Tempo di lettura: 4 minutiIl bisogno di assistenza domiciliare agli anziani aumenta, nonostante il trend di crescita degli over-65 che beneficiano di cure a casa. Sono, infatti, passati dai 252mila (1,95% del totale) del 2014 ai quasi 550mila (3,89%) del 2023. Secondo i dati forniti dalle Regioni al Ministero della Salute, sarebbero oltre 80mila in più gli anziani che nell’ultimo anno sono stati assistiti al domicilio rispetto al 2022, dato positivo ma che sembra non trovare riscontro nel ‘mondo reale’, secondo l’analisi di Italia Longeva. C’è poi un altro 2,88% di ultra 65enni (404.235 persone) che ha ricevuto cure residenziali (RSA) nell’ultimo anno.
“Un’accelerazione dell’offerta dei servizi di ADI e RSA è quanto mai prioritaria per evitare che la mancata gestione dell’invecchiamento diventi la vera malattia del Paese, sempre più chiamato a fare i conti con le conseguenze della pressione demografica: aumento del carico di cronicità, disabilità e non autosufficienza che amplificano i bisogni di salute, oltretutto in un contesto di assottigliamento delle reti familiari”. È quanto scrive l’associazione in una nota.
Anziani in aumento, oggi 65% delle persone con demenza senza assistenza
Nei prossimi 20 anni, si stima saranno all’incirca 6 milioni gli over-65 soli e a rischio di isolamento. Oggi il 64% delle persone con demenza, tra le prime cause di perdita di autonomia negli anziani, non viene preso in carico in una struttura sociosanitaria, con un onere fortissimo per milioni di famiglie. Va poi considerato che laddove c’è meno assistenza domiciliare aumentano gli accessi al Pronto Soccorso e i ricoveri inappropriati e, dunque, la spesa a carico del servizio sanitario.
È quanto emerge dall’Indagine 2024 di Italia Longeva che, a partire dai dati del Sistema informativo del Ministero della Salute, fotografa l’andamento della long-term care nel nostro Paese, cioè dell’assistenza territoriale offerta ai cittadini fragili in risposta ai diversi livelli di intensità dei loro bisogni. Il Report è stato presentato oggi al Ministero della Salute, nel corso della nona edizione degli “Stati Generali dell’assistenza a lungo termine – Long-Term Care NINE”, l’appuntamento annuale di Italia Longeva che riunisce gli attori che, ai vari livelli, si occupano di programmare e gestire l’assistenza agli anziani.
“Leggiamo con cauto ottimismo i numeri sull’ADI forniti dalle Regioni. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie ad esso correlate – diabete, patologie cardiovascolari, demenze -, ci impongono di premere l’acceleratore per potenziare e rendere più omogenea l’assistenza sul territorio”, commenta Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva. “Continuiamo a concentrarci sull’ADI perché siamo convinti che sia l’unica risposta possibile di un servizio sanitario in grado di affrontare e non di subire l’assistenza agli anziani. Pensiamo agli accessi in Pronto Soccorso e ai ricoveri inappropriati, ma anche alla necessità di garantire la messa in sicurezza dei pazienti fragili che vengono dimessi dall’ospedale, soprattutto di coloro che sono privi di un supporto familiare”.
600 mila i ricoveri inappropriati
A tal proposito, sono state calcolate 600mila giornate di degenza inappropriate all’anno per gli over-70 (fonte Agenas su dati SDO 2019), solo per la gestione di cronicità come diabete e ipertensione, che contribuiscono al sovraffollamento degli ospedali e all’aumento delle liste d’attesa, nonché al fenomeno delle dimissioni tardive per mancata disponibilità di presa in carico sul territorio. “Potenziare i servizi di long-term care, in particolare le cure domiciliari – aggiunge Bernabei -, significa costruire un ponte tra ospedale e casa, e dare finalmente un’assistenza congrua ai nostri anziani”.
Il peso delle malattie neurodegenerative
Alzheimer
L’urgenza di rafforzare l’offerta di long-term care va letta anche alla luce del peso crescente delle malattie neurodegenerative in un Paese con 14,3 milioni di anziani, di cui oltre 4,5 milioni di 80enni, e previsioni che stimano una quota del 34% di over-65 nei prossimi 20 anni, con gli over-80 che supereranno i 6 milioni. L’Indagine 2024 di Italia Longeva ha aperto una finestra sulla demenza, condizione che in Italia interessa 1,5 milioni di persone, di cui oltre 600.000 sono affette da malattia di Alzheimer, cui si aggiungono altri 900mila italiani con diagnosi di pre-demenza. Questi numeri, uniti all’impatto economico della gestione e del trattamento dei pazienti con demenza – 23,6 miliardi di euro, di cui oltre il 60% a totale carico delle famiglie – danno la misura dell’imponente domanda di cure e supporto specifici che si rendono necessari e sempre di più lo saranno nel prossimo futuro.
Il report
“Anche quest’anno Italia Longeva ha offerto una fotografia sullo stato dell’arte della long-term care lungo lo Stivale, aggiungendo un focus specifico sulle malattie neurodegenerative che accompagnano l’invecchiamento della popolazione”, aggiunge Davide Vetrano, geriatra ed epidemiologo, consulente scientifico di Italia Longeva. “L’Italia sta facendo dei passi in avanti nell’organizzazione e nell’offerta dei servizi di ADI e RSA, che rappresentano le due componenti cruciali di una risposta sanitaria coerente alle esigenze degli anziani più fragili. Il panorama geografico delle cure domiciliari resta estremamente variegato: Molise, Abruzzo, Basilicata, Toscana e Umbria sono quelle che fanno meglio, con tassi di copertura di ADI superiori al 4,5%. Per quanto riguarda le cure residenziali, sono poco più di 400mila gli over-65 che ne hanno beneficiato nell’ultimo anno, ancora una volta con una distribuzione a macchia di leopardo: tassi di residenzialità più elevati si registrano nelle regioni del Nord – Provincia Autonoma di Trento (9,9%), Veneto (5,9%), Piemonte (5,4%), Lombardia (4,6%) e Provincia Autonoma di Bolzano (4,3%) – e sono per lo più correlati alle peculiari caratteristiche del tessuto sociale”.
Le cure sul territorio
“Per affrontare efficacemente la fragilità degli anziani sono necessari setting assistenziali, conoscenze e competenze specifiche, e la capacità del sistema di assicurare la continuità della presa in carico tra i diversi livelli e luoghi di cura. Innanzitutto, prendendo in carico gli anziani nel proprio ambiente domestico il più a lungo possibile, fornendo cure mediche, infermieristiche e riabilitative e supporto adeguati per mantenere una buona qualità della vita. Ma il principio guida di questa rete di assistenza è quello di trovare la migliore soluzione assistenziale per il paziente sul territorio, a seconda della complessità dei suoi bisogni: servizi di ADI, accesso in RSA, strutture di lungodegenza o hospice, in cui ciascun attore, professionista, caregiver, gioca la sua parte per dare risposte coerenti alle esigenze degli anziani”, conclude il presidente di Italia Longeva.
