Tempo di lettura: 4 minutiEssere madri in Italia rappresenta ancora un sfida. I dati mostrano come il benessere delle donne venga messo a rischio dopo la nascita di un figlio. La maternità impatta sul percorso professionale, fino a determinare in molti casi l’abbandono del posto di lavoro, a causa di stereotipi di genere che vedono la donna come principale responsabile della cura. Una tendenza che impatta negativamente sulla salute delle donne e sulla natalità del Paese che si trova a fare i conti con un minimo storico di nascite. I temi sono stati affrontati nel primo evento organizzato da Winning Women Institute che ha messo al centro il divario salariale di genere e la gestione della genitorialità. Da queste due sfide dipende l’equità di genere nel contesto lavorativo italiano.
Gender Pay Gap in Italia
Il Gender Pay Gap, ossia la differenza retributiva tra uomini e donne a parità di lavoro, rimane una realtà diffusa in Italia. Con un divario del 7,8%, il nostro Paese si colloca al 14° posto su 27 nell’Unione Europea. Un dato che evidenzia la persistenza di disuguaglianze retributive di genere e l’urgenza di interventi mirati.
Sfide della genitorialità nel mercato del lavoro
La genitorialità è un’ulteriore sfida per la parità di genere. Le donne continuano a svolgere la maggior parte dei compiti di cura dei figli e della famiglia, con ripercussioni negative sulla loro carriera lavorativa. Le difficoltà nel conciliare vita professionale e familiare spingono molte donne a rinunciare al lavoro o a sacrificare opportunità di crescita professionale.
Paola Corna Pellegrini, Presidente di Winning Women Institute, ha sottolineato l’importanza strategica della parità di genere anche dal punto di vista economico. Le aziende che investono nella parità di genere diventano più competitive e resilienti, stimolando l’innovazione e l’inclusione.
Enrico Gambardella, Managing Director di Winning Women Institute, ha evidenziato la necessità di un impegno concreto da parte delle aziende per colmare il Gender Pay Gap. Questo non solo per una questione di equità, ma anche per attrarre e trattenere talenti e rimanere competitivi sul mercato.
Sonia Malaspina, Presidente del Comitato Scientifico di Winning Women Institute, ha sottolineato l’importanza del supporto alla genitorialità come pilastro fondamentale per ottenere la certificazione per la parità di genere. Le aziende devono investire in politiche e programmi che favoriscano un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita familiare.
Madri in Italia. Report di Save the Children
In occasione della festa della mamma è stata diffusa la nona edizione del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia” di Save the Children. La pubblicazione mette in luce le sfide che le donne in Italia affrontano quando diventano madri. Una difficoltà che impatta sul benessere delle donne e che è responsabile del calo delle nascite e un tasso di fecondità in diminuzione. Il mercato del lavoro infatti sconta ancora un forte gap di genere, con un tasso di occupazione femminile del 52,5%, ben al di sotto della media dell’UE.
Occupazione femminile fa aumentare natalità
Il calo della natalità è strettamente legato a un mercato del lavoro che sconta ancora un gap di genere fortissimo. I dati, infatti, rivelano che più aumenta la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, più aumenta il tasso di fecondità. In Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell’Unione Europea (65,8%) di ben 13 punti percentuali.
La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello EU27 (9,4 punti percentuali) e seconda, di pochissimo, solo alla Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Il principale ostacolo per le donne è riuscire a bilanciare tra lavoro e famiglia, per chi svolge un lavoro di cura non retribuito.
Ruolo degli stereotipi di genere
Gli stereotipi di genere fanno scivolare sulle madri tutta la responsabilità della cura. Le donne così affrontano enormi difficoltà nel conciliare impegni familiari e lavorativi. Come dimostra il numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni. A fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%). Per gli uomini della stessa età, invece, i numeri seguono la tendenza opposta dopo la nascita di un figlio. Il tasso di occupazione totale per gli uomini è dell’83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.
Disparità territoriali e dimissioni volontarie
Le disparità territoriali nel mercato del lavoro penalizzano le donne del Sud Italia, con un tasso di occupazione significativamente più basso rispetto al Nord e al Centro. Le dimissioni volontarie post genitorialità, principalmente delle madri, mostrano come la nascita di un figlio influenzi il lavoro femminile. La nuova legge di bilancio 2024 introduce interventi mirati per sostenere le lavoratrici madri, inclusi esoneri contributivi e bonus asilo nido. Tuttavia, alcune decisioni peggiorative, come l’aumento dell’IVA su prodotti per la prima infanzia, sollevano dubbi sulla coerenza delle politiche.
Il rapporto evidenzia la necessità di interventi strutturali e politiche concrete per affrontare le sfide delle madri nel mercato del lavoro italiano. L’esperienza di altri Paesi europei dimostra come è possibile gestire il cambiamento demografico con politiche che mettano al centro le esigenze dei neo-genitori e trattengano le donne nel mercato del lavoro.
