Tempo di lettura: 5 minutiLa casa è il primo habitat. Il 90% della vita scorre al chiuso: in ufficio, a scuola, nelle strutture sanitarie, in automobile, autobus o metro, ma soprattutto in casa. È la casa l’ambiente nel quale si trascorre ogni notte e molta parte dei giorni.
La qualità dell’aria indoor, cioè interna, influisce sulla salute, così in occasione della Giornata mondiale dell’Habitat del 7 ottobre, gli esperti di Iss hanno diffuso un decalogo di prevenzione. Si tratta di un approfondimento sugli inquinanti indoor e sulle fonti dell’inquinamento domestico, oltre a un podcast sulla sicurezza degli ambienti chiusi.
Giornata mondiale dell’Habitat (World Habitat Day)
Il primo lunedì di ottobre di ogni anno (quest’anno è il 7 del mese) ricorre il World Habitat Day, la data designata dalle Nazioni Unite Giornata Mondiale dell’Habitat con l’obiettivo di promuovere una riflessione sullo stato delle città nel mondo. Il focus di quest’anno è sul coinvolgimento dei giovani nella costruzione di agglomerati urbani sostenibili e resilienti – ma anche sul diritto fondamentale di ogni cittadino a un alloggio adeguato, sicuro e sano.
Tutto comincia dall’aria che respiriamo
La qualità dell’aria delle abitazioni (e degli uffici, delle scuole, delle automobili e degli altri luoghi al chiuso) è uno dei principali determinanti di salute e un importante tema di sanità pubblica. “È indoor che avviene la gran parte dell’esposizione della popolazione all’inquinamento atmosferico ed è negli ambienti indoor che si costruisce e si protegge la salute della popolazione”, dice Gaetano Settimo, coordinatore del GdS, il Gruppo di Studio nazionale inquinamento indoor dell’Istituto superiore di sanità.
“Ma in genere – prosegue – l’aria di casa, come quella degli altri ambienti chiusi che frequentiamo, è tutt’altro che pulita. Gli inquinanti atmosferici indoor sono molti e sono capaci di influenzare e peggiorare la salute delle persone, con effetti acuti a breve termine o cronici”.
“Specialmente la salute di chi soffre di patologie cardiache, di ipertensione, ictus, di patologie respiratorie come BPCO e asma, di allergie. Di patologie del sistema immunitario, riproduttivo, di malattie neurologiche, e di tumori. Ma anche di emicrania, di riniti, irritazioni della gola, occhi e di altro ancora, giacché l’elenco delle malattie e dei disturbi che è possibile associare o che peggiorano a causa dell’esposizione all’aria delle nostre abitazioni, può essere più lungo”, aggiunge Settimo.
Gli inquinanti nell’aria e le loro fonti
Tra gli inquinanti indoor di rilevanza particolare ci sono i composti organici volatili (COV), le particelle sospese (PM10, PM2,5, UFP o particelle ultrafini), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), le policlorodibenzodiossine e i policlorodibenzofurani (PCDD/F), i policlorobifenili (PCB), i perfluoro e polifluoro alchilici (PFAS), i prodotti delle combustioni in impianti scarsamente manutenuti o collegati male o non collegati all’esterno che possono emettere monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx).
Le fibre di amianto, le fibre artificiali insetticidi e pesticidi, i nanomateriali ingegnerizzati e le microplastiche. “Tutti questi inquinanti – spiega Settimo – vengono emessi in modo costante o intermittente negli ambienti chiusi da numerose e differenti sorgenti e per questo è fondamentale conoscere le caratteristiche, e la qualità delle emissioni delle fonti presenti. Non chiediamo quasi mai informazioni specifiche sulle caratteristiche emissive, per esempio quando ristrutturiamo, o acquistiamo nuovi elettrodomestici o apparecchiature. Dovremmo invece”.
Cucinare, scaldare, fumare. Le sorgenti di COV siamo (anche) noi
I COV, i composti organici volatili (per esempio la formaldeide che il COV più semplice, l’acetaldeide, il benzene, il toluene, il limonene, il tricloroetilene, il tetracloroetilene eccetera), possono derivare da materiali da costruzione, vernici, collanti, sigillanti, resine, solventi, mobili, arredi, apparecchiature elettroniche (stampanti, fotocopiatrici, computer). Inoltre possono derivare da prodotti per la pulizia, da profumi e deodoranti per ambienti, da disinfettanti, ma anche dalle attività umane.
Le persone, infatti, attivano sorgenti di COV quando prepariamo i cibi. In questo caso gli inquinanti variano a seconda dello stile di cottura (frittura, vapore, grigliatura emettono molecole differenti), degli ingredienti e del combustibile utilizzato. Gli inquinanti cambiano a seconda del combustibile utilizzato per scaldare gli ambienti (stufe o camini a legna o ad altre biomasse).
Inoltre le persone, attraverso il fumo, sono fonte di composti organici volatili, infatti le sigarette sia classiche che elettroniche sono sorgenti di COV. Lo stesso vale per i diffusori di fragranze per ambiente.
Particelle sospese e IPA nell’aria di casa
Le particelle sospese PM10, PM2,5, e ultrafini o UFP possono provenire da fonti esterne, come l’aria dell’ambiente, ma soprattutto – come i COV – dalle attività quotidiane: cucinare e riscaldare, detergere, pulire, ma anche deodorare gli ambienti con candele, incensi diffusori, fare bricolage, curare le piante, utilizzare stampanti.
Gli IPA, le PCDD/F e i PCB derivano dai tutti processi di combustione come cucinare, riscaldare e fumare. I PCB sono una eredità del passato, quando venivano utilizzati come isolanti.
La CO2 non è un indicatore di buona qualità dell’aria indoor
“L’anidride carbonica è il sottoprodotto naturale del metabolismo della respirazione. Le concentrazioni di CO2 negli ambienti indoor aumentano nel tempo in presenza di un numero costante di fruitori e in funzione dei ricambi dell’aria”, spiega Settimo.
“La CO2 può essere utilizzata per valutare e controllare i ricambi dell’aria – riprende – ma le concentrazioni di anidride carbonica indoor non sono una misura della qualità dell’aria, al contrario di quanto avviene per l’aria esterna, perché non tengono conto delle altre importanti sorgenti di inquinanti, come i materiali, gli arredi, i tendaggi, le pitture, i trattamenti di finitura, le colle, le resine, i siliconi, i prodotti per la pulizia, i deodoranti per ambienti, le combustioni”.