Liste di attesa, senato approva decreto
News, Economia sanitaria, Medicina SocialeL’Assemblea del Senato ha approvato il disegno di legge 1161, convertendo in legge il decreto 73. Questo decreto contiene misure urgenti per ridurre le liste di attesa delle prestazioni sanitarie. L’originale era stato bocciato dalle Regioni, ma ora è stato modificato.
Il punto centrale della disputa era la possibilità per il ministero della Salute di scavalcare le Regioni nel controllo delle Asl per la gestione delle liste d’attesa. Ora, l’Organismo di controllo, inizialmente sotto il ministero, interverrà solo se le Regioni saranno inerti. Il controllo passerà quindi alle Regioni tramite il Ruas, il Responsabile unico dell’assistenza sanitaria della regione. Inoltre, all’Organismo sono stati tolti i poteri di polizia giudiziaria e la vigilanza sugli erogatori privati.
Liste di attesa: il nuovo testo e le regioni
Con 87 voti favorevoli e 50 contrari, il Senato ha dato il via libera al disegno di legge 1161, convertendo in legge il decreto 73. Il nuovo testo era molto atteso poiché il precedente era stato bocciato dalle Regioni, che si erano opposte perché il testo calpestava i loro poteri di organizzazione sanitaria.
L’Aula ha approvato le novità, respingendo gli emendamenti aggiuntivi proposti dalla Commissione. Ora il decreto passa alla Camera per la conversione definitiva. Le Regioni si sono dichiarate soddisfatte, ma restano preoccupazioni.
Le criticità
Raffaele Donini, coordinatore degli assessori alla salute in Conferenza, ha espresso preoccupazioni. Le criticità principali riguardano l’assenza di risorse aggiuntive e la mancanza di proposte su appropriatezza delle prestazioni e riorganizzazione della sanità territoriale.
Le dichiarazioni di Schillaci
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha espresso soddisfazione. “L’approvazione in Senato del decreto sulle liste d’attesa è una buona notizia per i cittadini e per il servizio sanitario nazionale. Ringrazio i senatori per il lavoro svolto in Commissione e in Aula e le Regioni con le quali, nell’interesse dei cittadini, siamo riusciti a trovare un punto di incontro senza snaturare un provvedimento che punta a dare risposte che gli italiani attendono da troppo tempo”, ha concluso.
Schillaci ha aggiunto: “Questo Governo, per la prima volta, interviene in modo concreto per rafforzare la capacità del servizio sanitario di erogare le cure nei tempi giusti, chiamando in causa tutti gli attori in campo. Confido che anche alla Camera, la prossima settimana, si proceda fattivamente per la definitiva approvazione del decreto che segnerà un vero cambio di passo in un’ottica di maggiore efficienza e tutela del diritto alla salute dei cittadini”.
Emicrania: cause e rimedi
Prevenzione, NewsL’emicrania è molto più di un mal di testa e non dovrebbe mai essere sottovalutata. Si tratta di un disturbo neurologico che può essere anche molto debilitante e le persone che ne soffrono sono milioni in tutto il mondo. Caratterizzata da un dolore intenso e pulsante, spesso localizzato su un solo lato della testa, l’emicrania può essere accompagnata da nausea, vomito e sensibilità alla luce e ai suoni. Proviamo a capire quali sono le principali cause dell’emicrania e i possibili rimedi per gestire e alleviare questo disturbo.
Cause dell’emicrania
Le cause precise dell’emicrania non sono ancora completamente comprese, ma i ricercatori hanno identificato diversi fattori che possono scatenare o contribuire a questo disturbo:
Rimedi per l’emicrania
Gestire l’emicrania richiede un approccio personalizzato, poiché ciò che funziona per una persona potrebbe non funzionare per un’altra. Ecco alcuni dei rimedi più comuni:
Ridurre e gestire lo stress
La gestione dello stress è un punto imprescindibile se si vuole combattere efficacemente l’emicrania. Tecniche di gestione dello stress come la respirazione profonda, la mindfulness e le tecniche di rilassamento possono aiutare a prevenire gli attacchi. Per questo, anche un sonno di qualità e in quantità adeguata è fondamentale. Gli sbalzi nei ritmi sonno-veglia possono scatenare emicranie, quindi è importante mantenere una routine regolare. Ci sono poi quelli che i medici chiamano “trigger ambientali”, come luce troppo intensa o rumori eccessivi: per questo proteggere gli occhi da luci intense con occhiali da sole, usare tappi per le orecchie in ambienti rumorosi e cercare di mantenere una temperatura ambiente confortevole sono “trucchi” da non sottovalutare.
Condizione complessa
L’emicrania è una condizione complessa e individuale che può avere un impatto significativo sulla qualità della vita. Comprendere le cause e individuare i rimedi più efficaci richiede tempo e spesso un approccio multidisciplinare. Consultare un medico o uno specialista è fondamentale per ottenere una diagnosi accurata e un piano di trattamento personalizzato.
Adottare uno stile di vita sano, ridurre lo stress e riconoscere i propri fattori scatenanti sono passi cruciali per gestire e ridurre la frequenza e l’intensità delle emicranie. Con le giuste strategie, è possibile vivere una vita più equilibrata e meno affetta da questo doloroso disturbo.
Leggi anche:
Mal di testa nei bambini, quando c’è da preoccuparsi
Le 7 cause della fascite plantare
News, News, SportLa fascite plantare è una delle principali cause di dolore al tallone e alla pianta del piede. Si tratta di un problema più comune di quanto si possa credere e il sintomi principale è il dolore legato all’infiammazione della fascia o aponeurosi plantare, una formazione di tessuto connettivo a forma di ventaglio situata nella parte inferiore del piede che collega il calcagno alla base delle dita.
Cause della fascite plantare
Le cause della fascite plantare possono essere almeno 7:
Sintomi della fascite plantare
Il sintomo principale della fascite plantare è un dolore acuto e localizzato nella pianta del piede e nel tallone, spesso molto intenso, che rende difficoltosa la deambulazione. Questo dolore può presentarsi sia a riposo, dopo lunghi periodi di inattività, che durante il movimento o al contatto con il suolo. Di solito colpisce un solo piede, ma può essere bilaterale.
