Tempo di lettura: 6 minutiLe pazienti e i pazienti con tumore al seno rivendicano più informazioni al momento della diagnosi. Difatti quasi il 20 per cento del campione non ha saputo indicare il sottotipo di tumore mammario che le è stato diagnosticato. Il vissuto dei pazienti è stato indagato da un questionario da cui emerge l’importanza di avere un team multidisciplinare, più supporto psicologico, più tempo per i colloqui con i medici e più informazioni sulla malattia e i percorsi. L’adesione allo screening mammografico offerto gratuitamente dal SSN appare soddisfacente. Molto, invece, resta da fare per rendere accessibili a tutti i pazienti i test genetici, che al momento sono offerti a meno di 1 paziente su 2. L’indagine conoscitiva sul tumore al seno è stata condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 45 Associazioni del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”. I dati sono stati presentati in una diretta sul web dedicata ai tumori della mammella.
Buona presa in carico ma scarsi test genetici
«Sono decine di migliaia ogni anno le persone cui viene diagnosticato un tumore della mammella, in maggioranza donne sovente in età ancora produttiva e sono in aumento i casi giovanili – dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna ODV e Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che aggiunge. L’indagine mette in luce un aspetto molto importante, vale a dire che sul nostro territorio nazionale la presa in carico e l’assistenza di questi pazienti è decisamente buona, di alta qualità e ampiamente diffusa a livello regionale. Certo le criticità su cui lavorare non mancano: bisogna ampliare l’offerta dei test genetici e ampliare lo screening ad altre fasce d’età specie per i soggetti giovani con storia famigliare e a maggiore rischio. E poi bisogna pensare a potenziare le strutture, migliorare l’organizzazione, i percorsi per i controlli, allungare i tempi di incontro medico-paziente, il sostegno psicologico e rivolgere maggiore attenzione alla quotidianità dei pazienti con uno sguardo alla riabilitazione e ai postumi dell’intervento chirurgico».
Dall’indagine emerge una buona conoscenza della prevenzione secondaria con adesione di 1 paziente su 2 allo screening mammografico gratuito cui consegue nella maggioranza dei casi la scoperta della malattia in fase iniziale, un dato che fa la differenza in termini di possibilità di cura e sopravvivenza. Tuttavia, l’accesso ai test genetici appare ancora lacunoso sul territorio nazionale mentre vi è un’ampia disponibilità di opzioni terapeutiche utilizzate nei diversi tipi di neoplasia e nelle diverse fasi di malattia.
Attraverso l’indagine è stata richiesta la testimonianza delle pazienti e dei pazienti che in 1 caso su 2 hanno un’età compresa tra i 61 e i 75 anni, mentre nel 10,8% dei casi sono ancora in età fertile.
Screening per tumore al seno
La prevenzione secondaria (mammografia – ecografia) del tumore almeno è abbastanza nota nella maggior parte del campione. Quasi il 54% aderisce con costanza ai programmi di screening biennali offerti gratuitamente del SSN. Tuttavia, circa l’11,7% del campione non rientra nella fascia d’età prevista dallo screening mentre il 12,1% non è stato mai raggiunto da una comunicazione su questa opportunità. Riguardo l’autoesame delle mammelle, il 43% del campione lo effettua con regolarità ma oltre il 50% lo effettua di rado o mai.
Un dato molto positivo emerso dall’indagine è la scoperta in fase precoce della malattia in oltre il 90% del campione. Al momento della diagnosi, infatti, il tumore della mammella era in fase iniziale (meno di 2 centimetri senza linfonodi coinvolti) nel 53,4% dei rispondenti e in fase iniziale (più di 2 centimetri con interessamento dei linfonodi ascellari) nel 32,3% mentre era in fase avanzata nell’11,2% e con metastasi a distanza in un residuo 3,1% del campione. La maggioranza del campione (49,3%) è stata presa in carico all’interno di una Breast Unit oppure da un reparto oncologico (33,2%); solo il 13% è stato assistito in un reparto di chirurgia generale.
