Tempo di lettura: 3 minutiSebbene rappresenti il 19,8 per cento dei tumori maschili, la percezione del rischio rispetto al tumore della prostata è ancora bassa. La scarsa consapevolezza da parte degli uomini riguarda soprattutto la prevenzione. Fondazione Onda ha redatto un documento a partire dalle Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea e attraverso il confronto fra le tre Regioni Lombardia, Marche e Sicilia. Le regioni sono rappresentative delle tre macroaree geografiche italiane. L’obiettivo è promuovere una corretta informazione sul tumore della prostata e l’accesso alla diagnosi precoce.
I numeri
Secondo l’ultimo rapporto “I numeri del cancro in Italia”, pubblicato nel dicembre 2022, sono state stimate per l’anno 2022 circa 40.500 nuove diagnosi. Il Piano europeo di lotta contro il cancro, presentato nel 2021, e la pubblicazione nel dicembre 2022 dell’aggiornamento delle Raccomandazioni sugli screening oncologici, sollecitando più attenzione verso la diagnosi precoce con l’obiettivo di ridurre la mortalità e le diseguaglianze, invitano a considerare lo screening organizzato, oltre che per altri tipi di tumore, anche per il tumore della prostata.
In Italia, dove un programma di screening organizzato per il tumore della prostata non è attivo, il Piano Oncologico Nazionale, che è stato licenziato lo scorso gennaio, ha recepito le Raccomandazioni del Consiglio europeo. In particolare sottolinea l’importanza di valutare modelli e protocolli tecnico-organizzativi anche in ambito di carcinoma della prostata e del polmone.
Diagnosi precoce nel tumore della prostata
“La diagnosi precoce rappresenta la strategia preventiva più efficace in ambito oncologico, poiché consente di intercettare il tumore in fase iniziale, anche prima della comparsa di sintomi, quando la malattia è ancora localizzata, aumentando le possibilità di cura e guarigione attraverso trattamenti meno invasivi, riducendo la mortalità e migliorando la qualità di vita dei pazienti”, dichiara Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
“A ciò si aggiunge la migliore razionalizzazione delle risorse economiche, con risparmio sui costi delle cure e delle relative complicanze nonché dell’assistenza a lungo termine. Il nostro auspicio è che, attraverso gli esiti del confronto sullo scenario delle tre Regioni individuate come rappresentative, Lombardia, Marche e Sicilia, emerga chiaramente l’urgenza di attuare un percorso di screening strutturato anche per il tumore della prostata, superando gli ostacoli che ad oggi lo lasciano inattuato, con particolare attenzione ai soggetti a rischio”.
Sintomi e prevenzione
La bassa percezione del rischio da parte degli uomini è uno dei principali ostacoli alla prevenzione.
Inoltre i sintomi sono spesso assenti nella fase iniziale del tumore della prostata e non hanno una specificità. Sono quindi comuni ad altre patologie benigne e hanno uno scarso impatto inizialmente sulla vita del paziente.
Il rischio di sovradiagnosi
Al rischio di incorrere in sovradiagnosi e soprattutto sovratrattamento si contrappone quello di non disporre di strumenti adeguati a intercettare precocemente le forme più aggressive e pericolose.
In particolare, il PSA è un marker organo-specifico e non tumore-specifico. In pratica può aumentare non solo in presenza di cancro della prostata, ma anche in condizioni fisiologiche o in caso di patologia benigna (ad esempio, infiammazioni o traumi, falsi positivi). D’altra parte, può anche risultare entro i limiti di riferimento, pur in presenza di patologia tumorale (falsi negativi). Da qui l’importanza della diagnosi precoce attraverso l’individuazione dei soggetti a rischio, sulla base dei fattori significativi. Uno di questi è l’età (con un’incidenza che cresce in particolare dopo i 50 anni), la familiarità (si stima che il rischio sia almeno raddoppiato nel caso di un familiare di primo grado affetto da questa neoplasia), e la presenza di specifiche mutazioni genetiche.
I fattori di rischio nel tumore della prostata
“Fra i fattori di rischio rilevanti per il carcinoma della prostata hanno grande peso la famigliarità e la presenza di specifiche mutazioni genetiche (come BRCA2 e BRCA1) fra i parenti di primo e secondo grado. Queste mutazioni riguardano trasversalmente anche altre neoplasie, quali pancreas, mammella, ovaio, probabilmente colon e melanoma, interessando dunque non solo la linea eredo-famigliare maschile ma anche quella femminile. La sfida dei prossimi anni, che coinvolgerà medici e istituzioni, sarà volta a identificare percorsi di mini-counseling e di counseling genetico che permettano di identificare precocemente i soggetti a rischio”, dichiara Giario Conti, Segretario SIUrO, Società Italiana di Urologia Oncologica.