Diagnosi della Fascite Plantare
La diagnosi di fascite plantare è prevalentemente clinica e si basa su un’anamnesi accurata e un esame clinico. In alcuni casi, può essere utile confermare la diagnosi con un’ecografia dei tessuti molli. Radiografie o risonanze magnetiche non sono generalmente necessarie a meno che non vi siano dubbi diagnostici o mancanza di risposta al trattamento.
I rimedi più efficaci
Esistono diversi livelli di intervento e opzioni terapeutiche per trattare la fascite plantare, che devono essere decisi dallo specialista. Prima di tutto bisogna individuare la causa scatenante e intervenire su quella, ad esempio se si tratta di peso eccessivo o di scarpe inadeguate. Altra causa, potrebbe essere un dismorfismo del piede, sulla quale si può intervenire con una valutazione dinamica del passo o usando plantari ortopedici personalizzati. Una soluzione può essere quella di adottare supporti specifici, ad esempio talloniere in gel per ridurre il carico sul tallone o si possono fare degli esercizi di stretching dolce della fascia plantare.
Terapie fisiche:
Se il problema è più serio si può ricorrere, sempre dopo un consulto medico, ad un bendaggio funzionale per alleviare immediatamente il dolore e sottoporsi a laserterapia o Tecar terapia. Molto efficaci possono essere le onde d’urto focali, solitamente in cicli di tre applicazioni settimanali, per ridurre il dolore e rigenerare i tessuti. Più di rado è necessario ricorrere alla chirurgia. Solo in casi di fascite plantare cronica o resistente ai trattamenti, potrebbe infatti essere necessario un intervento chirurgico mininvasivo. Questo prevede l’allungamento e la cruentazione della fascia plantare attraverso una piccola incisione.
L’importanza di un consulto specialistico
La fascite plantare può essere una condizione dolorosa e debilitante, ma con una diagnosi corretta e un trattamento adeguato, è possibile alleviare il dolore e migliorare la qualità della vita. Consultare uno specialista è fondamentale per individuare le cause specifiche e adottare le strategie terapeutiche più appropriate.
Leggi anche:
Smartworking e mal di schiena
Potenziare sanità nelle aree interne: obiettivo del nuovo Intergruppo parlamentare
Anziani, Medicina Sociale, PrevenzioneLe aree interne rappresentano oltre il 60% del territorio nazionale, con 4 mila comuni e 13 milioni di abitanti, il 22,7% della popolazione italiana. Spesso queste zone sono carenti di servizi essenziali, soprattutto sanitari. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) offre un’opportunità per sviluppare la sanità territoriale in queste aree. A tal fine, è stato presentato l’Intergruppo parlamentare sulla prevenzione e le emergenze sanitarie nelle aree interne.
Convegno al Senato: La Nuova Sanità Territoriale
Il tema è stato discusso ieri al Senato nel convegno “La nuova sanità territoriale, le emergenze e le aree interne”. L’iniziativa del senatore Guido Quintino Liris è stata un’occasione per riflettere sulle necessità delle aree interne, una parte significativa del nostro Paese, soprattutto alla luce del PNRR. Durante il convegno, è stato presentato l’Intergruppo parlamentare sulla prevenzione e le emergenze sanitarie nelle aree interne, presieduto dal Sen. Guido Quintino Liris e dalla Sen. Daniela Sbrollini.
Aree interne italiane
Le aree interne sono caratterizzate da “centri minori” spesso di piccole dimensioni, distanti dai servizi essenziali come istruzione, salute e mobilità. Queste zone coprono oltre il 60% del territorio nazionale, includono 4.000 comuni e ospitano 13 milioni di abitanti, pari al 22,7% della popolazione italiana. Questi territori affrontano rischi di spopolamento, mobilità giovanile elevata e ridotta natalità. La qualità dei servizi è spesso limitata e la popolazione è generalmente meno digitalizzata e con fragilità formative.
Problemi nell’istruzione e spopolamento
Nelle aree interne, l’istruzione incontra spesso difficoltà che aggravano la tendenza allo spopolamento. L’offerta educativa è compromessa dalle difficoltà di spostamento e dalla mobilità degli insegnanti. Oltre l’80% dei comuni nelle aree interne non ha scuole superiori statali e il 39% non ospita scuole medie. Le realtà montane e le piccole isole, che fanno parte delle aree interne, risultano poco connesse ai centri di erogazione dei servizi primari.
Isolamento e servizi essenziali
Le aree interne marginali vivono spesso una situazione di isolamento in termini di accesso ai servizi essenziali. I comuni “polo” sono quelli che offrono un’offerta scolastica articolata, un ospedale con DEA di I livello e una stazione ferroviaria di tipo silver. I comuni che distano meno di 27,7 minuti dal polo sono definiti “cintura”. Quelli che distano oltre 27,7 minuti sono classificati come aree interne e si suddividono in intermedi, periferici e ultraperiferici, in base alla distanza.
Sanità nelle aree interne
Nei comuni periferici e ultraperiferici, oltre un residente su quattro ha almeno 65 anni. Circa 1,5 milioni di cittadini con diabete vivono in queste aree marginali, aumentando il bisogno di un sistema sociale più robusto mentre le risorse diminuiscono. Le calamità naturali, accentuate dai cambiamenti climatici, rendono questi territori ancora più fragili.
I presidi sanitari diffusi
La presenza di presidi sanitari diffusi è cruciale nelle aree interne. Questi si collegano alle politiche di prossimità, considerando la difficoltà dei collegamenti, la lontananza dai servizi essenziali e l’invecchiamento della popolazione. Il PNRR punta a sviluppare una nuova rete di sanità territoriale, considerata un investimento più che un costo.
Dichiarazioni del senatore Guido Quintino Liris
Il senatore Guido Quintino Liris ha dichiarato: “Il PNRR identifica nello sviluppo della nuova rete di sanità territoriale un punto di sostegno alle politiche di riqualificazione dei tessuti urbani più vulnerabili. La spesa sanitaria non è più vista come un costo, ma come un investimento. Prevenzione, territorio e prossimità diventano le parole chiave per una sanità vicina ai bisogni della popolazione. È strategico potenziare la sanità territoriale nelle aree interne attraverso telemedicina, teleassistenza, assistenza domiciliare integrata e le case e ospedali di comunità.”
Dichiarazioni della senatrice Daniela Sbrollini
La senatrice Daniela Sbrollini ha aggiunto: “Nelle aree interne oltre la metà delle case di comunità previste col PNRR sarà spoke e il 23,3% dei futuri ospedali di comunità sarà realizzato con nuove costruzioni o ampliamenti. L’obiettivo centrale è costruire una rete di servizi sanitari di prossimità con punti di digitalizzazione, telemedicina, farmacie dei servizi, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, per promuovere una equità socio-sanitaria in tutto il Paese.”
