Tempo di lettura: 4 minutiFumare non è solamente un fattore di rischio per l’insorgenza del cancro, Dopo una diagnosi i componenti tossici del fumo di tabacco interferiscono con le terapie e la loro efficacia. Inoltre, aumentano gli effetti collaterali e diminuisce la sopravvivenza. Ecco perché sempre più studi suggeriscono che smettere di fumare dovrebbe essere consigliato e supportato anche dopo la diagnosi oncologica. Se n’è parlato ieri durante il Meet The Expert ‘More risk reduction policies needed’, promosso dall’Osservatorio MOHRE in vista della COP10 sul tabacco che si svolgerà dal 5 febbraio.
Dal dibattito è emerso che normative severe sui prodotti alternativi al tabacco possono avere due effetti peggiorativi sulla salute: riportare gli attuali svapatori alle sigarette e allontanare dalla cessazione proprio chi ne avrebbe maggiore beneficio.
Cancro e fumo, gli studi
Già nel 1964 il rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti aveva delineato formalmente per la prima volta gli effetti negativi del fumo sulla salute umana. In particolare emergeva la correlazione tra il fumo e l’incidenza del cancro. Nel Surgeon General’s Report del 2020 gli autori sottolineano come smettere di fumare, anche dopo una diagnosi di cancro, sia associato a migliori risultati del trattamento. Inoltre influisce sulla sopravvivenza globale. Il report ha valutato un totale di 10 studi per un totale di quasi 11 mila pazienti.
In sei dei sette studi che hanno confrontato la cessazione del fumo con il fumo continuato, la cessazione del fumo è stata associata a riduzioni statisticamente significative della mortalità complessiva con una riduzione mediana del 45%. I benefici della cessazione quindi si manifesterebbero in maniera più rapida di quanto avvenga con i danni che sono lenti e cumulativi.
Tutti gli studi che hanno valutato la cessazione dal fumo sono stati statisticamente significativi, con riduzioni della mortalità tra il 43% e il 52%. Al contrario, continuare a fumare da parte dei pazienti con cancro aumenta il rischio di mortalità complessiva di una mediana del 50% e la mortalità correlata al cancro di una mediana del 60% in tutti i tipi di tumori maligni e trattamenti.
Benefici della cessazione più rapidi rispetto ai danni del fumo
“Se da un lato la diagnosi apre una finestra di ricevibilità e rende la persona sensibile a qualsiasi tema possa diminuire l’impatto della diagnosi, dall’altro lato, chiedere ad una persona di smettere è un impegno gravoso quando tutte le energie mentali sono impegnate a fronteggiare e a fare coping sulla malattia, i timori, le incertezze. Questo significa che l’impatto della cessazione proposta deve essere il più lieve possibile e che deve sconvolgere il meno possibile la vita della persona già provata psicologicamente. In questo setting particolare si pone la sostituzione delle sigarette con le alternative senza combustione anche se con nicotina, sostanza che viene ricercata per diminuire l’ansia e lo stress” spiega il Dottor Fabio Beatrice, Direttore del Board Scientifico del MOHRE.
“Oltre all’aumento associato della sopravvivenza per i pazienti con cancro che hanno smesso di fumare, è stato notato che la cessazione del fumo ha benefici per la salute a qualsiasi età con conseguente miglioramento della qualità della vita e aggiungendo fino a 10 anni alla durata della vita. Ecco perché la comunicazione ai fumatori deve insistere sui vantaggi e non solamente sui rischi che dal punto di vista cognitivo sono soggetti a resistenze se non a vere e proprie ‘rimozioni’” ha sottolineato la Dottoressa Johann Rossi Mason, Direttore dell’Osservatorio MOHRE.
Cancro, sulle terapie incide quantità di sigarette
La risposta alle terapie oncologiche dipende anche dalla quantità di sigarette fumate durante la vita. I pazienti che fumano più di 40 pacchetti l’anno hanno una risposta peggiore alla chemio, rispetto a quelli che fumano meno. E quindi fondamentale calcolare il fumo cumulativo ossia il numero di pacchetti l’anno per il numero di anni fumati.
“Nel concetto di riduzione del rischio non possiamo omettere i vantaggi economico sanitari degli interventi. Oltre alle morti evitabili, il fallimento dei trattamenti antitumorali a causa del fumo impattano per 10.700 dollari a paziente. Se pensiamo che in Italia nel 2023 ci sono state 395mila nuove diagnosi di tumore e che il 24% della popolazione fuma, i vantaggi di programmi di aiuto alla cessazione dopo la diagnosi potrebbero essere determinanti in termini clinici ed economici” conclude il Dottor Fabio Beatrice.
Cancro testa e collo
I fumatori mostravano una risposta inferiore alla radioterapia e una sopravvivenza inferiore. La risposta dipendeva dalla data di cessazione: migliore per quelli che avevano smesso di fumare un anno prima rispetto a quelli che avevano spento l’ultima sigaretta 12 settimane prima della diagnosi. Su 120 pazienti con tumore di testa e collo i tassi di mortalità più alti si riscontravano in tutte le corti di fumatori con un tasso di sopravvivenza del 56% nei non fumatori e del 41% nei fumatori.
