Tempo di lettura: 4 minutiL’inclusione è un valore per l’intera comunità. Eppure i modelli organizzativi spesso non riescono a tutelare i diritti delle persone con disabilità intellettive. Sono le associazioni a colmare le lacune. Sulla sostenibilità di un percorso di emancipazione concreta delle persone con disabilità si è discusso in un incontro in Puglia, a Lecce, promosso dalla Fondazione Div.ergo – ONLUS. Rappresentanti delle associazioni e mondo accademico, con il supporto delle Istituzioni, si sono interrogati sull’immagine che inchioda le persone con disabilità intellettiva nel ruolo di semplici destinatari di politiche assistenziali, ostacolando la loro piena inclusione nel mondo del lavoro. Dall’analisi è emerso come i giovani con disabilità intellettiva si trovino dinanzi al continuo ricorso ad esperienze di formazione post scolastiche che – spesso – difficilmente sfociano in veri percorsi lavorativi. Assumono, invece, la forma dell’espediente per occupare il tempo, sottolinea la fondazione. Se il mercato non è disposto a pagare il costo dei beni sociali, allora è necessario realizzare un modo per moltiplicare forme sostenibili di impresa sociale. La conferenza, dal titolo: “Lavoro o lavoretti? – esperienze, prospettive e ostacoli per l’inclusione lavorativa di persone con disabilità intellettiva” ha cercato di individuare – con l’aiuto del prof. Carlo Lepri – i cambi di paradigma sociali e culturali. Inoltre ha indagato i passaggi legislativi necessari a tutelare l’effettivo e pieno esercizio dei diritti di cittadinanza secondo i principi di autodeterminazione e non discriminazione, in coerenza con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18.
Cambio di paradigma culturale: persone con disabilità intellettiva eterni bambini. L’importanza di costruire l’immagine adulta
“Inizia a prendere spazio una rappresentazione legata all’idea adulta della persona con disabilità intellettiva e non secondo un’immagine infantilizzante”, mette in luce la fondazione. Spesso per le persone con disabilità intellettiva i progetti di vita autonoma sono impantanati nella gestione delle problematiche della quotidianità. Si scontrano con la fatica dei genitori di vedere il figlio in prospettiva e ad agire dei distanziamenti necessari. Difatti, molte di queste persone, nella loro condizione di disabilità, stentano a realizzare i normali processi di contrapposizione ai genitori, ad uscire dal nucleo familiare, perpetuando, invece, forme di simbiosi e di dipendenza.
Molto dipende dal contesto e dall’approccio di chi è parte della rete sociale delle persone con disabilità intellettiva. La risposta alla domanda “chi sono io” è strettamente legata all’interazione e al rimando, che determina l’identità di altri. Per questo è urgente decostruire l’immagine del bambino per costruire quella dell’adulto.
Concetto di persona
“Il concetto di ‘persona’ con disabilità – così come evidenziato dalla L. 227/21 – presuppone la valorizzazione dal punto di vista etico (la persona è sacra non può essere sostituita nell’universo in cui è presente), dei significati politici (la persona è l’individuo più i suoi diritti, come affermava Hannah Arendt) e dei significati psicosociali”, si legge nell’analisi. “Le persone sono individui che interpretano ruoli nella vita, con diritti e doveri. Nel mondo degli adulti la persona è colei che interpreta ruoli diversi in base ai contesti e la completezza, la ricchezza della persona è data dalla qualità e quantità di ruoli sociali che riesce ad interpretare”.
Valore del lavoro: tre esperienze a confronto
Qual è il valore del lavoro? Cosa deve avere il lavoro per essere veramente emancipativo? Il lavoro, accanto al suo valore remunerativo, assume un carattere di generatore di benessere e di promozione della vita umana. Si tratta di un’occasione di socializzazione, di stare con gli altri; è un organizzatore del tempo. Per questo molte esperienze di inclusione lavorativa che si riducono a poche ore a settimana rischiano di essere poco significative. Il lavoro, qualunque esso sia, è per ciascuno partecipazione al bene comune. Infine, il lavoro è fonte di identità, fa acquisire dei ruoli, una funzione sociale.
Spunto per queste riflessioni è stata la restituzione dei risultati dei progetti “Trasformiamoci”, presentato dalla presidente dott.ssa Annalisa Paradiso, e del progetto “Essenze”, presentato dalla dott.ssa Maria Teresa Pati, presidente della Fondazione Div.ergo – ONLUS, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e dalla Regione Puglia, Assessorato al Welfare nell’ambito della misura “Puglia Capitale Sociale 3.0” Linea A.
Trasformiamoci, promosso dalla cooperativa Filodolio con il sostegno di Fondazione Prosolidar, ha realizzato percorsi di agricoltura sociale che hanno coinvolto cinque giovani con disabilità intellettiva, impegnati, dapprima, nel recupero e nella coltivazione di oltre quattro ettari di terreno incolti o abbandonati, con la produzione di ortaggi, grano, legumi, micro-ortaggi, zafferano e topinambur, e poi nella trasformazione dei prodotti orticoli e nel confezionamento e distribuzione.