L’umidità non inquina ma influenza la qualità dell’aria
L’umidità non è un vero e proprio inquinante ma un fattore in grado di influenzare la qualità dell’aria indoor e favorire l’inquinamento soprattutto da agenti biologici. L’umidità rilasciata dalle attività umane come cucinare, fare la doccia, asciugare la biancheria, favorisce infatti lo sviluppo di muffe che possono colonizzare materiali di vario tipo (tessuti, legno, carta da parati, ecc.), rilasciare nell’aria spore e sostanze odorigene (odore di muffa), o anche la proliferazione degli acari della polvere.
Il decalogo Iss per migliorare l’aria, primo: aprire le finestre
II Gruppo di Studio Nazionale (GdS) Inquinamento Indoor dell’Istituto Superiore di Sanità è stato istituito per fare chiarezza sull’inquinamento negli ambienti chiusi. L’obiettivo del decalogo è fornire indicazioni su come proteggersi dall’esposizione all’inquinamento indoor.
- Cambiare frequentemente l’aria in casa aprendo le finestre, preferibilmente quelle più distanti dalle strade più trafficate. Tenere aperte le finestre mentre si cucina, pulisce, si lavare, si stira eccetera. Quando si cucina utilizzare anche la cappa. Ricordare che in assenza di un frequente ricambio di aria gli inquinanti si accumulano in casa, comportando possibili rischi per la salute degli adulti e dei bambini.
- Ricordare che il pulito non ha odore. Non eccedere con l’uso di prodotti per la pulizia come detergenti e detersivi, meglio non utilizzare deodoranti e diffusori di profumi, incensi e candele profumate.
- Non miscelare i prodotti di pulizia, in particolare quelli contenenti candeggina o ammoniaca, con sostanze acide come gli anticalcari. Prima di utilizzare i prodotti è necessario leggere le etichette, rispettare i consigli e le indicazioni presenti sulle confezioni, impiegare le quantità di prodotto raccomandate dai produttori e utilizzare i tappi dosatori per non eccedere con le quantità.
- Non fumare in casa né sigarette classiche né e-cig. Gli inquinanti chimici rilasciati dal fumo costituiscono un rischio per la salute, soprattutto dei bambini. Questi inquinanti rimangono su pareti, arredi, tende e tappezzerie per lunghi periodi.
- Far prendere aria gli abiti ritirati dalla lavanderia prima di riporli negli armadi.
In presenza di mobili nuovi, cambiare con più frequenza l’aria.
- Limitare e non abusare di insetticidi, leggere attentamente le etichette e le avvertenze, e non soggiornare negli ambienti dopo l’utilizzo.
Le piante non aiutano a ridurre l’inquinamento in casa.
- In caso di ristrutturazione o anche di semplice imbiancatura di pareti prediligere prodotti con livelli emissivi più bassi per gli inquinanti chimici e in ogni caso dopo la ristrutturazione arieggiare il più possibile.
- Se si hanno animali domestici rimuovere gli allergeni contenuti nelle polveri sui mobili abiti e biancheria. Passare regolarmente aspirapolvere e straccio umido sulle superfici, cambiare con maggiore frequenza l’aria negli ambienti.
Aria di casa influisce sulla salute a lungo termine. I consigli dall’Iss
Bambini, News, One health, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa casa è il primo habitat. Il 90% della vita scorre al chiuso: in ufficio, a scuola, nelle strutture sanitarie, in automobile, autobus o metro, ma soprattutto in casa. È la casa l’ambiente nel quale si trascorre ogni notte e molta parte dei giorni.
La qualità dell’aria indoor, cioè interna, influisce sulla salute, così in occasione della Giornata mondiale dell’Habitat del 7 ottobre, gli esperti di Iss hanno diffuso un decalogo di prevenzione. Si tratta di un approfondimento sugli inquinanti indoor e sulle fonti dell’inquinamento domestico, oltre a un podcast sulla sicurezza degli ambienti chiusi.
Giornata mondiale dell’Habitat (World Habitat Day)
Il primo lunedì di ottobre di ogni anno (quest’anno è il 7 del mese) ricorre il World Habitat Day, la data designata dalle Nazioni Unite Giornata Mondiale dell’Habitat con l’obiettivo di promuovere una riflessione sullo stato delle città nel mondo. Il focus di quest’anno è sul coinvolgimento dei giovani nella costruzione di agglomerati urbani sostenibili e resilienti – ma anche sul diritto fondamentale di ogni cittadino a un alloggio adeguato, sicuro e sano.
Tutto comincia dall’aria che respiriamo
La qualità dell’aria delle abitazioni (e degli uffici, delle scuole, delle automobili e degli altri luoghi al chiuso) è uno dei principali determinanti di salute e un importante tema di sanità pubblica. “È indoor che avviene la gran parte dell’esposizione della popolazione all’inquinamento atmosferico ed è negli ambienti indoor che si costruisce e si protegge la salute della popolazione”, dice Gaetano Settimo, coordinatore del GdS, il Gruppo di Studio nazionale inquinamento indoor dell’Istituto superiore di sanità.
“Ma in genere – prosegue – l’aria di casa, come quella degli altri ambienti chiusi che frequentiamo, è tutt’altro che pulita. Gli inquinanti atmosferici indoor sono molti e sono capaci di influenzare e peggiorare la salute delle persone, con effetti acuti a breve termine o cronici”.
“Specialmente la salute di chi soffre di patologie cardiache, di ipertensione, ictus, di patologie respiratorie come BPCO e asma, di allergie. Di patologie del sistema immunitario, riproduttivo, di malattie neurologiche, e di tumori. Ma anche di emicrania, di riniti, irritazioni della gola, occhi e di altro ancora, giacché l’elenco delle malattie e dei disturbi che è possibile associare o che peggiorano a causa dell’esposizione all’aria delle nostre abitazioni, può essere più lungo”, aggiunge Settimo.
Gli inquinanti nell’aria e le loro fonti
Tra gli inquinanti indoor di rilevanza particolare ci sono i composti organici volatili (COV), le particelle sospese (PM10, PM2,5, UFP o particelle ultrafini), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), le policlorodibenzodiossine e i policlorodibenzofurani (PCDD/F), i policlorobifenili (PCB), i perfluoro e polifluoro alchilici (PFAS), i prodotti delle combustioni in impianti scarsamente manutenuti o collegati male o non collegati all’esterno che possono emettere monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx).
Le fibre di amianto, le fibre artificiali insetticidi e pesticidi, i nanomateriali ingegnerizzati e le microplastiche. “Tutti questi inquinanti – spiega Settimo – vengono emessi in modo costante o intermittente negli ambienti chiusi da numerose e differenti sorgenti e per questo è fondamentale conoscere le caratteristiche, e la qualità delle emissioni delle fonti presenti. Non chiediamo quasi mai informazioni specifiche sulle caratteristiche emissive, per esempio quando ristrutturiamo, o acquistiamo nuovi elettrodomestici o apparecchiature. Dovremmo invece”.