La Breast Unit
«L’indagine dimostra quanto sia cruciale quando si tratta di tumori la comunicazione rivolta alla popolazione generale e ai pazienti – sottolinea Nicla La Verde, Direttore UOC di Oncologia, ASST Fatebenefratelli Sacco PO Luigi Sacco di Milano. «Un dato che rafforza e conferma l’importanza dei programmi di screening – continua – è la diagnosi del tumore mammario che viene fatta in fase precoce nella maggioranza del campione. Un altro dato importante è che in Italia la presenza delle Unità di senologia è molto alta e piuttosto capillarmente diffusa, certamente disponibile negli ospedali di tutte le grandi città. La Breast Unit è una struttura altamente specializzata per la diagnosi e cura del carcinoma della mammella che consente ai pazienti la presa in carico da parte di una équipe che risponda al bisogno di cura a 360 gradi grazie alla collaborazione tra i diversi professionisti (chirurgo, oncologo, radiologo, radioterapista, anatomo patologo, psiconcologo) e garantisce i migliori standard in termini di trattamenti chirurgici e medici. Tutto ciò per i pazienti è una garanzia sia in termini di scelte terapeutiche sia in termini di efficienza organizzativa».
Il 40,8% del campione si sottopone alla visita senologica una volta l’anno e il 26% ogni due anni resta, tuttavia uno zoccolo duro, pari al 28,3% del campione, che non si è “mai” o “raramente” sottoposta a questo semplice esame clinico.
La scoperta del tumore al seno avviene per caso sentendo un nodulo durante l’autopalpazione (40%), il 5,8% lo ha scoperto osservando i cambiamenti del capezzolo, il 25,6% a seguito dello screening e l’8,1% durante controlli per familiarità.
Sostegno psicologico
«Sono ancora molti gli unmet needs su cui è necessario lavorare – dichiara Marina Morbiducci, Patient Advocate Fondazione IncontraDonna – Nell’ambito della gestione quotidiana della malattia l’assenza di un sostegno psicologico è l’aspetto maggiormente segnalato dall’indagine. In Italia, infatti, si evidenzia una notevole disuguaglianza nell’offrire interventi psico-oncologici la cui carenza implica che pazienti, famiglie e caregiver si trovano a dover affrontare da soli il carico psicologico che aggrava il percorso di cura. Sebbene l’indagine abbia evidenziato buona consapevolezza rispetto ai temi riguardanti la salute del seno, è ancora fondamentale lavorare sulla centralità della prevenzione primaria e su come questa giochi un ruolo cruciale nel prevenire molti fattori di rischio per i tumori, salvaguardando lo stato naturale di salute degli individui e contribuendo alla sostenibilità del nostro sistema sanitario.»
Tumore al seno e terapie
Il tipo di tumore mammario più frequente (46,6%) è quello positivo al recettore ormonale (HR), seguito dal tumore HER2 positivo (24,2%) e dal tumore triplo negativo (10,3%). Circa il 18,8% del campione non ha saputo indicare il sottotipo di tumore mammario che le è stato diagnosticato. Questo dato mette in luce una criticità nella comunicazione durante il percorso diagnostico. L’intervento chirurgico resta il trattamento d’elezione, quando è possibile operare, allo scopo di eradicare, cioè, asportare tutto il tumore. Terapia ormonale (64,1%), radioterapia, (63,7%), chemioterapia (44,8%), farmaci target (11,2%) e immunoterapia (10,3%) sono le opzioni terapeutiche impiegate routinariamente, si tratta di terapie farmacologiche sempre più targettizzate e con minori effetti collaterali, spesso utilizzate in combinazione e facili da assumere a domicilio per evitare i ricoveri e aumentare l’adesione alla cura.
Riguardo la familiarità, meno di un paziente su 2 riferisce una storia familiare per tumore della mammella in parenti di I e II grado. Tuttavia al 58,7% del campione non è stato suggerito di effettuare il test genetico che è stato prescritto solo ad un terzo dei pazienti.
Consapevolezza
Le pazienti e i pazienti con tumore della mammella hanno una percezione molto chiara dell’impatto che la neoplasia ha nella vita di tutti i giorni, limitandone le attività anche più basilari: il 34,1% dei rispondenti ha lamentato ansia/depressione, il 18,8% ha accusato postumi dell’intervento chirurgico, notevoli i disagi vissuti a causa della distanza tra casa e ospedale, il 17% ha riferito difficoltà di comunicazione con l’oncologo curante mentre il 16,6% ha lamentato l’assenza di un supporto psicologico, infine, oltre il 16,1% ha avuto problemi nella gestione delle terapie e dei controlli per i quali la maggiore criticità sta nell’organizzazione.