Freepik
Malattie Rare: nuovo speciale PreSa
SpecialiMadri penalizzate da stereotipi e welfare, genitorialità in Italia
Genitorialità, Madri-padri, NewsEssere madri in Italia rappresenta ancora un sfida. I dati mostrano come il benessere delle donne venga messo a rischio dopo la nascita di un figlio. La maternità impatta sul percorso professionale, fino a determinare in molti casi l’abbandono del posto di lavoro, a causa di stereotipi di genere che vedono la donna come principale responsabile della cura. Una tendenza che impatta negativamente sulla salute delle donne e sulla natalità del Paese che si trova a fare i conti con un minimo storico di nascite. I temi sono stati affrontati nel primo evento organizzato da Winning Women Institute che ha messo al centro il divario salariale di genere e la gestione della genitorialità. Da queste due sfide dipende l’equità di genere nel contesto lavorativo italiano.
Gender Pay Gap in Italia
Il Gender Pay Gap, ossia la differenza retributiva tra uomini e donne a parità di lavoro, rimane una realtà diffusa in Italia. Con un divario del 7,8%, il nostro Paese si colloca al 14° posto su 27 nell’Unione Europea. Un dato che evidenzia la persistenza di disuguaglianze retributive di genere e l’urgenza di interventi mirati.
Sfide della genitorialità nel mercato del lavoro
La genitorialità è un’ulteriore sfida per la parità di genere. Le donne continuano a svolgere la maggior parte dei compiti di cura dei figli e della famiglia, con ripercussioni negative sulla loro carriera lavorativa. Le difficoltà nel conciliare vita professionale e familiare spingono molte donne a rinunciare al lavoro o a sacrificare opportunità di crescita professionale.
Paola Corna Pellegrini, Presidente di Winning Women Institute, ha sottolineato l’importanza strategica della parità di genere anche dal punto di vista economico. Le aziende che investono nella parità di genere diventano più competitive e resilienti, stimolando l’innovazione e l’inclusione.
Enrico Gambardella, Managing Director di Winning Women Institute, ha evidenziato la necessità di un impegno concreto da parte delle aziende per colmare il Gender Pay Gap. Questo non solo per una questione di equità, ma anche per attrarre e trattenere talenti e rimanere competitivi sul mercato.
Sonia Malaspina, Presidente del Comitato Scientifico di Winning Women Institute, ha sottolineato l’importanza del supporto alla genitorialità come pilastro fondamentale per ottenere la certificazione per la parità di genere. Le aziende devono investire in politiche e programmi che favoriscano un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita familiare.
Madri in Italia. Report di Save the Children
In occasione della festa della mamma è stata diffusa la nona edizione del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia” di Save the Children. La pubblicazione mette in luce le sfide che le donne in Italia affrontano quando diventano madri. Una difficoltà che impatta sul benessere delle donne e che è responsabile del calo delle nascite e un tasso di fecondità in diminuzione. Il mercato del lavoro infatti sconta ancora un forte gap di genere, con un tasso di occupazione femminile del 52,5%, ben al di sotto della media dell’UE.
Occupazione femminile fa aumentare natalità
Il calo della natalità è strettamente legato a un mercato del lavoro che sconta ancora un gap di genere fortissimo. I dati, infatti, rivelano che più aumenta la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, più aumenta il tasso di fecondità. In Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell’Unione Europea (65,8%) di ben 13 punti percentuali.
La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello EU27 (9,4 punti percentuali) e seconda, di pochissimo, solo alla Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Il principale ostacolo per le donne è riuscire a bilanciare tra lavoro e famiglia, per chi svolge un lavoro di cura non retribuito.
Ruolo degli stereotipi di genere
Gli stereotipi di genere fanno scivolare sulle madri tutta la responsabilità della cura. Le donne così affrontano enormi difficoltà nel conciliare impegni familiari e lavorativi. Come dimostra il numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni. A fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%). Per gli uomini della stessa età, invece, i numeri seguono la tendenza opposta dopo la nascita di un figlio. Il tasso di occupazione totale per gli uomini è dell’83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.
Disparità territoriali e dimissioni volontarie
Le disparità territoriali nel mercato del lavoro penalizzano le donne del Sud Italia, con un tasso di occupazione significativamente più basso rispetto al Nord e al Centro. Le dimissioni volontarie post genitorialità, principalmente delle madri, mostrano come la nascita di un figlio influenzi il lavoro femminile. La nuova legge di bilancio 2024 introduce interventi mirati per sostenere le lavoratrici madri, inclusi esoneri contributivi e bonus asilo nido. Tuttavia, alcune decisioni peggiorative, come l’aumento dell’IVA su prodotti per la prima infanzia, sollevano dubbi sulla coerenza delle politiche.
Il rapporto evidenzia la necessità di interventi strutturali e politiche concrete per affrontare le sfide delle madri nel mercato del lavoro italiano. L’esperienza di altri Paesi europei dimostra come è possibile gestire il cambiamento demografico con politiche che mettano al centro le esigenze dei neo-genitori e trattengano le donne nel mercato del lavoro.