Cucinare, scaldare, fumare. Le sorgenti di COV siamo (anche) noi
I COV, i composti organici volatili (per esempio la formaldeide che il COV più semplice, l’acetaldeide, il benzene, il toluene, il limonene, il tricloroetilene, il tetracloroetilene eccetera), possono derivare da materiali da costruzione, vernici, collanti, sigillanti, resine, solventi, mobili, arredi, apparecchiature elettroniche (stampanti, fotocopiatrici, computer). Inoltre possono derivare da prodotti per la pulizia, da profumi e deodoranti per ambienti, da disinfettanti, ma anche dalle attività umane.
Le persone, infatti, attivano sorgenti di COV quando prepariamo i cibi. In questo caso gli inquinanti variano a seconda dello stile di cottura (frittura, vapore, grigliatura emettono molecole differenti), degli ingredienti e del combustibile utilizzato. Gli inquinanti cambiano a seconda del combustibile utilizzato per scaldare gli ambienti (stufe o camini a legna o ad altre biomasse).
Inoltre le persone, attraverso il fumo, sono fonte di composti organici volatili, infatti le sigarette sia classiche che elettroniche sono sorgenti di COV. Lo stesso vale per i diffusori di fragranze per ambiente.
Particelle sospese e IPA nell’aria di casa
Le particelle sospese PM10, PM2,5, e ultrafini o UFP possono provenire da fonti esterne, come l’aria dell’ambiente, ma soprattutto – come i COV – dalle attività quotidiane: cucinare e riscaldare, detergere, pulire, ma anche deodorare gli ambienti con candele, incensi diffusori, fare bricolage, curare le piante, utilizzare stampanti.
Gli IPA, le PCDD/F e i PCB derivano dai tutti processi di combustione come cucinare, riscaldare e fumare. I PCB sono una eredità del passato, quando venivano utilizzati come isolanti.
La CO2 non è un indicatore di buona qualità dell’aria indoor
“L’anidride carbonica è il sottoprodotto naturale del metabolismo della respirazione. Le concentrazioni di CO2 negli ambienti indoor aumentano nel tempo in presenza di un numero costante di fruitori e in funzione dei ricambi dell’aria”, spiega Settimo.
“La CO2 può essere utilizzata per valutare e controllare i ricambi dell’aria – riprende – ma le concentrazioni di anidride carbonica indoor non sono una misura della qualità dell’aria, al contrario di quanto avviene per l’aria esterna, perché non tengono conto delle altre importanti sorgenti di inquinanti, come i materiali, gli arredi, i tendaggi, le pitture, i trattamenti di finitura, le colle, le resine, i siliconi, i prodotti per la pulizia, i deodoranti per ambienti, le combustioni”.
L’umidità non inquina ma influenza la qualità dell’aria
L’umidità non è un vero e proprio inquinante ma un fattore in grado di influenzare la qualità dell’aria indoor e favorire l’inquinamento soprattutto da agenti biologici. L’umidità rilasciata dalle attività umane come cucinare, fare la doccia, asciugare la biancheria, favorisce infatti lo sviluppo di muffe che possono colonizzare materiali di vario tipo (tessuti, legno, carta da parati, ecc.), rilasciare nell’aria spore e sostanze odorigene (odore di muffa), o anche la proliferazione degli acari della polvere.
Il decalogo Iss per migliorare l’aria, primo: aprire le finestre
II Gruppo di Studio Nazionale (GdS) Inquinamento Indoor dell’Istituto Superiore di Sanità è stato istituito per fare chiarezza sull’inquinamento negli ambienti chiusi. L’obiettivo del decalogo è fornire indicazioni su come proteggersi dall’esposizione all’inquinamento indoor.
In presenza di mobili nuovi, cambiare con più frequenza l’aria.
Le piante non aiutano a ridurre l’inquinamento in casa.
Sammy Basso morto a 28 anni, il più longevo con progeria: l’impegno per l’associazione e la ricerca
Associazioni pazienti, NewsSammy Basso è morto a 28 anni. Era noto per essere il malato di progeria più longevo al mondo, una rara malattia genetica che causa un invecchiamento precoce. La notizia è stata diffusa dall’Associazione Italiana Progeria (A.I.Pro.Sa.B.), fondata da Sammy nel 2005 per promuovere la ricerca e diffondere informazioni sulla malattia. La sua morte è avvenuta dopo un malore in un ristorante, poco dopo il ritorno da un viaggio in Cina.
La progeria e la sua vita oltre la malattia
La progeria è una condizione rara, che colpisce un bambino ogni 4-8 milioni di nati. Il termine deriva dal greco, combinando le parole “prima” e “anziano”, a indicare un precoce invecchiamento fisico. Nonostante gli effetti devastanti sul corpo, la malattia non compromette le capacità intellettive o emotive. Sammy Basso è stato per anni il simbolo vivente di questa condizione, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni.
Sammy, nato a Schio il 1 dicembre 1995, si era laureato con lode in Scienze Naturali all’Università di Padova, indirizzo biologia molecolare. La sua tesi di laurea era dedicata alle possibili terapie per rallentare la progressione della sua stessa malattia. Ma il suo percorso accademico non si era fermato: nel 2021 aveva conseguito anche la laurea magistrale in Biologia Molecolare, sempre a Padova.
Un viaggio per far conoscere la progeria
Sammy non ha mai nascosto la sua condizione, anzi. L’ha raccontata attraverso i media, con documentari e un libro, “Il viaggio di Sammy”, dove ha descritto il suo percorso lungo la storica Route 66 negli Stati Uniti. La sua storia è stata anche raccontata in una serie di episodi per Nat Geo People, contribuendo a far conoscere la progeria al grande pubblico.
Nonostante i problemi fisici legati alla sua malattia, Sammy Basso non ha mai smesso di vivere con entusiasmo, speranza e spirito di iniziativa. Il suo sogno era lavorare al CERN di Ginevra, centro nevralgico della ricerca scientifica. Un sogno che rappresentava la sua profonda passione per la scienza e la ricerca, una via attraverso cui pensava di contribuire a migliorare la vita delle persone colpite dalla sua stessa patologia.
La fondazione dell’associazione italiana progeria
L’Associazione Italiana Progeria, fondata da Sammy nel 2005, è diventata un punto di riferimento per le famiglie e i pazienti affetti da questa patologia. Un impegno per ampliare la consapevolezza e la ricerca su questa malattia genetica, ancora poco conosciuta e senza una cura definitiva. Lo staff dell’associazione ha scritto sui social un messaggio in ricordo di Sammy: “Oggi la nostra luce si è spenta. Ci stringiamo attorno alla famiglia, grati per quello che ci hai lasciato”.