«Il tumore al seno è una malattia che impatta pesantemente sulla qualità della vita e come evidenzia l’indagine – dice Mariangela Fantin, Presidente A.N.D.O.S. Udine – Associazione Nazionale Donne Operate al Seno –, le pazienti e i pazienti hanno una percezione molto chiara dei loro bisogni. Questi pazienti non vanno lasciati da soli. Nella realtà di Udine, l’Associazione si avvale di due psicologi che mettiamo in contatto diretto con le pazienti che si rivolgono a noi; un altro importante servizio è l’offerta della parrucca, oltre alla consulenza di un medico che si occupa del database della Breast Unit dell’Ospedale di Udine. Infine, attraverso attività di raccolta fondi doniamo strumentazioni diagnostiche innovative».
Rispetto al percorso di cura le esigenze più sentite tra le pazienti e i pazienti sono la presenza di un team plurispecialistico per affrontare un approccio integrato alla persona, (38,6%), tempi più lunghi per i colloqui con i medici curanti (29,1%), maggiore informazione sulla malattia e le terapie disponibili (23,3%), la necessità di avere un supporto psicologico (20,6%), maggiore tutela dei diritti in ambito lavorativo e sociale (20,6%), percorsi facilitati in ambulatorio e day hospital (11,7%) e più informazioni su centri di riferimento (7,2%).
Dieta chetogenica, cosa c’è da sapere
Alimentazione, News Presa, Stili di vitaLa dieta chetogenica è probabilmente la più popolare nelle ricerche on line e di certo tra le più praticate degli ultimi tempi. Tra i vantaggi che offre, quello di perdere peso, aumentare l’energia e migliorare la salute complessiva. Questo regime alimentare, che ha guadagnato popolarità negli ultimi anni, è molto più di una semplice tendenza passeggera. Proviamo allora a scoprire cosa c’è di così speciale nella dieta chetogenica e come può trasformare radicalmente lo stile di vita.
Via i carboidrati
La dieta chetogenica è un regime alimentare basato su una riduzione drastica dell’assunzione di carboidrati e un aumento delle fonti di grassi e proteine. Quando il corpo si trova in uno stato di chetosi, inizia a bruciare i grassi per ottenere energia anziché i carboidrati. Questo processo metabolico porta alla produzione di chetoni, che forniscono carburante al cervello e ai muscoli.
I vantaggi
Tra i vantaggi della dieta chetogenica gli specialisti parlano di una considerevole e duratura perdita di peso. Questo perché, riducendo l’assunzione di carboidrati, il corpo entra rapidamente in uno stato di chetosi, bruciando i grassi in eccesso per produrre energia. Questo porta a una perdita di peso significativa, soprattutto nella zona addominale, e una maggiore sensazione di sazietà, riducendo il rischio di eccessi alimentari.
Più energia
Una volta adattati alla chetosi, sono in molti a parlare di aumento dei livelli di energia e una maggiore chiarezza mentale. Poiché il cervello è in grado di utilizzare i chetoni come fonte di energia, la stanchezza post-prandiale scompare e si sperimenta una maggiore concentrazione e vitalità durante tutto il giorno.
Controllo della glicemia
La dieta chetogenica è particolarmente benefica per coloro che soffrono di diabete di tipo 2 o di resistenza all’insulina. Riducendo al minimo l’assunzione di zuccheri e carboidrati, si stabilizzano i livelli di zucchero nel sangue, migliorando la sensibilità all’insulina e riducendo il rischio di picchi glicemici dannosi.
La salute cardiovascolare
Contrariamente alle preoccupazioni comuni, la dieta chetogenica può migliorare i marker di salute cardiovascolare, come la pressione sanguigna, i livelli di colesterolo e trigliceridi. Riducendo l’infiammazione e promuovendo la perdita di grasso corporeo, si riduce il rischio di malattie cardiache e ictus.
Minor appetito
Grazie alla natura saziante dei grassi e delle proteine, la dieta chetogenica aiuta a controllare l’appetito e a ridurre gli attacchi di fame. Ciò rende più facile rispettare le dimensioni delle porzioni e evitare gli spuntini non salutari, facilitando il raggiungimento e il mantenimento del peso desiderato.