“Per i malati di cancro l’informazione è la prima medicina. Europa Uomo rappresenta la principale rete di informazione sul tumore della prostata in Italia e in Europa. Oltre a tutelare i diritti dei pazienti e a organizzare per loro attività di sostegno, promuove la ricerca e svolge iniziative di sensibilizzazione su prevenzione, diagnosi precoce e cure multidisciplinari, con campagne di comunicazione, conferenze e giornate dedicate”, dichiara Claudio Talmelli, Consigliere, EuropaUomo Italia Onlus.
Obiettivi del documento
Definire percorsi interdisciplinari ospedale-territorio per la diagnosi precoce del tumore della prostata, e individuare i fattori di rischio, soprattutto quello eredo-familiare, sono tra gli obiettivi principali del documento. Secondo gli specialisti è importante potenziare la rete MMG, specialisti territoriali e ospedalieri interconnessa con gli specialisti ospedalieri oncologo/urologo, valorizzare il ruolo del MMG nell’accesso alla diagnosi precoce, intercettare i soggetti ad alto rischio con iniziative sia sul territorio che nel contesto ospedaliero.
Bruxismo nei bambini, cosa c’è da sapere
Bambini, Genitorialità, PediatriaMolti genitori non sanno come affrontare il problema del bruxismo notturno, vale a dire il digrignare i denti da parte dei bambini durante la notte. Per spiegare cos’è il bruxismo notturno nei più piccoli e come bisogna affrontarlo abbiamo deciso di far riferimento ad una delle realtà d’eccellenza del panorama sanitario nazionale: il Bambino Gesù di Roma. In particolare, illuminante è un piccolo vademecum prodotto dall’Unità Operativa di Pediatria Generale, nel quale si spiega prima di tutto che in tenera età questo disturbo è piuttosto frequente. Basti pensare che interessa circa tre bambini su dieci e presenta un’incidenza maggiore prima dell’età scolare.
Microrisvegli
Benché non si possa identificare una sola causa scatenante, il bruxismo notturno è da inserire nei disturbi del tutto involontario. È collegato a quello che gli specialisti identificano come “micro-risvegli”, che altro non sono se non brevissime e improvvise interruzioni del sonno. Questo significa che ogni fattore di disturbo, capace di generare micro-risvegli, può contribuire a scatenare il disturbo. La buona notizia è che nella maggior parte dei casi scompare spontaneamente con la crescita al completamento della dentizione permanente.
Molari
Altra evidenza è che in alcune situazioni il bruxismo notturno nei bambini può essere legato alla comparsa dei primi denti permanenti. In particolare, con la fuoriuscita dei primi e secondi molari permanenti il bruxismo aumenta in maniera sensibile. Esiste poi un fattore “psicologico”, ad esempio eventi che scatenano ansia, come la nascita di un fratellino e il conseguente sentirsi in secondo piano.
Nessun problema
A differenza di quanto si potrebbe essere portati a credere, nella maggior parte dei casi il bruxismo notturno nel bambino non presenta alcuna conseguenza. La cosa importante è far seguire il bambino dal pediatra di riferimento, che è lo specialista adatto ad inquadrare la presenza di bruxismo e a valutare la necessità di ulteriori approfondimenti. Anche se, va detto, è molto raro che possa esserci indicazione all’utilizzo del bite in età pediatrica per il bruxismo. Solo in alcuni casi, molto rari, e in presenza di importanti complicanze (importanti segni di usura su elementi permanenti, dolore muscolare o articolare) l’odontoiatra potrebbe ritenere necessario, compatibilmente con la collaboratività del piccolo, l’utilizzo di dispositivi intraorali.
Covid, ecco chi deve vaccinarsi
Anziani, CovidChi deve fare la vaccinazione per il Covid? Come sempre di questi tempi inizia a crearsi un po’ di confusione sulle raccomandazioni in fatto di vaccini. E il Covid è chiaramente tra le prime da tener presenti. Per gli esperti non ha più senso parlare di prima o di seconda dose, ormai la vaccinazione Covid va fatta come si fa quella per l’influenza. Sempre guardando ai soggetti fragili o con malattie croniche. Proprio in questi giorni un board di esperti ha pubblicato un documento con le proprie raccomandazioni, chiarendo molti punti sino ad oggi poco chiari ai più.