Foto agenzia ANSA
Diagnosi e sintomi della progeria
La cosiddetta sindrome dei “nati vecchi” è causata da una mutazione del gene LMNA, scoperta solo nel 2003. Il gene mutato porta alla produzione di una proteina anomala, la progerina, che provoca gravi danni cellulari accelerando l’invecchiamento. I sintomi della malattia sono evidenti già nei primi anni di vita e includono crescita rallentata, pelle sottile, calvizie, problemi articolari e cardiaci. Nonostante l’intelligenza e le capacità cognitive rimangano inalterate, l’aspettativa di vita per i pazienti affetti da progeria è molto bassa, spesso non oltre i vent’anni.
La diagnosi della progeria avviene attraverso test genetici, ma ad oggi non esistono cure che possano fermare completamente il decorso della malattia. Si possono però adottare terapie per alleviare i sintomi: fisioterapia, monitoraggi regolari della funzione cardiaca e somministrazione di ormoni della crescita per migliorare altezza e peso. La ricerca sta facendo progressi, ma le cure definitive restano ancora lontane. L’Associazione Italiana Progeria, fondata da Sammy, continuerà a portare avanti la sua missione, sostenendo le famiglie e promuovendo la ricerca scientifica.
Medici in classe per educare contro la violenza
NewsAssieme, medici di medicina generale e rappresentanti dei cittadini, per accrescere la consapevolezza delle giovani generazioni rispetto al corretto accesso ai servizi sanitari e migliorare il rapporto di fiducia nei confronti di chi è chiamato a prendersi cura della salute dei propri pazienti. Parte da qui l’iniziativa che vede assieme la Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale e Cittadinanzattiva, con l’obiettivo di contribuire a rafforzare la fiducia fra cittadini e personale sanitario e impedire nel futuro inaccettabili episodi di violenza nei confronti dei medici.
Degrado culturale
Già nei prossimi mesi saranno programmati, in accordo con diversi Istituti scolastici, incontri durante i quali i medici e i rappresentanti di Cittadinanzattiva si confronteranno con gli studenti delle classi secondarie di secondo grado. “Questi incontri, preziosi per spiegare ai ragazzi l’importanza dei servizi sanitari e il modo corretto di utilizzare questi servizi – anche alla luce dei nuovi interventi legislativi messi in campo dal Governo- rappresentano il nostro contributo alla soluzione di un fenomeno sociale gravissimo. Un fenomeno che sta favorendo l’abbandono delle aree assistenziali più colpite dalla violenza da parte dei professionisti medici e non medici”, spiega Tommasa Maio (Segretario Nazionale Fimmg C.A.). “Le dinamiche con cui si sono svolti i recenti e gravissimi fatti di cronaca, che in queste settimane hanno segnato una nuova escalation del problema, ci dimostrano come le aggressioni non siano solo il risultato di una scarsa capacità comunicativa dei medici, come qualcuno cerca di fare apparire, bensì il frutto di un profondo degrado culturale che investe il Paese trasversalmente”.
Educare le famiglie
Sulla stessa linea le parole Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva: “Questa iniziativa si inserisce nel solco del reciproco impegno a rafforzare il rapporto fra medico e paziente. Partiamo questa volta dai giovani perché possano divenire a loro volta veicolo di informazione e consapevolezza verso il proprio nucleo familiare ed amicale, creando un ciclo virtuoso di conoscenza che contribuisca a prevenire situazioni conflittuali nei confronti del personale sanitario”.
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Cheratocono, i sintomi della malattia che fa assottigliare la cornea e può essere confusa con l’astigmatismo
Adolescenti, Bambini, News, Prevenzione, Stili di vitaI sintomi possono essere confusi con quelli dell’astigmatismo, ma la diagnosi precoce del cheratocono rimane fondamentale. La patologia si manifesta soprattutto nella prima adolescenza (13-14 anni) e l’unico trattamento in grado di arrestarne la progressione è il cross linking corneale.
Cheratocono, patologia cronica e progressiva
Può essere confuso con l’astigmatismo poiché porta sintomi simili – come visione sfocata o distorta -,eppure il cheratocono è un disturbo degenerativo della cornea classificato come malattia rara oculare che colpisce ogni anno circa cinquanta persone ogni centomila.
Generalmente diffuso nelle aree del bacino del Mediterraneo, in Italia in quelle tirreniche in particolare, il cheratocono “è una patologia cronica ad andamento progressivo, che si manifesta con la perdita di rigidità e resistenza della cornea tanto da deformarsi ed assumere la forma di un cono” – spiega il dott. Domenico Schiano, Responsabile Unità Segmento Anteriore della Fondazione Bietti, unico IRCCS in Italia dedicato all’oftalmologia e sostenuto da Fondazione Roma”.
”Ciò porta i soggetti con cheratocono ad avere un peggioramento della vista con sintomi simili a quelli dell’astigmatismo, come visione sfocata o distorta – prosegue il dottore. Il difetto visivo generato inizialmente si può correggere con occhiali o lenti a contatto ma il problema fondamentale del cheratocono è che, con il progredire della malattia, si assiste a un assottigliamento e a un progressivo incurvamento della cornea. Di conseguenza i difetti refrattivi non sono più correggibili e la situazione può diventare pericolosa.”
Dott. Domenico Schiano
Arrivati, dunque, ad uno stadio avanzato della patologia, laddove non si tolleri più l’utilizzo delle lenti a contatto, l’unica soluzione diventa quella di eseguire un trapianto di cornea lamellare, con tutte le conseguenze e i rischi che ciò può comportare.
Cos’è il cross linking corneale
Un approccio in grado di stabilizzare questo difetto degenerativo della cornea e fermarne la progressione della malattia è il cross linking corneale. “Un trattamento parachirurgico – spiega il dott. Schiano – attraverso il quale la cornea viene “bagnata” da una vitamina, la riboflavina – che la cornea stessa va ad assorbire – e poi trattata con una luce ultravioletta. Tecnicamente, l’obiettivo è quello di aumentare i legami della matrice extracellulare della cornea, causando così un rinforzo del tessuto corneale e quindi una maggior resistenza alla tendenza allo sfiancamento – precisa Schiano.
”In questo modo si ottiene la stabilizzazione della patologia nella maggior parte dei casi. Considerando l’efficacia si questo trattamento la questione fondamentale rimane la diagnosi precoce di cheratocono. Infatti, quanto più la diagnosi ed il trattamento avverranno precocemente quanto più il paziente conserverà una qualità della visione migliore”. La diagnosi avviene attraverso la tomografia corneale che studia curvatura, elevazione e spessore della cornea a più livelli e riesce a individuare la patologia ancor prima della comparsa dei primi sintomi.