Freepik
Diabete tipo 2: nei giovani più aggressivo e in aumento
Adolescenti, Prevenzione, Stili di vitaOgni anno nell’Unione Europea muoiono oltre 686 mila persone a causa del diabete o di patologie correlate. Secondo le stime entro il 2030, la patologia interesserà 33,2 milioni di europei. Inoltre aumenta il numero di persone che sviluppano il diabete di tipo 2 in giovane età, quando la malattia è più aggressiva. La patologia impatta sulla sostenibilità dei sistemi sanitari, infatti il 75 per cento dei costi correlati sarebbe potenzialmente evitabile. A fare la differenza è la diagnosi precoce.
Come prevenire il diabete
La prevenzione del diabete di tipo 2 inizia da un sano stile di vita. Praticare attività fisica aerobica moderata 20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana, associato alla perdita del 10% del peso corporeo, riduce l’incidenza della patologia del 60%.
La dieta è un altro fattore determinante: un’alimentazione ricca di acidi grassi saturi (grassi animali) aumenta il rischio di sviluppare il diabete; mentre, la parziale sostituzione di questi ultimi con acidi grassi insaturi lo riduce (omega 3).
Per richiamare l’attenzione della politica sulla patologia è stata rivolta una lettera all’Unione Europea, firmata dal Prof. Stefano Del Prato, Presidente European Diabetes Forum (EUDF) e dal Prof. Agostino Consoli, Coordinatore European Diabetes Forum Italia (EUDF Italia), in occasione della Giornata dell’Europa. La lettera segue l’appello, già diffuso da EUDF e EUDF Italia con il Documento di impegno della comunità diabetologica rivolto ai candidati delle prossime elezioni europee del 2024. Oggi, mentre l’appuntamento elettorale europeo è sempre più vicino, l’appello di EUDF e EUDF Italia si rinnova.
Diabete sempre più diffuso tra i giovani
Nell’area europea cresce il numero di persone giovani con diabete di tipo 2 e adolescenti con tipo 1, in totale sono 295 mila. “Se non interveniamo – sottolinea la lettera – centinaia di migliaia di persone moriranno prematuramente nei prossimi anni”.
Infatti, se non diagnosticato o gestito in maniera inadeguata, può portare a gravi complicanze, nonché a una riduzione della qualità di vita e delle attività socio-economiche. Inoltre il 75 per cento dei costi sanitari associati alla malattia è imputabile a complicanze potenzialmente evitabili. Di conseguenza, le politiche che promuovono una diagnosi precoce e una buona gestione della malattia possono abbattere i costi e contribuire alla resilienza e sostenibilità dei sistemi sanitari. “La crescente pressione su medici e operatori sanitari – si legge nella lettera – minaccia di lasciare sole sempre più le persone nella gestione della propria patologia. Le persone non scelgono di vivere con il diabete o qualsiasi altra malattia. Questa patologia può colpire chiunque, anche i bambini e le donne in gravidanza e lo sviluppo del diabete può essere influenzato da fattori sia genetici che sociali”.
Ruolo delle tecnologie digitali
“L’adozione di efficaci strategie di prevenzione primaria e secondaria – prosegue la lettera – abbinate ad approcci di gestione moderni quali strumenti e tecnologie di salute digitale può migliorare le prospettive delle persone con diabete, nonché dei soggetti a rischio, consentendo loro di condurre una vita appagante”. “È essenziale – prosegue – che l’Unione europea sviluppi un quadro europeo di supporto che assista gli Stati Membri nell’implementazione di politiche efficaci”.
Diabete e dolori agli arti, segnali da riconoscere
NewsI piedi possono dare segnali della presenza di diabete: sintomi come dolore, bruciore o intorpidimento a piedi e gambe dovrebbero far scattare i sospetti. Eppure non sempre vengono considerati e a lungo andare possono portare a gravi complicanze. Nasce da questo presupposto la campagna “Ascolta i tuoi piedi” promossa dalle Società Italiana di Diabetologia (SID) e della Associazione Medici Diabetologi (AMD), contributo incondizionato di Theras. L’obiettivo è generare consapevolezza su una delle complicanze croniche del diabete, la polineuropatia diabetica (PND).
“L’approccio moderno alla diagnosi e cura della polineuropatia diabetica, soprattutto della forma dolorosa, necessita di un nuovo modello. Si parte dall’engagement e dall’acquisizione di consapevolezza del paziente al centro – interviene Maria Sambataro, Responsabile Unità Semplice “Gestione Ambulatoriale del Paziente Diabetico Complesso” presso UOC di Malattie Endocrine, del Metabolismo e della Nutrizione, Ospedale Ca’ Foncello di Treviso, Azienda Ulss 2 Marca trevigiana, Veneto – fino alla diagnosi precoce e la finalità preventiva delle cure farmacologiche e non farmacologiche da parte degli operatori sanitari. Creare rete in diabetologia sulla polineuropatia diabetica vuol dire espandere e concretizzare l’expertise dei centri specialistici mettendo la persona con diabete al centro del processo decisionale”.
