla dieta senza glutine. È raccomandato, soprattutto nelle fasi iniziali, sottoporsi ad una valutazione dietistica per essere educati ad una corretta dieta senza glutine. La biopsia intestinale non è sempre necessaria nel follow-up, viene in genere eseguita in caso di mancata risposta clinica e laboratoristica e nel sospetto di complicanze della malattia celiaca. Quest’ultime, seppur molto rare, richiedono una attenta valutazione in centri dedicati”.
Dieta
“La dieta aglutinata, cioè priva di glutine, è il cardine della terapia della malattia celiaca. Tutti gli alimenti derivati da grano, orzo e segale contengono glutine. Il paziente celiaco va adeguatamente istruito per eliminare il glutine completamente e indefinitamente dalla dieta, senza sgarri o trasgressioni. Il rigore nella dieta non deve però diventare una ‘fobia delle contaminazioni’. Il paziente celiaco – sottolinea il professor Biagi – ben informato e attento alla propria salute non può ingerire involontariamente una dose tossica di glutine”.
Nuove terapie in arrivo
“Negli ultimi anni – illustra la professoressa Zingone – la ricerca ha individuato dei farmaci che possano bloccare in diversi punti la cascata patogenetica, causa della malattia celiaca. I target sono diversi: dalla digestione delle frazioni tossiche del glutine alla inibizione di alcune tappe della infiammazione glutine-correlata. Alcuni di questi studi sono in corso anche in alcuni centri italiani. I risultati sembrano promettenti per alcuni farmaci, ma bisognerà attendere ulteriori risultati al fine di definire la popolazione target e le modalità di utilizzo in pratica clinica”.
Gluten free per moda
Il mercato del senza glutine in Italia è stimato in circa 400 milioni, complessivamente. “Il dato deve essere confrontato con il valore annuale dell’assistenza integrativa garantita in Italia dal SSN, che nel 2021 era indicata nella Relazione al Parlamento sulla celiachia pari a 233 milioni, con un costo medio pro capite di 965€/anno. Anche tenendo conto della possibile integrazione al tetto di spesa da parte delle famiglie con paziente celiaco, tuttavia marginale secondo la nostra valutazione, emerge il ricorso alla dieta senza glutine anche da parte di consumatori non celiaci, che, per scelta, inseriscono prodotti senza glutine nella loro dieta. Il fenomeno trova conferma nelle informazioni da noi rilevate sulla “moda” della dieta senza glutine, cui si ricorre per dimagrire, per “sentirsi più leggeri”, per emulare le abitudini alimentari di campioni sportivi o star dello spettacolo, diffuse attraverso i social media.
La raccomandazione di AIC è sempre di non mettersi a dieta in presenza di sintomi di celiachia prima di aver completato l’iter di diagnosi, che si rende impossibile se il paziente è a dieta senza glutine”, afferma Rossella Valmarana, presidente della Associazione Italiana Celiachia (AIC).
Celiachia spesso non vista
“L’Associazione continua a raccogliere le storie dei pazienti che arrivano con fatica alla diagnosi di celiachia – continua la presidente – perché il medico non riconosce sintomi predittivi che non siano i classici, perché i pazienti sono messi a dieta dal medico di medicina generale o dallo specialista prima di aver concluso l’iter diagnostico, perché il test è fatto una volta e mai più ripetuto.” conclude la presidente Valmarana.
Celiachia in aumento, diagnosi, dieta e nuove terapie
Alimentazione, Associazioni pazienti, News Presa, PrevenzioneI casi di celiachia sono in aumento, ma migliora la prognosi. Nel nostro Paese sono oltre 244 mila i diagnosticati, ma in realtà si stima siano circa 600mila. Infatti, la malattia può essere asintomatica, pur provocando gravi conseguenze. Nel frattempo la ricerca va avanti e allo studio ci sono anche farmaci che potrebbero supportare la dieta senza glutine.
Linee guida nazionali
Per i pazienti affetti da celiachia la terapia da seguire è la dieta senza glutine. Alla diagnosi, alla terapia e al follow-up della malattia e della dermatite erpetiforme, la Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), in collaborazione con altre società scientifiche, ha dedicato un documento con le Linee guida nazionali, presentato questa mattina, 23 gennaio, al Senato.
Il documento fa parte della serie di quattro Linee guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità. Comprende il trattamento della celiachia, della pancreatite acuta, della diverticolosi del colon e dell’infezione da Helicobacter pylori. I quattro documenti sono stati inseriti nel Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità e dedicati a medici di medicina generale, pediatri, gastroenterologi e altri specialisti.
“Le malattie dell’apparato digerente rappresentano la terza causa per ricovero ordinario in Italia e hanno un notevole impatto anche sull’attività dei medici di medicina generale. La stesura di Linee guida sulle malattie gastroenterologiche più frequenti rappresenta un tentativo di fornire a tutti i medici uno strumento idoneo per migliorare la diagnosi e la cura dei pazienti, e per contenere la spesa sanitaria”, osserva il professor Luca Frulloni, docente ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Verona e presidente della SIGE.