Cancro del polmone
Smettere prima dei quarant’anni elimina il rischio in eccesso di sviluppare il cancro.
Cancro orale
Smettere di fumare dimezza il rischio per bocca ed esofago a 5 anni dalla cessazione con una riduzione del rischio crescente all’aumentare del numero di anni senza fumo: meno 30% entro 5 anni dalla cessazione, meno 50% da 5 a 9 anni, meno 80% oltre 20 anni.
Cancro dell’esofago
Rischio dimezzato a 5 anni dalla cessazione.
Cancro del pancreas
Aumenta la riduzione del rischio all’aumentare degli anni di cessazione
Cancro della vescica
Dopo 10 anni di astinenza il rischio si riduce della metà.
Cancro dello stomaco
Negli ex fumatori il rischio relativo è di 1.31 mentre nei fumatori attuali è di 1.64.
Cancro del colon retto
Il rischio relativo di mortalità è di 1.22 nei fumatori attuali verso 1.18 negli ex fumatori. La differenza lieve dipende dai sottotipi molecolari.
Cancro del collo dell’utero
Rischio dimezzato nelle pazienti che hanno smesso di fumare da almeno vent’anni.
Leucemia
Rischio diminuito dopo 10 o vent’anni dalla cessazione.
Sanità digitale, Olidata acquisisce il 40% di Per Te
Invisibile in HomepageSfera Defence, azienda del Gruppo Olidata, che opera nella Cybersecurity e nell’Healthcare, ha acquisito il 40% della società Per Te Srl, attiva nella Ricerca e Sviluppo della digitalizzazione dei dati sanitari e di algoritmi di intelligenza artificiale.
La Per Te Srl, per il restante 60% è controllata dalla SevenHolding, azienda leader nel mondo della sanità, nata con l’obiettivo di creare un nuovo format assistenziale basato su un sistema integrato di sanità digitale.
L’operazione ha incluso l’acquisizione del 95% delle quote dell’Advanced Processing s.r.l., società che ha
realizzato il dispositivo wearable “Classe medica A2” per il monitoraggio dei parametri vitali.
Il dispositivo è stato scelto ed installato sulla Tuta SFS2, attualmente utilizzata dal Col. Walter Villadei durante la missione NASA AXIOM3, nella stazione spaziale internazionale.
L’unione delle due aziende rappresenta una realtà industriale completamente italiana nel campo sanitario e della telemedicina. Oggi si assiste a una rivoluzione del settore sanitario. L’obiettivo della nuova realtà è far sì che know-how tecnologico e scientifico si fondano per dare vita alla creazione di un ecosistema sanitario – digitale sempre più resiliente e orientato al futuro.
“Questa acquisizione rappresenta una tappa cruciale nel nostro impegno per offrire soluzioni sanitarie digitali avanzate, al fine di aumentare l’attenzione ad ogni singolo individuo. Questa nuova linea industriale in campo medico potrà essere rivoluzionaria e trasformare positivamente il panorama della salute globale.” Amministratore Unico di Sfera Defence Claudia Quadrino.
“Ci permette di coniugare tecnologia e medicina italiane con l’obiettivo di migliorare la
qualità della vita di ognuno di noi” – ha concluso Cristiano Rufini, Amministratore Delegato della società Olidata SpA.
Tumori, il 40% si può evitare con una vita sana
Alimentazione, News Presa, Stili di vitaGli stili di vita sono determinati se si vuole ridurre quasi della metà il rischio di ammalarsi di tumore. Secondo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), il 40% dei tumori può essere evitato seguendo dicendo no al fumo, portando avanti un’alimentazione sana e praticando attività fisica costante. In altre parole, il cancro è fra le malattie croniche quella che può beneficiare maggiormente della prevenzione primaria, come dimostrato da centinaia di studi scientifici. Nell’ottica di lavorare sulla prevenzione, al Ministero della Salute si è tenuto un importante incontro fra una delegazione di AIOM e il Direttore Generale della Prevenzione del Ministro della Salute, Francesco Vaia.
Screening e vaccinazione
Ciò che emerge è che la prevenzione deve ispirare l’attività dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica e del Ministero della Salute, sia per tutelare la salute dei cittadini che per garantire la sostenibilità del sistema sanitario, ridurre gli accessi ai pronto soccorso e le liste di attesa. Prevenzione oncologica significa anche adesione agli screening e vaccinazione contro il virus HPV, che può portare all’eradicazione dei tumori HPV correlati. Fondamentali sono poi le campagne di informazione, che devono raggiungere il maggior numero di cittadini di tutte le età, a partire dai più giovani.