Diabete e prevenzione
La campagna ha coinvolto 40 centri di diabetologia in tutta Italia, pari al 70% delle regioni italiane. Lo scopo della campagna è generare consapevolezza sulle complicanze legate in particolare alle polineuropatia diabetica sia nella classe medica dei diabetologi sia nelle persone con diabete.
Al fine di promuovere il dialogo tra le persone con diabete e il proprio team clinico, soprattutto in termini di trattamento del dolore e di prevenzione attiva, il board scientifico ha ideato e sviluppato un leaflet informativo che per 1 anno ha popolato gli studi di 40 centri di diabetologia italiani.
Il documento ricalca un percorso di consapevolezza attraverso informazioni sulla patologia, suggerimenti rispetto alle domande da fare a sé stessi e al diabetologo, oltre ad una tabella per valutare la scala del dolore.
Informazioni ancora insufficienti
Sono stati veicolati sul territorio ben 25 mila leaflet informativi sviluppati seguendo le indicazioni ottenute dalle interviste ad un campione di persone con neuropatia diabetica.
Oltre ad importanti indicazioni sulla patologia, il leaflet conteneva anche una serie di domande a cui veniva chiesto di rispondere e commentare con il proprio diabetologo.
Diabete e arti. I risultati del questionario
Dall’elaborazione delle risposte ottenute, emerge che oltre il 90% dei centri che hanno aderito alla campagna ha ricevuto da parte dei propri assistiti richieste di informazioni in riferimento alla polineuropatia diabetica. Inoltre, circa il 60% delle persone con diabete raggiunte dal leaflet informativo ha affermato di aver aumentato la propria consapevolezza in riferimento alla patologia.
Complicanza dolorosa del diabete
La polineuropatia diabetica è una delle complicanze croniche più̀ comuni a lungo termine del diabete mellito. L’iperglicemia causa danni alle cellule nervose, compromettendo la funzione dei nervi.
Interessa circa il 30% della popolazione diabetica e nel 50% dei casi è di tipo doloroso, ma nonostante la sua frequenza, spesso la neuropatia diabetica non viene diagnosticata o trattata adeguatamente. Può interferire sul benessere perché́ provoca dolore a gambe e piedi, formicolii, forti fitte, rigidità̀ alle gambe, forte senso di calore, bruciori, costrizione ai piedi, ulcere che provocano difficoltà a camminare o a stare a lungo in piedi. È una complicanza che porta a conseguenze invalidanti sulla qualità di vita delle persone che vi convivono, e raddoppia il tasso di mortalità per cause cardiovascolari in chi ne è affetto. La presenza di polineuropatia conferisce al paziente, soprattutto se esposto a lesioni, ischemie ed infezioni nei casi più gravi, un rischio di amputazione talora maggiore dell’arto. La mortalità a cinque anni delle persone con diabete che vengono sottoposte ad amputazione del piede è compresa tra il 30 ed il 70%, anche se non è noto quale sia il ruolo attivo della polineuropatia diabetica (PND).
La mortalità per cause cardiovascolari nei soggetti con PND raddoppia rispetto ai soggetti che non ne sono affetti, probabilmente perché’ individua un cluster più a rischio.
Parkinson, l’efficacia del trapianto di feci
Ricerca innovazione, NewsIl trapianto di feci da pazienti sani a pazienti malati di Parkinson può migliorare i sintomi motori di questi ultimi, come tremori e rigidità. Quella che può sembrare una bufala è invece una delle ultime frontiere nella lotta a questa malattia neurodegenerativa ed è legata alle più recenti scoperte sul suo funzionamento. In particolare, la notizia del trapianto di feci si lega allo stretto legame, ormai appurato, tra la malattia di Parkinson e la flora batterica intestinale.
Parkinson e batteri divergenti
Molto interessante a riguardo è uno studio dell’Università dell’Alabama di Birmingham che ha messo in luce come nelle feci dei pazienti con Parkinson sussistano significative differenze nella composizione dei batteri. Tra le famiglie divergenti figurano Lactobacillaceae, Bifidobacteriaceae, Christensenellaceae, Pasteurellaceae e altre. Un’altra indagine più recente ha invece trovato una correlazione con la presenza del batterio Desulfovibrio.
La proteina responsabile
Una delle convinzioni che sta emergendo è che la malattia di Parkinson sia legata ad una proteina dal nome complesso quanto il suo compito: alfa-sinucleina. Semplificando non poco, l’idea è che il cattivo funzionamento di questa proteina porti alla formazione di piccoli grumi nella parete intestinale che, attraverso il nervo vago, riescono poi a raggiungere il tessuto cerebrale e a distruggere i neuroni dopaminergici (produttori di dopamina) innescando i tipici sintomi del Parkinson: tremori, rigidità, difficoltà mantenere l’equilibrio, ma anche stitichezza, disturbi del sonno e perdita dell’olfatto.