Celiachia in Italia, pazienti discriminati
“Gli ultimi dati sui celiaci in Italia parlano di oltre 244 mila diagnosticati, ma gli stimati sono circa 600 mila. Spesso infatti la malattia è asintomatica, questo però non significa che non provochi danni all’organismo se non scoperta per tempo. Di frequente ci sono altre malattie ad essa correlate oppure accade che le altre patologie siano l’antitesi della celiachia o il semaforo di allerta. Ecco quindi che la collaborazione tra specialisti sanitari è importante e le Linee guida presentate oggi sono uno strumento di formazione anche per i medici di medicina generale e i pediatri che sono il primo punto di contatto del paziente. La formazione è importante e da portare avanti su più fronti: nelle scuole, con l’educazione alimentare per insegnanti e studenti, negli istituti alberghieri. A rendere la vita dei celiaci più difficile sono la discriminazione – molti li guardano con sospetto pensando che la dieta senza glutine serva solo a dimagrire – e i problemi di inclusione, a cominciare dal momento del pranzo nella mensa scolastica fino alle uscite al ristorante con gli amici.” Lo afferma la senatrice Elena Murelli, membro della Commissione Permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, promotrice dell’Intergruppo parlamentare su malattia celiaca, allergie alimentari e AFSM (Alimenti a fini medici speciali).
Celiachia
“La malattia celiaca è una malattia cronica del piccolo intestino, dovuta, in individui geneticamente predisposti, al consumo di glutine, la miscela proteica di grano e altri cereali. È causa di atrofia dei villi intestinali e conseguente riduzione della superficie assorbente intestinale e quindi riduzione dell’assorbimento dei nutrienti ingeriti. È molto frequente nella popolazione generale e in alcuni casi (<1%) insorgono complicanze. Negli ultimi venti anni la prognosi è comunque molto migliorata”, spiega il professor Federico Biagi, docente ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Pavia, tra i curatori delle Linee guida.
Diagnosi
“In caso di sospetta malattia celiaca e quindi in presenza di sintomi, patologie autoimmuni associate o anche solo per familiarità, un prelievo di sangue per la ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi IgA, associato al dosaggio delle Immunoglobuline IgA totali, indicherà se eseguire la biopsia intestinale per la valutazione del danno atrofico intestinale”, continua la professoressa Fabiana Zingone, docente associato di Gastroenterologia dell’Università di Padova e curatrice delle Linee guida insieme a Biagi. “Raccomandiamo – prosegue – di eseguire questi esami a dieta libera, quindi non iniziare la dieta priva di glutine prima di completare l’iter diagnostico. In ogni caso, è importante rivolgersi a un centro di riferimento regionale per la malattia celiaca per la corretta interpretazione degli esiti. Per i bambini è possibile, in caso di anticorpi molto elevati, evitare la biopsia intestinale, ma questa strategia deve essere decisa solo da pediatri dei centri di riferimento per la malattia celiaca. Uno studio internazionale, coordinato dall’Italia e recentemente pubblicato, dimostra che la strategia di diagnosi senza biopsia è applicabile anche, in casi selezionati, alla popolazione adulta. In un prossimo futuro, è pertanto possibile che tale approccio verrà utilizzato anche in un sottogruppo di pazienti adulti”.
Follow-up
“Una volta diagnosticata la malattia celiaca – aggiunge la Zingone – si raccomanda di continuare il follow-up presso un centro dedicato. Nelle visite si valuterà la progressiva remissione dei sintomi, la negativizzazione degli anticorpi e la corretta aderenza alla dieta senza glutine. È raccomandato, soprattutto nelle fasi iniziali, sottoporsi ad una valutazione dietistica per essere educati ad una corretta dieta senza glutine. La biopsia intestinale non è sempre necessaria nel follow-up, viene in genere eseguita in caso di mancata risposta clinica e laboratoristica e nel sospetto di complicanze della malattia celiaca. Quest’ultime, seppur molto rare, richiedono una attenta valutazione in centri dedicati”.
Dieta
“La dieta aglutinata, cioè priva di glutine, è il cardine della terapia della malattia celiaca. Tutti gli alimenti derivati da grano, orzo e segale contengono glutine. Il paziente celiaco va adeguatamente istruito per eliminare il glutine completamente e indefinitamente dalla dieta, senza sgarri o trasgressioni. Il rigore nella dieta non deve però diventare una ‘fobia delle contaminazioni’. Il paziente celiaco – sottolinea il professor Biagi – ben informato e attento alla propria salute non può ingerire involontariamente una dose tossica di glutine”.
Nuove terapie in arrivo
“Negli ultimi anni – illustra la professoressa Zingone – la ricerca ha individuato dei farmaci che possano bloccare in diversi punti la cascata patogenetica, causa della malattia celiaca. I target sono diversi: dalla digestione delle frazioni tossiche del glutine alla inibizione di alcune tappe della infiammazione glutine-correlata. Alcuni di questi studi sono in corso anche in alcuni centri italiani. I risultati sembrano promettenti per alcuni farmaci, ma bisognerà attendere ulteriori risultati al fine di definire la popolazione target e le modalità di utilizzo in pratica clinica”.