Impegno concreto
“Siamo convinti che solo grazie a una forte collaborazione con le Istituzioni si possano trasmettere i messaggi della prevenzione a tutti i cittadini – affermano Francesco Perrone (Presidente AIOM) e Saverio Cinieri (Presidente di Fondazione AIOM) -. Ridurre il carico di malattia è un dovere per una società scientifica come AIOM. Dobbiamo sempre più impegnarci perché la prevenzione diventi, anche attraverso la collaborazione con i medici di famiglia, uno strumento quotidiano a partire dai banchi di scuola, per avere adulti sani”.
Collaborazione
“Come Direttore Generale della Prevenzione e sotto l’impulso del Ministro Schillaci – spiega Francesco Vaia -, sono particolarmente coinvolto in questa attività e vedo con grande favore lo sviluppo di collaborazioni con società scientifiche come AIOM, perché i tumori rappresentano uno dei grandi temi di sanità pubblica. Oggi grazie alle nuove terapie è possibile cronicizzare la malattia e, in alcuni casi, arrivare alla guarigione. È però fondamentale, proprio per il costante incremento delle nuove diagnosi, cercare di intervenire a tutti i livelli per evitare lo sviluppo della malattia. La collaborazione fra AIOM e la Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute si svilupperà già nelle prossime settimane con campagne e attività concrete che coinvolgeranno l’intera popolazione”.
Nuove diagnosi
L’incontro appare ancor più importante se si guarda al numero di casi di tumore che ogni anno si registrano nel nostro paese. Complessivamente in Italia ogni giorno circa 1.000 persone ricevono una nuova diagnosi di tumore maligno. Le 5 neoplasie più frequenti, nel 2019, nella popolazione sono quelle della mammella (53.500 nuovi casi), colon-retto (49.000), polmone (42.500), prostata (37.000) e vescica (29.700).
Sindrome premestruale, cause e possibili rimedi
Benessere, News PresaCi sono giornate che solo una donna può comprendere, ad esempio quelle del “ciclo”, ma anche i giorni che lo precedono se si soffre della sindrome premestruale (SPM). Di che si tratta? Di un malessere diffuso, fatto di dolori e stati d’animo, che affligge molte donne durante la fase luteale del loro ciclo mestruale, comprendendo il periodo che va dall’ovulazione all’inizio delle mestruazioni. Una condizione molto più diffusa di quanto si possa credere, visto che colpisce approssimativamente tre donne su quattro.
Sintomi della sindrome premestruale
La SPM si manifesta attraverso una serie di sintomi che si ripresentano in modo prevedibile con ogni ciclo mestruale. I sintomi possono variare da lievi a intensi e possono essere suddivisi in due categorie principali: emotivo-comportamentali e fisici.
Le cause
Le cause esatte della SPM non sono ancora del tutto chiare, ma si ritiene che diversi fattori possano contribuire alla sua comparsa. Tra questi:
Possibili rimedi
Sebbene le cause esatte della SPM siano ancora oggetto di studio, esistono diverse strategie che possono contribuire a alleviare i sintomi e migliorare il benessere generale durante questo periodo. Tra i rimedi consigliati vi sono:
In sintesi, sebbene la sindrome premestruale possa essere debilitante per molte donne, esistono diverse strategie che possono aiutare a gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita durante questo periodo delicato del ciclo mestruale. Consultare sempre un medico o uno specialista per valutare il trattamento più adatto a ogni singolo caso.
Malattia genetica, diventare genitori senza trasmetterla
Associazioni pazienti, Genitorialità, Medicina Sociale, News PresaLe coppie affette o portatrici di una malattia genetica rischiano di trasmetterla ai figli. Oggi è possibile intercettarla e prevenirla attraverso la procreazione medicalmente assistita (PMA). Per rispondere alle domande dei pazienti è nato un ciclo di incontri che ora fa tappa a Roma. L’appuntamento ruota intorno alla patologia del rene policistico, il 10 febbraio 2024 all’hotel Royal Santina di Roma, con l’Associazione Italiana Rene Policistico ETS (AIRP). Ad aprile, invece, si parlerà di sindrome di Duchenne a Napoli e a ottobre di malattia di Huntington a Padova. Gli eventi sono organizzati dal Centro Demetra, in collaborazione con le associazioni di pazienti. I primi incontri del progetto, dal titolo “Diagnosi preimpianto: viaggio nelle malattie rare” sono stati promossi, invece, con l’Associazione Famiglie SMA e l’Associazione X-fragile.
Patologia del rene policistico
“La patologia del rene policistico – spiega Luisa Sternfeld Pavia, presidente AIRP – è una delle malattie genetiche più comuni con un’incidenza di 1 su 1000 ed è la principale causa genetica di insufficienza renale dell’adulto. La caratteristica principale di questa malattia è il formarsi di cisti in entrambi i reni. Le cisti aumentano in numero e dimensioni durante la vita di un individuo fino a causare la perdita totale di funzionalità renale nella metà dei pazienti. La malattia è tuttavia sistemica perché altri organi oltre al rene possono essere colpiti. Per tutti questi motivi, è grande la paura dei pazienti di poter trasmettere la patologia ai loro figli. Spiegare loro le possibilità che ci sono fa parte della nostra mission volta a migliorare la loro qualità di vita. E avere un figlio sano di certo è uno dei modi migliori per essere felici, pur essendo affetti da una malattia impegnativa”.