La diagnosi del Parkinson
Il neurologo per la diagnosi clinica valuta la storia clinica e familiare del paziente e la presenza di sintomi e segni neurologici. L’indagine potrebbe inoltre richiedere l’esecuzione di esami quali la risonanza magnetica nucleare ad alto campo, SPECT DATscan, PET cerebrale, scintigrafia del miocardio e test neurofisiologici del sistema nervoso autonomo.
Sperimentazione
Alla luce dello stretto legame tra batteri intestinali e la patologia neurodegenerativa, i ricercatori hanno ipotizzato che trapiantare feci di persone sane in pazienti con Parkinson allo stadio iniziale avrebbe potuto offrire dei benefici nella sintomatologia, grazie all’alterazione benefica indotta alla flora batterica. Ed è proprio questo che è stato scoperto. A condurre l’esperimento un team di ricerca belga composto da scienziati dell’Ospedale Universitario di Ghent, della Facoltà di Medicina e Scienze della Salute dell’Università di Ghent e del VIB-UGent Center for Inflammation Research. Quanto scoperto, assieme alle conoscenze già acuiste negli anni, consentirà di arrivare nel tempo a cure sempre più efficaci e, magari, anche a vincere una battaglia che oggi sembra inarrivabile.
Presa Weekly 10 Maggio 2024
PreSa WeeklyIncontro AIFA-Farmindustria. Nisticò: un tavolo per dimezzare tempi di accesso ai farmaci
Farmaceutica, News, Ricerca innovazione“Stiamo lavorando per ridurre i tempi delle procedure di accesso attraverso un percorso di sburocratizzazione e semplificazione amministrativa che deve garantire ai cittadini la più rapida fruibilità dei farmaci realmente innovativi”. Così il Presidente dell’AIFA, Robert Nisticò al termine del primo incontro con il Presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, svoltosi oggi nella sede dell’Agenzia.
L’incontro ha portato subito alla costituzione di un gruppo di lavoro tecnico che avrà il compito di individuare gli strumenti di semplificazione. L’obiettivo è consentire di dare la priorità all’approvazione di farmaci capaci di migliorare la qualità delle cure e le opzioni terapeutiche disponibili. Un obiettivo – si è convenuto – che dovrà essere conseguito anche alleggerendo la Commissione Scientifica ed Economica (CSE) dell’Agenzia di alcune procedure che potrebbero essere svolte direttamente d’ufficio.
“Stiamo smaltendo con una serie ravvicinata di convocazioni della CSE il notevole arretrato formatosi nella fase precedente alla riforma dell’AIFA – ha affermato il Presidente Nisticò – perché il nostro obiettivo è dare priorità in particolare a farmaci che colmano un vuoto terapeutico”.
Una riflessione in questo senso è stata avviata anche sulla necessità di prevedere incentivi e percorsi rapidi di approvazione per i nuovi antibiotici in grado di sostituire quelli che hanno generato forme di resistenza batterica. “C’è un modello efficace ed è quello della normativa che ha permesso di incentivare la ricerca dei farmaci orfani per le malattie rare, che può essere riprodotto per i nuovi antibiotici non resistenti alle infezioni batteriche. Ma per questo – ha specificato il Presidente dell’AIFA – servirà un intervento normativo, anche a livello europeo, rispetto al quale ci impegneremo a sensibilizzare i decisori ai vari livelli”.
Sempre nell’ottica della velocizzazione degli iter autorizzativi di accesso, il Direttore tecnico-scientifico dell’AIFA, Pierluigi Russo, ha annunciato la prossima introduzione di una piattaforma online “per rendere più efficace e trasparente la comunicazione tra le aziende e l’Agenzia in relazione all’iter della CSE, oltre all’aggiornamento della linea guida relativa ai dossier di richiesta del prezzo e della rimborsabilità dei farmaci”.
Confermato infine l’impegno per l’applicazione della regolamentazione europea sull’Health Technology Assessment (HTA) che favorisce una valutazione multidimensionale del farmaco su sistema sanitario, aspetti economici e tutela della salute dei cittadini.
Cancro e infarto negli anziani, proteina del sangue predice il rischio
News, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaBassi livelli di albumina sono associati alla mortalità per cancro e malattie cardiovascolari negli individui di età pari o superiore ai 65 anni. Lo ha dimostrato uno studio italiano che ha coinvolto 18 mila persone, realizzato dall’Università Sapienza di Roma in collaborazione con I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università LUM di Casamassima. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista eClinical Medicine-Lancet.
I risultati della ricerca sul rischio di cancro
La ricerca ha messo in luce un’associazione significativa tra ipoalbuminemia (bassi livelli di albumina nel sangue) e un aumento del rischio di mortalità per malattie vascolari e cancro in individui anziani.