Altra esperienza innovativa promossa da Fondazione Div.ergo – ONLUS è quella del progetto “Laboratorio creativo Div.ergo”, laboratorio di creazione di prodotti artigianali, che sul tema dell’inclusione lavorativa ha mosso importanti passi. Dal 1° marzo 2024 saranno assunte altre due giovani con disabilità intellettiva, grazie al contributo di Chapron Charity Foundation, che si aggiungeranno ai 4 già assunti dal 2016 in poi. In totale sono tre contratti a tempo indeterminato e tre contratti a tempo determinato.
Nuovi input legislativi, il budget di progetto
Il sistema normativo, con la legge delega 227/21, punta ad assicurare alla persona il riconoscimento della propria condizione di disabilità per rimuovere gli ostacoli e per attivare i sostegni utili al pieno esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti e superare molti degli ostacoli che hanno di fatto reso inefficaci o scarsamente incisivi molti strumenti normativi del passato, a partire dalla famosa L. 68/1999.
L’attuazione del progetto di vita è sostenuta dal budget di progetto che è costituito, in modo integrato, dall’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali. La predisposizione del budget di progetto è effettuata secondo i principi della co-programmazione, della co-progettazione con gli enti del terzo settore, dell’integrazione e dell’interoperabilità nell’impiego delle risorse e degli interventi pubblici e, se disponibili, degli interventi privati. Il budget di progetto è caratterizzato da flessibilità e dinamicità al fine di integrare, ricomporre, ed eventualmente riconvertire, l’utilizzo di risorse pubbliche, private ed europee.
Parkinson, l’efficacia del trapianto di feci
Ricerca innovazione, NewsIl trapianto di feci da pazienti sani a pazienti malati di Parkinson può migliorare i sintomi motori di questi ultimi, come tremori e rigidità. Quella che può sembrare una bufala è invece una delle ultime frontiere nella lotta a questa malattia neurodegenerativa ed è legata alle più recenti scoperte sul suo funzionamento. In particolare, la notizia del trapianto di feci si lega allo stretto legame, ormai appurato, tra la malattia di Parkinson e la flora batterica intestinale.
Parkinson e batteri divergenti
Molto interessante a riguardo è uno studio dell’Università dell’Alabama di Birmingham che ha messo in luce come nelle feci dei pazienti con Parkinson sussistano significative differenze nella composizione dei batteri. Tra le famiglie divergenti figurano Lactobacillaceae, Bifidobacteriaceae, Christensenellaceae, Pasteurellaceae e altre. Un’altra indagine più recente ha invece trovato una correlazione con la presenza del batterio Desulfovibrio.
La proteina responsabile
Una delle convinzioni che sta emergendo è che la malattia di Parkinson sia legata ad una proteina dal nome complesso quanto il suo compito: alfa-sinucleina. Semplificando non poco, l’idea è che il cattivo funzionamento di questa proteina porti alla formazione di piccoli grumi nella parete intestinale che, attraverso il nervo vago, riescono poi a raggiungere il tessuto cerebrale e a distruggere i neuroni dopaminergici (produttori di dopamina) innescando i tipici sintomi del Parkinson: tremori, rigidità, difficoltà mantenere l’equilibrio, ma anche stitichezza, disturbi del sonno e perdita dell’olfatto.
La diagnosi del Parkinson
Il neurologo per la diagnosi clinica valuta la storia clinica e familiare del paziente e la presenza di sintomi e segni neurologici. L’indagine potrebbe inoltre richiedere l’esecuzione di esami quali la risonanza magnetica nucleare ad alto campo, SPECT DATscan, PET cerebrale, scintigrafia del miocardio e test neurofisiologici del sistema nervoso autonomo.
Sperimentazione
Alla luce dello stretto legame tra batteri intestinali e la patologia neurodegenerativa, i ricercatori hanno ipotizzato che trapiantare feci di persone sane in pazienti con Parkinson allo stadio iniziale avrebbe potuto offrire dei benefici nella sintomatologia, grazie all’alterazione benefica indotta alla flora batterica. Ed è proprio questo che è stato scoperto. A condurre l’esperimento un team di ricerca belga composto da scienziati dell’Ospedale Universitario di Ghent, della Facoltà di Medicina e Scienze della Salute dell’Università di Ghent e del VIB-UGent Center for Inflammation Research. Quanto scoperto, assieme alle conoscenze già acuiste negli anni, consentirà di arrivare nel tempo a cure sempre più efficaci e, magari, anche a vincere una battaglia che oggi sembra inarrivabile.
Presa Weekly 10 Maggio 2024
PreSa WeeklyIncontro AIFA-Farmindustria. Nisticò: un tavolo per dimezzare tempi di accesso ai farmaci
Farmaceutica, News, Ricerca innovazione“Stiamo lavorando per ridurre i tempi delle procedure di accesso attraverso un percorso di sburocratizzazione e semplificazione amministrativa che deve garantire ai cittadini la più rapida fruibilità dei farmaci realmente innovativi”. Così il Presidente dell’AIFA, Robert Nisticò al termine del primo incontro con il Presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, svoltosi oggi nella sede dell’Agenzia.