Gluten free per moda
Il mercato del senza glutine in Italia è stimato in circa 400 milioni, complessivamente. “Il dato deve essere confrontato con il valore annuale dell’assistenza integrativa garantita in Italia dal SSN, che nel 2021 era indicata nella Relazione al Parlamento sulla celiachia pari a 233 milioni, con un costo medio pro capite di 965€/anno. Anche tenendo conto della possibile integrazione al tetto di spesa da parte delle famiglie con paziente celiaco, tuttavia marginale secondo la nostra valutazione, emerge il ricorso alla dieta senza glutine anche da parte di consumatori non celiaci, che, per scelta, inseriscono prodotti senza glutine nella loro dieta. Il fenomeno trova conferma nelle informazioni da noi rilevate sulla “moda” della dieta senza glutine, cui si ricorre per dimagrire, per “sentirsi più leggeri”, per emulare le abitudini alimentari di campioni sportivi o star dello spettacolo, diffuse attraverso i social media.
La raccomandazione di AIC è sempre di non mettersi a dieta in presenza di sintomi di celiachia prima di aver completato l’iter di diagnosi, che si rende impossibile se il paziente è a dieta senza glutine”, afferma Rossella Valmarana, presidente della Associazione Italiana Celiachia (AIC).
Celiachia spesso non vista
“L’Associazione continua a raccogliere le storie dei pazienti che arrivano con fatica alla diagnosi di celiachia – continua la presidente – perché il medico non riconosce sintomi predittivi che non siano i classici, perché i pazienti sono messi a dieta dal medico di medicina generale o dallo specialista prima di aver concluso l’iter diagnostico, perché il test è fatto una volta e mai più ripetuto.” conclude la presidente Valmarana.
Covid, farmaco per una guarigione lampo
Covid, Ricerca innovazioneContro il Covid, anzi, per una guarigione lampo c’è un farmaco che in Cina va per la maggiore: una pillola che ha dimostrato di accelerare di quasi due giorni il recupero dalla malattia nei casi lievi-moderati, secondo quanto certifica uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine. Il farmaco viene somministrato in un ciclo di pillole e riduce la durata dei sintomi; il trial clinico, pubblicato su Nejm, mostra come l’effetto sia quasi immediato dopo l’assunzione, alleviando febbre, tosse e naso che cola.
Cambio di scenario
All’inizio della pandemia, i farmaci antivirali sono stati testati in gran parte su persone ad alto rischio di Covid grave. Anche attualmente l’Organizzazione mondiale della sanità, si spiega su Nature, raccomanda che solo le persone appartenenti a gruppi ad alto rischio assumano antivirali come quelli utilizzati in Italia, negli Usa e in molti altri Paesi. Ora, però, il coronavirus Sars-CoV-2 è “già diventato un virus respiratorio di routine nella popolazione generale”, afferma il coautore dello studio Bin Cao, pneumologo del China-Japan Friendship Hospital di Pechino.
Il trial
Ecco perché si è deciso di testare il farmaco soprattutto su giovani con livelli di rischio standard. I ricercatori hanno testato questa combinazione su più di 600 persone con età media 35 anni, circa metà delle quali avevano almeno un fattore di rischio (come l’obesità). Nessuno dei partecipanti allo studio ha avuto una forma grave di Covid. Entro il quinto giorno dal trattamento, i livelli di Sars-CoV-2 nelle persone che avevano preso la pillola erano diminuiti di circa 30 volte in più rispetto ai partecipanti che avevano assunto un placebo.
Diffusione in Italia
Intanto, a guardare i dati disponibili in Italia sulla diffusione del Covid, appare evidente che la situazione può creare ancora pressione sugli ospedali, ma l’andamento è incoraggiante. Nella settimana che va dall’11 al 17 gennaio ci sono stati 9.675 casi, -53,8% rispetto alla settimana precedente (4-10 gennaio).
Gravidanza e attività fisica, cosa c’è da sapere
Madri-padri, SportDurante la gravidanza, mantenere uno stile di vita attivo e sano è fondamentale per il benessere sia della madre che del bambino. Ma i timori e i dubbi delle future mamme sono comprensibilmente molti. Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza su cosa è possibile fare e cosa no quando si è in dolce attesa.
I benefici
L’attività fisica regolare durante la gravidanza comporta numerosi vantaggi per la salute della madre e del feto. Gli esperti sottolineano che un esercizio adeguato favorisce il miglioramento delle funzioni cardiocircolatorie e respiratorie, aumentando la capacità del sangue di trasportare ossigeno e sostanze nutritive alla placenta. Questo contribuisce a ridurre il gonfiore delle gambe, i crampi e a regolare la pressione arteriosa, migliorando anche la sensazione di stanchezza. Resta inteso che ogni gravidanza è una storia a sé e che ogni attività deve essere sempre concordata con il ginecologo.
Muscoli e peso
Ciò detto, l’attività fisica costante aiuta a controllare il peso durante la gravidanza, evitando aumenti eccessivi che potrebbero causare complicanze gestazionali come il diabete gestazionale e l’ipertensione. Fortificare la muscolatura di gambe, addome, perineo e schiena può facilitare il processo di parto, in particolare durante la fase di espulsione.