“Di fatto non esiste una prevenzione per il cheratocono se non quella di eseguire delle regolari visite oculistiche, soprattutto durante l’età dello sviluppo, quando esiste familiarità per la malattia e quando sussistano sintomi quale visione sfocata. Visite che devono però essere complete della tomografia corneale e altri esami eventuali esami di approfondimento – fa presente Schiano. Una volta eseguita la diagnosi precoce è possibile eseguire un trattamento nelle fasi iniziali”. Da gennaio 2025, il cross linking sarà un intervento che potrà essere eseguito in sede alla Fondazione Bietti (Ospedale Britannico di Roma) anche in regime di convenzione con il SNN.
Infine, “oltre alla normale pratica clinica stiamo portando avanti studi sulle differenti tecniche di esecuzione di cross linking corneale. Infatti, oltre alla tecnica classica ne esistono altre, ad esempio quella trans-epiteliale che non prevede la rimozione dell’epitelio. Inoltre, grazie alla collaborazione con la start-up Regensight, stiamo indagando su tecniche di misurazione intraoperatorie del quantitativo di riboflavina assorbito dalla cornea, in modo da stabilire quando si raggiunge un assorbimento ottimale allo scopo di effettuare un trattamento personalizzato sul paziente” conclude il Responsabile Unità di Ricerca Segmento Anteriore della Fondazione Bietti.
La scuola per i piccoli del Meyer
Bambini, Genitorialità, NewsQuest’anno, al Meyer, la campanella ha suonato anche per loro: per i bambini tra 3 e 6 anni ricoverati, che, per la prima volta, possono frequentare la scuola dell’infanzia in ospedale. Sono già una trentina i piccoli iscritti a questa nuova realtà decollata con l’inizio dell’anno scolastico appena avviato: si tratta di bambini con malattie croniche o di bimbi che comunque devono affrontare un ricovero di oltre 15 giorni.
Come funziona
La scuola dell’infanzia può contare su una maestra dedicata, la maestra Antonella, affiancata da alcune tirocinanti. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, vengono condotte attività educative e laboratori di vario genere, come quelli di manipolazione, pittura, lettura, musica, creatività e riciclo. In queste prime due settimane di scuola, ne sono già state realizzate circa duecento, destinate sia ai bambini effettivamente iscritti, sia ai piccoli ricoverati della stessa fascia di età che hanno comunque potuto seguirle. L’attività è individuale, o organizzata in piccolissimi gruppi, e può svolgersi, a seconda delle esigenze dei bambini, sia nella stanza dove i piccoli sono ricoverati, sia negli ambienti della scuola in ospedale, sia in Ludoteca o all’interno dell’ABF Educational center “Maria Manetti Shrem” del Meyer dove si tengono anche i laboratori di arte e musica.
Sentirsi a casa
E così, tra un girotondo, un libro letto insieme e una canzone suonata alla chitarra, i piccoli possono sentirsi un po’ più a casa e non devono rinunciare alla didattica e al gioco. Gli interventi educativo-formativi sono curati in sinergia tra i docenti delle scuole di appartenenza e i docenti della scuola con sezione ospedaliera, che nel caso del Meyer è la scuola dell’infanzia Matteotti, presso l’Istituto comprensivo Poliziano. E proprio al legame con le classi di provenienza è dedicata un’attenzione speciale, con la possibilità di attivare progetti congiunti e attività condivise a distanza che consentano ai piccoli, anche durante i ricoveri, di coltivare quelle preziose relazioni ed abitudini che fanno parte della quotidianità di ogni bambino. La scuola in ospedale del Meyer.
Il protocollo d’intesa
Il progetto pilota, primo in Toscana, è stato reso possibile dalla convenzione stipulata dall’Ufficio scolastico regionale per la Toscana, l’Ufficio scolastico provinciale V di Firenze, l’Azienda ospedaliera universitaria Meyer Irccs e l’Istituto comprensivo Poliziano di Firenze. Da più di 20 anni bambini e adolescenti del Meyer possono accedere al servizio di Scuola in ospedale (e/o di istruzione domiciliare) attivi per gli alunni di ogni ordine e grado di scuola, e in ospedale possono sostenere anche gli esami di Stato del primo e del secondo ciclo di scuola secondaria. Questo diritto fondamentale è garantito da un protocollo d’intesa tra l’AOU Meyer Irccs, l’Ufficio Scolastico Regionale della Toscana, gli insegnanti volontari dell’associazione Amici del Meyer, la Fondazione Meyer e la Azienda Usl Toscana Centro.
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Presa Weekly 4 Ottobre 2024
PreSa WeeklyTumore alla prostata, come ridurre rischi d’incontinenza e disfunzione erettile: 3 domande all’esperto
Farmaceutica, News, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneIn Italia il tumore alla prostata nel 2023 ha colpito 41.100 uomini, segnando un aumento di nuovi casi l’anno nell’ultimo triennio del 14%. Nel 2020 erano infatti “solo” 36mila. Tuttavia, più del 60% dei pazienti riesce a guarire definitivamente dal carcinoma. Un dato importante che evidenzia come l’innovazione sia riuscita a garantire cure efficaci per tutti i malati, anche quelli interessati dalle forme più gravi del tumore.
Il carcinoma prostatico localizzato oggi prevede diverse opzioni di trattamento radicale. Al Congresso ESMO (Società Europea di Oncologia medica) è stato presentato il primo studio che ha confrontato la radioterapia con la prostatectomia fornendo nuove evidenze scientifiche, rispetto al rischio di incontinenza urinaria e disfunzione erettile.
Tumore alla prostata, come cambierà l’approccio del medico
Stefano Arcangeli, Direttore UOC Radioterapia Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori (MB), Presidente Eletto dell’Associazione Italiana di Radiobiologia (AIRB), ha spiegato che “a differenza degli studi precedenti, lo studio PACE-A ha esaminato opzioni di trattamento più contemporanee, utilizzando – per quanto riguarda la radioterapia, quella definita stereotassica (SBRT) e la prostatectomia robotica per la chirurgia. I risultati dello studio dimostrano, con il più alto livello di evidenza possibile, che la SBRT riduce significativamente il rischio di incontinenza urinaria e di disfunzione erettile rispetto alla prostatectomia, a fronte di un modesto aumento dei disturbi intestinali”.