No al fai da te
Se si desidera provare questo regime alimentare è categoricamente da evitare il fai da te. Nonostante i numerosi vantaggi, infatti, è importante essere consapevoli dei potenziali rischi associati alla dieta chetogenica. Alcune persone possono sperimentare effetti collaterali temporanei durante la transizione verso la chetosi, come affaticamento, stitichezza, nausea e vertigini. Inoltre, l’elevato consumo di grassi saturi può aumentare il rischio di malattie cardiache a lungo termine se non viene bilanciato con fonti di grassi più sani. Ecco perché è fondamentale consultare un professionista sanitario prima di iniziare qualsiasi nuovo regime alimentare, specialmente se si hanno condizioni mediche preesistenti.
Obesità, in Italia uccide 4 volte più degli incidenti d’auto
Alimentazione, Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, Stili di vitaNel nostro Paese, l’obesità è una minaccia per la salute in crescita. La patologia causa un numero di morti quattro volte maggiore rispetto agli incidenti d’auto. Le stime prevedono un peggioramento costante. Secondo gli esperti, entro il 2035, un italiano su tre sarà obesità.
Obesità, specialisti Sinu lanciano allarme
La Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu) ha lanciato un allarme per sensibilizzare sulle conseguenze dell’obesità e sottolineare la necessità di scelte alimentari sostenibili. I dati indicano che i rischi legati alla dieta sono i principali colpevoli della perdita di anni di vita senza malattie nel mondo.
Dieta mediterranea
Gli specialisti ribadiscono l’importanza di adottare la dieta mediterranea. Il modello nutrizionale, in grado di contrastare molte malattie, si basa in particolare sul consumo di alimenti vegetali come frutta, verdura e cereali integrali, insieme a un moderato consumo di alimenti di origine animale.
Obesità e impatto ambientale
Una dieta a base vegetale non solo contribuisce a prevenire malattie legate all’alimentazione, ma può abbattere le emissioni di gas serra associate alla produzione e al consumo di cibo. Un aspetto chiave nel contesto ambientale, poiché l’industria alimentare è una delle principali responsabili delle emissioni nocive.
Coinvolgere consumatori
Gli esperti Sinu sottolineano la necessità di coinvolgere attivamente i consumatori. Per esempio, molto spesso il cibo viene buttato perché non è chiara la differenza tra data di scadenza e termine minimo di conservazione (Tmc). Più di un terzo degli italiani, infatti non sa che un alimento oltre il Tmc è ancora consumabile, senza implicazioni sulla salute. I temi del futuro della dieta e l’impatto sull’ambiente verranno affrontati nel prossimo congresso nazionale della società scientifica a Piacenza dal 4 al 6 giugno.
Tumore al colon in aumento tra i giovani
Alimentazione, Benessere, News Presa, PrevenzioneNel 2023 le diagnosi di tumore sono aumentate, ma al contempo è diminuita la mortalità. A rivelarlo sono i dati del rapporto “I numeri del cancro in Italia”, dai quali si evince chiaramente che i casi sono aumentati del 5% rispetto al 2020, passando da 376.600 a 395.000 (208.000 negli uomini e 187.000 nelle donne). Oltre il tumore al seno, tra le neoplasie più frequenti troviamo quelle al colon-retto (50.500), seguite da polmone (44.000) e neoplasie della prostata (41.100) e della vescica (29.700). Colpisce che ad ammalarsi di cancro al colon sono anche i giovani, a causa dell’abuso di alcol, del fumo e di stili di vita non certo sani.
La colonscopia
Proviamo a capire come si può fare prevenzione del tumore del colon, a partire da un esame che spesso spaventa: la colonscopia. Si tratta – inutile nasconderlo – di un esame invasivo, che può essere però praticato in sedazione e quindi senza alcun dolore. La colonscopia serve a individuare, se ci sono, i segni precursori del cancro del colon, vale a dire i “polipi”. Queste piccole lesioni sono inizialmente benigne, ma nel tempo possono subire delle trasformazioni e diventare dei veri e propri tumori.