Fragili e cronici
Tornando alla nostra domanda di partenza: chi deve fare la vaccinazione per il Covid? Le linee guida prevedono che le prime vaccinazioni siano destinate agli anziani over 80, agli ospiti di Rsa e pazienti con grandi fragilità. Il vaccino è raccomandato in particolare a over 60, pazienti fragili, donne in cinta e operatori sanitari, una platea di oltre 20 milioni di italiani.
Quando si parte
Dalla prossima settimana saranno disponibili i nuovi vaccini anti Covid, quelli aggiornati contro la variante Xbb, attualmente in circolazione. In una nota del ministero alle Regioni si legge che «le successive consegne avverranno comunque dalla settimana del 9 ottobre». Un bene, visto che nelle ultime settimane si è registrato un forte aumento dei contagi, benché la situazione non desti preoccupazione la copertura vaccinale appare ora indispensabile.
Medici del territorio
A mettere in luce il ruolo chiave dei medici di famiglia per la riuscita della campagna vaccinale sono prima di tutti gli esperti del Calendario per la vita, il board che riunisce Fimmg, SItI, SIP e FIMP. Sono i medici del territorio «grazie al rapporto fiduciario, alla conoscenza del contesto socio familiare, alla presenza capillare» gli attori che «possono meglio degli altri individuare precocemente le condizioni di rischio e di fragilità». Un ruolo che si è rivelato determinante durante tutta la pandemia e che continua ad essere un valore aggiunto imprescindibile del Sistema sanitario nazionale.
Imparare a gestire le emozioni è parte dell’allenamento degli atleti
News Brevi, SportUn atleta deve imparare a gestire le proprie emozioni per non compromettere la performance sportiva. Per questo molti atleti vengono accompagnati, durante la preparazione ad una gara, da coach professionisti che li aiutano a creare pensieri costruttivi. Gli studi hanno dimostrato quanto per un’atleta sia importante lavorare sulla mente quanto sul corpo. Le emozioni, per esempio, possono avere valenza positiva o negativa e possono essere funzionali e disfunzionali. Emozioni come ansia e rabbia che sono considerate negative, possono essere funzionali e adattive, se l’atleta impara a canalizzare l’energia che c’è alla base di queste in modo efficace.
Quanto incide l’emotività sui risultati
Un atleta vincente, qualunque sia il suo livello, non fa soltanto leva sulla preparazione fisica e un corretto metabolismo, ma punta su mente, emozioni e soft skills. “Queste abilità pesano dal 40 all’85% sul risultato finale di una gara, spiega Sara Haeuptli, co-fondatrice della onlus La Pelle Azzurra e counselor relazionale e coach professionista. “La gestione dell’emotività – aggiunge – così come la preparazione della mentalità alla competizione costituiscono i tre quarti dell’opera”.
Le emozioni in gara
In occasione della Sport Cruise, durante la quale partecipano atleti olimpici e paralimpici in un percorso di formazione, Katia Aire, cinquantenne atleta paralimpica del nuoto e di handbike, bronzo a Tokyo 2020 ha raccontato la sua esperienza. “Quando si parla di prestazione sportiva automaticamente si tende a pensare alla mera prestazione ‘fisica’ – ha spiegato – tuttavia, corpo, mente ed emozioni sono parti indissolubilmente legate”. Lo sono “a tal punto da rendere le prime degli acceleratori di risultati o scogli insormontabili”. Katia Aire, come tanti altri atleti paralimpici, ha saputo superare la propria disabilità, abbattendo barriere culturali e mostrando al mondo le proprie abilità.
Alessandro Melchionna, co-fondatore de La Pelle Azzurra ha detto: “il motore di ogni progetto è l’emozione e avere un sogno è un potente propulsore”. Imparare a gestire le emozioni è questione di allenamento. Per un atleta è essenziale soprattutto durante una gara, per non compromettere il risultato.
Crohn e Colite Ulcerosa, nuove terapie aumentano del 30-40% il controllo
Farmaceutica, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa Malattia di Crohn e la Colite Ulcerosa sono patologie invalidanti che spesso esordiscono in età giovanile e condizionano l’attività scolastica, lavorativa e sociale. Si stima che in Italia colpiscano circa 250/300mila persone, ma i numeri sono in crescita. Il dato probabilmente è legato anche alla maggiore sensibilizzazione della popolazione oltre che al miglioramento delle diagnosi.
Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa, terapie su misura
Negli ultimi 2-3 anni la ricerca ha portato alla registrazione di nuovi farmaci, tra cui le cosiddette small molecules (piccole molecole), di cui in parte già si dispone. “Con le più recenti terapie è aumentato di oltre il 30-40% il numero di persone che riescono a controllare la malattia, anche se naturalmente non esiste una terapia risolutiva vista la natura autoimmune – spiega il Dott. Rodolfo Sacco, Direttore Struttura Complessa di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Foggia. “La disponibilità di diversi farmaci permette numerosi vantaggi, perché si va sempre più verso una terapia a misura di paziente. Inoltre, l’avvento delle piccole molecole rappresenta una svolta nell’approccio alle MICI anche dal punto di vista logistico, in quanto grazie alla somministrazione orale e a domicilio si ottiene una maggiore aderenza alla terapia. Infine, le piccole molecole, quando efficaci, danno un risultato in poche settimane. Ciò non toglie che ciascun farmaco debba essere monitorato dagli specialisti competenti e che i pazienti debbano essere sottoposti a un follow up per valutare l’andamento della terapia ed eventuali effetti collaterali”.
“Negli ultimi 18-24 mesi nel nostro centro c’è stato un incremento di pazienti – evidenzia Rodolfo Sacco – Negli ultimi anni l’informazione è cresciuta e i pazienti possono rivolgersi in maniera più consapevole al medico di famiglia, che li può instradare presso i centri specialistici per visite e diagnosi precoci che evitano esiti invalidanti e interventi chirurgici. Un ruolo molto importante lo hanno anche associazioni come AMICI Italia, che ha un’ampia diffusione sul territorio nazionale e, con diverse iniziative, dà voce ai pazienti”.
In Puglia una rete per le MICI
A Foggia si discuterà del progetto di una rete regionale per le Malattie Infiammatorie Croniche Intenstinali – MICI, per mettere a sistema i dati dei pazienti con Crohn e Colite Ulcerosa presenti in Puglia. La rete pugliese si basa sul modello siciliano. In Puglia si stimano circa 12mila pazienti, con un incremento di 700 ogni anno. “Lo scorso 30 giugno a Bari vi è stata una riunione tra tutti i centri pugliesi specializzati per il trattamento delle MICI, che adesso stanno mandando le documentazioni ai comitati etici per costituire la base di una rete regionale – sottolinea il Dott. Rodolfo Sacco – In questo modo potremo condividere dati utili per gestire meglio i pazienti e per favorire la ricerca. In attesa dell’approvazione del PDTA, recentemente una delibera della giunta regionale ha creato la rete gastroenterologica pugliese, con impostazione ovviamente più ampia rispetto alle MICI, definendo gli standard operativi delle diverse strutture e i vari modelli organizzativi. Un primo modello da replicare su un contesto più specifico”.
Tumore del fegato, un vaccino contro le recidive. Al via test al Pascale
Farmaceutica, News Presa, Ricerca innovazioneParte all’Istituto nazionale dei tumori Fondazione Pascale di Napoli la sperimentazione sui primi pazienti del vaccino contro il tumore del fegato. Un risultato che è il frutto di dieci anni di ricerca italiana nella lotta a una delle neoplasie tra le più insidiose. Hepavac-201 è il primo vaccino terapeutico creato per ritardare le recidive, migliorando la sopravvivenza.
Tumore del fegato, un vaccino per eliminare le recidive
Ad oggi non esiste una cura definitiva per il tumore del fegato. Il nuovo vaccino potrebbe ridisegnare lo scenario del trattamento. L’ultima formulazione è stata creata per aumentare la capacità di indurre una risposta immunitaria, ma la speranza più grande è che possa eliminare le recidive. Un risultato che allungherebbe la sopravvivenza, migliorando la vita dei pazienti. “La sperimentazione dimostra ancora una volta quanto l’immunoterapia rappresenti il presente e il futuro prossimo della terapia” anticancro, ha ribadito l’Irccs. Il vaccino “comprende 16 molecole differenti capaci di indurre una risposta antitumorale a largo spettro e di impedire, così, alle cellule tumorali di sfuggire al controllo del sistema immunitario ritardando il ripresentarsi della malattia”, ha spiegato in una nota l’Istituto nazionale dei tumori Fondazione Pascale.