Intervento del Ministro della Salute, Orazio Schillaci
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato: “Dobbiamo dare ai 13 milioni di italiani che vivono nelle aree interne la possibilità di curarsi vicino casa. Penso agli anziani e ai più vulnerabili, che hanno bisogni sociali e sanitari legati a patologie croniche. La realizzazione del 30% delle case di comunità e di oltre il 20% degli ospedali di comunità nelle aree interne rafforzerà la capacità di risposta del Servizio Sanitario Nazionale. Abbiamo aumentato di 250 milioni le risorse per l’assistenza domiciliare e di 500 milioni per la telemedicina.”
Protezione civile e politiche del mare
“L’Italia purtroppo non è un Paese per la prevenzione, non siamo fatti per prevenire il rischio e non abbiamo una buona cultura nell’approccio con il rischio. Ce ne stiamo accorgendo anche in questi giorni guardando la realtà dei Campi Flegrei – ha dichiarato il Ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci. “Naturalmente la complessità della materia richiede un confronto con tutte le amministrazioni dello Stato”, ha concluso.
Mal di schiena: nuove terapie e chirurgia mini-invasiva per tornare allo sport a 70 anni
Ricerca innovazione, AnzianiIl mal di schiena riguarda circa il 70-80% degli italiani e spesso è correlato agli stili di vita sbagliati, con scarsa attività fisica e una postura scorretta. Questi numeri comportano costi stimati in 36 miliardi di euro, infatti il mal di schiena è la principale ragione di visite mediche e la causa più frequente di assenza dal lavoro. Si tratta di 2,3 punti del PIL, da cui derivano risvolti socioeconomici, sia come costi diretti (diagnostici e terapeutici) che indiretti (assenze dal lavoro, mancata produttività).
L’innovazione tecnologica apre a nuove opportunità contro il mal di schiena. Gli interventi mininvasivi sempre più precisi consentono ricoveri più brevi, convalescenze più veloci e il ritorno alle proprie abitudini – anche sportive – in tempi prima impensabili. Anche i rischi nell’intervento sono ridotti, così come i tempi di recupero, con benefici per il paziente e le strutture. La stenosi del canale lombare è una patologia diffusa soprattutto nella popolazione che ha superato i 65 anni.
Mal di schiena e chirurgia innovativa
L’intervento chirurgico per la stenosi del canale lombare è sempre più frequente grazie all’innovazione. La patologia impatta sulla qualità della vita per il restringimento (la stenosi, appunto) del canale lombare, che spesso si verifica in tarda età. Una donna su 5 con la menopausa e un uomo su 8 dopo i 65 anni possono incorrere in una frattura vertebrale; le condizioni possono aggravarsi senza interventi tempestivi: dopo la prima frattura, la probabilità di una recidiva aumenta di 5 volte, mentre il rischio di una terza ricaduta può aumentare fino a 25 volte.
“In passato, la stenosi del canale lombare era associata all’invecchiamento e alla riduzione dell’autonomia e della qualità di vita, mentre solo di rado si ricorreva all’intervento chirurgico che era invasivo, con una pesante anestesia e una lunga convalescenza, condannando le persone a rinunciare all’operazione e a rassegnarsi a una vita meno dinamica – spiega il Dott. Luca Serra, Responsabile UO Chirurgia Vertebrale, Ospedale Israelitico.
”Oggi è possibile sottoporsi all’intervento e tornare a una vita dinamica e persino sportiva. Il canale lombare che si è ristretto va allargato e successivamente stabilizzato: questa seconda parte dell’intervento, che prima si associava a possibili complicazioni, adesso si può fare senza aprire la colonna vertebrale, ma con semplici incisioni. L’intervento è facilmente realizzabile anche in tarda età, fino anche a 90 anni. La diffusione di questo tipo di attività chirurgica ha aperto la strada ad altri interventi mini-invasivi, con queste tecniche percutanee sempre più diffuse contro i vari tipi di mal di schiena”.
Dott. Luca Serra
Robotica per la stenosi del canale lombare
Nel caso della stenosi del canale lombare, “grazie alla tecnica chirurgica dell’artrodesi conservativa consentita dalla robotica, è possibile allargare canali in persone anziane che fino a qualche anno fa si rassegnavano ad avere una vita scadente, a non camminare più, a fare interventi molto invasivi – commenta il Dott. Luca Serra.
”Possiamo poi contare su procedimenti come la navigazione, ossia la possibilità di seguire l’intervento in tempo reale nel corpo umano anche in aree delicate come il canale vertebrale, dove passano il midollo e il nervo, il cui monitoraggio rende l’atto chirurgico molto più sicuro. Questi miglioramenti sono però oggi disponibili solo in alcuni centri selezionati.
Apparentemente il costo di queste innovazioni è rilevante, ma saranno sempre più necessarie in tutte le chirurgie vertebrali e rappresenteranno un investimento ampiamente compensato dal risultato. Ne beneficia sia il paziente, che può contare su tempi di recupero più brevi, maggiore precisione e sicurezza dell’intervento, un minore impatto operatorio e minore ricorso a farmaci e terapie; sia per la struttura, che può così svolgere più attività e non rischiare complicazioni dell’intervento”.
Mal di schiena sempre più diffuso, il 10 per cento sono casi severi
“La patologie che portano al mal di schiena sono numerose, come l’artrosi, l’ernia del disco, l’osteoporosi, le deviazioni della colonna (scoliosi o cifosi), o ancora scivolamenti, instabilità, spondilolistesi – sottolinea il Dott. Luca Serra.
”Sono fondamentali le moderne tecnologie per diagnosi accurate e trattamenti mirati, come terapia del dolore, chirurgia mininvasiva, infiltrazioni terapeutiche. Tolte le forme transitorie, resta il 10% di patologia seria, su cui servono trattamenti specifici e, talvolta, l’intervento chirurgico, necessario soprattutto in tarda età per patologie come la stenosi del canale vertebrale, le fratture vertebrali, l’osteoporosi”.
Vaccini adulti e fragili, impatto delle infezioni respiratorie
Anziani, Bambini, PrevenzioneÈ di questi giorni l’ultimo monitoraggio di Iss e Ministero della Salute sui nuovi casi di COVID-19 (4 al 10 luglio 2024). Sono, infatti, in aumento del 42% nell’ultima settimana con un numero assoluto di casi pari a 5.503 e con 33 decessi. In tutto il 2023 i casi certificati di COVID-19 sono stati più di 5,3 milioni con 10.000 decessi e 82.000 ricoveri ospedalieri; a questi si aggiungono più di 14 milioni di casi di influenza con circa 9.900 decessi e quasi 300.000 casi di RSV con 26.000 ricoveri e 1.800 decessi; le polmoniti sono responsabili ogni anno di circa 150.000 ricoveri e 9.000 decessi. I vaccini rappresentano un mezzo di protezione efficace, soprattutto per i soggetti fragili.