Genitori con malattia genetica, la normativa
La legge 40/2004 non permetteva alle coppie senza problemi di infertilità, affette da una malattia genetica ereditabile dai figli, di accedere alle tecniche di PMA. La Corte costituzionale ha però giudicato illegittimo questo divieto, aprendo a questa possibilità da alcuni anni. “In particolare, attraverso il test genetico pre-impianto – afferma Claudia Livi, direttore clinico del centro Demetra di Firenze – è oggi possibile andare a studiare l’assetto cromosomico e genetico degli embrioni ottenuti in vitro, per selezionare e andare a trasferire nell’utero materno solo quelli non affetti, scongiurando il rischio di trasmissione della malattia che, per molte di queste coppie, è molto alto. Sappiamo però che l’informazione su questi temi è ancora scarsa e che le coppie si devono orientare attraverso il passaparola e internet. Abbiamo deciso di invitarle a questi incontri per rispondere a tutte le loro domande e ai loro dubbi, illustrando nel dettaglio cosa la scienza oggi ci consente di fare per avere un figlio non affetto dalla malattia”.
Quando i social e tv diventano ossessione
Genitorialità, News PresaNella frenesia del mondo digitale, sempre più bambini e adolescenti trascorrono ore e ore con il cellulare in mano, navigando sui social o davanti alla TV. Ma quando questa abitudine diventa un’ossessione, è giunto il momento di preoccuparsi. In occasione della Giornata Mondiale per la Sicurezza in Rete (Safer Internet Day), la Sinpia (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) ha sollevato il velo sull’importanza di un uso consapevole di Internet da parte dei giovani e del ruolo cruciale dei genitori.
Opportunità e rischi
Secondo un recente studio condotto dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, circa il 12% degli studenti italiani tra gli 11 e i 17 anni è a rischio di disturbo da uso di videogiochi, con una netta prevalenza nel genere maschile. “Non dobbiamo demonizzare i videogiochi”, sottolinea Elisa Fazzi, presidente della Sinpia. “Possono essere una fonte di apprendimento e sviluppo unica per i giovani, stimolando le loro abilità cognitive e sociali, offrendo spazi di divertimento e possibilità di esplorare mondi fantastici. Tuttavia, è cruciale essere consapevoli che un uso eccessivo o inappropriato può avere conseguenze negative sulla salute mentale e sul benessere dei ragazzi, soprattutto dei più piccoli”.
Regole chiare
Per questo motivo, i genitori e gli adulti di riferimento giocano un ruolo fondamentale nel garantire un equilibrio sano tra l’uso dei videogiochi e altre attività importanti, come lo studio, l’interazione sociale e l’esercizio fisico. Il peggioramento delle prestazioni scolastiche e il ritiro sociale possono essere campanelli d’allarme per i genitori. “Le regole sull’uso dei dispositivi digitali devono essere chiare e condivise, ma anche flessibili”, afferma Antonella Costantino, ex presidente della Sinpia. “È importante concordare con i figli il tempo dedicato ai videogiochi e agli schermi, evitando l’uso durante i pasti e nell’ora prima di andare a dormire”.
Giornata mondiale
In un’epoca in cui la tecnologia è onnipresente, educare i giovani a un uso consapevole dei media digitali è una sfida cruciale per garantire il loro benessere mentale e fisico. La Safer Internet Day ci ricorda che la sicurezza online inizia con la consapevolezza e l’equilibrio nella vita digitale dei giovani.
Alzheimer, proteina Kibra potrebbe restituire la memoria
Anziani, News Presa, Ricerca innovazioneLa malattia di Alzheimer e il suo impatto sulla memoria e la cognizione, è al centro di una ricerca che potrebbe rivoluzionare le terapie. Gli scienziati del Buck Institute for Research on Aging, in collaborazione con l’Università della California e di New York, hanno intrapreso una strada nuova, focalizzandosi sulla proteina Kibra. L’obiettivo è invertire i problemi di memoria associati alla malattia neurodegenerativa, che colpisce almeno 600 mila pazienti solo in Italia.
Alzheimer e ruolo della proteina Kibra
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul “Journal of Clinical Investigation“. Lo studio, al momento condotto sui topi, fa emergere il ruolo della proteina Kibra nella formazione dei ricordi e nella funzione delle sinapsi, le connessioni vitali tra i neuroni. La ricerca apre prospettive nuove su come intervenire sulle sinapsi danneggiate, al fine di restituire la memoria ai pazienti di Alzheimer.