“Dopo gli studi e le sperimentazioni, il vaccino è stato somministrato nel primo paziente affetto da epatocarcinoma senza effetti secondari acuti. Altri 3 pazienti sono in lista d’attesa per cominciare il trattamento nelle prossime settimane”, ha continuato l’Irccs. Il progetto è coordinato da Luigi Buonaguro, direttore del Laboratorio di Modelli Immunologici Innovativi, insieme ai team del chirurgo Francesco Izzo, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Epatobiliare e dell’oncologo Paolo Ascierto, coordinatore della Struttura di Sperimentazione clinica di Fase 1.
La ricerca italiana
La ricerca è cominciata dieci anni fa e adesso è giunta alla seconda sperimentazione clinica di Fase 1 per testare la nuova formulazione. I risultati dovrebbero arrivare entro giugno 2024. In origine Hepavac è stato sviluppato da un Consorzio Europeo coordinato da Luigi Buonaguro e finanziato dall’Unione Europea. L’ultima sperimentazione ‘Hepavac-201’ è stata invece finanziata dalla Regione Campania con il progetto ‘Campania Oncoterapie’, nell’ambito del programma oncologico voluto dal presidente della Regione, Vincenzo De Luca. “La formulazione vaccinale originaria – ha precisato Buonaguro – è stata aggiornata ed è stato incluso anche un immunomodulatore con il supporto totalmente gratuito dell’AstraZeneca”. Ora si dovrà valutare la “safety” del trattamento vaccinale e la risposta immunitaria nei confronti degli antigeni tumorali specificamente espressi dal tumore del fegato.
“Se i risultati saranno quelli auspicati – ha spiegato Buonaguro – Hepavac sarà il primo vaccino al mondo per il tumore epatico candidato alla successiva sperimentazione su vasta scala per testarne in maniera definitiva l’efficacia e fornire un valido strumento terapeutico per i pazienti affetti da un tumore così letale”. Hepavac è uno dei progetti di punta, promosso e sponsorizzato dall’Istituto Pascale. “Questo – ha ribadito Attilio Bianchi, direttore generale del Pascale – rappresenta un esempio virtuoso dei fondi regionali a sostegno di progetti che hanno già dato risultati promettenti”.
Gambe gonfie e doloranti, c’è una soluzione
Benessere, News Presa, Stili di vitaGambe gonfie e stanche, la colpa può essere del lipolinfedema. Si tratta di una forma di linfedema che colpisce nel nostro paese una donna su dieci e che causa un doloroso aumento del volume della coscia e della gamba. Al principio, il lipolinfedema si manifesta come una banale forma di cellulite, poi il gonfiore aumenta e si ha un ristagno di liquidi nei tessuti cutanei. Nel tempo si ha un accumulo sproporzionato del tessuto adiposo negli arti inferiori e non di rado il grasso non si limita alle gambe. ma colpisce anche l’addome o e le braccia.
Microvibrazione
Un modo per affrontare il problmea è la “Microvibrazione Compressiva Endosphères”, una tecnica basata su una tecnologia che si è dimostrata particolarmente efficace, perché riduce i sintomi della malattia e migliora la qualità di vita delle pazienti. Semplificando un po’ si può dire che il macchinario usa particolari vibrazioni, trasmesse alla pelle delle gambe attraverso microsfere ruotanti di silicone. In Italia il trattamento è garantito anche da strutture pubbliche e solitamente già dopo due sessioni di cura alla settimana per un mese e mezzo sono sufficienti a ridurre quasi del 50% il dolore.
Sottovalutata
«La patologia viene spesso sottovalutata e confusa con la semplice cellulite o con il, più o meno grave, sovrappeso», spiega il professor Pier Antonio Bacci, docente di Patologie Estetiche nel Master dell’Università di Siena e del Consorzio Humanitas di Roma. «In realtà fa diventare le gambe così gonfie e pesanti da rendere molto difficoltose anche le più semplici attività quotidiane. Va contrastata attraverso diagnosi quanto più precoci e successivi trattamenti preventivi. La microvibrazione compressiva è una metodica non invasiva che aiuta a raggiungere perfettamente questi obiettivi, soprattutto se associata a giusti stili di vita».