Vaccini contro Covid, influenza, RSV, polmoniti
COVID-19, influenza, RSV, polmoniti rientrano tra le infezioni respiratorie che, in Italia, continuano a rappresentare la prima causa di mortalità tra le malattie infettive, in modo proporzionalmente crescente all’aumentare dell’età, senza dimenticare la correlazione col fenomeno dell’AMR che ogni anno è responsabile nel nostro Paese di circa 11.000 morti (12% dei decessi totali a livello OCSE) con un impatto economico di 2,4 miliardi di euro a parità di potere d’acquisto.
Degli strumenti di protezione dei soggetti anziani e fragili (che rappresenteranno il 34,5% della popolazione rispetto all’attuale 24%) attraverso le vaccinazioni e di come favorire l’invecchiamento attivo si è parlato nel corso dell’evento “Politiche di immunizzazione dei soggetti adulti e fragili: dalla promozione della buona salute al contrasto dell’AMR”, realizzato da The European House-Ambrosetti con il contributo non condizionante di Pfizer.
“L’invecchiamento della popolazione e i grandi progressi compiuti dalla medicina hanno aumentato il numero di soggetti fragili e quindi predisposti alle infezioni – ha affermato Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT). In questo scenario, le infezioni correlate alle pratiche assistenziali sono diventate un problema prioritario di sanità pubblica e la crescente diffusione di ceppi batterici multi-resistenti agli antibiotici (ABR) rende ancora più difficile il controllo di queste infezioni. In questa popolazione gli interventi di prevenzione, primi tra tutti le vaccinazioni, rappresentano un efficace strumento in grado di ridurre significativamente il rischio di infezioni con tutto quello che comporta in termini di morbosità e mortalità e di impatti socioeconomici”.
I dati dell’ultima campagna anti-COVID-19 riportano un tasso di copertura medio a livello nazionale per gli over 60 del 10,2% con valori compresi tra il 19,2% della Toscana e l’1,8% della Sicilia; la campagna antinfluenzale tra gli over 65 non ha raggiunto il 50% secondo le prime stime.
“Nonostante il valore della vaccinazione sia noto, purtroppo, nel nostro Paese stiamo assistendo ad una disaffezione importante alle pratiche vaccinali con una riduzione importante delle coperture per molti virus respiratori – ha aggiunto Roberta Siliquini, Presidente della Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI). È necessario che il sistema della sanità pubblica, in un lavoro sinergico di tutte le sue componenti, si organizzi per definire al meglio, ciascuno nel proprio ruolo, campagne informative serie, programmi di sensibilizzazione, modelli organizzativi che facilitino l’accesso alle vaccinazioni.”
Covid e vaccini
Per le ultime campagne vaccinali anti-COVID-19 e antinfluenzale, a livello organizzativo le Regioni, pur con le proprie differenze e peculiarità, hanno messo in campo molti strumenti per agevolare la vaccinazione di questi soggetti, dal coinvolgimento simultaneo di centri vaccinali, MMG e farmacisti, alla chiamata attiva dei soggetti, alla realizzazione degli open day; in molti casi è stato anche agevolato l’accesso alla vaccinazione attraverso un sito unico di prenotazione.
Le Regioni si sono impegnate a rafforzare il proprio operato investendo anche nella comunicazione.
Una comunicazione affidabile, basata sulle evidenze, accessibile, permette di accrescere la fiducia dei cittadini e contrastare la disinformazione e l’esitazione vaccinale: su quest’ultimo punto, in tutte le Regioni italiane, secondo una survey realizzata nel 2023 da The European House – Ambrosetti in collaborazione con SWG, un’informazione più dettagliata da parte del Ministero della Salute e delle ASL e un maggior dialogo da parte del cittadino con il proprio medico o farmacista di fiducia, sono ritenuti gli strumenti più efficaci di contrasto all’esitazione vaccinale.
“Per lavorare efficacemente sulle scelte delle persone, in ottica di promozione della salute e contrasto all’AMR, e recuperare fiducia e convinzione nelle vaccinazioni nei soggetti fragili, bisogna investire in campagne informative a cura delle istituzioni e garantire messaggi univoci e coerenti tra professionisti – ha aggiunto Valeria Fava, Responsabile del Coordinamento delle politiche per la salute di Cittadinanzattiva. Alla comunicazione devono affiancarsi strategie efficaci ed omogenee sul territorio nazionale, una maggiore digitalizzazione, semplificazione nell’accesso, specie per i soggetti fragili, e un puntuale monitoraggio, a partire dall’estensione degli indicatori della griglia di monitoraggio LEA a tutte le vaccinazioni incluse nel calendario”.
I risultati ottenuti nelle ultime campagne vaccinali antinfluenzale e anti-COVID-19 aprono però una riflessione sull’efficacia degli attuali modelli di organizzazione e gestione delle campagne vaccinali rivolte all’adulto, incluse le attività di comunicazione, in un contesto in cui l’offerta vaccinale verso questi soggetti è destinata ad aumentare.
“Attualmente, in Italia la spesa per i programmi vaccinali delle Regioni è caratterizzata da elevata variabilità e rappresenta il 21% della spesa in prevenzione, un valore di 24,5 euro a livello pro capite – ha sottolineato Rossana Bubbico, Senior Consultant della Practice Healthcare di The European House-Ambrosetti. Investire nelle politiche di immunizzazione vuol dire contribuire alla salute del singolo e della collettività, alla sostenibilità del SSN e del sistema socio-sanitario e alla crescita del sistema economico: per le sole vaccinazioni dell’adulto, per ogni euro investito il Paese ne recupererebbe 19 nel caso di raggiungimento degli obiettivi di copertura previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale. Per questo accogliamo positivamente la dichiarazione del Ministro della Salute sulla volontà di aumentare la quota di investimenti in prevenzione dall’attuale 5% del Fondo sanitario Nazionale: investire in prevenzione vuol dire investire in stili di vita, screening e vaccinazioni”. Nel corso dell’evento è stata anche lanciata una call to action per rilanciare le coperture vaccinali nell’adulto e nei fragili con proposte per il Governo centrale e le Regioni.
I cibi che aumentano il testosterone
Alimentazione, News, NewsSempre più uomini soffrono di infertilità, basti pensare che colpisce tra il 15 e il 20% delle coppie a livello globale. Molti cibi promettono di migliorare la funzionalità e la salute sessuale maschile, e uno studio recente guidato dall’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR ha quantificato per la prima volta l’effetto di una dieta sana come quella mediterranea bio nel migliorare i livelli di testosterone e combattere l’infertilità. Questo studio, presentato al congresso nazionale della Società Italiana di Andrologia (SIA) e pubblicato su Current Research in Food Science, offre nuove speranze per coloro che lottano con problemi di fertilità.