Ricerca su Tau e Beta-Amiloide
Questa patologia neurodegenerativa rappresenta la prima forma di demenza nel mondo. Attualmente, molte iniziative di ricerca si concentrano sulla riduzione delle proteine tossiche, tau e beta-amiloide, nel cervello per rallentare il progredire della malattia. Sebbene alcune terapie monoclonali che prendono di mira l’accumulo di queste proteine tossiche siano già state approvate in America, i risultati sono ancora controversi. Il team guidato da Tara Tracy ha deciso di esplorare una via diversa, concentrandosi sul ripristino della memoria e delle sinapsi.
Proteina necessaria per formare i ricordi
La proteina Kibra, carente nei cervelli affetti da Alzheimer, è stata individuata come essenziale per la formazione dei ricordi attraverso le sinapsi. Il team di ricerca ha rilevato che livelli più bassi di Kibra sono associati a un deterioramento del dialogo tra neuroni. I ricercatori hanno anche notato una correlazione significativa tra i livelli di tau e Kibra nel liquido cerebrospinale, suggerendo un ruolo fondamentale di questa proteina nell’influenzare tau nel cervello.
Kibra come Biomarcatore
Misurando le concentrazioni di Kibra nel liquido cerebrospinale umano, gli scienziati hanno scoperto una correlazione tra livelli più alti di Kibra e una maggiore gravità della demenza. Questo ha portato alla considerazione di Kibra come un potenziale biomarcatore di disfunzione sinaptica e declino cognitivo, offrendo nuove prospettive per la diagnosi e il monitoraggio dell’Alzheimer.
Ripristino della memoria
Attraverso esperimenti su topi con una versione funzionale ridotta di Kibra, i ricercatori hanno osservato un’inversione del deterioramento della memoria associato all’Alzheimer. Nonostante Kibra non risolva l’accumulo di proteina tau tossica, il suo potenziale nel ripristinare la funzione sinaptica e la memoria è stato confermato dai risultati.
Alzheimer, prospettive future e sfide
Sebbene la ricerca sia ancora in fase preclinica, i risultati danno speranza per trattamenti mirati e più efficaci contro l’Alzheimer. Tuttavia, la strada verso sperimentazioni umane è ancora lunga. Insieme ad altre terapie in sviluppo, la possibilità di utilizzare Kibra per riparare le sinapsi rappresenta una nuova frontiera nella lotta contro questa malattia.
Dialisi peritoneale, intesa per un PDTA
News PresaAumentare il numero di pazienti trattati a casa con la dialisi peritoneale. È questo l’impegno concreto che è emerso dall’incontro tenutosi alla Sala degli Affreschi “Sant’Andrea delle Dame” dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, incontro che ha visto a confronto nefrologi, rappresentanti delle istituzioni regionali e le principali associazioni di pazienti. Il dibattito, voluto dal direttore generale dell’A.O.U. L. Vanvitelli Ferdinando Russo e dal professor Luca De Nicola (direttore della U.O. Nefrologia e Dialisi del policlinico Vanvitelli), si è concluso con l’intesa di creare entro il 2024 un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) valido a livello regionale grazie al quale superare gli ostacoli che ad oggi rendono irrealizzabile questa opportunità per la maggior parte dei pazienti affetti da malattia renale cronica in fase dialitica.
Qualità di vita
Il direttore Ferdinando Russo spiega che «aumentare il numero dei pazienti in dialisi peritoneale sarebbe una vittoria per tutti», perché questa metodica «garantisce una migliore qualità di vita, una maggiore sopravvivenza alla malattia renale cronica e un risparmio per il sistema sanitario». E a confermarlo sono i numeri: ad oggi in Campania sono circa 5.000 i pazienti che hanno bisogno di ricorrere alla dialisi, per un costo di oltre 200 milioni di euro l’anno. Si consideri infatti che i costi complessivi a carico del Servizio sanitario regionale sono di circa 50.000 euro l’anno per ciascun paziente in emodialisi e poco meno della metà (20.000 euro circa) per i pazienti in dialisi peritoneale, prestazione che peraltro si pratica al domicilio.
Telemedicina
«A differenza dell’emodialisi – chiarisce poi il professor Luca De Nicola, che è anche Presidente eletto della Società Italiana di Nefrologia – la dialisi peritoneale può essere praticata durante la notte o nel corso di normali attività quotidiane, inoltre è una dialisi efficace, più fisiologica e che non fa perdere la diuresi». Grazie a sistemi di telemedicina, oggi è anche possibile per i nefrologi ospedalieri verificare in tempo reale i valori dei pazienti e, se necessario, apportare modifiche al trattamento.
Il dibattito
«Si tratta a tutti gli effetti di una prestazione ospedaliera a domicilio, con tutti i benefici che questo comporta in termini di salute e di vita sociale e lavorativa», ha evidenziato il dottor Ugo Trama (Direttore U.O.D. Politica del Farmaco e Dispositivi Regione Campania) che all’incontro ha rappresentato le istituzioni regionali. Il dibattito è stato particolarmente proficuo anche grazie all’intervento del direttore generale del San Pio di Benevento (Maria Morgante) e dei direttori sanitari Pasquale Di Girolamo Faraone (A.O.U. Vanvitelli), Gaetano D’Onofrio (AORN Cardarelli) e Roberto Alfano (San Pio di Benevento, docente di Chirurgia all’Ateneo Vanvitelli, – precedentemente direttore della U.O.C. Programmazione strategica dell’A.O.U. Vanvitelli).