Tumore della prostata 19,8% di quelli maschili. Sintomi e cause
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneSebbene rappresenti il 19,8 per cento dei tumori maschili, la percezione del rischio rispetto al tumore della prostata è ancora bassa. La scarsa consapevolezza da parte degli uomini riguarda soprattutto la prevenzione. Fondazione Onda ha redatto un documento a partire dalle Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea e attraverso il confronto fra le tre Regioni Lombardia, Marche e Sicilia. Le regioni sono rappresentative delle tre macroaree geografiche italiane. L’obiettivo è promuovere una corretta informazione sul tumore della prostata e l’accesso alla diagnosi precoce.
I numeri
Secondo l’ultimo rapporto “I numeri del cancro in Italia”, pubblicato nel dicembre 2022, sono state stimate per l’anno 2022 circa 40.500 nuove diagnosi. Il Piano europeo di lotta contro il cancro, presentato nel 2021, e la pubblicazione nel dicembre 2022 dell’aggiornamento delle Raccomandazioni sugli screening oncologici, sollecitando più attenzione verso la diagnosi precoce con l’obiettivo di ridurre la mortalità e le diseguaglianze, invitano a considerare lo screening organizzato, oltre che per altri tipi di tumore, anche per il tumore della prostata.
In Italia, dove un programma di screening organizzato per il tumore della prostata non è attivo, il Piano Oncologico Nazionale, che è stato licenziato lo scorso gennaio, ha recepito le Raccomandazioni del Consiglio europeo. In particolare sottolinea l’importanza di valutare modelli e protocolli tecnico-organizzativi anche in ambito di carcinoma della prostata e del polmone.
Diagnosi precoce nel tumore della prostata
“La diagnosi precoce rappresenta la strategia preventiva più efficace in ambito oncologico, poiché consente di intercettare il tumore in fase iniziale, anche prima della comparsa di sintomi, quando la malattia è ancora localizzata, aumentando le possibilità di cura e guarigione attraverso trattamenti meno invasivi, riducendo la mortalità e migliorando la qualità di vita dei pazienti”, dichiara Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
“A ciò si aggiunge la migliore razionalizzazione delle risorse economiche, con risparmio sui costi delle cure e delle relative complicanze nonché dell’assistenza a lungo termine. Il nostro auspicio è che, attraverso gli esiti del confronto sullo scenario delle tre Regioni individuate come rappresentative, Lombardia, Marche e Sicilia, emerga chiaramente l’urgenza di attuare un percorso di screening strutturato anche per il tumore della prostata, superando gli ostacoli che ad oggi lo lasciano inattuato, con particolare attenzione ai soggetti a rischio”.
Sintomi e prevenzione
La bassa percezione del rischio da parte degli uomini è uno dei principali ostacoli alla prevenzione.
Inoltre i sintomi sono spesso assenti nella fase iniziale del tumore della prostata e non hanno una specificità. Sono quindi comuni ad altre patologie benigne e hanno uno scarso impatto inizialmente sulla vita del paziente.
Il rischio di sovradiagnosi
Al rischio di incorrere in sovradiagnosi e soprattutto sovratrattamento si contrappone quello di non disporre di strumenti adeguati a intercettare precocemente le forme più aggressive e pericolose.
In particolare, il PSA è un marker organo-specifico e non tumore-specifico. In pratica può aumentare non solo in presenza di cancro della prostata, ma anche in condizioni fisiologiche o in caso di patologia benigna (ad esempio, infiammazioni o traumi, falsi positivi). D’altra parte, può anche risultare entro i limiti di riferimento, pur in presenza di patologia tumorale (falsi negativi). Da qui l’importanza della diagnosi precoce attraverso l’individuazione dei soggetti a rischio, sulla base dei fattori significativi. Uno di questi è l’età (con un’incidenza che cresce in particolare dopo i 50 anni), la familiarità (si stima che il rischio sia almeno raddoppiato nel caso di un familiare di primo grado affetto da questa neoplasia), e la presenza di specifiche mutazioni genetiche.
I fattori di rischio nel tumore della prostata
“Fra i fattori di rischio rilevanti per il carcinoma della prostata hanno grande peso la famigliarità e la presenza di specifiche mutazioni genetiche (come BRCA2 e BRCA1) fra i parenti di primo e secondo grado. Queste mutazioni riguardano trasversalmente anche altre neoplasie, quali pancreas, mammella, ovaio, probabilmente colon e melanoma, interessando dunque non solo la linea eredo-famigliare maschile ma anche quella femminile. La sfida dei prossimi anni, che coinvolgerà medici e istituzioni, sarà volta a identificare percorsi di mini-counseling e di counseling genetico che permettano di identificare precocemente i soggetti a rischio”, dichiara Giario Conti, Segretario SIUrO, Società Italiana di Urologia Oncologica.