“Per molti uomini, l’ansia legata a effetti collaterali come l’incontinenza urinaria e la perdita di funzione sessuale incide profondamente sulla scelta del trattamento. I dati raccolti dallo studio PACE-A forniscono stime aggiornate e affidabili su questi aspetti, migliorando la capacità dei medici di spiegare i possibili rischi e benefici. In questo modo, sarà possibile prendere decisioni più informate, ridurre l’incertezza e garantire un approccio personalizzato che possa massimizzare la qualità di vita dei pazienti, basato su informazioni cliniche precise e contemporanee”
“Lo studio PACE-A – ha proseguito – fornisce dati fondamentali per comprendere meglio gli effetti collaterali delle due principali opzioni di trattamento per il carcinoma prostatico. Valutare con attenzione questi effetti è essenziale per permettere ai medici di offrire terapie personalizzate, che rispecchino le priorità e le aspettative di ogni paziente in termini di qualità di vita. Il confronto tra la radioterapia SBRT e la prostatectomia robotica aiuta a guidare il processo decisionale, offrendo una base scientifica solida per scegliere il trattamento più adatto”.
Sigarette, 5 euro in più a pacchetto
Economia sanitaria, News, NewsCinque euro in più per le sigarette, che siano tradizionali o elettroniche, per sostenere il servizio sanitario nazionale e al contempo disincentivare dal vizio del fumo. A chiedere al Governo di introdurre la nuova tassa di scopo è l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) che, in conferenza stampa al Senato, ha presentato la campagna #SOStenereSSN, promossa da Aiom, Fondazione Aiom e Panorama della Sanità. Pieno appoggio da parte della vicepresidente del Senato Maria Domenica Castellone, che ha annunciato che presenterà un emendamento in questa direzione nella prossima legge di bilancio.
Potrebbero arrivare 13,8 miliardi
Da questa nuova tassa di scopo potrebbero arrivare fino a 13,8 miliardi di euro da destinare al Servizio sanitario. Di qui l’appello del presidente Aiom Francesco Perrone che ha chiarito come il tabagismo è un fattore di rischio anche per altre neoplasie, per malattie cardiovascolari e respiratorie. Secondo le stime Aiom, in Italia sono attribuibili a questa cattiva abitudine oltre 93.000 morti ogni anno, con costi pari a oltre 26 miliardi di euro.
Supporto istituzionale
“Come rappresentante delle Istituzioni e soprattutto come ricercatrice oncologica ho presentato la scorsa settimana in Senato il mio emendamento per elevare il costo delle sigarette e dei prodotti da fumo, così come già accaduto in altri Paesi – afferma Castellone -. Potremmo in tal modo generare oltre 13 miliardi di euro di ricavi da investire nel potenziamento del Servizio sanitario nazionale, oltre che in campagne pubblicitarie mirate a far conoscere soprattutto ai più giovani tutti i rischi legati al consumo di sigarette. La tutela della salute dei cittadini è sancita dalla nostra Costituzione, e occorre fare di tutto affinché essa si realizzi pienamente”.
I dati su sigarette e fumo
In Italia sono pari a quasi 40mila i nuovi casi di tumore al polmone nel 2023. Il 24,5% degli adulti (18-69enni) fuma. Una cattiva abitudine sempre più diffusa soprattutto nelle donne, a cui corrisponde un progressivo aumento della mortalità per carcinoma polmonare: nel periodo 2007-2019, nelle donne è stato documentato un eccesso di 16.036 morti per carcinoma polmonare, il 16% in più di quanto atteso. Oggi il 75-80% dei casi è diagnosticato in fase avanzata, il che implica ridotte probabilità di guarigione, costi elevati a livello individuale e sociale e un significativo impatto sulla sostenibilità del Ssn.
La campagna
Da questo quadro prende le mosse la campagna #SOStenereSSN, che mira a sostenere il Servizio sanitario nazionale e sensibilizzare cittadini e Istituzioni sui danni del fumo. L’obiettivo è aumentare di 5 euro il prezzo dei pacchetti di sigarette, una tassa di scopo che può generare fino a 13,8 miliardi da destinare immediatamente al finanziamento del Servizio Sanitario. Paesi come la Francia hanno già modificato il prezzo di vendita, che oggi si aggira sui 12 euro per le sigarette. Anche gli Usa hanno stabilito costi alti, intorno agli 8 dollari.
Un sito e uno spot
La campagna vedrà la nascita di un sito dedicato, di un opuscolo scaricabile e di uno spot, con il coinvolgimento di Istituzioni e testimonial. Hanno già aderito, tra gli altri, Airc, Istituto Mario Negri, Cittadinanzattiva, Alleanza Contro il Cancro. Il fumo “è fortemente associato anche alle neoplasie del cavo orale, gola, esofago, pancreas, colon, vescica, prostata e rene – spiega Perrone -. È inoltre correlato a malattie cardiovascolari e respiratorie. Queste evidenze mostrano la necessità di interventi per diminuirne il consumo”.
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Ryanair: incidente senza feriti, ma c’è un rischio inatteso
News, News, News Presa, PsicologiaUn forte boato, poi quello che nessun passeggero vorrebbe mai vedere in un aereo: una grossa fiammata da un motore. È un’esperienza ai limiti della fobia quella vissuta dai passeggeri di un volo Ryanair in partenza da Brindisi e diretto a Torino. Nessun ferito, diciamolo subito, ma uno shock che i 184 passeggeri dovranno superare nel tempo. “Il problema – evidenzia in una nota di Aeroporti di Puglia – verificatosi quando l’aeromobile era già allineato in testata per il decollo, ha comportato l’evacuazione dei passeggeri attraverso gli scivoli di emergenza. Tutte le operazioni si sono svolte nella massima sicurezza per i passeggeri e l’equipaggio”.
L’incidente Ryanair e la paura di volare
Questa la cronaca di un evento, fortunatamente, senza conseguenze; ma può un incidente così farci scattare la paura di volare? E come si affronta la fobia del volo? Proviamo a capirlo assieme. Iniziamo col dire che la paura di volare, o aerofobia, è un fenomeno ben più comune di quanto si possa credere . Anche se l’aereo è uno dei mezzi di trasporto più sicuri, la sola idea di salire a bordo può scatenare ansia, sudorazione, palpitazioni e persino attacchi di panico. Facile comprendere come eventi come quello di Brindisi possano alimentare questa paura, nonostante nessuno sia rimasto ferito e l’episodio si sia risolto senza gravi conseguenze.
Che cos’è la paura di volare?
La paura di volare è una forma di ansia che può manifestarsi in modi diversi, da un leggero disagio a una vera e propria fobia. Le persone che ne soffrono spesso sanno che il volo è sicuro, ma non riescono a superare il timore legato all’essere sospesi in aria a migliaia di metri da terra. Le cause possono essere tante: la paura di un incidente, la claustrofobia legata agli spazi ristretti della cabina, la sensazione di non avere il controllo della situazione o l’ansia generale.
