Tempo di lettura: 6 minutiLe pazienti e i pazienti con tumore al seno rivendicano più informazioni al momento della diagnosi. Difatti quasi il 20 per cento del campione non ha saputo indicare il sottotipo di tumore mammario che le è stato diagnosticato. Il vissuto dei pazienti è stato indagato da un questionario da cui emerge l’importanza di avere un team multidisciplinare, più supporto psicologico, più tempo per i colloqui con i medici e più informazioni sulla malattia e i percorsi. L’adesione allo screening mammografico offerto gratuitamente dal SSN appare soddisfacente. Molto, invece, resta da fare per rendere accessibili a tutti i pazienti i test genetici, che al momento sono offerti a meno di 1 paziente su 2. L’indagine conoscitiva sul tumore al seno è stata condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 45 Associazioni del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”. I dati sono stati presentati in una diretta sul web dedicata ai tumori della mammella.
Buona presa in carico ma scarsi test genetici
«Sono decine di migliaia ogni anno le persone cui viene diagnosticato un tumore della mammella, in maggioranza donne sovente in età ancora produttiva e sono in aumento i casi giovanili – dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna ODV e Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che aggiunge. L’indagine mette in luce un aspetto molto importante, vale a dire che sul nostro territorio nazionale la presa in carico e l’assistenza di questi pazienti è decisamente buona, di alta qualità e ampiamente diffusa a livello regionale. Certo le criticità su cui lavorare non mancano: bisogna ampliare l’offerta dei test genetici e ampliare lo screening ad altre fasce d’età specie per i soggetti giovani con storia famigliare e a maggiore rischio. E poi bisogna pensare a potenziare le strutture, migliorare l’organizzazione, i percorsi per i controlli, allungare i tempi di incontro medico-paziente, il sostegno psicologico e rivolgere maggiore attenzione alla quotidianità dei pazienti con uno sguardo alla riabilitazione e ai postumi dell’intervento chirurgico».
Dall’indagine emerge una buona conoscenza della prevenzione secondaria con adesione di 1 paziente su 2 allo screening mammografico gratuito cui consegue nella maggioranza dei casi la scoperta della malattia in fase iniziale, un dato che fa la differenza in termini di possibilità di cura e sopravvivenza. Tuttavia, l’accesso ai test genetici appare ancora lacunoso sul territorio nazionale mentre vi è un’ampia disponibilità di opzioni terapeutiche utilizzate nei diversi tipi di neoplasia e nelle diverse fasi di malattia.
Attraverso l’indagine è stata richiesta la testimonianza delle pazienti e dei pazienti che in 1 caso su 2 hanno un’età compresa tra i 61 e i 75 anni, mentre nel 10,8% dei casi sono ancora in età fertile.
Screening per tumore al seno
La prevenzione secondaria (mammografia – ecografia) del tumore almeno è abbastanza nota nella maggior parte del campione. Quasi il 54% aderisce con costanza ai programmi di screening biennali offerti gratuitamente del SSN. Tuttavia, circa l’11,7% del campione non rientra nella fascia d’età prevista dallo screening mentre il 12,1% non è stato mai raggiunto da una comunicazione su questa opportunità. Riguardo l’autoesame delle mammelle, il 43% del campione lo effettua con regolarità ma oltre il 50% lo effettua di rado o mai.
Un dato molto positivo emerso dall’indagine è la scoperta in fase precoce della malattia in oltre il 90% del campione. Al momento della diagnosi, infatti, il tumore della mammella era in fase iniziale (meno di 2 centimetri senza linfonodi coinvolti) nel 53,4% dei rispondenti e in fase iniziale (più di 2 centimetri con interessamento dei linfonodi ascellari) nel 32,3% mentre era in fase avanzata nell’11,2% e con metastasi a distanza in un residuo 3,1% del campione. La maggioranza del campione (49,3%) è stata presa in carico all’interno di una Breast Unit oppure da un reparto oncologico (33,2%); solo il 13% è stato assistito in un reparto di chirurgia generale.
La Breast Unit
«L’indagine dimostra quanto sia cruciale quando si tratta di tumori la comunicazione rivolta alla popolazione generale e ai pazienti – sottolinea Nicla La Verde, Direttore UOC di Oncologia, ASST Fatebenefratelli Sacco PO Luigi Sacco di Milano. «Un dato che rafforza e conferma l’importanza dei programmi di screening – continua – è la diagnosi del tumore mammario che viene fatta in fase precoce nella maggioranza del campione. Un altro dato importante è che in Italia la presenza delle Unità di senologia è molto alta e piuttosto capillarmente diffusa, certamente disponibile negli ospedali di tutte le grandi città. La Breast Unit è una struttura altamente specializzata per la diagnosi e cura del carcinoma della mammella che consente ai pazienti la presa in carico da parte di una équipe che risponda al bisogno di cura a 360 gradi grazie alla collaborazione tra i diversi professionisti (chirurgo, oncologo, radiologo, radioterapista, anatomo patologo, psiconcologo) e garantisce i migliori standard in termini di trattamenti chirurgici e medici. Tutto ciò per i pazienti è una garanzia sia in termini di scelte terapeutiche sia in termini di efficienza organizzativa».
Il 40,8% del campione si sottopone alla visita senologica una volta l’anno e il 26% ogni due anni resta, tuttavia uno zoccolo duro, pari al 28,3% del campione, che non si è “mai” o “raramente” sottoposta a questo semplice esame clinico.
La scoperta del tumore al seno avviene per caso sentendo un nodulo durante l’autopalpazione (40%), il 5,8% lo ha scoperto osservando i cambiamenti del capezzolo, il 25,6% a seguito dello screening e l’8,1% durante controlli per familiarità.
Sostegno psicologico
«Sono ancora molti gli unmet needs su cui è necessario lavorare – dichiara Marina Morbiducci, Patient Advocate Fondazione IncontraDonna – Nell’ambito della gestione quotidiana della malattia l’assenza di un sostegno psicologico è l’aspetto maggiormente segnalato dall’indagine. In Italia, infatti, si evidenzia una notevole disuguaglianza nell’offrire interventi psico-oncologici la cui carenza implica che pazienti, famiglie e caregiver si trovano a dover affrontare da soli il carico psicologico che aggrava il percorso di cura. Sebbene l’indagine abbia evidenziato buona consapevolezza rispetto ai temi riguardanti la salute del seno, è ancora fondamentale lavorare sulla centralità della prevenzione primaria e su come questa giochi un ruolo cruciale nel prevenire molti fattori di rischio per i tumori, salvaguardando lo stato naturale di salute degli individui e contribuendo alla sostenibilità del nostro sistema sanitario.»
Tumore al seno e terapie
Il tipo di tumore mammario più frequente (46,6%) è quello positivo al recettore ormonale (HR), seguito dal tumore HER2 positivo (24,2%) e dal tumore triplo negativo (10,3%). Circa il 18,8% del campione non ha saputo indicare il sottotipo di tumore mammario che le è stato diagnosticato. Questo dato mette in luce una criticità nella comunicazione durante il percorso diagnostico. L’intervento chirurgico resta il trattamento d’elezione, quando è possibile operare, allo scopo di eradicare, cioè, asportare tutto il tumore. Terapia ormonale (64,1%), radioterapia, (63,7%), chemioterapia (44,8%), farmaci target (11,2%) e immunoterapia (10,3%) sono le opzioni terapeutiche impiegate routinariamente, si tratta di terapie farmacologiche sempre più targettizzate e con minori effetti collaterali, spesso utilizzate in combinazione e facili da assumere a domicilio per evitare i ricoveri e aumentare l’adesione alla cura.
Riguardo la familiarità, meno di un paziente su 2 riferisce una storia familiare per tumore della mammella in parenti di I e II grado. Tuttavia al 58,7% del campione non è stato suggerito di effettuare il test genetico che è stato prescritto solo ad un terzo dei pazienti.
Consapevolezza
Le pazienti e i pazienti con tumore della mammella hanno una percezione molto chiara dell’impatto che la neoplasia ha nella vita di tutti i giorni, limitandone le attività anche più basilari: il 34,1% dei rispondenti ha lamentato ansia/depressione, il 18,8% ha accusato postumi dell’intervento chirurgico, notevoli i disagi vissuti a causa della distanza tra casa e ospedale, il 17% ha riferito difficoltà di comunicazione con l’oncologo curante mentre il 16,6% ha lamentato l’assenza di un supporto psicologico, infine, oltre il 16,1% ha avuto problemi nella gestione delle terapie e dei controlli per i quali la maggiore criticità sta nell’organizzazione.
«Il tumore al seno è una malattia che impatta pesantemente sulla qualità della vita e come evidenzia l’indagine – dice Mariangela Fantin, Presidente A.N.D.O.S. Udine – Associazione Nazionale Donne Operate al Seno –, le pazienti e i pazienti hanno una percezione molto chiara dei loro bisogni. Questi pazienti non vanno lasciati da soli. Nella realtà di Udine, l’Associazione si avvale di due psicologi che mettiamo in contatto diretto con le pazienti che si rivolgono a noi; un altro importante servizio è l’offerta della parrucca, oltre alla consulenza di un medico che si occupa del database della Breast Unit dell’Ospedale di Udine. Infine, attraverso attività di raccolta fondi doniamo strumentazioni diagnostiche innovative».
Rispetto al percorso di cura le esigenze più sentite tra le pazienti e i pazienti sono la presenza di un team plurispecialistico per affrontare un approccio integrato alla persona, (38,6%), tempi più lunghi per i colloqui con i medici curanti (29,1%), maggiore informazione sulla malattia e le terapie disponibili (23,3%), la necessità di avere un supporto psicologico (20,6%), maggiore tutela dei diritti in ambito lavorativo e sociale (20,6%), percorsi facilitati in ambulatorio e day hospital (11,7%) e più informazioni su centri di riferimento (7,2%).