“Per i malati di cancro l’informazione è la prima medicina. Europa Uomo rappresenta la principale rete di informazione sul tumore della prostata in Italia e in Europa. Oltre a tutelare i diritti dei pazienti e a organizzare per loro attività di sostegno, promuove la ricerca e svolge iniziative di sensibilizzazione su prevenzione, diagnosi precoce e cure multidisciplinari, con campagne di comunicazione, conferenze e giornate dedicate”, dichiara Claudio Talmelli, Consigliere, EuropaUomo Italia Onlus.
Obiettivi del documento
Definire percorsi interdisciplinari ospedale-territorio per la diagnosi precoce del tumore della prostata, e individuare i fattori di rischio, soprattutto quello eredo-familiare, sono tra gli obiettivi principali del documento. Secondo gli specialisti è importante potenziare la rete MMG, specialisti territoriali e ospedalieri interconnessa con gli specialisti ospedalieri oncologo/urologo, valorizzare il ruolo del MMG nell’accesso alla diagnosi precoce, intercettare i soggetti ad alto rischio con iniziative sia sul territorio che nel contesto ospedaliero.
Hiv, in troppi non sanno di essere sieropositivi
News PresaMolti la vedono come una malattia ormai superata, eppure l’Hiv è ancora ben presente in Europa. Addirittura, il 11 per cento dei pazienti contagiati non sa di essere sieropositivo. Buone notizie arrivano dai trattamenti, che oggi sono molto efficaci e consentono nella stragrande maggioranza dei casi di condurre una vita normale.
I dati
Un quadro fatto di luci e di ombre quello disegnato dai dati, aggiornati al 2021, del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. Dati che ci dicono che in Europa siamo sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo dell’eradicazione del virus, ma che persistono ancora oggi importanti problemi di informazione. gli obiettivi del 2025 di Unaids, che prevedono il 95% per ciascuno degli indicatori menzionati.
Obiettivo 2030
Ma cosa serve per puntare a raggiungere i target 2025 e sconfiggere la malattia nel 2030? Secondo gli esperti l’obiettivo, previsto dall’Agenda sviluppo sostenibile dell’Onu, ci sarà bisogno di più servizi di test e terapia. Ma anche di un’azione di sensibilizzazione per combattere la paura di quella che negli Anni 80 era nota come la “peste del XX secolo”. Ancora oggi paura e stigma sembrano influenzare molto il comportamento dei singoli e la consapevolezza che si ha della malattia.
Profilassi
Un termine che oggi resta sconosciuto a molti e “PrEP” o profilassi pre-esposizione, che consiste nell’assumere una combinazione di farmaci attivi contro Hiv prima dei rapporti sessuali. Correttamente assunta da persone sieronegative a rischio di infezione, la PrEP si è dimostrata efficace nel prevenire l’acquisizione dell’infezione da Hiv. Si tratta di protocollo che deve essere attuato sotto stretto controllo di un infettivologo e attualmente prevede che le compresse siano assunte o quotidianamente (una al giorno) oppure due compresse da 2 a 24 ore prima di un rapporto sessuale a rischio. Ciò detto, contro l’Hiv il modo più efficace di difendersi è nella prevenzione, evitando rapporti a rischio e adoperando sempre il preservativo.
Il rischio dengue in Italia
News Presa, PrevenzioneSi può contrarre la dengue anche in Italia, non serve un viaggio esotico per essere esposti al rischio di ammalarsi. Il dato, non proprio rassicurante, emerge dal monitoraggio dei casi accertati realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità che, in Italia, ha certificato addirittura 165 diagnosi. Fortunatamente, di queste, ben 146 sono legate a contatti avvenuti in Paesi asiatici, ma 19 sono invece sono diagnosi di contagi autoctoni.
Regioni a rischio
Ad oggi non in tutte le regioni si registrano casi, quelle con più casi sono le regioni del Centro e Nord Italia con in testa Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna che vedono, rispettivamente, 50, 28 e 27 casi. Anche se in molti casi la malattia non porta alcun sintomo, in alcuni casi può invece essere accompagnata da manifestazioni preoccupanti come febbre e sintomi influenzali, nausea, vomito, irritazioni della pelle. Nei casi più gravi anche emorragie potenzialmente fatali (ma questo succede in una percentuale inferiore all’1% dei casi).