Le cause dell’infertilità maschile
“Le cause dell’infertilità maschile possono essere diverse,” spiega Alessandro Palmieri, Presidente SIA e Professore di Urologia all’Università Federico II di Napoli. “Lo stile di vita, i fattori ambientali, lo stress e le condizioni socio-economiche sono fattori significativi.” Una dieta scorretta può accentuare gli effetti deleteri e pro-ossidanti dello stress e dell’inquinamento, causando la frammentazione del DNA negli spermatozoi, uno dei principali fattori alla base dell’infertilità maschile.
Il potere della dieta mediterranea bio
La dieta mediterranea è universalmente riconosciuta come benefica per il mantenimento della salute generale e per ridurre l’incidenza delle principali malattie croniche. Fabrizio Palumbo, Dirigente Medico presso l’UOC Urologia Ospedale Di Venere di Bari, sottolinea come questo regime alimentare possa avere un impatto positivo anche sulla fertilità maschile. Lo studio ha coinvolto 50 uomini di età compresa tra i 35 e i 45 anni, normopeso, non fumatori e che non facevano consumo abituale di alcolici, senza malattie croniche o varicocele.
Aumento del testosterone
Dopo tre mesi dall’inizio della dieta mediterranea bio, i partecipanti hanno registrato un aumento del 116% dei livelli di testosterone. Contemporaneamente, è stata osservata una riduzione nella percentuale di spermatozoi con DNA frammentato, scesa dal 44,2% iniziale al 23,2%. Questo miglioramento è stato attribuito alla riduzione dei carboidrati e all’aumento di antiossidanti attraverso il consumo giornaliero di frutti rossi e un minimo di tre porzioni di verdure fresche al giorno.
Gli alimenti chiave per la fertilità
Tra gli alimenti che possono migliorare la fertilità maschile, spiccano la noce moscata, i chiodi di garofano, lo zenzero e il melograno. Questi cibi, ricchi di antiossidanti e nutrienti essenziali, contribuiscono a ridurre lo stress ossidativo e migliorare la qualità dello sperma. La dieta mediterranea bio, caratterizzata da un alto consumo di frutta, verdura, legumi, cereali integrali e olio d’oliva, insieme a un moderato consumo di pesce e pollame, offre un’ampia gamma di benefici per la salute riproduttiva.
L’importanza di un approccio olistico
“Una dieta scorretta può causare danni significativi alla salute riproduttiva maschile,” afferma Veronica Corsetti, biologa nutrizionista, ricercatore del CNR, Presidente dell’Associazione “Fertilelife” e prima autrice dello studio. Un approccio olistico che includa una dieta equilibrata, esercizio fisico regolare e la riduzione dello stress è fondamentale per migliorare la fertilità maschile. Questo studio dimostra che una semplice modifica nello stile di vita e nell’alimentazione può avere un impatto significativo sulla salute sessuale e riproduttiva degli uomini.
Le giuste abitudini
L’infertilità maschile è una condizione complessa che può essere influenzata da molteplici fattori. Tuttavia, adottare una dieta sana e bilanciata come quella mediterranea bio può rappresentare un passo importante verso il miglioramento della fertilità. Lo studio condotto dall’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR offre prove concrete dei benefici di questo regime alimentare, evidenziando l’importanza di un approccio integrato alla salute riproduttiva. Con un aumento significativo dei livelli di testosterone e una riduzione della frammentazione del DNA degli spermatozoi, la dieta mediterranea bio si conferma come un valido alleato nella lotta contro l’infertilità maschile.
Quindi, se l’obiettivo è quello di avere una gravidanza la chiave potrebbe trovarsi nel piatto: una dieta ricca di frutti rossi, verdure fresche e altri alimenti tipici della dieta mediterranea bio può fare una differenza significativa.
Leggi anche:
I cibi cenerentola della dieta mediterranea
Un farmaco per l’asma combatte il tumore al pancreas
Ricerca innovazioneCome spesso accade nella ricerca medica, le migliori scoperte avvengono con un pizzico di fortuna e una grande intuizione. Proprio questi sono gli ingredienti di una ricerca che ha osservato una sorprendente correlazione inversa tra asma e incidenza di tumore al pancreas. Questa scoperta ha guidato un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Igb), assieme a colleghi e colleghe dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, dell’Instituto de Investigaciones Biomedicas Sols-Morreale di Madrid e della statunitense Università del Tennessee.
Il ruolo del farmaco
Una risposta alla correlazione osservata potrebbe risiedere nell’effetto del farmaco glucocorticoide ampiamente utilizzato per il trattamento dell’asma. Secondo i risultati dello studio pubblicati a luglio 2024 sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, il farmaco sembra avere la sorprendente capacità di contrastare la proliferazione delle cellule tumorali dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), la forma più comune e aggressiva di tumore al pancreas.
I risultati della ricerca per il tumore al pancreas
Gabriella Minchiotti (Cnr-Igb), coordinatrice del lavoro, spiega: “Ci siamo concentrati sulla correlazione inversa che, secondo dati statistici, vede un’associazione negativa tra i pazienti asmatici sotto terapia da lungo tempo e la frequenza del tumore al pancreas. Abbiamo scoperto che il budesonide è in grado di limitare le caratteristiche più aggressive delle cellule umane di tumore del pancreas, come la capacità di proliferare, migrare e invadere altri tessuti e organi, alla base della disseminazione delle metastasi”.
Gli esperimenti condotti su cellule in coltura e animali di laboratorio hanno dimostrato che il farmaco arresta la crescita delle cellule del tumore pancreatico modificandone il metabolismo e interferendo con i cambiamenti necessari alla progressione tumorale.
L’aggressività del PDAC
L’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC) è noto per essere particolarmente aggressivo. Nel 2023, in Italia, sono state stimate circa 14.800 nuove diagnosi di questo tipo di tumore, secondo i dati del rapporto “I numeri del cancro in Italia”, pubblicato dall’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) in collaborazione con l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM). Essendo spesso resistente alle terapie classiche come chemioterapia e radioterapia, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è inferiore al 12%. La mancanza di metodi di screening efficaci contribuisce ulteriormente alla difficoltà di trattare questo tumore, che spesso viene diagnosticato in fase avanzata.