Prevenire
La colonscopia è insomma la migliore forma di prevenzione per il tumore del colon, un esame che si può effettuare con una piccola sonda flessibile che introdotta nell’intestino consente al medico di vedere con i propri occhi qual è lo stato di salute del colon. Oggi contribuiscono alla diagnosi anche tecnologie molto sofisticate, come l’intelligenza artificiale, che dalle immagini riescono a supportare i clinici ad individuare lesioni potenzialmente pericolose.
Sintomi3
Conoscere i sintomi può fare la differenza nella diagnosi precoce e nel trattamento tempestivo. Uno dei segnali più evidenti è rappresentato dalle alterazioni della funzione intestinale rispetto alle abitudini quotidiane. Ad esempio, chi solitamente soffre di stitichezza e nota improvvisi cambiamenti verso la diarrea, o viceversa, dovrebbe essere particolarmente vigile. La perdita di sangue nelle feci e i dolori addominali sono segnali che non possono essere ignorati e richiedono l’attenzione immediata di uno specialista gastroenterologo.
Screening
È fondamentale comprendere che l’esecuzione della colonscopia non è riservata solo a chi manifesta sintomi evidenti. L’inclusione della colonscopia nei programmi di screening è un passo cruciale nella prevenzione e nella diagnosi precoce del tumore al colon. Partecipare ai programmi di screening regionali e sottoporsi al test del sangue occulto nelle feci sono pratiche consigliate. In caso di risultati positivi al test, è necessario procedere con la colonscopia per una valutazione più approfondita.
A che età?
È importante sottolineare che esistono anche programmi di screening primario, che consentono ai pazienti over 50 di accedere direttamente alla colonscopia. Recentemente, si è assistito a un abbassamento dell’età dello screening, estendendolo anche ai 40-45 anni, specialmente quando è presente una storia familiare di tumore al colon. La diagnosi precoce può salvare vite: non esitare a consultare un medico di fiducia per valutare le tue opzioni di screening e prevenzione. La tua salute è la priorità.
Osteoartrosi, biomateriale rigenera cartilagine
Anziani, News Presa, Ricerca innovazioneL’osteoartrosi è una malattia degenerativa che colpisce circa la metà delle persone di età superiore ai 50 anni. Alcuni scienziati hanno creato un biomateriale, contenente cellule staminali, per favorire la rigenerazione del tessuto cartilagineo. Il risultato è stato raggiunto da un gruppo di ricerca guidato dal Professor Leonardo Ricotti, docente di bioingegneria presso il Sant’Anna di Pisa. Il nuovo biomateriale, sviluppato nel contesto di un progetto di ricerca europeo, potrebbe essere una svolta per la cura dell’osteoartrosi.
Cellule staminali e ultrasuoni
Il biomateriale è protetto da brevetto. I test preclinici hanno già dimostrato sicurezza sia in vitro che su modelli animali. L’innovazione principale risiede nella capacità del biomateriale di rispondere agli ultrasuoni, stimolando la differenziazione delle cellule staminali in cellule del tessuto cartilagineo. Questa caratteristica apre la strada a un approccio meno invasivo rispetto alle attuali soluzioni, come l’impianto di protesi, spesso associato a complicazioni.
Osteoartrosi, tecnologia in aiuto
Il biomateriale è composto da quattro elementi principali. Il primo è rappresentato dalle cellule staminali ottenute dal tessuto adiposo del paziente tramite liposuzione addominale. A ciò si aggiunge un polimero che agisce come matrice semi-solida per intrappolare i componenti, insieme a due nanomateriali cruciali per potenziare la differenziazione cellulare. L’ossido di grafene, basato sul carbonio, e il titanato di bario, un materiale piezoelettrico, svolgono un ruolo fondamentale nel guidare le micro-cariche elettriche generate dagli ultrasuoni. Queste micro-cariche inducono le cellule staminali a differenziarsi in tessuto cartilagineo, come confermato dai risultati degli ultimi studi.
Impulsi elettrici per curare l’osteoartrosi
L’effetto positivo delle micro-cariche elettriche sulla differenziazione cellulare è stato confermato dalla ricerca, che ha evidenziato come tali impulsi alterino l’equilibrio interno delle cellule staminali. Il biomateriale, inoltre, si distingue per la sua natura poco invasiva sia nella fase di ottenimento delle cellule staminali che nell’applicazione degli ultrasuoni. Tali impulsi ultrasonici, oltre a stimolare la differenziazione cellulare, contribuiscono a ridurre i livelli di infiammazione locale, un aspetto critico nelle patologie come l’osteoartrosi.
Servono finanziamenti
La fase preclinica ha avuto successo. Il progetto di ricerca è finanziato dal programma Horizon 2020 dell’Unione Europea, ma servono nuovi fondi per condurre studi clinici su pazienti. I ricercatori sottolineano che questo approccio potrebbe rivoluzionare il trattamento dell’osteoartrosi, offrendo una speranza concreta a coloro che soffrono di questa malattia degenerativa.
Mal di testa ricorrente, ecco da cosa può dipendere
Benessere, News PresaOcchi stanchi e mal di testa, può dipendere dall’uso di dispositivi come tablet e smartphone. Stare davanti ad uno schermo per troppe ore può infatti portarci ad avere mal di testa frequenti, non solo a causa della vista, ma anche posture non ottimali, mancanza di pause regolari, distanze inadeguate dallo schermo e secchezza degli occhi. Proviamo allora a capire quali sono i rischi e come evitarli.
La postura
Davanti al computer, molti di noi trascorrono diverse ore in posizioni che possono causare problemi alla schiena, al collo e agli occhi. Queste abitudini non solo compromettono il comfort durante il lavoro, ma possono anche portare a disturbi come mal di testa e affaticamento visivo. Ecco perché è cruciale adottare pratiche che promuovano una postura corretta e proteggano la salute dei nostri occhi. Per evitare tensioni muscolari alla schiena e al collo, è essenziale adottare una postura corretta. Regolare l’altezza della sedia in modo che le ginocchia formino un angolo retto e posizionare lo sguardo a una distanza di 40-50 cm dallo schermo può aiutare a prevenire problemi di irrigidimento delle spalle e della schiena.
Fare delle pause
La mancanza di pause durante l’uso del computer può intensificare il mal di testa e l’affaticamento muscolare. Alzarsi regolarmente dalla scrivania e fare movimento durante la giornata aiuta a contrastare questo problema, permettendo ai muscoli di rilassarsi e riducendo la tensione accumulata.
Disidratazione oculare
La disidratazione oculare è una causa comune di mal di testa e sensazione di occhi secchi e stanchi. Il costante utilizzo dello schermo riduce il naturale ammiccamento degli occhi, portando a una maggiore esposizione alla polvere e a una diminuzione della lubrificazione dell’occhio. L’uso di “lacrime artificiali” può aiutare a migliorare la lubrificazione degli occhi e ridurre i sintomi dell’occhio secco.
Attenzione alla vista
Oltre alle conseguenze sulla postura e alla disidratazione oculare, l’uso prolungato del computer può causare disturbi visivi. Mal di testa frequenti possono essere un segnale di problemi di vista sottostanti. È fondamentale sottoporsi a controlli regolari della vista e, se necessario, utilizzare correzioni come lenti specifiche per ridurre l’affaticamento visivo.
Meno stress
Per alleviare lo stress agli occhi, è importante prendersi regolarmente delle pause visive. Guardare fuori dalla finestra o concentrarsi su oggetti distanti può aiutare a rilassare i muscoli oculari e a prevenire l’affaticamento. Fare pause visive ogni due ore di lavoro e evitare di consultare lo smartphone durante queste pause può favorire il recupero e il benessere degli occhi. Questi piccoli consigli, seguiti con regolarità, possono aiutarci a tenere lontano il mal di testa ricorrente, regalandoci una migliore qualità di vita.
Manca farmaco per il pancreas, appello di Fedez
News PresaSembra incredibile, ma in Italia è diventato quasi introvabile un farmaco essenziale per le persone che soffrono di malattie pancreatiche. Il medicinale si chiama Creon e non è sostituibile con farmaci generici disponibili sul mercato italiano. Sono mesi ormai che il farmaco è diventato carente in tutte le farmacie e nelle ultime settimane la situazione sembra essere anche peggiorata.