L’incontro ha portato subito alla costituzione di un gruppo di lavoro tecnico che avrà il compito di individuare gli strumenti di semplificazione. L’obiettivo è consentire di dare la priorità all’approvazione di farmaci capaci di migliorare la qualità delle cure e le opzioni terapeutiche disponibili. Un obiettivo – si è convenuto – che dovrà essere conseguito anche alleggerendo la Commissione Scientifica ed Economica (CSE) dell’Agenzia di alcune procedure che potrebbero essere svolte direttamente d’ufficio.
“Stiamo smaltendo con una serie ravvicinata di convocazioni della CSE il notevole arretrato formatosi nella fase precedente alla riforma dell’AIFA – ha affermato il Presidente Nisticò – perché il nostro obiettivo è dare priorità in particolare a farmaci che colmano un vuoto terapeutico”.
Una riflessione in questo senso è stata avviata anche sulla necessità di prevedere incentivi e percorsi rapidi di approvazione per i nuovi antibiotici in grado di sostituire quelli che hanno generato forme di resistenza batterica. “C’è un modello efficace ed è quello della normativa che ha permesso di incentivare la ricerca dei farmaci orfani per le malattie rare, che può essere riprodotto per i nuovi antibiotici non resistenti alle infezioni batteriche. Ma per questo – ha specificato il Presidente dell’AIFA – servirà un intervento normativo, anche a livello europeo, rispetto al quale ci impegneremo a sensibilizzare i decisori ai vari livelli”.
Sempre nell’ottica della velocizzazione degli iter autorizzativi di accesso, il Direttore tecnico-scientifico dell’AIFA, Pierluigi Russo, ha annunciato la prossima introduzione di una piattaforma online “per rendere più efficace e trasparente la comunicazione tra le aziende e l’Agenzia in relazione all’iter della CSE, oltre all’aggiornamento della linea guida relativa ai dossier di richiesta del prezzo e della rimborsabilità dei farmaci”.
Confermato infine l’impegno per l’applicazione della regolamentazione europea sull’Health Technology Assessment (HTA) che favorisce una valutazione multidimensionale del farmaco su sistema sanitario, aspetti economici e tutela della salute dei cittadini.
Cancro e infarto negli anziani, proteina del sangue predice il rischio
News, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaBassi livelli di albumina sono associati alla mortalità per cancro e malattie cardiovascolari negli individui di età pari o superiore ai 65 anni. Lo ha dimostrato uno studio italiano che ha coinvolto 18 mila persone, realizzato dall’Università Sapienza di Roma in collaborazione con I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università LUM di Casamassima. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista eClinical Medicine-Lancet.
I risultati della ricerca sul rischio di cancro
La ricerca ha messo in luce un’associazione significativa tra ipoalbuminemia (bassi livelli di albumina nel sangue) e un aumento del rischio di mortalità per malattie vascolari e cancro in individui anziani.
La ricerca, condotta sulla base dei dati raccolti dallo studio epidemiologico Moli-sani, ha analizzato un gruppo di persone (circa 18.000 soggetti, dei quali 3.299 di età pari o superiore ai 65 anni), dimostrando che livelli di albumina inferiori a 35 g/L sono collegati a un rischio maggiore di morte negli anziani. Questa relazione è stata osservata anche dopo aver escluso fattori come malattie renali o epatiche e stati infiammatori acuti, che possono influenzare i livelli di albumina.
“La possibilità di ottenere indicazioni predittive su malattie con alta incidenza e elevato rischio di morte – come quelle cardiovascolari o i tumori – attraverso un esame semplice e ampiamente disponibile, anche a basso costo, rappresenta una importante conquista per la medicina moderna” – commenta la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni. “Questo studio, che conferma e consolida l’eccellenza delle attività scientifica delle università e degli enti di ricerca italiani in campo medico, ha anche un importante valore sociale attribuibile alle possibili ricadute nell’ambito della prevenzione”.
“La nostra analisi – dice Francesco Violi, Professore Emerito della Sapienza Università di Roma e ideatore dello studio – origina dal fatto che nel sangue l’albumina è una proteina che svolge attività antiossidante, antinfiammatoria e anticoagulante. La sua diminuzione, pertanto, accentua lo stato infiammatorio sistemico, facilitando l’iperattività delle cellule predisposte alla cancerogenesi o alla trombosi. È importante, in questo contesto, sottolineare che cancro e infarto cardiaco condividono una base comune proprio nella presenza di uno stato infiammatorio cronico, e che pazienti a rischio di malattie cardiovascolari, come i diabetici e gli obesi, sono anche a rischio di cancro”.