Perché alcune persone sviluppano la paura di volare?
Spesso, la paura di volare nasce dalla combinazione di vari fattori psicologici e ambientali. Alcune cause scatenanti sono:
I vantaggi di superare la paura di volare
Superare la paura di volare non è solo una vittoria personale, ma offre anche una serie di vantaggi pratici. Innanzitutto, permetterà di esplorare il mondo senza limitazioni, aprendo la porta a nuove esperienze e avventure. Che si desideri visitare luoghi esotici, partecipare a conferenze di lavoro internazionali o semplicemente andare a trovare amici e parenti lontani, volare diventerà un’opportunità anziché una fonte di stress. Inoltre, molti lavori richiedono viaggi frequenti, e liberarsi di questa paura può migliorare significativamente le opportunità professionali. Infine, superare l’ansia legata al volo aiuterà a gestire meglio lo stress e a vivere ogni viaggio in modo più sereno e piacevole.
Come superare la paura di volare: consigli pratici
Terapia e supporto professionale
Se la paura di volare è particolarmente intensa, potrebbe essere utile consultare un professionista. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si è dimostrata efficace nel trattamento di diverse fobie, compresa quella del volo. Un terapeuta può aiutare a identificare i pensieri negativi che alimentano la paura e insegnare a sostituirli con pensieri più positivi e realistici. Esistono anche programmi di desensibilizzazione, offerti da alcune compagnie aeree e aeroporti, che permettono di familiarizzare gradualmente con l’ambiente aeroportuale e con l’aereo.
Consigli utili e errori da evitare
Come in tutte le cose, qualche piccolo trucchetto può essere di grande aiuto. Vediamone alcuni:
Errori da evitare
La sicurezza degli aerei: curiosità rassicuranti
Se la paura di volare nasce dal timore che gli incidenti aerei siano comuni, è bene sapere che in realtà gli aerei sono progettati per resistere a condizioni estremamente difficili, come turbolenze e cambiamenti meteorologici. I controlli di sicurezza sono rigorosi e frequenti, e ogni velivolo viene ispezionato regolarmente per garantire che sia perfettamente funzionante. Inoltre, i piloti sono altamente qualificati e devono sottoporsi a una formazione costante per affrontare qualsiasi tipo di emergenza.
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Allergie respiratorie aumentano a causa di sostanze inquinanti. Le cure e l’assistenza: presentato Manifesto
Associazioni pazienti, Benessere, Economia sanitaria, Eventi d'interesse, One health, PrevenzioneNe soffrono 350 milioni di persone nel mondo, in Italia il 15-20 per cento della popolazione. Sono un grave onere sociale ed economico, ma manca ad oggi una rete clinica dedicata all’allergologia che possa contrastare il loro impatto sulla vita dei cittadini. In Italia circa il 10 per cento dei bambini al di sotto dei 14 anni soffre di asma e l’80 per cento di essi è allergico. Le allergie respiratorie, infatti, sono la causa dell’asma nell’80 per cento dei casi, per questo è fondamentale agire la prevenzione. Dal “Manifesto dei diritti e dei doveri delle persone con allergie respiratorie”, siglato da 15 organizzazioni, arriva uno stimolo importante a porle al centro dell’agenda istituzionale.
Le allergie respiratorie crescono in tutto il mondo
Le allergie respiratorie pesano a livello globale. In particolare comportano un consistente onere sociale ed economico per i sistemi sanitari nazionali. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e i dati presenti in letteratura circa 350 milioni di persone soffrono in tutto il mondo di malattie connesse alle allergie respiratorie (quali la rinite e l’asma bronchiale) con carattere di cronicità, che influenzano pesantemente la qualità di vita con grandi implicazioni sociali, economiche e cliniche. La comparsa e la ricorrenza dei sintomi (soprattutto tosse e difficoltà respiratoria) richiedono una gestione impegnativa, con visite specialistiche regolari, urgenti e anche ricoveri per la gestione dei casi più severi. Da qui l’esigenza di un “Manifesto dei diritti e dei doveri delle persone con allergie respiratorie”, presentato ieri in una conferenza presso la Camera dei Deputati e sottoscritto da 15 organizzazioni rappresentative del mondo medico-scientifico, dei pazienti, delle istituzioni.
Le cause dell’aumento e i numeri in Italia
Il National Institute of Health degli Stati Uniti ha riconosciuto l’ipotesi che l’aumento del livello di igiene e l’esposizione a sostanze inquinanti, tipici delle società più avanzate del mondo, influiscano sulla risposta immune favorendo sensibilizzazione allergica. A quello ambientale si aggiungono altri fattori di rischio individuali, genetici e legati alla familiarità, comportamentali e relativi a stili di vita inadeguati. Nel nostro Paese si stima che ogni anno circa dieci milioni di persone si ammalano di allergie respiratorie per l’esposizione ad allergeni di pollini, muffe, acari e animali domestici. Secondo le stime, circa il 15-20 per cento della popolazione italiana soffre di allergie, fenomeno in crescita, soprattutto tra i più giovani e le donne. I costi diretti dell’asma, derivanti dall’uso dei farmaci e dei servizi sanitari, rappresentano circa l’1-2 per cento della spesa sanitaria, mentre quelli indiretti (per assenteismo scolastico e riduzione dei giorni di lavoro dei genitori per l’assistenza al figlio), nei casi più gravi, costituiscono oltre il 50 per cento dei costi complessivi, arrivando a incidere, in termini economici, più di patologie quali tubercolosi e infezione da HIV combinati.
Secondo i promotori del manifesto, l’assistenza allergologica appare fortemente ridimensionata a livello nazionale e regionale. “Non è sempre garantito l’equo accesso all’impiego delle terapie più avanzate per il trattamento delle allergie respiratorie, incluse le terapie desensibilizzanti e le NPP (“Named Patient Products”) disciplinate dall’art. 5 della Legge n. 94/1998, in linea con i principi di appropriatezza terapeutica, della sostenibilità per il sistema sanitario nazionale e dell’equità di accesso alle cure in tutte le regioni”.
Il “Manifesto dei diritti e dei doveri delle persone con allergie respiratorie”
Il “Manifesto dei diritti e dei doveri delle persone con allergie respiratorie” è sviluppato da BHAVE, con il coinvolgimento oltre delle società scientifiche, anche di Cittadinanzattiva, Respiriamo Insieme e ALAMA. Il documento si focalizza su temi cruciali, quali i diritti della persona con allergie respiratorie, le aspettative e responsabilità della persona con allergie respiratorie e dei suoi familiari, l’associazionismo responsabile, la prevenzione delle allergie respiratorie, la remissione e controllo delle allergie respiratorie, l’impegno nella ricerca, l’educazione continua della persona con allergie respiratorie, il dialogo medico-persona, le allergie respiratorie in età evolutiva e nell’anziano fragile, e il rapporto delle allergie respiratorie col fenomeno dell’immigrazione e col territorio.