La ricerca, condotta sulla base dei dati raccolti dallo studio epidemiologico Moli-sani, ha analizzato un gruppo di persone (circa 18.000 soggetti, dei quali 3.299 di età pari o superiore ai 65 anni), dimostrando che livelli di albumina inferiori a 35 g/L sono collegati a un rischio maggiore di morte negli anziani. Questa relazione è stata osservata anche dopo aver escluso fattori come malattie renali o epatiche e stati infiammatori acuti, che possono influenzare i livelli di albumina.
“La possibilità di ottenere indicazioni predittive su malattie con alta incidenza e elevato rischio di morte – come quelle cardiovascolari o i tumori – attraverso un esame semplice e ampiamente disponibile, anche a basso costo, rappresenta una importante conquista per la medicina moderna” – commenta la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni. “Questo studio, che conferma e consolida l’eccellenza delle attività scientifica delle università e degli enti di ricerca italiani in campo medico, ha anche un importante valore sociale attribuibile alle possibili ricadute nell’ambito della prevenzione”.
“La nostra analisi – dice Francesco Violi, Professore Emerito della Sapienza Università di Roma e ideatore dello studio – origina dal fatto che nel sangue l’albumina è una proteina che svolge attività antiossidante, antinfiammatoria e anticoagulante. La sua diminuzione, pertanto, accentua lo stato infiammatorio sistemico, facilitando l’iperattività delle cellule predisposte alla cancerogenesi o alla trombosi. È importante, in questo contesto, sottolineare che cancro e infarto cardiaco condividono una base comune proprio nella presenza di uno stato infiammatorio cronico, e che pazienti a rischio di malattie cardiovascolari, come i diabetici e gli obesi, sono anche a rischio di cancro”.
“I risultati del nostro studio – aggiunge Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo della Mediterranea Cardiocentro e dell’I.R.C.C.S. Neuromed- mostrano che un livello basso di albumina, oltre a fornire indicazioni sullo stato nutrizionale e sulla salute del fegato, segnala anche una aumentata suscettibilità verso altre gravi patologie. L’ipoalbuminemia potrebbe riflettere quel processo infiammatorio cronico, tipico dell’invecchiamento, noto come ‘inflammaging’, che potrebbe aver contribuito al rischio elevato di mortalità che abbiamo osservato.”
Incide livello socioeconomico
Un dato interessante della ricerca è che l’ipoalbuminemia è correlata a un livello socioeconomico più basso. Questo solleva un’importante questione sociale, poiché per motivi economici, gli anziani optano spesso per una dieta meno salutare, scegliendo alimenti con proteine meno nobili.
“Oltre a fornirci lo spunto per approfondire con ulteriori ricerche il rapporto tra albumina nel sangue e salute – commenta Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed e Professore Ordinario di Igiene dell’Università LUM – questo studio può avere implicazioni dirette sulla pratica clinica e sulla prevenzione. La misura dell’albumina nel sangue è infatti un test semplice e poco costoso. È quindi da considerare un’analisi di primo livello, che permetterebbe di porre una maggiore attenzione clinico-diagnostica verso gli individui anziani potenzialmente a rischio. Il nostro studio fornisce anche un valore di riferimento (35 g/L) che può guidare il medico nell’interpretazione della misura di albumina”.
Freepik
Vaccini a mRNA per tumori e non solo: 4 ambiti
Farmaceutica, News, Ricerca innovazioneVaccini e farmaci prodotti a partire da molecole di mRNA sintetico conquistano sempre più spazio nella ricerca e nel mercato globale.
Un piccolo filamento di mRNA prodotto in laboratorio promette di rispondere a gravi malattie ancora oggi prive di una cura. La tecnologia consente di produrre in poche settimane un vaccino o un farmaco capaci di stimolare una risposta immunitaria dell’organismo, per intercettare e combattere agenti esterni. Sulle potenzialità per rivoluzionare la medicina e trasformare il futuro della salute se ne è parlato in un incontro: “mRNA: un messaggio dal futuro della Medicina. Comunicare l’innovazione che può rivoluzionare prevenzione e cura delle malattie” che coinvolge giornalisti e clinici esperti del settore, promosso dal Master di I livello “La Scienza nella Pratica Giornalistica” (SGP) della Sapienza Università di Roma.
mRNA, dalla scoperta all’utilizzo
Dopo i vaccini contro il Covid-19, l’mRNA vede una crescita esponenziale di laboratori e studi, sostenuta da investimenti. Tuttavia, l’mRNA (RNA messaggero) ha una storia più lunga, è stato scoperto nel 1961, quando si è iniziato a comprendere il ruolo svolto da questa macromolecola, portatrice del messaggio che consente a tutte le cellule dell’organismo di produrre proteine. Negli anni ’70 i ricercatori hanno capito come introdurla all’interno delle cellule, ma solo venti anni dopo si è iniziato a studiare la possibilità di utilizzarla a scopo preventivo e terapeutico, attraverso i vaccini a mRNA.