“I risultati del nostro studio – aggiunge Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo della Mediterranea Cardiocentro e dell’I.R.C.C.S. Neuromed- mostrano che un livello basso di albumina, oltre a fornire indicazioni sullo stato nutrizionale e sulla salute del fegato, segnala anche una aumentata suscettibilità verso altre gravi patologie. L’ipoalbuminemia potrebbe riflettere quel processo infiammatorio cronico, tipico dell’invecchiamento, noto come ‘inflammaging’, che potrebbe aver contribuito al rischio elevato di mortalità che abbiamo osservato.”
Incide livello socioeconomico
Un dato interessante della ricerca è che l’ipoalbuminemia è correlata a un livello socioeconomico più basso. Questo solleva un’importante questione sociale, poiché per motivi economici, gli anziani optano spesso per una dieta meno salutare, scegliendo alimenti con proteine meno nobili.
“Oltre a fornirci lo spunto per approfondire con ulteriori ricerche il rapporto tra albumina nel sangue e salute – commenta Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed e Professore Ordinario di Igiene dell’Università LUM – questo studio può avere implicazioni dirette sulla pratica clinica e sulla prevenzione. La misura dell’albumina nel sangue è infatti un test semplice e poco costoso. È quindi da considerare un’analisi di primo livello, che permetterebbe di porre una maggiore attenzione clinico-diagnostica verso gli individui anziani potenzialmente a rischio. Il nostro studio fornisce anche un valore di riferimento (35 g/L) che può guidare il medico nell’interpretazione della misura di albumina”.
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Vaccini a mRNA per tumori e non solo: 4 ambiti
Farmaceutica, News, Ricerca innovazioneVaccini e farmaci prodotti a partire da molecole di mRNA sintetico conquistano sempre più spazio nella ricerca e nel mercato globale.
Un piccolo filamento di mRNA prodotto in laboratorio promette di rispondere a gravi malattie ancora oggi prive di una cura. La tecnologia consente di produrre in poche settimane un vaccino o un farmaco capaci di stimolare una risposta immunitaria dell’organismo, per intercettare e combattere agenti esterni. Sulle potenzialità per rivoluzionare la medicina e trasformare il futuro della salute se ne è parlato in un incontro: “mRNA: un messaggio dal futuro della Medicina. Comunicare l’innovazione che può rivoluzionare prevenzione e cura delle malattie” che coinvolge giornalisti e clinici esperti del settore, promosso dal Master di I livello “La Scienza nella Pratica Giornalistica” (SGP) della Sapienza Università di Roma.
mRNA, dalla scoperta all’utilizzo
Dopo i vaccini contro il Covid-19, l’mRNA vede una crescita esponenziale di laboratori e studi, sostenuta da investimenti. Tuttavia, l’mRNA (RNA messaggero) ha una storia più lunga, è stato scoperto nel 1961, quando si è iniziato a comprendere il ruolo svolto da questa macromolecola, portatrice del messaggio che consente a tutte le cellule dell’organismo di produrre proteine. Negli anni ’70 i ricercatori hanno capito come introdurla all’interno delle cellule, ma solo venti anni dopo si è iniziato a studiare la possibilità di utilizzarla a scopo preventivo e terapeutico, attraverso i vaccini a mRNA.
«Nelle cellule, l’RNA messaggero svolge un ruolo fondamentale nella sintesi delle proteine: l’informazione genetica contenuta nel DNA viene trascritta in RNA messaggero, che, uscito dal nucleo, si lega ai ribosomi, organelli situati nel citoplasma cellulare, e detta la sequenza delle proteine da produrre – spiega Rita Carsetti, Immunologa dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – quindi, il DNA decide cosa serve alla cellula, l’mRNA porta l’informazione ai ribosomi che si attivano
per tradurla in una specifica proteina. L’RNA messaggero appena usato viene eliminato e la cellula è pronta a ricevere altri messaggi. Le caratteristiche che rendono così utile in medicina l’mRNA sono la sua capacità di portare informazioni e far produrre proteine alle nostre cellule e di rappresentare un sistema di informazione labile che non persiste e non può modificare il genoma o la cellula in modo permanente».
Terapie personalizzate
L’utilizzo dell’mRNA a scopo preventivo e terapeutico si basa sull’idea di usare RNA messaggeri sintetici per trasmettere informazioni specifiche all’interno delle cellule senza andare a modificare le istruzioni del DNA. Si tratta in pratica di trasformare le cellule in “fabbriche” di vaccini o farmaci su richiesta e personalizzati, sfruttando le informazioni trasmesse tramite l’RNA messaggero sintetizzato in laboratorio. Inoltre consente di progettazione e produzione vaccini e farmaci in tempi brevi, adeguati alla velocità con cui cambiano molti microrganismi e le cellule maligne.