Potenziali implicazioni cliniche
Cristina D’Aniello (Cnr-Igb), coautrice corrispondente dell’articolo, sottolinea: “I risultati ottenuti suggeriscono un possibile utilizzo del budesonide anche nella terapia preventiva o come coadiuvante nel trattamento dell’adenocarcinoma duttale pancreatico. Questo approccio, noto come ‘riposizionamento’, utilizza farmaci già approvati per altre indicazioni terapeutiche, riducendo tempi e costi per lo sviluppo di nuove terapie.”
Sostegno e finanziamenti
La ricerca ha ricevuto il sostegno fondamentale della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e del Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del programma PRIN 2022. Inoltre, il progetto D3 4 Health, parte del piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC), è stato finanziato dall’Unione Europea– Next Generation EU.
Nuove prospettive
Questa scoperta potrebbe aprire nuove frontiere nella lotta contro il tumore al pancreas, offrendo speranza a molti pazienti. La correlazione tra l’uso di questo farmaco nei pazienti asmatici e una minore incidenza di PDAC potrebbe portare a nuovi approcci terapeutici, migliorando le prospettive di trattamento per una delle forme più aggressive di cancro. La possibilità di riposizionare il farmaco per il trattamento del PDAC rappresenta un promettente sviluppo, evidenziando l’importanza della ricerca scientifica nella scoperta di nuovi utilizzi per farmaci esistenti. La continua ricerca e il sostegno finanziario saranno cruciali per approfondire queste scoperte e trasformarle in soluzioni cliniche efficaci.
Leggi anche:
Tumore al pancreas, l’efficacia di una nuova terapia
Tumori al colon, AI diventa terzo occhio dell’endoscopista
Associazioni pazienti, Prevenzione, Ricerca innovazioneL’intelligenza artificiale ha un ruolo sempre più importante nel supportare lo specialista nella diagnosi dei tumori. Di recente a Milano si è discusso delle applicazioni nella prevenzione del tumore al colon durante l’edizione italiana di ‘AI NOW ITALY – Embracing the Future Right Here, Right Now’. L’iniziativa è promossa da Medtronic ed è dedicata all’adozione dell’AI nell’ambito endoscopico per il rilevamento dei polipi del colon-retto. Clinici provenienti da tutta Italia hanno condiviso la propria esperienza ed esplorato temi della AI in gastroenterologia.
AI, applicazioni
In campo sanitario, oggi l’AI sta ridefinendo anche il modo in cui vengono diagnosticate molte patologie, tra cui il tumore al colon. Attraverso algoritmi di apprendimento automatico ed analisi dei dati, l’intelligenza artificiale (AI) elabora grandi quantità di informazioni mediche in modo rapido ed accurato. Questo rende sempre più precise le decisioni cliniche e migliora gli esiti di salute dei pazienti.
Oggi esiste il primo sistema di rilevamento assistito da computer (CADe) disponibile in commercio che utilizza l’Intelligenza Artificiale per identificare i polipi del colon-retto. La sua efficacia è stata studiata in più di 30 pubblicazioni scientifiche, coinvolgendo un totale di oltre 23.000 pazienti. In base ai sistemi attualmente presenti, il sistema ha un impatto potenziale su 2.7 milioni di pazienti nel mondo ogni anno.
Il dispositivo si è evoluto significativamente nel corso degli anni: oltre a essere programmato per rilevare polipi di diverse forme e misure, oggi è dotato di una funzione di caratterizzazione (CADx) che consiste nella capacità di fornire una predizione sulla natura istologica del polipo rilevato: “no adenoma” (e quindi innocuo) o “adenoma” (potenzialmente pericoloso). Quando l’operatore si sofferma su una lesione, la funzione si attiva in automatico e in pochi secondi fornisce il proprio responso.
“L’intelligenza artificiale in endoscopia digestiva è ormai uno strumento validato ed indispensabile in particolare per aumentare significativamente la diagnosi di lesioni potenzialmente neoplastiche durante la colonscopia – ha osservato il dottor Marco Emilio Dinelli, Direttore SC Endoscopia Interventistica della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza – Il suo impiego è previsto rapidamente estendersi anche al riconoscimento delle lesioni potenzialmente neoplastiche di esofago e stomaco e, quando associato alla videocapsula, a quelle sanguinanti del piccolo intestino”.
Lo studio
In particolare, la qualità della colonscopia è misurata da due indicatori i cui valori dimostrano anche l’efficacia dell’AI: l’Adenoma Miss Rate (AMR) e l’Adenoma Detection Rate (ADR). Il primo indica la percentuale di lesioni non diagnosticate dalla colonscopia che deve essere la più bassa possibile; il secondo rappresenta il tasso di rilevamento dell’adenoma e deve essere il più alto possibile.
Lo studio randomizzato “Impact of Artificial Intelligence on Miss Rate of Colorectal Neoplasia” (Wallace et al., Gastroenterology, 2022), condotto in 8 centri tra Italia, UK e USA su 230 pazienti, ha evidenziato che l’Intelligenza Artificiale di GI Genius™ può ridurre l’AMR di circa il 50%. Questi risultati si affiancano al precedente studio multicentrico randomizzato “Efficacy of Real-Time Computer-Aided Detection of Colorectal Neoplasia in a Randomized Trial” (Repici et al., Gastroenterology, 2020), che ha coinvolto 685 pazienti in 3 ospedali, confermando che l’assistenza computerizzata in tempo reale migliora significativamente l’ADR senza prolungare il tempo di procedura. Gli studi dimostrano quindi anche che con il decisivo ausilio dell’AI la qualità delle colonscopie viene aumentata e standardizzata.
Colonscopia più efficace con AI
“Uno degli aspetti critici di una colonscopia è l’impossibilità di esplorare completamente la mucosa del colon per la variabilità della anatomia e del risultato della toilette intestinale. La conformazione del colon rende poco visibili, in particolare, le superfici prossimali delle Haustra Coli (gli infossamenti o tasche della superficie interna dell’organo ndr). L’AI ha dimostrato in una molteplice serie di lavori scientifici di essere di notevole ausilio nell’implementare la ricerca di polipi precursori dei tumori colici. La IA è il terzo occhio dell’endoscopista che aiuta a focalizzare aree della superficie della mucosa colica a volte poco percettibili nella pratica routinaria endoscopica” ha spiegato il Dott. Massimo Cianci, Responsabile UF di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva presso la CdC Pierangeli di Pescara.
Anziani, 1 mln italiani over 90 entro 3 anni
Anziani, Associazioni pazienti, Economia sanitaria, NewsIl bisogno di assistenza domiciliare agli anziani aumenta, nonostante il trend di crescita degli over-65 che beneficiano di cure a casa. Sono, infatti, passati dai 252mila (1,95% del totale) del 2014 ai quasi 550mila (3,89%) del 2023. Secondo i dati forniti dalle Regioni al Ministero della Salute, sarebbero oltre 80mila in più gli anziani che nell’ultimo anno sono stati assistiti al domicilio rispetto al 2022, dato positivo ma che sembra non trovare riscontro nel ‘mondo reale’, secondo l’analisi di Italia Longeva. C’è poi un altro 2,88% di ultra 65enni (404.235 persone) che ha ricevuto cure residenziali (RSA) nell’ultimo anno.