«Nelle cellule, l’RNA messaggero svolge un ruolo fondamentale nella sintesi delle proteine: l’informazione genetica contenuta nel DNA viene trascritta in RNA messaggero, che, uscito dal nucleo, si lega ai ribosomi, organelli situati nel citoplasma cellulare, e detta la sequenza delle proteine da produrre – spiega Rita Carsetti, Immunologa dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – quindi, il DNA decide cosa serve alla cellula, l’mRNA porta l’informazione ai ribosomi che si attivano
per tradurla in una specifica proteina. L’RNA messaggero appena usato viene eliminato e la cellula è pronta a ricevere altri messaggi. Le caratteristiche che rendono così utile in medicina l’mRNA sono la sua capacità di portare informazioni e far produrre proteine alle nostre cellule e di rappresentare un sistema di informazione labile che non persiste e non può modificare il genoma o la cellula in modo permanente».
Terapie personalizzate
L’utilizzo dell’mRNA a scopo preventivo e terapeutico si basa sull’idea di usare RNA messaggeri sintetici per trasmettere informazioni specifiche all’interno delle cellule senza andare a modificare le istruzioni del DNA. Si tratta in pratica di trasformare le cellule in “fabbriche” di vaccini o farmaci su richiesta e personalizzati, sfruttando le informazioni trasmesse tramite l’RNA messaggero sintetizzato in laboratorio. Inoltre consente di progettazione e produzione vaccini e farmaci in tempi brevi, adeguati alla velocità con cui cambiano molti microrganismi e le cellule maligne.
«La piattaforma tecnologica a mRNA presenta alcuni importanti vantaggi – dichiara Pier Luigi Lopalco, Professore ordinario di Igiene generale ed applicata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali Università del Salento – il primo indubbio vantaggio, che abbiamo potuto osservare durante la pandemia, è la rapidità della produzione. A gennaio 2020 è stato isolato il genoma del virus SARS-CoV2 e dopo 7-8 mesi è stato prodotto il vaccino. Inoltre, la capacità della tecnologia mRNA di adattarsi velocemente ai cambiamenti di virus suscettibili a mutazioni come quelli influenzali, la rende una piattaforma estremamente flessibile e versatile».
«Altro aspetto non secondario – prosegue – riguarda le fasi del processo produttivo, che avviene senza la necessità di maneggiare i virus, assicurando così una elevata bio-sicurezza; da ultimo, la semplicità logistica per la produzione di vaccini, che può avvenire persino all’interno di container senza bisogno di disporre di grandi laboratori. La piattaforma tecnologica a mRNA potrà esprimere il massimo delle sue potenzialità se unita all’intelligenza artificiale (IA), che entrerà in tutte le fasi di progettazione, disegno e produzione di vaccini e farmaci basati sull’RNA messaggero».
Regolare l’espressione del genoma senza modificare il codice genetico è qualcosa che si differenzia dalla terapia genica classica o dai più innovativi approcci di editing genomico, che agiscono sulle istruzioni che l’organismo racchiude nel suo DNA.
Oggi presente in quattro ambiti
Attualmente sono quattro gli ambiti per i quali si sperimenta la tecnologia a mRNA: i vaccini preventivi per le malattie infettive, i vaccini terapeutici per il cancro, i farmaci per le malattie genetiche rare e per le malattie autoimmuni. Nel primo caso, la proteina prodotta dall’mRNA sintetico induce una risposta anticorpale da parte del nostro sistema immunitario, ma questo concetto è applicabile anche ai tumori. Si può “addestrare” il sistema immunitario a combattere le cellule maligne che però mutano velocemente. La tecnologia dell’mRNA permette di produrre vaccini che colpiscono più antigeni o di riconoscere una specifica proteina particolarmente espressa in un certo tipo di tumore. In questo caso, i vaccini terapeutici a base di mRNA sono altamente personalizzati (e combinati con l’immunoterapia) sul singolo malato e sul tipo di tumore.
«Dal momento che l’mRNA è responsabile della produzione di proteine, la tecnologia può essere applicata anche a tutte quelle patologie genetiche rare che sono causate proprio dalla mancanza di una specifica proteina a causa di un gene mutato. L’mRNA prodotto in laboratorio può essere predisposto per ricostruire la produzione di quella proteina deficitaria, in questo caso si bypassa l’utilizzo del vettore virale e si fornisce l’RNA messaggero alla cellula che diventa capace di riprodurre la proteina persa – sottolinea Mariangela Morlando, Professore associato Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “C. Darwin”, Sapienza Università di Roma – attualmente sono migliaia gli studi sulla molecola ma al 2023 si registrano poco meno di 200 molecole in fase di attiva indagine sperimentale o di studi preclinici, un centinaio in fase di trial clinico, solo 7 in fase di preregistrazione e solo 5 già approvati, i vaccini del Covid-19».
mRNA, sfide e prospettive future
La strada è ancora lunga e le difficoltà non mancano: prime tra tutte l’instabilità dell’mRNA, l’efficienza con cui viene tradotto in proteina e come incapsulare l’RNA per poterlo veicolare verso uno specifico tipo cellulare dell’organismo. Ma le prospettive sono incoraggianti perché i risultati delle ricerche potrebbero cambiare lo scenario di importanti malattie. Al momento sono in corso trial clinici in Fase 2 per i vaccini nel melanoma ad alto rischio; trial clinici in fasi più precoci per RNA messaggero che porta alla produzione di proteine pro-infiammatorie per il cancro; trial clinici per le malattie autoimmuni, per malattie genetiche rare e uno studio che riguarda dati ottenuti durante la fase del trial clinico per una malattia metabolica (acidemia propionica) in Fase 1 e 2.
Napoli ricorda Gabriella Fabbrocini
Eventi d'interesse“Gabriella Fabbrocini è stata una grande donna, un grande medico, una donna impegnata nella sanità pubblica. Una donna impegnata nel sociale. Abbiamo realizzato alla Federico II un Centro di Dermatologia etnica e sociale; Gabriella aveva un’enorme attenzione per le fasce deboli e ancor più per le donne. Il Centro diventerà entro la fine dell’anno un Centro di dermatologia regionale. Cercheremo di realizzare alcune delle sue battaglie, con tanta convinzione in un momento nel quale la sanità pubblica è in ginocchio e l’attenzione alla povera gente sembra diventata un optional. Dobbiamo recuperare un sistema di valori che in questo momento in Italia rischia di essere calpestato”. Queste le parole del presidente della Giunta Regionale Vincenzo De Luca in occasione della serata dedicata alla memoria della professoressa Gabriella Fabbrocini, scomparsa prematuramente a causa di un carcinoma del pancreas.
Un mare di affetto per Gabriella Fabbrocini
L’evento, tenutosi ieri in un Teatro Mediterraneo sold-out in ogni ordine di posto ha richiamato la presenza dei tantissimi amici di Gabriella, ma anche tanti ex pazienti e persone comuni. Non di meno, i più autorevoli rappresentanti istituzionali non hanno voluto far mancare il proprio sostegno all’iniziativa. Oltre al presidente De Luca, il sindaco Gaetano Manfredi, il prefetto Michele Di Bari, i questori Maurizio Agricola e Alfredo Fabbrocini. E ancora, il generale Antonio Jannece, il prefetto di Avellino Paola Spena, il presidente del Tribunale di Napoli Elisabetta Garzo, il presidente del Tar Campania Vincenzo Salamone e il magnifico rettore dell’Università Federico II di Napoli Matteo Lorito.
Star
Sul palco si sono avvicendati artisti del calibro di Ron, Peppe Iodice, LDA, Andrea Sannino, Francesco Cicchella e Vincenzo De Lucia per una serata di varietà, di musica e comicità condotta da Mariasole Pollio e coordinata dall’autore Stefano Santucci e dall’avvocato Eugenio d’Andrea. “Tutti – sottolinea Fabrizio Pallotta, marito di Gabriella – hanno messo con generosità e gratuitamente a disposizione il proprio talento per una causa alla quale tutti noi teniamo moltissimo, raccogliere fondi per la ricerca del tumore al pancreas. Il modo migliore per ricordare Gabriella è con il sorriso e con azioni concrete in favore di giovani brillanti, talenti impegnati nel campo della ricerca per la cura del tumore del pancreas e delle malattie dermatologiche”.
Borse di studio
Del resto, è proprio questo uno dei principali obiettivi della fondazione. Grazie alla sensibilità dei napoletani e degli amici di Gabriella Fabbrocini l’evento ha permesso di raccogliere la somma record di 40.000 mila euro, denaro che servirà a finanziare due borse di studio a giovani impegnati nella ricerca di nuove terapie che mirano a rallentare la progressione di questo terribile male. Per suor Simona Biondin (membro del comitato scientifico della Fondazione, con delega alle attività di formazione e sociali) “la serata ricorderà la capacità di Gabriella di abitare con simpatia la condizione umana. Gabriella era in grado di percorrere con lucidità e benevolenza tutti i sentieri della vita: quelli della festa, della leggerezza, ma anche del dolore e della malattia. Una dote preziosa che deve essere d’esempio per tutti”.
I premi
Tra gli amici di Gabriella Fabbrocini (e oggi coordinatore del comitato scientifico della Fondazione Fabbrocini), ad Andrea Ballabio il compito di conferire due premi molto importanti: il primo al professor Renato Ostuni (Group Leader, Unità di Genomica del Sistema Immunitario Innato San Raffaele-Telethon Institute for Gene Therapy (SR-Tiget) per le sue ricerche sul carcinoma del pancreas; l’altro alla professoressa Graziella Pellegrini dell’Università di Modena, per le sue ricerche sulle malattie della pelle. “Per me è un piacere e un onore celebrare la vita di Gabriella, mia cara amica – dice Ballabio – ancor più nella consapevolezza che lo scopo della serata è anche quello di raccogliere fondi in favore della ricerca”.