«La piattaforma tecnologica a mRNA presenta alcuni importanti vantaggi – dichiara Pier Luigi Lopalco, Professore ordinario di Igiene generale ed applicata, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali Università del Salento – il primo indubbio vantaggio, che abbiamo potuto osservare durante la pandemia, è la rapidità della produzione. A gennaio 2020 è stato isolato il genoma del virus SARS-CoV2 e dopo 7-8 mesi è stato prodotto il vaccino. Inoltre, la capacità della tecnologia mRNA di adattarsi velocemente ai cambiamenti di virus suscettibili a mutazioni come quelli influenzali, la rende una piattaforma estremamente flessibile e versatile».
«Altro aspetto non secondario – prosegue – riguarda le fasi del processo produttivo, che avviene senza la necessità di maneggiare i virus, assicurando così una elevata bio-sicurezza; da ultimo, la semplicità logistica per la produzione di vaccini, che può avvenire persino all’interno di container senza bisogno di disporre di grandi laboratori. La piattaforma tecnologica a mRNA potrà esprimere il massimo delle sue potenzialità se unita all’intelligenza artificiale (IA), che entrerà in tutte le fasi di progettazione, disegno e produzione di vaccini e farmaci basati sull’RNA messaggero».
Regolare l’espressione del genoma senza modificare il codice genetico è qualcosa che si differenzia dalla terapia genica classica o dai più innovativi approcci di editing genomico, che agiscono sulle istruzioni che l’organismo racchiude nel suo DNA.
Oggi presente in quattro ambiti
Attualmente sono quattro gli ambiti per i quali si sperimenta la tecnologia a mRNA: i vaccini preventivi per le malattie infettive, i vaccini terapeutici per il cancro, i farmaci per le malattie genetiche rare e per le malattie autoimmuni. Nel primo caso, la proteina prodotta dall’mRNA sintetico induce una risposta anticorpale da parte del nostro sistema immunitario, ma questo concetto è applicabile anche ai tumori. Si può “addestrare” il sistema immunitario a combattere le cellule maligne che però mutano velocemente. La tecnologia dell’mRNA permette di produrre vaccini che colpiscono più antigeni o di riconoscere una specifica proteina particolarmente espressa in un certo tipo di tumore. In questo caso, i vaccini terapeutici a base di mRNA sono altamente personalizzati (e combinati con l’immunoterapia) sul singolo malato e sul tipo di tumore.
«Dal momento che l’mRNA è responsabile della produzione di proteine, la tecnologia può essere applicata anche a tutte quelle patologie genetiche rare che sono causate proprio dalla mancanza di una specifica proteina a causa di un gene mutato. L’mRNA prodotto in laboratorio può essere predisposto per ricostruire la produzione di quella proteina deficitaria, in questo caso si bypassa l’utilizzo del vettore virale e si fornisce l’RNA messaggero alla cellula che diventa capace di riprodurre la proteina persa – sottolinea Mariangela Morlando, Professore associato Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “C. Darwin”, Sapienza Università di Roma – attualmente sono migliaia gli studi sulla molecola ma al 2023 si registrano poco meno di 200 molecole in fase di attiva indagine sperimentale o di studi preclinici, un centinaio in fase di trial clinico, solo 7 in fase di preregistrazione e solo 5 già approvati, i vaccini del Covid-19».
mRNA, sfide e prospettive future
La strada è ancora lunga e le difficoltà non mancano: prime tra tutte l’instabilità dell’mRNA, l’efficienza con cui viene tradotto in proteina e come incapsulare l’RNA per poterlo veicolare verso uno specifico tipo cellulare dell’organismo. Ma le prospettive sono incoraggianti perché i risultati delle ricerche potrebbero cambiare lo scenario di importanti malattie. Al momento sono in corso trial clinici in Fase 2 per i vaccini nel melanoma ad alto rischio; trial clinici in fasi più precoci per RNA messaggero che porta alla produzione di proteine pro-infiammatorie per il cancro; trial clinici per le malattie autoimmuni, per malattie genetiche rare e uno studio che riguarda dati ottenuti durante la fase del trial clinico per una malattia metabolica (acidemia propionica) in Fase 1 e 2.
Napoli ricorda Gabriella Fabbrocini
Eventi d'interesse“Gabriella Fabbrocini è stata una grande donna, un grande medico, una donna impegnata nella sanità pubblica. Una donna impegnata nel sociale. Abbiamo realizzato alla Federico II un Centro di Dermatologia etnica e sociale; Gabriella aveva un’enorme attenzione per le fasce deboli e ancor più per le donne. Il Centro diventerà entro la fine dell’anno un Centro di dermatologia regionale. Cercheremo di realizzare alcune delle sue battaglie, con tanta convinzione in un momento nel quale la sanità pubblica è in ginocchio e l’attenzione alla povera gente sembra diventata un optional. Dobbiamo recuperare un sistema di valori che in questo momento in Italia rischia di essere calpestato”. Queste le parole del presidente della Giunta Regionale Vincenzo De Luca in occasione della serata dedicata alla memoria della professoressa Gabriella Fabbrocini, scomparsa prematuramente a causa di un carcinoma del pancreas.