Cambiamenti climatici
L’aumento dei casi autoctoni in Italia e in altri paesi d’Europa è direttamente legato ai cambiamenti climatici, che stanno creando un abitat favorevole per insetti che prima non potevano sopravvivere facilmente nel nostro continente. La dengue, ad esempio, è trasmessa dalla zanzara tigre (genere Aedes) ed è endemica soprattutto dal sud-est asiatico. Oggi, tra globalizzazione e cambiamento climatico, la malattia diventando sempre più presente non soli in Italia ma anche in Francia, Croazia e Spagna.
Aumento dei casi
Su scala mondiale, secondo l’OMS, si osserva un aumento di otto volte nei casi di dengue a partire dal 2000, e nel 2022 sono stati raggiunti 4,2 milioni di casi. Inoltre, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha riportato che solo lo scorso anno in Europa sono stati documentati 71 casi di dengue, rispetto ai 74 registrati tra il 2010 e il 2021.
Chikungunya
È importante notare che la specie di zanzara Aedes albopictus, responsabile della diffusione di chikungunya e dengue, sta ampliando la sua presenza verso le regioni settentrionali e occidentali dell’Europa. Nel frattempo, l’Aedes aegypti, che è vettore di malattie come la dengue, la febbre gialla e la chikungunya, già nel 2022 è stata individuata sull’isola di Cipro.
Dipendenza da oppiacei in USA, la realtà italiana
Farmaceutica, News PresaLa nuova serie televisiva ‘PainKiller’, basata su fatti reali, ha acceso il dibattito sul tema della dipendenza da oppiacei negli Stati Uniti. La serie indaga le origini e le conseguenze della crisi americana. In occasione del recente Congresso Nazionale di FederDolore-SICD (Società Italiana dei clinici del Dolore), Giuliano De Carolis, Past President di FederDolore SICD, ha spiegato come la situazione nel nostro Paese sia ben diversa.
Oppiacei in Italia e rischio di abuso
“In Italia non esiste il problema della dipendenza da oppiacei come è invece successo negli Stati Uniti alla fine degli anni ’90 e come è ben descritto dalla serie televisiva di Netflix. A causa dell’uso sregolato e talvolta illecito dell’ossicodone prescritto con estrema facilità dai medici americani si stima che siano morte circa 300 mila persone negli ultimi 20 anni negli USA. Per fortuna – spiega lo specialista – oggi il governo americano è riuscito a frenare l’abuso di ossicodone nel Paese.
In Italia – prosegue – la situazione è assolutamente diversa. Al contrario, il corretto uso di farmaci oppiacei per il trattamento del dolore cronico non sembra adeguatamente diffuso. Basta considerare che sono 14 milioni gli italiani che soffrono di dolore cronico e che molti di questi (circa 4 milioni) soffrono di un dolore non adeguatamente trattato”.
Italiani e dolore cronico
“In Italia – spiega De Carolis – il diritto al trattamento del dolore cronico è sancito dalla legge 38 del 2010. Purtroppo però, a 13 anni dalla sua approvazione, questa legge manca ancora di una sua completa attuazione e di un pieno riconoscimento su tutto il territorio nazionale. Una recente indagine di Cittadinanzattiva ha rilevato che sette cittadini su dieci non conoscono questa legge e tutti i diritti che essa sancisce. Sempre secondo questa indagine il 40% degli intervistati non sa che i farmaci oppiacei sono sicuri ed altamente efficaci nel dolore cronico”.
Accesso alle cure per il dolore cronico
“Sicuramente il punto di partenza è la promozione di campagne di informazione sulla legge 38 rivolte sia agli operatori sanitari che ai cittadini. Una recente indagine (Survey Dimensione Sollievo) ha rilevato che oltre il 55% degli intervistati, pur sapendo dell’esistenza di centri specializzati per la terapia del dolore, non si è rivolto a loro per una presa in carico del problema. Inoltre emerge anche che il 41% dei pazienti soffrono di dolore cronico da più di 10 anni e ben il 29% ha dovuto attendere più di 5 anni per una diagnosi definitiva. Tutto questo ovviamente comporta gravi ripercussioni sulla qualità di vita dei pazienti. Una strategia auspicabile – conclude – è sicuramente la presa in carico precoce del paziente da parte dei centri specializzati di terapia del dolore”.