Gli obiettivi
Grazie a questo importante confronto sono emersi 4 punti sui quali intervenire per cambiare radicalmente lo scenario: in primis servirà una migliore informazione dei pazienti che necessitano terapia dialitica; inoltre sarà essenziale cambiare il percorso amministrativo che oggi è troppo complesso, sia per i pazienti sia per i nefrologi; e ancora, si dovrà consentire ai nefrologi ospedalieri di prescrivere direttamente (ossia tramite ricetta dematerializzata) i trattamenti; e, infine, si dovrà al più presto arrivare al pieno riconoscimento per le Nefrologie ospedaliere delle attività svolte quotidianamente con i pazienti in dialisi peritoneale.
Giornata contro il cancro, casi in aumento ma la ricerca corre più veloce
Benessere, Farmaceutica, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaOggi si celebra la Giornata Internazionale contro il Cancro. In Italia, nel 2023, sono state stimate 395mila nuove diagnosi di tumore, un dato in aumento secondo le stime. Eppure il 40% dei casi di tumore può essere evitato seguendo stili di vita sani, quindi eliminando il fumo, seguendo una dieta sana e facendo attività fisica costante. Questa giornata è un’occasione per sensibilizzare sull’importanza della prevenzione e della ricerca. La scienza infatti conquista progressi nella diagnosi precoce e nella cura fino a pochi anni fa inimmaginabili. Attraverso il lavoro instancabile di scienziati, ricercatori e professionisti della salute, emergono nuovi orizzonti che alimentano la speranza di un mondo in cui la parola “cancro” è sempre più associata a vittorie scientifiche e cure mirate.
Giornata contro il cancro, alcune svolte della ricerca
L’Agenzia Italiana del Farmaco ha recentemente concesso la rimborsabilità a un farmaco innovativo per i pazienti con tumore ai polmoni che già presentano metastasi cerebrali. La molecola, che funziona solo per il sottotipo di cancro al polmone con mutazione di ALK, ha dimostrato successi significativi nella sperimentazione.
Il medicinale ha portato alla scomparsa delle metastasi cerebrali nel 72% dei pazienti coinvolti nello studio, mentre il 64% non ha mostrato progressione per tre anni. Si tratta di una svolta per la vita di molti pazienti, i quali fino a poco tempo fa avevano pochi mesi di vita.
I pazienti con mutazione di ALK, spesso sono giovani e in gran parte non fumatori. Il farmaco, oltre a essere efficace, ha pochi effetti collaterali e viene somministrato in compresse da assumere a casa.
Vaccini contro il cancro
Inoltre, la ricerca oncologica in Italia sta facendo passi da gigante, con sperimentazioni anche nel campo dei vaccini a mRNA contro il melanoma. Vaccini che non rendono immuni dal cancro, ma fanno da supporto al sistema immunitario per attaccare il tumore più efficacemente.
Al momento sono oltre 40 i vaccini testati, prodotti da aziende farmaceutiche e alcuni dei quali sono già arrivati in fase di studio, avanzate per diversi tipi di tumore. Quello più avanti nei test è appunto per il melanoma. Da pochi giorni è partita la prima sperimentazione in Italia sui pazienti.
Tumore al seno, a che punto siamo
Il cancro al seno è il più diffuso nel nostro Paese ma oggi ha un tasso di guarigione del 90 per cento. Oggi nei pazienti con tumore al seno metastatico si punta a cronicizzare la malattia e consentire una vita quasi normale. Inoltre nuovi farmaci offrono molte opzioni ma la chiave è identificare il sottotipo di cancro per rendere la terapia personalizzata.
Cancro in aumento in Italia tra i giovani
Il numero di casi di cancro sotto i 50 anni è in aumento in Italia. Oltre allo stile di vita, incidono fattori come inquinamento e l’uso di prodotti chimici con interferenti endocrini.
Tuttavia la ricerca sul cancro sta vivendo un vero e proprio rinascimento secondo gli esperti. Oggi la caratterizzazione genomica dei tumori guida lo sviluppo di farmaci mirati. L’Italia gioca un ruolo significativo nella produzione scientifica, sebbene manchi secondo gli esperti un investimento continuo e sostanziale nella ricerca.
Anche la partecipazione a sperimentazioni cliniche può significare per i pazienti avere accesso anticipato all’innovazione. Secondo le ricerche, infatti, i benefici superano i rischi, grazie alla crescente precisione nella progettazione di farmaci .