Un mare di affetto per Gabriella Fabbrocini
L’evento, tenutosi ieri in un Teatro Mediterraneo sold-out in ogni ordine di posto ha richiamato la presenza dei tantissimi amici di Gabriella, ma anche tanti ex pazienti e persone comuni. Non di meno, i più autorevoli rappresentanti istituzionali non hanno voluto far mancare il proprio sostegno all’iniziativa. Oltre al presidente De Luca, il sindaco Gaetano Manfredi, il prefetto Michele Di Bari, i questori Maurizio Agricola e Alfredo Fabbrocini. E ancora, il generale Antonio Jannece, il prefetto di Avellino Paola Spena, il presidente del Tribunale di Napoli Elisabetta Garzo, il presidente del Tar Campania Vincenzo Salamone e il magnifico rettore dell’Università Federico II di Napoli Matteo Lorito.
Star
Sul palco si sono avvicendati artisti del calibro di Ron, Peppe Iodice, LDA, Andrea Sannino, Francesco Cicchella e Vincenzo De Lucia per una serata di varietà, di musica e comicità condotta da Mariasole Pollio e coordinata dall’autore Stefano Santucci e dall’avvocato Eugenio d’Andrea. “Tutti – sottolinea Fabrizio Pallotta, marito di Gabriella – hanno messo con generosità e gratuitamente a disposizione il proprio talento per una causa alla quale tutti noi teniamo moltissimo, raccogliere fondi per la ricerca del tumore al pancreas. Il modo migliore per ricordare Gabriella è con il sorriso e con azioni concrete in favore di giovani brillanti, talenti impegnati nel campo della ricerca per la cura del tumore del pancreas e delle malattie dermatologiche”.
Borse di studio
Del resto, è proprio questo uno dei principali obiettivi della fondazione. Grazie alla sensibilità dei napoletani e degli amici di Gabriella Fabbrocini l’evento ha permesso di raccogliere la somma record di 40.000 mila euro, denaro che servirà a finanziare due borse di studio a giovani impegnati nella ricerca di nuove terapie che mirano a rallentare la progressione di questo terribile male. Per suor Simona Biondin (membro del comitato scientifico della Fondazione, con delega alle attività di formazione e sociali) “la serata ricorderà la capacità di Gabriella di abitare con simpatia la condizione umana. Gabriella era in grado di percorrere con lucidità e benevolenza tutti i sentieri della vita: quelli della festa, della leggerezza, ma anche del dolore e della malattia. Una dote preziosa che deve essere d’esempio per tutti”.
I premi
Tra gli amici di Gabriella Fabbrocini (e oggi coordinatore del comitato scientifico della Fondazione Fabbrocini), ad Andrea Ballabio il compito di conferire due premi molto importanti: il primo al professor Renato Ostuni (Group Leader, Unità di Genomica del Sistema Immunitario Innato San Raffaele-Telethon Institute for Gene Therapy (SR-Tiget) per le sue ricerche sul carcinoma del pancreas; l’altro alla professoressa Graziella Pellegrini dell’Università di Modena, per le sue ricerche sulle malattie della pelle. “Per me è un piacere e un onore celebrare la vita di Gabriella, mia cara amica – dice Ballabio – ancor più nella consapevolezza che lo scopo della serata è anche quello di raccogliere fondi in favore della ricerca”.
Come affrontare l’esofagite eosinofila
News BreviSabato 18 maggio, un nuovo appuntamento con le Pillole di Salute volute e organizzate dal Network Editoriale PreSa, in collaborazione con Radio Kiss Kiss. Si parlerà di una patologia che non tutti conoscono, che può incidere radicalmente sulla qualità di vita dei pazienti colpiti: l’esofagite eosinofila. In particolare, sarà la professoressa Paola Iovino a fare il punto su diagnosi, sintomi e gestione della patologia. L’appuntamento è per sabato 18 maggio alle 8.30 circa. Stay Tuned!
“Contenuto realizzato da Radio KissKiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Dialisi domiciliare riduce costi e migliora vita dei pazienti, lo studio
Prevenzione, NewsLa dialisi domiciliare, svolta anche in maniera autonoma dal paziente, migliora la qualità della vita, riduce i costi sociali e l’impatto sul Servizio sanitario nazionale. Eppure, tra le opzioni terapeutiche per il trattamento della malattia renale cronica, viene ancora preferita l’emodialisi, praticata solo nei centri specializzati.
È uno dei risultati a cui giunge lo studio, condotto da Altems – Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il lavoro inoltre sarà presentato a Roma, mercoledì 8 maggio presso il Ministero della Salute nell’incontro “DIALISI, CAMBIA TUTTO. Valutazione HTA e percorso clinico assistenziale”.
Dialisi domiciliare, lo studio
Lo studio ha approfondito le opzioni terapeutiche oggi esistenti per la malattia renale cronica. Inoltre ha messo a confronto, attraverso l’approccio di HTA, la dialisi peritoneale e l’emodialisi sulla base di valutazioni costo-utilità e costo-efficacia.