Quando evitarla
Sebbene l’attività fisica sia generalmente raccomandata durante la gravidanza, ci sono situazioni in cui è prudente evitare sforzi e adottare un regime di riposo. I ginecologi consigliano sempre un consulto medico in presenza di condizioni particolari, che potrebbero richiedere una limitazione dell’attività al movimento.
Yoga e pilates
Attività come camminare, nuotare, yoga e pilates sono solitamente sicure, a condizione che la gravidanza non sia a rischio e che si evitino gli eccessi. Per quanto riguarda la palestra, è consigliabile partecipare a corsi specifici gestiti da professionisti qualificati. Tuttavia, qualsiasi forma di attività fisica dovrebbe essere approvata dal ginecologo e integrata con una dieta sana ed equilibrata, considerando anche il dispendio calorico durante l’esercizio. In sintesi, l’attività fisica in gravidanza è un alleato prezioso per il benessere della madre e del bambino, ma è essenziale seguire le indicazioni del proprio ginecologo e adottare un approccio equilibrato all’esercizio fisico. Assolutamente da evitare – quasi superfluo dirlo – fumo e alcol, che possono avere effetti anche molto gravi sul nascituro.
Alzheimer, nuova strategia efficace su sintomi iniziali. Lo studio
News PresaL’Alzheimer è la prima causa di demenza in Italia e colpisce oltre 600 mila persone. Uno studio fa luce sulle fasi pre-cliniche della malattia e apre a una strategia terapeutica che potrebbe anticipare la malattia. I risultati confermano che la stimolazione dopaminergica è efficace nel ridurre l’ipereccitabilità dell’ippocampo, condizione che influisce sul progressivo danno cognitivo. La ricerca è stata realizzata dall’Università Campus Bio-Medico di Roma, insieme alla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e condotto su modelli sperimentali.
Alzheimer e diagnosi precoce
Oggi la diagnosi della malattia si basa sui sintomi riportati al neurologo dal paziente e misurati dal neuropsicologo. Tuttavia la ricerca sta proponendo sempre più soluzioni per la diagnosi precoce.
Un ambito promettente è lo studio delle aree del cervello preposte alla produzione della dopamina. Si tratta di un importante neurotrasmettitore il cui deficit è solitamente legato alla malattia di Parkinson per la quale esistono, già oggi, numerose terapie.
L’equipe di ricerca del prof. Marcello D’Amelio, Responsabile del laboratorio di Neuroscienze Molecolari del Santa Lucia IRCCS e Professore Ordinario di Fisiologia Umana dell’Università Campus Bio-Medico, da alcuni anni si è focalizzata sull’Area Tegmentale Ventrale (VTA). Quest’area del cervello è legata alla produzione di dopamina e coinvolta in molte funzioni cerebrali, in quanto punto di passaggio di tanti circuiti cerebrali che collegano aree diverse del cervello.
Risultati dello studio
Il nuovo studio dell’equipe del prof. D’Amelio ha confermato che i livelli di dopamina nell’ippocampo, l’area del cervello sede della memoria, svolgono un ruolo nella lunga fase pre-clinica dell’Alzheimer. Questo periodo iniziale è caratterizzato da ipereccitabilità corticale, piccoli episodi epilettici (spesso asintomatiche e rilevabili con approfondimenti elettroencefalografici).
“Agire prima ancora che il paziente manifesti sintomi evidenti della malattia è molto complesso”, spiega il prof. D’Amelio. “Per riuscirci è necessario individuare con ragionevole certezza il paziente che effettivamente svilupperà la malattia ed intervenire il prima possibile per preservare i neuroni. Infatti, non tutti i pazienti con le lesioni tipiche dell’Alzheimer sviluppano la malattia e un nostro precedente studio clinico sulla VTA ha permesso di identificare in maniera molto precoce i pazienti che svilupperanno la malattia di Alzheimer isolandoli da chi, pur presentando le lesioni da amiloide, è meno a rischio. Con questo studio aggiungiamo un ulteriore tassello alla conoscenza delle fasi pre-cliniche dell’Alzheimer. Intervenendo sui meccanismi dopaminergici del cervello con farmaci ben noti per la loro efficacia nella malattia di Parkinson, siamo riusciti, in modelli sperimentali e non ancora sull’uomo, a preservare l’attività neuronale in aree colpite dalla malattia riducendo l’ipereccitabilità ippocampale che può sfociare in attività epilettiche, tipiche delle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, e contribuire al peggioramento del declino cognitivo”.
Terapie per il Parkinson efficaci per l’Alzheimer
Il meccanismo scatenato dalla carenza di dopamina, a sua volta legata ad una precoce degenerazione dell’Area Tegmentale Ventrale, impedisce una corretta attivazione di interneuroni che hanno la funzione di controllare l’eccitabilità corticale.
Questo studio conferma l’importanza che i circuiti dopaminergici rivestono nella malattia di Alzheimer, storicamente legata alla carenza di altri neurotrasmettitori tra cui l’acetilcolina. Si tratta di un ambito di ricerca promettente perché consentirebbe di trasferire le terapie oggi disponibili per il Parkinson nella malattia di Alzheimer.