Dispositivi medici, Studi di Fattibilità Precoce accelerano accesso all’innovazione
News PresaUn progetto di Studio di Fattibilità Precoce (Early Feasibity Study – EFS) su un dispositivo medico in ambito neurologico ha dimostrato l’efficacia di un modello replicabile in altri ambiti. I risultati, presentati ieri al Ministero della Salute durante l’evento dal titolo”Early Feasibility Studies (EFS) per i dispositivi medici in Italia: una via possibile?“, rappresentano una via per accelerare l’accesso all’innovazione nel nostro Paese. Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato l’importanza degli EFS per avviare sperimentazioni mirate e ottenere risultati concreti in risposta alle vere esigenze dei cittadini. Per il ministro questi studi forniscono un set di informazioni, aprendo la strada a dispositivi medici innovativi e accelerando l’accesso dei pazienti a tecnologie all’avanguardia.
“Quella degli studi di fattibilità – ha dichiarato il Ministro Schillaci – è una metodologia innovativa, ancora poco utilizzata in Italia, che invece in altri contesti costituisce una realtà consolidata. L’auspicio è che proprio a partire da questo progetto, gli studi di fattibilità precoce possano trovare adeguate e future collocazioni anche in Italia. Credo che – ha continuato Schillaci -, l’approccio sperimentato per questo progetto sia una buona pratica da promuovere e incoraggiare”.
Dispositivi medici in neurologia
Durante l’evento sono stati presentati i risultati di uno studio di fattibilità precoce, promosso dal ministero e condotto dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, per testare la fattibilità, l’efficacia e la sicurezza di un dispositivo per la riabilitazione domiciliare di pazienti neurologici affetti da diverse patologie (Malattia di Parkinson, Ictus stabilizzato e sclerosi multipla).
“Ulteriore elemento di interesse è anche l’oggetto dello studio – ha evidenziato Schillaci -: un dispositivo medico per la riabilitazione domiciliare di pazienti neurologici affetti da diverse patologie (Parkinson, Ictus stabilizzato e sclerosi multipla), che permette di svolgere, in modo guidato, in autonomia e sicurezza diversi esercizi direttamente presso il proprio domicilio. Inoltre, aspetto non secondario, il paziente riceverà un feedback in tempo reale sulla correttezza del movimento svolto”.
La Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS ha guidato il progetto in ambito neurologico, collaborando con Crea sanità e Crispel. Il Professor Paolo Calabresi, direttore della UOC di Neurologia del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, responsabile dello studio, ha sottolineato come la collaborazione tra autorità regolatorie, aziende produttrici e ospedali possa valutare in modo efficace sicurezza ed efficacia di dispositivi medici innovativi.
“L’uso nella pratica clinica dei dispositivi medici è fondamentale in neurologia, altrettanto importante rispetto alle terapie farmacologiche – ha spiegato Calabresi. Il progetto ha rappresentato un’opportunità unica di contribuire a costruire una cornice normativa, una prassi per EFS futuri, non solo in ambito neurologico. Il Ministero della Salute con questo progetto ha tracciato un percorso che ha una componente innovativa importante. Lo scopo ultimo del progetto – ha continuato – è la collaborazione fra autorità regolatorie, aziende produttrici e ospedale per valutare la sicurezza ed efficacia di dispositivi medici innovativi, che rispondano a esigenze cliniche e di sostenibilità economica, e facilitarne l’immissione tempestiva sul mercato. La sperimentazione è stata svolta in ambito neurologico – ha concluso Calabresi – ma in futuro, grazie al sentiero tracciato, potrà essere utilizzato in patologie di qualsiasi ambito: medico e chirurgico.”
Cancro e fumo, smettere dopo la diagnosi riduce mortalità tra il 43% e il 52%
News PresaFumare non è solamente un fattore di rischio per l’insorgenza del cancro, Dopo una diagnosi i componenti tossici del fumo di tabacco interferiscono con le terapie e la loro efficacia. Inoltre, aumentano gli effetti collaterali e diminuisce la sopravvivenza. Ecco perché sempre più studi suggeriscono che smettere di fumare dovrebbe essere consigliato e supportato anche dopo la diagnosi oncologica. Se n’è parlato ieri durante il Meet The Expert ‘More risk reduction policies needed’, promosso dall’Osservatorio MOHRE in vista della COP10 sul tabacco che si svolgerà dal 5 febbraio.
Dal dibattito è emerso che normative severe sui prodotti alternativi al tabacco possono avere due effetti peggiorativi sulla salute: riportare gli attuali svapatori alle sigarette e allontanare dalla cessazione proprio chi ne avrebbe maggiore beneficio.
Cancro e fumo, gli studi
Già nel 1964 il rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti aveva delineato formalmente per la prima volta gli effetti negativi del fumo sulla salute umana. In particolare emergeva la correlazione tra il fumo e l’incidenza del cancro. Nel Surgeon General’s Report del 2020 gli autori sottolineano come smettere di fumare, anche dopo una diagnosi di cancro, sia associato a migliori risultati del trattamento. Inoltre influisce sulla sopravvivenza globale. Il report ha valutato un totale di 10 studi per un totale di quasi 11 mila pazienti.