La malattia renale cronica è una patologia che compromette la normale funzionalità del rene. Parlarne è importante per i rischi e i gravi problemi di salute che ne conseguono, sottolineano gli specialisti.
In Italia si stima che circa il 10% della popolazione ne soffra. Nella maggior parte dei casi la diagnosi giunge in fase tardiva.
Secondo il Rapporto 2023 del Registro Italiano di Dialisi (relativo al 2021), l’incidenza della dialisi è di 160 persone su un milione (circa 6mila), con una prevalenza di 762 persone su un milione (circa 45mila).
Durante l’incontro, inoltre, verranno messe in luce le difformità nelle Regioni italiane per l’accesso ai trattamenti. Oggi infatti il 91% dei pazienti in Italia è sottoposto a trattamento dialitico extracorporeo presso un centro ospedaliero pubblico o privato accreditato, solo il 9% riceve la terapia a domicilio con dialisi peritoneale e soltanto 200 pazienti riescono a effettuare il trattamento di emodialisi domiciliare.
Disabilità intellettiva, lavoro e inclusione, l’esempio di tre progetti
News PresaL’inclusione è un valore per l’intera comunità. Eppure i modelli organizzativi spesso non riescono a tutelare i diritti delle persone con disabilità intellettive. Sono le associazioni a colmare le lacune. Sulla sostenibilità di un percorso di emancipazione concreta delle persone con disabilità si è discusso in un incontro in Puglia, a Lecce, promosso dalla Fondazione Div.ergo – ONLUS. Rappresentanti delle associazioni e mondo accademico, con il supporto delle Istituzioni, si sono interrogati sull’immagine che inchioda le persone con disabilità intellettiva nel ruolo di semplici destinatari di politiche assistenziali, ostacolando la loro piena inclusione nel mondo del lavoro. Dall’analisi è emerso come i giovani con disabilità intellettiva si trovino dinanzi al continuo ricorso ad esperienze di formazione post scolastiche che – spesso – difficilmente sfociano in veri percorsi lavorativi. Assumono, invece, la forma dell’espediente per occupare il tempo, sottolinea la fondazione. Se il mercato non è disposto a pagare il costo dei beni sociali, allora è necessario realizzare un modo per moltiplicare forme sostenibili di impresa sociale. La conferenza, dal titolo: “Lavoro o lavoretti? – esperienze, prospettive e ostacoli per l’inclusione lavorativa di persone con disabilità intellettiva” ha cercato di individuare – con l’aiuto del prof. Carlo Lepri – i cambi di paradigma sociali e culturali. Inoltre ha indagato i passaggi legislativi necessari a tutelare l’effettivo e pieno esercizio dei diritti di cittadinanza secondo i principi di autodeterminazione e non discriminazione, in coerenza con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18.
Cambio di paradigma culturale: persone con disabilità intellettiva eterni bambini. L’importanza di costruire l’immagine adulta
“Inizia a prendere spazio una rappresentazione legata all’idea adulta della persona con disabilità intellettiva e non secondo un’immagine infantilizzante”, mette in luce la fondazione. Spesso per le persone con disabilità intellettiva i progetti di vita autonoma sono impantanati nella gestione delle problematiche della quotidianità. Si scontrano con la fatica dei genitori di vedere il figlio in prospettiva e ad agire dei distanziamenti necessari. Difatti, molte di queste persone, nella loro condizione di disabilità, stentano a realizzare i normali processi di contrapposizione ai genitori, ad uscire dal nucleo familiare, perpetuando, invece, forme di simbiosi e di dipendenza.
Molto dipende dal contesto e dall’approccio di chi è parte della rete sociale delle persone con disabilità intellettiva. La risposta alla domanda “chi sono io” è strettamente legata all’interazione e al rimando, che determina l’identità di altri. Per questo è urgente decostruire l’immagine del bambino per costruire quella dell’adulto.
Concetto di persona
“Il concetto di ‘persona’ con disabilità – così come evidenziato dalla L. 227/21 – presuppone la valorizzazione dal punto di vista etico (la persona è sacra non può essere sostituita nell’universo in cui è presente), dei significati politici (la persona è l’individuo più i suoi diritti, come affermava Hannah Arendt) e dei significati psicosociali”, si legge nell’analisi. “Le persone sono individui che interpretano ruoli nella vita, con diritti e doveri. Nel mondo degli adulti la persona è colei che interpreta ruoli diversi in base ai contesti e la completezza, la ricchezza della persona è data dalla qualità e quantità di ruoli sociali che riesce ad interpretare”.
Valore del lavoro: tre esperienze a confronto
Qual è il valore del lavoro? Cosa deve avere il lavoro per essere veramente emancipativo? Il lavoro, accanto al suo valore remunerativo, assume un carattere di generatore di benessere e di promozione della vita umana. Si tratta di un’occasione di socializzazione, di stare con gli altri; è un organizzatore del tempo. Per questo molte esperienze di inclusione lavorativa che si riducono a poche ore a settimana rischiano di essere poco significative. Il lavoro, qualunque esso sia, è per ciascuno partecipazione al bene comune. Infine, il lavoro è fonte di identità, fa acquisire dei ruoli, una funzione sociale.