Il Manifesto, che viene presentato a un anno dal lancio del Patto di legislatura sulle allergie respiratorie, è controfirmato da 15 organizzazioni, ovvero: Intergruppo parlamentare sulle Allergie respiratorie, AAIITO – Associazione Allergologi Italiani del Territorio ed Ospedalieri, ALAMA-APS – Associazione Liberi dall’Asma, dalle Malattie Allergiche, Atopiche, Respiratorie e Rare aderente a FederASMA e ALLERGIE Federazione Italiana Pazienti Odv, Associazione Respiriamo Insieme, Cities+, Cittadinanzattiva, EAACI – European Academy of Allergy and Clinical Immunology, Federsanità, Health City Institute, Planetary Health Inner Circle, SIAAIC – Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica, SIAIP – Società Italiana di Allergologia e Immunologia pediatrica, SIMRI – Società Italiana di malattie respiratorie infantili, SIMG – Società Italiana Medicina Generale, SIP – Società Italiana di Pediatria.
«Il Manifesto vuole essere uno stimolo ed una roadmap che possa far crescere e potenziare il sistema di accesso alle cure per le persone affette da allergie respiratorie», dichiara l’On. Paolo Ciani, vicepresidente gruppo PD-IDP e Segretario della XII Commissione Affari Sociali alla Camera dei Deputati, Presidente Intergruppo parlamentare sulle Allergie respiratorie.
«A fronte di una situazione epidemiologica e clinica di estrema rilevanza, l’assistenza allergologica versa in una situazione spesso preoccupante. Con la dismissione di strutture in ambito ospedaliero, come purtroppo avvenuto in questi ultimi anni per incomprensibili e infruttuose politiche di tagli lineari, si è drammaticamente ridotta la possibilità di intervenire su malattie gravi e potenzialmente fatali e che necessitano di un setting assistenziale complesso e realizzabile solo in ambienti protetti e da personale a questo dedicato e specificatamente addestrato. Inoltre credo sia opportuno inserire l’immunoterapia specifica e gli NPP tra i trattamenti autorizzati da parte di AIFA, come unica terapia in grado di modificare la storia naturale delle allergie, una terapia che riesce a desensibilizzare progressivamente l’organismo nei confronti di specifici allergeni, inducendo con il tempo una tolleranza verso gli inalanti interessati», dichiara la Sen. Daniela Sbrollini, Presidente Intergruppo parlamentare sulle Allergie respiratorie e Vice Presidente della 1Oa Commissione permanente (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato.
Asma: nell’80 per cento dei casi nasce da allergie respiratorie, fondamentale prevenzione
«In Italia circa il 10 per cento dei bambini al di sotto dei 14 anni soffre di asma e l’80 per cento di essi è allergico. Le allergie respiratorie sono la causa dell’asma nell’80 per cento dei casi, per questo è fondamentale agire sulla prevenzione. È nei primi anni di vita spesso l’origine di molte malattie polmonari croniche dell’adulto, tra cui l’asma, che purtroppo registrano tassi di morbilità e mortalità ancora preoccupanti. L’auspicio è che il Manifesto presentato oggi sia uno stimolo all’adozione di strumenti adeguati per il contrasto a queste malattie a tutte le età, da quella pediatrica a quella anziana», dichiara Michele Miraglia del Giudice, Presidente Società Italiana di Allergologia e Immunologia pediatrica (SIAIP).
L’impatto dell’inquinamento
«È importante sollecitare l’intervento della politica sul tema delle allergie respiratorie e promuovere le azioni per contrastare l’impatto di queste malattie, come il monitoraggio aerobiologico di pollini allergenici e spore fungine attraverso siti di misura, disposti a rete, diffusi su tutto il territorio nazionale. Le malattie allergiche sono strettamente correlate all’inquinamento e alla immissione di nuove sostanze chimiche nell’ambiente di vita. Gli effetti dell’inquinamento atmosferico hanno un impatto significativo, rispetto alle allergie, particolarmente nei contesti urbani. Questo significa che il carico assistenziale sarà destinato ad accrescersi ulteriormente nel tempo e con esso i costi sanitari che potrebbero invece essere ridotti con l’adozione di politiche pubbliche orientate alle buone pratiche della prevenzione», dichiara Andrea Lenzi, Presidente Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente dell’Health City Institute.
«Le malattie allergiche comportano un grande carico assistenziale, avendo raggiunto ormai una prevalenza nella popolazione generale del 20 per cento, ed è ulteriormente preoccupante il loro continuo incremento. A fronte di questo scenario, è grave la mancanza di ogni riferimento alla definizione di una rete clinica dedicata all’allergologia, a differenza di quanto previsto per numerose altre discipline a minore impatto epidemiologico ed assistenziale. È anche indispensabile che la formazione medica preveda in ogni Università un Corso specifico di Allergologia ed Immunologia Clinica, che attualmente è presente solo in alcuni Atenei.», dichiara Mario Di Gioacchino, Presidente Comitato scientifico dell’Intergruppo parlamentare sulle Allergie respiratorie e Presidente Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC).
«La mancata definizione, ad oggi, di un modello assistenziale reticolare a complessità crescente (Hub, Spoke e primo livello) rispetto alle malattie allergologiche, impedisce una loro gestione integrata che consenta al paziente di essere inserito in un percorso assistenziale coordinato tra i diversi livelli a crescente complessità, a partire dal proprio medico di famiglia. Occorre su questo un intervento urgente. È importante, inoltre, che a livello di casa della comunità, di livello Hub, sia espressamente prevista la figura dello specialista allergologo e garantita un’assistenza di qualità. È infine importante sottolineare l’assoluta disomogeneità di assistenza ed accesso alle cure a livello nazionale rispetto alle allergie respiratorie, con disuguaglianze a livello regionale, quale una delle massime priorità di intervento», dichiara Lorenzo Cecchi, Presidente Associazione Allergologi Italiani del Territorio ed ospedalieri (AAIITO).
«Occorre potenziare e razionalizzare l’assistenza alle persone che soffrono di queste malattie, aumentare i fondi per la ricerca, implementare la gestione integrata, promuovere campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini e assicurare il pieno accesso alle cure e ai trattamenti in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale», dichiara Stefano Del Giacco, Past President European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI).