Tempo di lettura: 2 minutiCamminare fa bene ai muscoli, al cuore, all’umore e aiuta a restare in salute. In particolare la camminata riduce i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, il peso corporeo, la pressione sanguigna e il colesterolo. La montagna è tra le mete gettonate durante le vacanze estive per camminare o fare trekking nella natura. Sebbene sia radicata l’idea che l’alta quota sia incompatibile con la salute delle persone con malattie cardiovascolari, in realtà serve solo qualche accortezza in più. A ribadirlo è il dottor Alessandro Sticchi, cardiologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano e presso gli ambulatori Humanitas Medical Care.
Malattie cardiovascolari e alta quota
Per alta quota si intende un luogo al di sopra dei 2500 metri sul livello del mare. Sotto sforzo, cioè durante l’attività aerobica, cuore e polmoni lavorano di più, aumentano la pressione arteriosa e il consumo di ossigeno, quindi si respira con più fatica.
Sebbene il sistema cardiocircolatorio sia messo alla prova, ciò avviene allo stesso modo in una palestra o a bassa quota. Gli studi ad oggi sono documentati soprattutto in associazione all’attività sportiva intensa. Per questo gli sport alpini o la scalata verso altitudini estreme creano un rischio molto diverso da un quello di un semplice trekking.
Il pericolo cresce all’aumentare dell’altitudine. Infatti in alta quota il clima cambia progressivamente: la pressione atmosferica diminuisce e si respira con più fatica. Caldo o freddo estremi e radiazioni solari più intense aggravano la situazione.
In base a queste variazioni la montagna può esporre maggiormente le persone con insufficienza cardiaca, cardiopatia ischemica e valvolare, ipertensione arteriosa o anomalie del ritmo cardiaco.
L’ossigeno salendo in alta quota si riduce e può creare stress cardiaco soprattutto se non si è abituati. “Per compensare la carenza di ossigeno, infatti, l’organismo richiede un maggior lavoro al cuore e ai polmoni – sottolinea il cardiologo”. Oltre a questo, si aggiunge anche la minore capacità dell’organismo di utilizzare l’ossigeno. Un altro rischio è lo sbalzo termico soprattutto in persone con cardiopatia ischemica, per la cosiddetta angina a frigore.
I sintomi del mal di montagna
Secondo gli studi, in media, la capacità fisica di una persona di esprimere uno sforzo si riduce dell’1% ogni 100 metri (superati i 1500 metri di altitudine). “Non esiste tuttavia un’indicazione di limite di altitudine valida per tutti – spiega il cardiologo – poiché ogni persona ha una storia specifica che richiede una valutazione specialistica”. In generale, i sintomi del mal di montagna da non sottovalutare sono: mal di testa, debolezza, nausea, mancanza di respiro e dolore toracico. Se perdurano oltre le 24 ore o compaiono altri disturbi, come difficoltà di coordinazione e di respirazione (ipossia), anche a riposo, è opportuno scendere a quote più basse e rivolgersi a un medico. Le persone con problemi al cuore devono prestare molta attenzione a sintomi cardiologici come: mancanza di respiro, dolore al petto, palpitazioni e sensazione di svenimento. In caso di disturbi è importante richiedere l’intervento medico quanto prima, sapendo sempre dove ci si trova e il riferimento del sentiero intrapreso.
Come preparare il cuore
Prima di un soggiorno in alta quota, è da evitare un lungo periodo di sedentarietà, sottolinea il cardiologo. È importante invece prepararsi fisicamente, pianificando una salita graduale per verificare la capacità dell’organismo di compiere lo sforzo in assenza di sintomi e la necessità di adeguare i livelli di ossigeno.
Una visita cardiologica con elettrocardiogramma è il primo passo per controllare la salute cardiovascolare e decidere eventuali approfondimenti o una terapia personalizzata. Il cardiologo infine può suggerire i farmaci da avere con sé adatti alla propria situazione.
Pillola anti-cancro, la sperimentazione sull’uomo dopo 20 anni di ricerca
Farmaceutica, Ricerca innovazioneGli scienziati continuano a lavorare per cercare una pillola contro tutti i tipi di tumore. Da qualche settimana sono stati annunciati i risultati promettenti di un nuovo farmaco contro il cancro chiamato «AOH1996», la ricerca è durata 20 anni. Il nome riprende le iniziali e l’anno di nascita di una bambina morta di tumore infantile a 9 anni, nel 2005. I risultati degli studi sono stati pubblicati da un gruppo di oncologi ricercatori del City Hope di Los Angeles, sulla rivista Cell Chemical Biology.
La nuova molecola, dopo 20 anni di studi, sembrerebbe efficace nel bloccare la crescita dei tumori senza distruggere le cellule sane. Gli scienziati l’hanno già testata in laboratorio su 70 diverse cellule tumorali. Dal seno, alla prostata, al cervello, alle ovaie: è risultato efficace contro tutti. L’obiettivo dei ricercatori è prendere di mira una proteina presente nella maggior parte dei cancri e che li aiuta a crescere e moltiplicarsi nel corpo, l’antigene nucleare di proliferazione cellulare (PCNA), fino a oggi considerata “non controllabile”.
Tuttavia si tratta ancora di studi preclinici su modelli cellulari e animali e la prima fase di sperimentazione sull’uomo è appena iniziata. La strada da percorrere è ancora lunga ma i risultati sono promettenti. La speranza dei ricercatori è che alla fine il farmaco possa essere utilizzato assieme ad altre cure o come unica terapia anti-cancro.
Cinque utili consigli per rimanere incinta
Genitorialità, News Presa, Stili di vitaPer moltissime donne il sogno di una vita è quello di poter vivere la gioia della maternità. Tuttavia, per alcune, il concepimento potrebbe essere più difficile del previsto. Nel caso di una coppia eterosessuale, il primo passo da fare è quello di comprendere chi dei partner abbia difficoltà a concepire. A volte non emerge alcun problema, tuttavia la gravidanza continua a tardare. Fortunatamente, ci sono diverse strategie e consigli che possono aiutare a rendere il sogno di diventare madre una realtà. Ecco cinque consigli efficaci per aiutare le donne a rimanere incinta e avvicinarti al meraviglioso mondo della maternità.
Volersi bene
La maternità è uno dei capitoli più straordinari nella vita di una donna. Conoscere il tuo ciclo mestruale, adottare uno stile di vita sano, ridurre lo stress, monitorare la salute riproduttiva e mantenere un atteggiamento positivo sono passi fondamentali per aumentare le possibilità di concepimento. Ogni donna è diversa, quindi è importante volersi bene e voler bene al proprio corpo durante questo meraviglioso viaggio verso la maternità.
Covid, vaccini in autunno con nuova formulazione
Anziani, Covid, News Presa, PrevenzioneLa campagna nazionale di vaccinazione anti Covid è stata appena definita. L’obiettivo è proteggere gli anziani e in generale tutte le fasce più esposte alle forme gravi di Covid, riducendo la mortalità e le ospedalizzazioni. L’approvazione è prevista entro inizio autunno e la disponibilità da ottobre.
La nuova campagna anti Covid
Con la circolare del 14 agosto, la Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute ha varato le indicazioni preliminari. La campagna di vaccinazione autunnale e invernale contro il Covid-19 prevede una nuova formulazione di vaccini a mRNA e proteici (formulazione aggiornata monovalente XBB 1.5). L’approvazione da parte di EMA e AIFA è prevista per fine estate/inizio autunno.
Sarà raccomandata e offerta una dose di richiamo a valenza 12 mesi alle donne in gravidanza, agli operatori sanitari e in generale ai soggetti più fragili (che include anche malati cronici, pazienti immunodepressi). La vaccinazione è consigliata anche a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità. Si prevede la possibilità di somministrazione della dose di richiamo a distanza di almeno 3 mesi dall’ultima dose o dalla diagnosi di infezione da SARS-CoV-2. Eccetto alcuni casi, sarà possibile anche la co-somministrazione dei nuovi vaccini aggiornati con altri vaccini (come quello antinfluenzale).
Accolte istanze infettivologi
Lo scorso luglio, la Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) e la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) avevano formulato delle indicazioni per le istituzioni, raccomandando una nuova dose di vaccino contro il Covid-19 nel periodo autunnale, ogni 12 mesi, con particolare attenzione ai soggetti più fragili. Una serie di istanze che risultano in ampia parte accolte nel documento ministeriale.
“La SIMIT accoglie con soddisfazione le indicazioni date dalla Direzione Generale per la Prevenzione del Ministero della Salute – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – Le indicazioni ministeriali raccolgono nella maggior parte quelle rilevate nel documento congiunto realizzato dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e dalla Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica. L’attuale stato epidemiologico internazionale mostra la circolazione di nuove varianti di Omicron che stanno determinando un aumento dei casi in diversi Paesi, che richiede pertanto la massima attenzione per valutare l’andamento futuro. In Italia si sta verificando un incremento del numero dei casi e persistono circa dieci decessi ogni giorno, cifra tutt’altro che trascurabile. Ci troviamo pertanto di fronte a una situazione epidemiologica complessa, in quanto i soggetti ultrasessantenni hanno un’immunità ridotta dovuta al fatto che hanno eseguito l’ultimo richiamo vaccinale più di sei mesi fa. È auspicabile che la vaccinazione autunnale venga fatta con i diversi vaccini oggi disponibili, sia quelli a mRna che quelli proteici adiuvati”.
Covid, vaccini in autunno con nuova formulazione
Anziani, Covid, News Presa, PrevenzioneLa campagna nazionale di vaccinazione anti Covid è stata appena definita. L’obiettivo è proteggere gli anziani e in generale tutte le fasce più esposte alle forme gravi di Covid, riducendo la mortalità e le ospedalizzazioni. L’approvazione è prevista entro inizio autunno e la disponibilità da ottobre.
La nuova campagna anti Covid
Con la circolare del 14 agosto, la Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute ha varato le indicazioni preliminari. La campagna di vaccinazione autunnale e invernale contro il Covid-19 prevede una nuova formulazione di vaccini a mRNA e proteici (formulazione aggiornata monovalente XBB 1.5). L’approvazione da parte di EMA e AIFA è prevista per fine estate/inizio autunno.
Sarà raccomandata e offerta una dose di richiamo a valenza 12 mesi alle donne in gravidanza, agli operatori sanitari e in generale ai soggetti più fragili (che include anche malati cronici, pazienti immunodepressi). La vaccinazione è consigliata anche a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità. Si prevede la possibilità di somministrazione della dose di richiamo a distanza di almeno 3 mesi dall’ultima dose o dalla diagnosi di infezione da SARS-CoV-2. Eccetto alcuni casi, sarà possibile anche la co-somministrazione dei nuovi vaccini aggiornati con altri vaccini (come quello antinfluenzale).
Accolte istanze infettivologi
Lo scorso luglio, la Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) e la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) avevano formulato delle indicazioni per le istituzioni, raccomandando una nuova dose di vaccino contro il Covid-19 nel periodo autunnale, ogni 12 mesi, con particolare attenzione ai soggetti più fragili. Una serie di istanze che risultano in ampia parte accolte nel documento ministeriale.
“La SIMIT accoglie con soddisfazione le indicazioni date dalla Direzione Generale per la Prevenzione del Ministero della Salute – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – Le indicazioni ministeriali raccolgono nella maggior parte quelle rilevate nel documento congiunto realizzato dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali e dalla Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica. L’attuale stato epidemiologico internazionale mostra la circolazione di nuove varianti di Omicron che stanno determinando un aumento dei casi in diversi Paesi, che richiede pertanto la massima attenzione per valutare l’andamento futuro. In Italia si sta verificando un incremento del numero dei casi e persistono circa dieci decessi ogni giorno, cifra tutt’altro che trascurabile. Ci troviamo pertanto di fronte a una situazione epidemiologica complessa, in quanto i soggetti ultrasessantenni hanno un’immunità ridotta dovuta al fatto che hanno eseguito l’ultimo richiamo vaccinale più di sei mesi fa. È auspicabile che la vaccinazione autunnale venga fatta con i diversi vaccini oggi disponibili, sia quelli a mRna che quelli proteici adiuvati”.
Nel latte materno il segreto della giovinezza
Ricerca innovazioneNel latte materno il segreto della giovinezza. Una piccola molecola di zucchero contenuta proprio nel latte materno sarebbe infatti in grado di in grado di potenziare il cervello in via di sviluppo dei neonati, e potenzialmente anche il cervello che invecchia. È questa la scoperta di un gruppo di ricercatori della Tufts University negli Stati Uniti, che ha identificato in questa piccola molecola un vero e proprio super ingrediente, potenzialmente molto utile per contrastare la degenerazione legata all’età o a patologie degenerative.
Myo-inositolo
La ricerca firmata da un team del Jean Mayer Usda Human Nutrition Research Center on Aging (Hnrca) dell’ateneo Usa e pubblicata su Pnas suggerisce che nel latte materno il segreto della giovinezza sia un micronutriente , una molecola di zucchero chiamata myo-inositolo, fornisce un beneficio significativo al cervello dei piccoli, e questa scoperta – che fa luce ulteriormente sul legame tra nutrizione e salute cerebrale – potrebbe aiutare a migliorare gli alimenti per lattanti utilizzati in circostanze in cui l’allattamento al seno non è possibile, evidenziano gli autori. Il lavoro apre inoltre la strada allo studio del ruolo che il myo-inositolo potrebbe svolgere nel cervello mentre invecchiamo.
Connessioni
Ulteriori test condotti utilizzando modelli di roditori e neuroni umani hanno mostrato che il myo-inositolo ha aumentato sia le dimensioni che il numero di connessioni sinaptiche tra i neuroni nel cervello in via di sviluppo, indicando una connettività più forte. «La formazione e il perfezionamento della connettività cerebrale dalla nascita è guidata da forze genetiche e ambientali, nonché dalle esperienze umane», afferma Thomas Biederer, autore senior dello studio, scienziato senior del Neuroscience and Aging Team dell’Hnrca e componente della Faculty della Yale School of Medicine.
Cuore in alta quota. Sintomi a cui prestare attenzione
Benessere, News Presa, Prevenzione, Sport, Stili di vitaCamminare fa bene ai muscoli, al cuore, all’umore e aiuta a restare in salute. In particolare la camminata riduce i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, il peso corporeo, la pressione sanguigna e il colesterolo. La montagna è tra le mete gettonate durante le vacanze estive per camminare o fare trekking nella natura. Sebbene sia radicata l’idea che l’alta quota sia incompatibile con la salute delle persone con malattie cardiovascolari, in realtà serve solo qualche accortezza in più. A ribadirlo è il dottor Alessandro Sticchi, cardiologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano e presso gli ambulatori Humanitas Medical Care.
Malattie cardiovascolari e alta quota
Per alta quota si intende un luogo al di sopra dei 2500 metri sul livello del mare. Sotto sforzo, cioè durante l’attività aerobica, cuore e polmoni lavorano di più, aumentano la pressione arteriosa e il consumo di ossigeno, quindi si respira con più fatica.
Sebbene il sistema cardiocircolatorio sia messo alla prova, ciò avviene allo stesso modo in una palestra o a bassa quota. Gli studi ad oggi sono documentati soprattutto in associazione all’attività sportiva intensa. Per questo gli sport alpini o la scalata verso altitudini estreme creano un rischio molto diverso da un quello di un semplice trekking.
Il pericolo cresce all’aumentare dell’altitudine. Infatti in alta quota il clima cambia progressivamente: la pressione atmosferica diminuisce e si respira con più fatica. Caldo o freddo estremi e radiazioni solari più intense aggravano la situazione.
In base a queste variazioni la montagna può esporre maggiormente le persone con insufficienza cardiaca, cardiopatia ischemica e valvolare, ipertensione arteriosa o anomalie del ritmo cardiaco.
L’ossigeno salendo in alta quota si riduce e può creare stress cardiaco soprattutto se non si è abituati. “Per compensare la carenza di ossigeno, infatti, l’organismo richiede un maggior lavoro al cuore e ai polmoni – sottolinea il cardiologo”. Oltre a questo, si aggiunge anche la minore capacità dell’organismo di utilizzare l’ossigeno. Un altro rischio è lo sbalzo termico soprattutto in persone con cardiopatia ischemica, per la cosiddetta angina a frigore.
I sintomi del mal di montagna
Secondo gli studi, in media, la capacità fisica di una persona di esprimere uno sforzo si riduce dell’1% ogni 100 metri (superati i 1500 metri di altitudine). “Non esiste tuttavia un’indicazione di limite di altitudine valida per tutti – spiega il cardiologo – poiché ogni persona ha una storia specifica che richiede una valutazione specialistica”. In generale, i sintomi del mal di montagna da non sottovalutare sono: mal di testa, debolezza, nausea, mancanza di respiro e dolore toracico. Se perdurano oltre le 24 ore o compaiono altri disturbi, come difficoltà di coordinazione e di respirazione (ipossia), anche a riposo, è opportuno scendere a quote più basse e rivolgersi a un medico. Le persone con problemi al cuore devono prestare molta attenzione a sintomi cardiologici come: mancanza di respiro, dolore al petto, palpitazioni e sensazione di svenimento. In caso di disturbi è importante richiedere l’intervento medico quanto prima, sapendo sempre dove ci si trova e il riferimento del sentiero intrapreso.
Come preparare il cuore
Prima di un soggiorno in alta quota, è da evitare un lungo periodo di sedentarietà, sottolinea il cardiologo. È importante invece prepararsi fisicamente, pianificando una salita graduale per verificare la capacità dell’organismo di compiere lo sforzo in assenza di sintomi e la necessità di adeguare i livelli di ossigeno.
Una visita cardiologica con elettrocardiogramma è il primo passo per controllare la salute cardiovascolare e decidere eventuali approfondimenti o una terapia personalizzata. Il cardiologo infine può suggerire i farmaci da avere con sé adatti alla propria situazione.
Cuore in alta quota. Sintomi a cui prestare attenzione
Benessere, News Presa, Prevenzione, Sport, Stili di vitaCamminare fa bene ai muscoli, al cuore, all’umore e aiuta a restare in salute. In particolare la camminata riduce i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, il peso corporeo, la pressione sanguigna e il colesterolo. La montagna è tra le mete gettonate durante le vacanze estive per camminare o fare trekking nella natura. Sebbene sia radicata l’idea che l’alta quota sia incompatibile con la salute delle persone con malattie cardiovascolari, in realtà serve solo qualche accortezza in più. A ribadirlo è il dottor Alessandro Sticchi, cardiologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano e presso gli ambulatori Humanitas Medical Care.
Malattie cardiovascolari e alta quota
Per alta quota si intende un luogo al di sopra dei 2500 metri sul livello del mare. Sotto sforzo, cioè durante l’attività aerobica, cuore e polmoni lavorano di più, aumentano la pressione arteriosa e il consumo di ossigeno, quindi si respira con più fatica.
Sebbene il sistema cardiocircolatorio sia messo alla prova, ciò avviene allo stesso modo in una palestra o a bassa quota. Gli studi ad oggi sono documentati soprattutto in associazione all’attività sportiva intensa. Per questo gli sport alpini o la scalata verso altitudini estreme creano un rischio molto diverso da un quello di un semplice trekking.
Il pericolo cresce all’aumentare dell’altitudine. Infatti in alta quota il clima cambia progressivamente: la pressione atmosferica diminuisce e si respira con più fatica. Caldo o freddo estremi e radiazioni solari più intense aggravano la situazione.
In base a queste variazioni la montagna può esporre maggiormente le persone con insufficienza cardiaca, cardiopatia ischemica e valvolare, ipertensione arteriosa o anomalie del ritmo cardiaco.
L’ossigeno salendo in alta quota si riduce e può creare stress cardiaco soprattutto se non si è abituati. “Per compensare la carenza di ossigeno, infatti, l’organismo richiede un maggior lavoro al cuore e ai polmoni – sottolinea il cardiologo”. Oltre a questo, si aggiunge anche la minore capacità dell’organismo di utilizzare l’ossigeno. Un altro rischio è lo sbalzo termico soprattutto in persone con cardiopatia ischemica, per la cosiddetta angina a frigore.
I sintomi del mal di montagna
Secondo gli studi, in media, la capacità fisica di una persona di esprimere uno sforzo si riduce dell’1% ogni 100 metri (superati i 1500 metri di altitudine). “Non esiste tuttavia un’indicazione di limite di altitudine valida per tutti – spiega il cardiologo – poiché ogni persona ha una storia specifica che richiede una valutazione specialistica”. In generale, i sintomi del mal di montagna da non sottovalutare sono: mal di testa, debolezza, nausea, mancanza di respiro e dolore toracico. Se perdurano oltre le 24 ore o compaiono altri disturbi, come difficoltà di coordinazione e di respirazione (ipossia), anche a riposo, è opportuno scendere a quote più basse e rivolgersi a un medico. Le persone con problemi al cuore devono prestare molta attenzione a sintomi cardiologici come: mancanza di respiro, dolore al petto, palpitazioni e sensazione di svenimento. In caso di disturbi è importante richiedere l’intervento medico quanto prima, sapendo sempre dove ci si trova e il riferimento del sentiero intrapreso.
Come preparare il cuore
Prima di un soggiorno in alta quota, è da evitare un lungo periodo di sedentarietà, sottolinea il cardiologo. È importante invece prepararsi fisicamente, pianificando una salita graduale per verificare la capacità dell’organismo di compiere lo sforzo in assenza di sintomi e la necessità di adeguare i livelli di ossigeno.
Una visita cardiologica con elettrocardiogramma è il primo passo per controllare la salute cardiovascolare e decidere eventuali approfondimenti o una terapia personalizzata. Il cardiologo infine può suggerire i farmaci da avere con sé adatti alla propria situazione.
SLA trovata “firma molecolare” per la diagnosi
News Presa, Ricerca innovazioneUn’équipe di ricercatori del Cnr-Irib ha messo a punto una nuova tecnica per la diagnosi della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) di tipo sporadico. Gli scienziati hanno prelevato cellule del tessuto connettivo -fibroblasti cutanei- da pazienti affetti da SLA e studiandone i profili di espressione genica, hanno individuato una “firma molecolare”.
Quest’ultima differenzia i pazienti affetti da SLA di tipo sporadico – la forma più comune, il cui sviluppo non dipende da fattori ereditari – dagli individui del gruppo di controllo, e ne supporta l’utilizzo per la diagnosi molecolare. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Cells.
Diagnosi della SLA
La SLA è una malattia del sistema nervoso che colpisce i motoneuroni e dà debolezza e atrofia muscolare. Nonostante i passi da gigante della ricerca, la diagnosi risulta spesso tardiva e complessa per via dei sintomi iniziali non specifici e dell’eterogeneità della sua eziopatogenesi.
“Lo sviluppo e l’utilizzo di test diagnostici basati sull’analisi dei profili di espressione genica ha già dimostrato validità clinica in molteplici patologie umane, incluse quelle oncologiche. Tuttavia, ad oggi, la loro implementazione in ambito neurologico è resa difficoltosa dall’inaccessibilità del tessuto malato”. Lo sottolinea Sebastiano Cavallaro, dirigente di ricerca e responsabile del laboratorio di Genomica del Cnr-Irib di Catania, oltre che coordinatore dello studio.
“Nella ricerca abbiamo osservato che i fibroblasti “memorizzano” il background genomico del paziente con SLA. Misurando in queste cellule il livello di espressione di una serie ristretta di geni è possibile discriminare i pazienti affetti. I risultati raggiunti potrebbero offrire un ausilio in più per la diagnosi di questa patologia, che generalmente è tardiva rispetto all’esordio”.
Il team di ricercatori
La tecnica per diagnosticare la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) di tipo sporadico è stata scoperta da un team di ricercatori dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche di Catania. Allo studio hanno contributo Vincenzo La Bella dell’Università degli Studi di Palermo e Francesca Luisa Conforti dell’Università della Calabria. I risultati aprono nuove possibilità per il futuro.
Stress estivo: la tensione emotiva nella bella stagione
Medicina Sociale, Stili di vitaSembra impensabile, ma mentre per alcune persone l’estate è fonte di divertimento e relax, per altre può essere fonte di stress e tensione.
Le cause dello stress estivo
Partiamo dalle alte temperature e l’umidità, che possono rendere difficile il riposo notturno e quindi influire sul nostro benessere fisico e mentale. Il caldo eccessivo può causare irritabilità, stanchezza e diminuzione della concentrazione; tutto questo, associato ai cambiamenti di routine, può contribuire all’insorgere dello stress. Le vacanze estive possono inoltre portare con sé aspettative elevate, la necessità di organizzare viaggi e attività, e il desiderio di creare esperienze indimenticabili. Questi aspetti possono provocare stress aggiuntivo e causare tensioni nelle relazioni familiari e sociali.
Alcuni consigli per affrontare lo stress
One Health: Un approccio integrato alla salute globale
Medicina Sociale, PrevenzioneLa One Health (Una Salute) è un approccio integrato alla salute globale che riconosce l’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale, promuovendo la collaborazione tra diverse discipline e settori per affrontare le sfide complesse che riguardano la salute e il benessere del nostro pianeta. Si tratta di una strategia il cui valore è riconosciuto ufficialmente dal Ministero della Salute italiano, dalla Commissione Europea e da molte organizzazioni internazionali.
Interconnessione
La salute umana è intimamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente circostante. Le malattie infettive, per esempio, possono trasmettersi tra esseri umani e animali, creando un ponte tra le diverse popolazioni. Le malattie zoonotiche, ovvero le malattie trasmissibili dagli animali agli esseri umani, rappresentano in effetti una delle principali sfide per la salute pubblica, e vanno affrontate attraverso la sorveglianza attiva, la diagnosi precoce e la collaborazione tra professionisti della salute umana e veterinaria. In generale, la salute degli ecosistemi influisce sulla salute umana e animale, poiché un ambiente inquinato o degradato può favorire la diffusione di malattie.
Sicurezza alimentare
La produzione e il consumo di alimenti sono strettamente collegati alla salute umana e animale: l’impiego di pratiche agricole sostenibili, l’attenzione alla sicurezza alimentare e un uso prudente di antibiotici che ne preservi l’efficacia, possono ridurre il rischio di malattie trasmesse dagli alimenti e migliorare la nutrizione per tutti.
Conservazione della biodiversità
La salute degli ecosistemi è cruciale per la conservazione della biodiversità e la tutela delle specie animali. La One Health riconosce il valore della biodiversità e la necessità di proteggere gli habitat naturali per garantire un ambiente sano per tutti gli esseri viventi.
Cooperazione internazionale e governance
Affrontare le sfide globali della salute richiede una cooperazione internazionale e una governance efficace. La One Health promuove la collaborazione tra nazioni, organizzazioni internazionali, istituti di ricerca e professionisti della salute per affrontare le minacce alla salute globale.