In sei dei sette studi che hanno confrontato la cessazione del fumo con il fumo continuato, la cessazione del fumo è stata associata a riduzioni statisticamente significative della mortalità complessiva con una riduzione mediana del 45%. I benefici della cessazione quindi si manifesterebbero in maniera più rapida di quanto avvenga con i danni che sono lenti e cumulativi.
Tutti gli studi che hanno valutato la cessazione dal fumo sono stati statisticamente significativi, con riduzioni della mortalità tra il 43% e il 52%. Al contrario, continuare a fumare da parte dei pazienti con cancro aumenta il rischio di mortalità complessiva di una mediana del 50% e la mortalità correlata al cancro di una mediana del 60% in tutti i tipi di tumori maligni e trattamenti.
Benefici della cessazione più rapidi rispetto ai danni del fumo
“Se da un lato la diagnosi apre una finestra di ricevibilità e rende la persona sensibile a qualsiasi tema possa diminuire l’impatto della diagnosi, dall’altro lato, chiedere ad una persona di smettere è un impegno gravoso quando tutte le energie mentali sono impegnate a fronteggiare e a fare coping sulla malattia, i timori, le incertezze. Questo significa che l’impatto della cessazione proposta deve essere il più lieve possibile e che deve sconvolgere il meno possibile la vita della persona già provata psicologicamente. In questo setting particolare si pone la sostituzione delle sigarette con le alternative senza combustione anche se con nicotina, sostanza che viene ricercata per diminuire l’ansia e lo stress” spiega il Dottor Fabio Beatrice, Direttore del Board Scientifico del MOHRE.
“Oltre all’aumento associato della sopravvivenza per i pazienti con cancro che hanno smesso di fumare, è stato notato che la cessazione del fumo ha benefici per la salute a qualsiasi età con conseguente miglioramento della qualità della vita e aggiungendo fino a 10 anni alla durata della vita. Ecco perché la comunicazione ai fumatori deve insistere sui vantaggi e non solamente sui rischi che dal punto di vista cognitivo sono soggetti a resistenze se non a vere e proprie ‘rimozioni’” ha sottolineato la Dottoressa Johann Rossi Mason, Direttore dell’Osservatorio MOHRE.
Cancro, sulle terapie incide quantità di sigarette
La risposta alle terapie oncologiche dipende anche dalla quantità di sigarette fumate durante la vita. I pazienti che fumano più di 40 pacchetti l’anno hanno una risposta peggiore alla chemio, rispetto a quelli che fumano meno. E quindi fondamentale calcolare il fumo cumulativo ossia il numero di pacchetti l’anno per il numero di anni fumati.
“Nel concetto di riduzione del rischio non possiamo omettere i vantaggi economico sanitari degli interventi. Oltre alle morti evitabili, il fallimento dei trattamenti antitumorali a causa del fumo impattano per 10.700 dollari a paziente. Se pensiamo che in Italia nel 2023 ci sono state 395mila nuove diagnosi di tumore e che il 24% della popolazione fuma, i vantaggi di programmi di aiuto alla cessazione dopo la diagnosi potrebbero essere determinanti in termini clinici ed economici” conclude il Dottor Fabio Beatrice.
Vantaggi della cessazione secondo gli studi
Cancro testa e collo
I fumatori mostravano una risposta inferiore alla radioterapia e una sopravvivenza inferiore. La risposta dipendeva dalla data di cessazione: migliore per quelli che avevano smesso di fumare un anno prima rispetto a quelli che avevano spento l’ultima sigaretta 12 settimane prima della diagnosi. Su 120 pazienti con tumore di testa e collo i tassi di mortalità più alti si riscontravano in tutte le corti di fumatori con un tasso di sopravvivenza del 56% nei non fumatori e del 41% nei fumatori.
Cancro del polmone
Smettere prima dei quarant’anni elimina il rischio in eccesso di sviluppare il cancro.
Cancro orale
Smettere di fumare dimezza il rischio per bocca ed esofago a 5 anni dalla cessazione con una riduzione del rischio crescente all’aumentare del numero di anni senza fumo: meno 30% entro 5 anni dalla cessazione, meno 50% da 5 a 9 anni, meno 80% oltre 20 anni.
Cancro dell’esofago
Rischio dimezzato a 5 anni dalla cessazione.
Cancro del pancreas
Aumenta la riduzione del rischio all’aumentare degli anni di cessazione
Cancro della vescica
Dopo 10 anni di astinenza il rischio si riduce della metà.
Cancro dello stomaco
Negli ex fumatori il rischio relativo è di 1.31 mentre nei fumatori attuali è di 1.64.
Cancro del colon retto
Il rischio relativo di mortalità è di 1.22 nei fumatori attuali verso 1.18 negli ex fumatori. La differenza lieve dipende dai sottotipi molecolari.
Cancro del collo dell’utero
Rischio dimezzato nelle pazienti che hanno smesso di fumare da almeno vent’anni.
Leucemia
Rischio diminuito dopo 10 o vent’anni dalla cessazione.