Spunto per queste riflessioni è stata la restituzione dei risultati dei progetti “Trasformiamoci”, presentato dalla presidente dott.ssa Annalisa Paradiso, e del progetto “Essenze”, presentato dalla dott.ssa Maria Teresa Pati, presidente della Fondazione Div.ergo – ONLUS, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e dalla Regione Puglia, Assessorato al Welfare nell’ambito della misura “Puglia Capitale Sociale 3.0” Linea A.
Trasformiamoci, promosso dalla cooperativa Filodolio con il sostegno di Fondazione Prosolidar, ha realizzato percorsi di agricoltura sociale che hanno coinvolto cinque giovani con disabilità intellettiva, impegnati, dapprima, nel recupero e nella coltivazione di oltre quattro ettari di terreno incolti o abbandonati, con la produzione di ortaggi, grano, legumi, micro-ortaggi, zafferano e topinambur, e poi nella trasformazione dei prodotti orticoli e nel confezionamento e distribuzione.
Altra esperienza innovativa promossa da Fondazione Div.ergo – ONLUS è quella del progetto “Laboratorio creativo Div.ergo”, laboratorio di creazione di prodotti artigianali, che sul tema dell’inclusione lavorativa ha mosso importanti passi. Dal 1° marzo 2024 saranno assunte altre due giovani con disabilità intellettiva, grazie al contributo di Chapron Charity Foundation, che si aggiungeranno ai 4 già assunti dal 2016 in poi. In totale sono tre contratti a tempo indeterminato e tre contratti a tempo determinato.
Nuovi input legislativi, il budget di progetto
Il sistema normativo, con la legge delega 227/21, punta ad assicurare alla persona il riconoscimento della propria condizione di disabilità per rimuovere gli ostacoli e per attivare i sostegni utili al pieno esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti e superare molti degli ostacoli che hanno di fatto reso inefficaci o scarsamente incisivi molti strumenti normativi del passato, a partire dalla famosa L. 68/1999.
L’attuazione del progetto di vita è sostenuta dal budget di progetto che è costituito, in modo integrato, dall’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali. La predisposizione del budget di progetto è effettuata secondo i principi della co-programmazione, della co-progettazione con gli enti del terzo settore, dell’integrazione e dell’interoperabilità nell’impiego delle risorse e degli interventi pubblici e, se disponibili, degli interventi privati. Il budget di progetto è caratterizzato da flessibilità e dinamicità al fine di integrare, ricomporre, ed eventualmente riconvertire, l’utilizzo di risorse pubbliche, private ed europee.
Variante genetica causa l’obesità infantile
Bambini, News, Ricerca innovazioneI ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia (Chop) hanno scoperto che l’obesità infantile potrebbe essere legata ad una variante genetica. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Cell Genomics e potrebbe portare a nuove terapie mirate per affrontare questo crescente problema di salute pubblica.
Lo studio sull’obesità infantile
Lo studio condotto dai pediatri del Children’s Hospital fornisce importanti intuizioni sul funzionamento dell’ipotalamo e sul suo ruolo nell’obesità infantile comune. Questa regione del sistema nervoso è risultata cruciale nel regolare il consumo di cibo e diventa un obiettivo potenziale per trattamenti futuri. Ovviamente, questa scoperta non cambia il fatto che molti bambini sono obesi perché hanno un’alimentazione del tutto scorretta.
I geni coinvolti nell’obesità infantile
I fattori genetici e ambientali sono entrambi determinanti nell’aumento dell’obesità infantile. Tuttavia, la scoperta di una variante genetica specifica, denominata “rs7132908”, sul cromosoma 12, rappresenta un passo significativo verso la comprensione dei meccanismi sottostanti a questa condizione. Il gene si trova vicino al gene FAIM2, importante per lo sviluppo del sistema nervoso, suggerendo un legame diretto con la regolazione neurale del consumo di cibo.
Neuroni
Sheridan Littleton, primo autore dello studio, spiega che la variante scoperta è associata a uno dei segnali genetici più forti mai trovati per l’obesità infantile. In esperimenti in provetta, i ricercatori hanno osservato una potenziale riduzione dei neuroni nella regione ipotalamica correlata a questa variante. Ciò che rende questa scoperta ancora più promettente è il suo potenziale impatto terapeutico. Littleton, infatti, che con ulteriori ricerche, c’è il potenziale per scoprire come questa variante genetica possa divenire il bersaglio di nuove terapie specificamente progettate per trattare l’obesità infantile.
Altri problemi di salute
Ma le implicazioni non si fermano qui. La variante genetica individuata è stato anche associata ad altri problemi di salute, inclusa una maggiore suscettibilità al diabete di tipo 2 e una precoce età del ciclo mestruale. Questo sottolinea ulteriormente il ruolo centrale del cervello nella genetica dell’obesità e offre nuove strade per ulteriori ricerche.