Conclude il prof. D’Amelio: “La diagnosi precoce e accurata della malattia di Alzheimer è fondamentale per selezionare i pazienti che devono imboccare specifici percorsi terapeutici anche farmacologici, incluse le terapie con anticorpi monoclonali contro la beta-amiloide. È, infatti, evidente che tanto più precoce è l’inizio del trattamento tanto maggiori sono le probabilità di rallentare o auspicabilmente arrestare il deterioramento cognitivo che conduce il paziente alla completa perdita dell’autonomia.
Questo lavoro va nella direzione di identificare specifiche alterazioni di eccitabilità corticale come biomarcatori di malattia che insieme ad altri, oggi disponibili, possano meglio caratterizzare lo stadio di sviluppo di malattia e aiutare il clinico a intraprendere il percorso terapeutico più adatto.”
Insulina smart, si assumerà nel cioccolato
Alimentazione, Ricerca innovazioneNiente più aghi, chi soffre di diabete potrà assumere l’insulina tramite il cioccolato. L’attesissimo cambiamento sarà possibile grazie a una nuova insulina intelligente che, come detto, si potrà assumere in capsule, o dentro un pezzetto di cioccolata. Questo innovativo approccio, reso possibile da minuscoli nanovettori, promette di migliorare significativamente la vita di milioni di persone affette da questa patologia.
Malattia globale
Attualmente, chi soffre di diabete deve spesso fare affidamento su iniezioni di insulina, un processo che coinvolge circa 75 milioni di persone nel mondo. Tuttavia, i ricercatori stanno aprendo la strada a quest’alternativa rivoluzionaria che potrebbe sostituire le siringhe e i microinfusori nei prossimi anni. Il team di scienziati dietro questa innovazione ha sviluppato una nuova insulina intelligente, incapsulandola in nanovettori delle dimensioni di 1/10.000 della larghezza di un capello umano. Queste particelle microscopiche consentono una somministrazione più precisa e mirata, evitando gli effetti collaterali indesiderati associati alle iniezioni tradizionali.
Dritte al fegato
Grazie a una collaborazione tra l’Università di Sydney, il distretto sanitario locale di Sydney e l’UiT Norway’s Arctic University, i ricercatori hanno individuato il fegato come destinazione principale per la nuova insulina intelligente. Questo approccio si basa su anni di ricerca che ha dimostrato la possibilità di una somministrazione di precisione dei farmaci al fegato.
Sfida superata
Uno degli ostacoli principali era infatti garantire che l’insulina raggiungesse il fegato senza degradarsi nello stomaco. I ricercatori hanno superato questo problema creando un rivestimento protettivo che preserva l’insulina durante il passaggio attraverso il sistema digestivo. Una volta nel fegato, enzimi attivati solo in presenza di elevati livelli di zucchero nel sangue decompongono il rivestimento, consentendo il rilascio mirato dell’insulina.
Il meccanismo
Il sistema mimetizza il processo naturale presente nelle persone sane, garantendo un rilascio rapido di insulina solo quando necessario. Questo approccio offre un maggiore controllo sulla gestione del glucosio nel sangue, rappresentando una significativa miglioria rispetto alle attuali opzioni terapeutiche. I risultati promettenti di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature Nanotechnology, e i test sull’uomo sono attesi entro il 2025. Gli esperti esprimono la speranza che questa innovativa forma di insulina possa essere pronta per l’uso entro 2-3 anni, aprendo la strada a un futuro più agevole per chi vive con il diabete.
FeSDI e Lega Calcio Serie A in campo contro il diabete
Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, SportUno spot durante il campionato di Serie A per contrastare la solitudine, le diseguaglianze e il disagio psicologico che spesso accompagnano le persone con diabete. Lo ha realizzato FeSDI in collaborazione con la Lega Calcio Serie A TIM per sottolineare l’importanza del gioco di squadra e mettere al centro la persona con diabete e i suoi bisogni di salute,
L’iniziativa con la Serie A
“Nella cura del tuo diabete, non sei mai solo: c’è una squadra intorno a te. Rivolgiti al tuo diabetologo e coltiva i tuoi sogni: il mondo del Calcio è con te!”. Questo il messaggio della campagna #MettiamoInFuoriGiocoIlDiabete di FeSDI, Federazione Società Diabetologiche Italiane AMD-SID al via questo fine settimana. Grazie alla collaborazione con Lega Calcio Serie A TIM, in occasione della 21ª Giornata di Serie A TIM, lo spot sarà trasmesso sui maxischermi di tutti gli stadi. In televisione, in Italia e all’estero, andrà in onda una grafica al momento del sorteggio del campo tra i due Capitani.
Prevenzione
“Attraverso questa campagna, FeSDI vuole promuovere maggiore consapevolezza sull’importanza della prevenzione e del supporto per coloro che vivono con il diabete, invitandoli a rivolgersi al proprio diabetologo come principale punto di riferimento del Team diabetologico, per una gestione della malattia di prossimità che non lasci mai indietro la persona con diabete”, dichiara il prof. Riccardo Candido, Presidente FeSDI e AMD.
“Con circa 4 milioni di persone che ne sono affette, il diabete è una delle più diffuse malattie croniche non trasmissibili e rappresenta una patologia complessa. Per il suo forte impatto sociale, economico, clinico e sulla qualità di vita, necessita di un’attenzione adeguata. Attenzione che auspichiamo si rafforzi grazie alla forza comunicativa e aggregante che solo il Calcio sa mettere in moto”.
Sport per gestire il diabete
“Movimento e sport sono fondamentali nella gestione del diabete, una malattia cronica che continua a rappresentare una sfida significativa per milioni di persone in tutto il mondo. Questo il messaggio di enorme importanza della campagna promossa dalla Lega Calcio. L’esercizio fisico regolare migliora il controllo glicemico, riduce il rischio di complicanze e migliora la qualità della vita” commenta il prof. Angelo Avogaro, Presidente SID e past president FeSDI.
“Le comunità, sportive e non, sono sostegno essenziale per tutti coloro che convivono con il diabete. Gli atleti, gli allenatori, le organizzazioni sportive e, perché no, i tifosi, possono collaborare per creare un ambiente inclusivo, educativo e di supporto psicologico per le persone con questa malattia cronica. L’attività fisica aiuta a superare pregiudizi o timori legati alla malattia”.
Dieta vegana, come evitare squilibri
AlimentazioneUn’ alimentazione sana è fondamentale per il benessere psico-fisico, ma cosa succede quando si abbraccia uno stile alimentare che esclude completamente gli alimenti di origine animale? La cosa essenziale è quando si abbraccia uno stile nutrizionale vegano e che si evitino e carenze nutrizionali. In primis, neglio chiarire cosa distingue una dieta vegetariana da una vegana. La risposta è che la differenza è determinata principalmente dagli alimenti esclusi. Mentre i vegetariani evitano carni, pesce e frutti di mare, i vegani eliminano completamente ogni alimento di origine animale, inclusi latte, uova e miele. Le motivazioni possono variare, dalla preoccupazione etica per gli animali e l’ambiente al desiderio di benefici sulla salute.
Carenze nutrizionali e sintomi
Le carenze nutrizionali possono manifestarsi con sintomi quali stanchezza, debolezza e problemi di concentrazione. Gli esperti sottolineano l’importanza di riconoscere segnali come crampi muscolari (carenza di vitamina B9, ferro e B12), spasmi muscolari e fragilità ossea (carenza di calcio e magnesio) o edema e perdita di capelli (carenza di proteine).
Adattarsi a una dieta vegana
Per coloro che seguono una dieta vegana, i nutrizionisti consigliano un monitoraggio regolare dei livelli di vitamina B12, acido folico, ferro, calcio e proteine. Per restare su valori adeguati potrebbero essere necessari integratori o modifiche dietetiche, ad esempio l’aumento dell’assunzione di acido folico attraverso verdure a foglia verde, frutta, cereali, legumi e noci. Inoltre, è consigliato un adeguato apporto di vitamina C per migliorare l’assorbimento del ferro e l’inclusione di alimenti ricchi di carotenoidi per la vitamina A.
Equilibrio nutrizionale nella dieta vegana
Se si scegli un’alimentazione vegana è essenziale seguire dei semplici consigli:
In sintesi, una dieta vegana ben pianificata può fornire tutti i nutrienti essenziali, ma è fondamentale monitorare attentamente l’assunzione di specifici nutrienti e adattare la dieta di conseguenza, con il supporto di un nutrizionista esperto.
Diabete, 686 mila morti l’anno in Eu. Aumenta tra i giovani
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, Medicina Sociale, News Presa, PrevenzioneIn Europa, 32 milioni di persone soffrono di diabete, ogni anno sono 686 mila le morti per la patologie o per problematiche correlate. L’European Diabetes Forum Italia (EUDF Italia), insieme alle associazioni impegnate nel settore del diabete, ha stilato 15 raccomandazioni. Si tratta delle priorità che l’UE dovrebbe supportare affinché gli Stati Membri sviluppino politiche sul diabete in quattro ambiti chiave: identificazione precoce; cure eque di elevata qualità; valorizzazione delle persone; sostegno a scienza e tecnologia.
Diabete uccide 686 mila persone all’anno
Ogni anno nell’UE muoiono oltre 686 mila persone a causa del diabete o di patologie correlate, una ogni 46 secondi. Ad oggi sono 31,6 milioni le persone nell’UE affette da diabete (l’equivalente della somma delle popolazioni di Paesi Bassi, Portogallo e Croazia). Con l’aumento di questa pandemia silente, si prevede che il numero di pazienti aumenterà fino a 33,2 milioni entro il 2030. Nell’area europea cresce il numero di giovani con diabete di tipo 2 e adolescenti con tipo 1 che sono 295 mila in totale. Nel 2021, il costo complessivo del diabete a carico dei sistemi sanitari dell’UE ammontava a 104 miliardi di euro. Il 75 per cento di questi costi è imputabile a complicanze potenzialmente evitabili. Di conseguenza, la diagnosi precoce e la migliore gestione della malattia abbatterebbero i costi, aumentando la sostenibilità dei sistemi sanitari.
Documento strategico
Il documento di impegno della comunità diabetologica rivolto ai candidati delle prossime elezioni europee di giugno 2024 è stato presentato ieri all’attenzione dei candidati italiani in un incontro dallo European Diabetes Forum Italia (EUDF Italia). Primi firmatari del documento, insieme al Coordinatore European Diabetes Forum Italia, prof. Agostino Consoli e al Presidente European Diabetes Forum, prof. Stefano Del Prato, sono stati, il prof. Riccardo Candido, Presidente AMD e FeSDI, e il prof. Angelo Avogaro, Presidente SID e Past President FeSDI. EUDF Italia è un network indipendente che collabora con società scientifiche, associazioni, politici, industrie del farmaco ecc. al fine di tradurre i risultati della ricerca in azioni politiche per una migliore cura del diabete a livello nazionale.
Ruolo della politica
«L’adesione a questo documento, con la promessa di impegno a sostegno della comunità diabetologica, da parte di quindici parlamentari italiani appartenenti trasversalmente a tutti gli schieramenti è la dimostrazione che la politica italiana presta attenzione al tema. L’evento di oggi vuole diffondere la consapevolezza e l’adesione rispetto ai temi di questo documento d’impegno anche a tutta la comunità scientifica e al mondo delle associazioni dei pazienti affinché il suo contenuto possa essere patrimonio comune e affinché la sua piena condivisione possa rafforzare l’impegno per la traduzione dei risultati della ricerca in azioni politiche per una migliore cura del diabete», dichiara il prof. Agostino Consoli, Coordinatore di EUDF Italia.
«La Comunità Europea ha dimostrato particolare interesse al problema del diabete come evidenziato dalla Risoluzione promulgata nel novembre 2022. Quell’impegno rappresenta lo spunto affinché sempre maggiore salute e qualità di vita venga garantita alle persone affette da diabete, facilitando la prevenzione della malattia e delle sue complicanze, garantendo un’accessibilità alle cure uniforme in tutti i Paesi membri, sostenendo la ricerca scientifica e la tecnologica in ambito diabetologico», dichiara il prof. Stefano Del Prato, Presidente EUDF.
Innovazione per invertire la tendenza
«Una diagnosi precoce e un accesso paritario a cure di elevata qualità possono consentire ai diabetici di continuare a condurre una vita appagante e di fornire il loro pieno contributo alla società. Un’efficace prevenzione e gestione del diabete può offrire una maggiore resilienza e sostenibilità dei sistemi sanitari. Le tecnologie innovative e i servizi ad esse associati possono contribuire a invertire la tendenza attuale del peggioramento degli esiti sanitari per le persone con diabete. I decisori politici europei hanno prestato maggiore attenzione al diabete negli ultimi anni. Nel 2022, un secolo dopo la scoperta dell’insulina e 33 anni dopo la Dichiarazione di Saint Vincent in cui sono stati definiti gli obiettivi per la prevenzione e la cura del diabete, il Parlamento Europeo ha adottato una delibera storica in materia di prevenzione, gestione e cure migliori per il diabete nell’UE, invocando piani di intervento nazionali per il diabete nei 27 Stati Membri. L’UE dovrebbe sfruttare questo slancio sviluppando un quadro europeo di supporto aiutando gli Stati Membri a progettare giuste politiche sul diabete», dichiara Federico Serra, Executive Director & General Manager di EUDF Italia.
Piani di intervento nazionali per il diabete nei 27 Stati Membri
«Lo scorso anno, l’Unione Europea ha fatto un passo in avanti chiaro in tema di prevenzione, gestione e cura del diabete. Ma oggi, anche sulla base dei preoccupanti dati epidemiologici su diabete e obesità, patologie croniche in crescita in tutta Europa, è quantomai prioritario procedere verso l’implementazione di interventi strutturali in ciascuno Stato Membro. Solo così sarà possibile affrontare e gestire il diabete come priorità sanitaria, così come identificato, peraltro, anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in ragione dei dati di prevalenza, in continua crescita in tutto il mondo», ha dichiarato il prof. Riccardo Candido, Presidente AMD e FeSDI.
«L’unione di sforzi può garantire alle persone con diabete nell’UE una vita più lunga e soddisfacente, riducendo spese evitabili e rafforzando la resilienza e la sostenibilità dei sistemi sanitari. Tenuto conto delle proiezioni che vedono il diabete una patologia in crescita, è essenziale che l’Unione europea sviluppi un quadro europeo di supporto che assista gli Stati Membri nell’implementazione di politiche efficaci sul diabete», ha concluso il prof. Angelo Avogaro, Presidente SID e Past President FeSDI.
Dai funghi possibili nuovi farmaci
Ricerca innovazioneFunghi oceanici, sinora sconosciuti, potrebbero portare alla scoperta di nuovi farmaci. Non sorprende che la notizia abbia attirato l’attenzione dei media e abbia creato un certo entusiasmo nella comunità scientifica. Questi funghi, potenzialmente molto utili al progresso della medicina, sono stati scoperti nel cuore dell’oceano crepuscolare, quella zona di oceano che si trova tra i 200 metri e i 1000 metri di profondità.
Nuovi farmaci
Come detto, a rendere particolarmente importante la scoperta è la possibilità che questi funghi possano contenere sostanze utili alla realizzazione di nuovi farmaci, tanto che autorevoli fonti dell’Istituto di Oceanografia Scripps dell’Università della California hanno paragonato il potenziale dei funghi oceanici a quello della penicillina, antibiotico originariamente derivato da un fungo terrestre. L’ipotesi è che tra i funghi oceanici potrebbero nascondersi composti biochimici in grado di generare nuovi farmaci rivoluzionari. La speranza è individuare nuove specie con proprietà uniche che potrebbero rappresentare una risorsa preziosa per il settore medico.
DNA oceanico
In queste ricerche il lancio del nuovo catalogo del DNA oceanico ha segnato un passo significativo nell’avanzamento scientifico. Con oltre 317 milioni di gruppi genici di organismi marini, il catalogo offre una ricca fonte di dati che può contribuire alla comprensione della biodiversità oceanica. La biotecnologia marina, un settore valutato oggi a 6 miliardi di dollari, si prevede che crescerà quasi al doppio entro il 2032.
Diversità genetica
Il professor Carlos Duarte, esperto di scienze marine, ha rivelato un’altra sorprendente scoperta relativa al ruolo dei virus nell’aumentare la diversità genetica negli oceani. I virus agiscono come “corrieri genetici,” spostando geni da un organismo all’altro e contribuendo così alla creazione di biodiversità genomica. Questo processo accelera le evoluzioni e può avere impatti significativi sulla comprensione della vita marina.
Non solo salute
Una delle scoperte più entusiasmanti è la capacità dei funghi oceanici di degradare la plastica, incluso il degradamento di polimeri sintetici derivati dagli idrocarburi. Questo rappresenterebbe una soluzione ecologica al problema crescente dell’inquinamento. Nonostante i progressi, il catalogo del DNA oceanico ha evidenziato lacune nella nostra comprensione del fondale oceanico. La necessità di aumentare gli studi mirati al fondale marino è emersa come una priorità, specialmente considerando gli avanzamenti tecnologici nel supercalcolo e sequenziamento. Questi progressi consentiranno di ottenere più informazioni dai campioni esistenti a costi più contenuti, aprendo nuove prospettive per la ricerca marina.
Bronchiolite nei bambini: sintomi, cura e prevenzione
Bambini, Genitorialità, PediatriaLa bronchiolite è un’infezione virale acuta che colpisce il sistema respiratorio dei bambini di età inferiore ad un anno, soprattutto nei primi 6 mesi di vita, con maggiore frequenza tra novembre e marzo. Il principale agente patogeno coinvolto è il virus respiratorio sinciziale (VRS), presente nel 75% dei casi, ma anche altri virus come metapneumovirus, coronavirus, rinovirus, adenovirus, e virus influenzali e parainfluenzali possono essere responsabili. La trasmissione avviene principalmente per contatto diretto con le secrezioni infette.
Sintomi
La fase di contagio dura generalmente da 6 a 10 giorni, durante i quali l’infezione colpisce bronchi e bronchioli, innescando un processo infiammatorio, aumento della produzione di muco e ostruzione delle vie aeree, con possibili difficoltà respiratorie. I sintomi iniziano con febbricola e rinite, seguiti da tosse persistente e difficoltà respiratoria. La malattia, generalmente benigna, si risolve spontaneamente in circa 7-12 giorni, ma in alcuni casi può richiedere il ricovero, soprattutto nei bambini al di sotto dei sei mesi.
Fattori di rischio e diagnosi
Fattori che aumentano il rischio di gravità includono la prematurità, l’età del bambino (inferiore a 12 settimane), cardiopatie congenite, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica, anomalie congenite delle vie aeree e immunodeficienze. La diagnosi è clinica, basata sull’andamento dei sintomi e sulla visita pediatrica, con accertamenti di laboratorio o strumentali solo quando necessario.
Prevenzione e cura
Alcune semplici norme igieniche possono ridurre il rischio di contrarre la bronchiolite o peggiorare i sintomi. È fondamentale evitare il contatto con individui affetti da infezioni delle vie aeree, lavarsi sempre le mani prima e dopo aver accudito il bambino, favorire l’allattamento al seno, fornire una quantità adeguata di liquidi e evitare il fumo in casa. Il trattamento a domicilio prevede frequenti lavaggi nasali con aspirazione delle secrezioni e terapia aerosolica con soluzione ipertonica al 3%. L’utilizzo di broncodilatatori inalatori può essere considerato con supervisione medica. Il cortisone per bocca non mostra significativi miglioramenti nei sintomi, mentre l’uso di antibiotici è sconsigliato, tranne in casi specifici.
Ricovero ospedaliero
Nel caso di ricovero ospedaliero, il bambino riceve terapie di supporto per garantire un’adeguata ossigenazione del sangue attraverso l’ossigeno umidificato, e in casi gravi, ossigeno ad alti flussi o altro supporto respiratorio. Viene anche assicurata un’adeguata idratazione attraverso soluzioni glucosaline endovenose se l’alimentazione è difficile. La bronchiolite è insomma una patologia comune nei neonati, ma una corretta prevenzione, diagnosi tempestiva e cure adeguate possono contribuire a garantire una pronta guarigione e a ridurre il rischio di complicanze. Consultare sempre il pediatra per una gestione appropriata della malattia.