“Un’accelerazione dell’offerta dei servizi di ADI e RSA è quanto mai prioritaria per evitare che la mancata gestione dell’invecchiamento diventi la vera malattia del Paese, sempre più chiamato a fare i conti con le conseguenze della pressione demografica: aumento del carico di cronicità, disabilità e non autosufficienza che amplificano i bisogni di salute, oltretutto in un contesto di assottigliamento delle reti familiari”. È quanto scrive l’associazione in una nota.
Anziani in aumento, oggi 65% delle persone con demenza senza assistenza
Nei prossimi 20 anni, si stima saranno all’incirca 6 milioni gli over-65 soli e a rischio di isolamento. Oggi il 64% delle persone con demenza, tra le prime cause di perdita di autonomia negli anziani, non viene preso in carico in una struttura sociosanitaria, con un onere fortissimo per milioni di famiglie. Va poi considerato che laddove c’è meno assistenza domiciliare aumentano gli accessi al Pronto Soccorso e i ricoveri inappropriati e, dunque, la spesa a carico del servizio sanitario.
È quanto emerge dall’Indagine 2024 di Italia Longeva che, a partire dai dati del Sistema informativo del Ministero della Salute, fotografa l’andamento della long-term care nel nostro Paese, cioè dell’assistenza territoriale offerta ai cittadini fragili in risposta ai diversi livelli di intensità dei loro bisogni. Il Report è stato presentato oggi al Ministero della Salute, nel corso della nona edizione degli “Stati Generali dell’assistenza a lungo termine – Long-Term Care NINE”, l’appuntamento annuale di Italia Longeva che riunisce gli attori che, ai vari livelli, si occupano di programmare e gestire l’assistenza agli anziani.
“Leggiamo con cauto ottimismo i numeri sull’ADI forniti dalle Regioni. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie ad esso correlate – diabete, patologie cardiovascolari, demenze -, ci impongono di premere l’acceleratore per potenziare e rendere più omogenea l’assistenza sul territorio”, commenta Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva. “Continuiamo a concentrarci sull’ADI perché siamo convinti che sia l’unica risposta possibile di un servizio sanitario in grado di affrontare e non di subire l’assistenza agli anziani. Pensiamo agli accessi in Pronto Soccorso e ai ricoveri inappropriati, ma anche alla necessità di garantire la messa in sicurezza dei pazienti fragili che vengono dimessi dall’ospedale, soprattutto di coloro che sono privi di un supporto familiare”.
600 mila i ricoveri inappropriati
A tal proposito, sono state calcolate 600mila giornate di degenza inappropriate all’anno per gli over-70 (fonte Agenas su dati SDO 2019), solo per la gestione di cronicità come diabete e ipertensione, che contribuiscono al sovraffollamento degli ospedali e all’aumento delle liste d’attesa, nonché al fenomeno delle dimissioni tardive per mancata disponibilità di presa in carico sul territorio. “Potenziare i servizi di long-term care, in particolare le cure domiciliari – aggiunge Bernabei -, significa costruire un ponte tra ospedale e casa, e dare finalmente un’assistenza congrua ai nostri anziani”.
Il peso delle malattie neurodegenerative
Alzheimer
L’urgenza di rafforzare l’offerta di long-term care va letta anche alla luce del peso crescente delle malattie neurodegenerative in un Paese con 14,3 milioni di anziani, di cui oltre 4,5 milioni di 80enni, e previsioni che stimano una quota del 34% di over-65 nei prossimi 20 anni, con gli over-80 che supereranno i 6 milioni. L’Indagine 2024 di Italia Longeva ha aperto una finestra sulla demenza, condizione che in Italia interessa 1,5 milioni di persone, di cui oltre 600.000 sono affette da malattia di Alzheimer, cui si aggiungono altri 900mila italiani con diagnosi di pre-demenza. Questi numeri, uniti all’impatto economico della gestione e del trattamento dei pazienti con demenza – 23,6 miliardi di euro, di cui oltre il 60% a totale carico delle famiglie – danno la misura dell’imponente domanda di cure e supporto specifici che si rendono necessari e sempre di più lo saranno nel prossimo futuro.
Il report
“Anche quest’anno Italia Longeva ha offerto una fotografia sullo stato dell’arte della long-term care lungo lo Stivale, aggiungendo un focus specifico sulle malattie neurodegenerative che accompagnano l’invecchiamento della popolazione”, aggiunge Davide Vetrano, geriatra ed epidemiologo, consulente scientifico di Italia Longeva. “L’Italia sta facendo dei passi in avanti nell’organizzazione e nell’offerta dei servizi di ADI e RSA, che rappresentano le due componenti cruciali di una risposta sanitaria coerente alle esigenze degli anziani più fragili. Il panorama geografico delle cure domiciliari resta estremamente variegato: Molise, Abruzzo, Basilicata, Toscana e Umbria sono quelle che fanno meglio, con tassi di copertura di ADI superiori al 4,5%. Per quanto riguarda le cure residenziali, sono poco più di 400mila gli over-65 che ne hanno beneficiato nell’ultimo anno, ancora una volta con una distribuzione a macchia di leopardo: tassi di residenzialità più elevati si registrano nelle regioni del Nord – Provincia Autonoma di Trento (9,9%), Veneto (5,9%), Piemonte (5,4%), Lombardia (4,6%) e Provincia Autonoma di Bolzano (4,3%) – e sono per lo più correlati alle peculiari caratteristiche del tessuto sociale”.
Le cure sul territorio
“Per affrontare efficacemente la fragilità degli anziani sono necessari setting assistenziali, conoscenze e competenze specifiche, e la capacità del sistema di assicurare la continuità della presa in carico tra i diversi livelli e luoghi di cura. Innanzitutto, prendendo in carico gli anziani nel proprio ambiente domestico il più a lungo possibile, fornendo cure mediche, infermieristiche e riabilitative e supporto adeguati per mantenere una buona qualità della vita. Ma il principio guida di questa rete di assistenza è quello di trovare la migliore soluzione assistenziale per il paziente sul territorio, a seconda della complessità dei suoi bisogni: servizi di ADI, accesso in RSA, strutture di lungodegenza o hospice, in cui ciascun attore, professionista, caregiver, gioca la sua parte per dare risposte coerenti alle esigenze degli anziani”, conclude il presidente di Italia Longeva.