Dai social
Uno degli appelli che, per ovvie ragioni, ha fatto più rumore è quello lanciato da Fedez: Essendo io stato operato al pancreas, ed essendomi stato rimosso quasi tutto il pancreas, ho bisogno di prendere enzimi pancreatici per poter assimilare il cibo”, ha detto su Instagram. “Sto ricevendo tantissime email; sembrerebbe che non si trovano più gli enzimi pancreatici in farmacia. Io ne avevo una piccola scorta ma non si trovano più da un mese a questa parte ed ora non ne trovo più».
Il ministro Schillaci
Fedez non è l’unico ad aver fatto sentire la propria voce su questa questione. Le segnalazioni da parte dei pazienti riguardo alla difficoltà di reperire il farmaco sono diventate sempre più frequenti. Questa situazione ha messo in luce una crisi che affligge migliaia di individui affetti da malattie pancreatiche in Italia. Il Ministero della Salute Orazio Schillaci ha dichiarato di seguire da vicino la questione e di fare tutto il possibile per garantire la continuità terapeutica dei pazienti.
L’AIFA
L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha avvertito che il problema potrebbe protrarsi fino alla fine del 2025. Per mitigare gli effetti di questa carenza, l’Aifa ha raccomandato ai medici di utilizzare Creon in modo appropriato e parsimonioso. Inoltre, ha autorizzato l’importazione del farmaco dall’estero, vietandone l’esportazione dal territorio italiano. La carenza di questo farmaco accende un campanello d’allarme per il sistema sanitario italiano e per la salute dei pazienti. È cruciale che le autorità intensifichino i loro sforzi per garantire un approvvigionamento costante di questo e di altri medicinali che, incredibilmente, ciclicamente diventano introvabili.
Ictus e infarto, fare colazione e cena presto riduce rischio
Alimentazione, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaGli orari dei pasti incidono sulla salute cardiovascolare e possono aumentare il rischio di infarto o ictus. Lo dimostra uno studio su oltre 100 mila adulti. Lo hanno realizzato i ricercatori del Nutritional Epidemiology research team (Eren) dell’Inserm, Inrae, Università Sorbona di Parigi e dell’Istituto di Salute globale di Barcellona prendendo in esame i dati di 103.389 adulti. Gli scienziati hanno indagato l’effetto degli orari dei pasti sulla salute cardiovascolare. I risultati sono pubblicati su Nature Communications. Dallo studio emerge un legame tra l’orario della colazione e della cena e il rischio di malattie cardiovascolari, coronariche e cerebrovascolari.
Colazione, ruolo cruciale
Fare colazione al mattino presto riduce del 6% il rischio di malattie cardiovascolari per ogni ora anticipata. In pratica, chi fa colazione alle 8 del mattino ha un rischio inferiore rispetto a chi inizia a mangiare alle 9 del mattino.
Cena e rischio ictus
Allo stesso modo, ritardare l’orario della cena è stato associato a un aumento dell’8% del rischio di ictus per ogni ora aggiuntiva. Tuttavia, non sono emersi legami significativi tra l’orario della cena e il rischio di malattie coronariche.
Malattie cardiache prima causa di morte
Le malattie cardiache e cerebrovascolari rappresentano la principale causa di morte a livello mondiale. Adottare abitudini alimentari che prevedono una colazione anticipata e una cena non troppo tarda potrebbe contribuire significativamente a ridurre l’incidenza.
Vaccino contro melanoma, primo paziente al Pascale di Napoli
Economia sanitaria, Farmaceutica, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa sperimentazione della fase III del primo vaccino anti-melanoma di Moderna ha preso il via. L’Italia gioca un ruolo di primo piano grazie all‘Istituto dei tumori Pascale di Napoli che partecipa all’ultimo passo decisivo, prima che il vaccino possa essere autorizzato dalle autorità regolatorie.
Alfredo De Rienzi, medico di base di 71 anni di Carovilli, Isernia, è il primo paziente a cui è stata somministrata la dose. Si tratta però di una sperimentazione a ‘doppio cieco’. Secondo protocollo, quindi, né il paziente né l’oncologo sanno se si tratta del vaccino o del placebo.
Vaccino anti melanoma alla fase III
Il vaccino di Moderna si basa sulla stessa tecnologia adottata per quelli contro il Covid-19. Utilizza mRNA sintetici per istruire il sistema immunitario a riconoscere specifiche proteine, denominate “neoantigeni”, espressione di mutazioni genetiche nelle cellule malate. Questa è l’ultima fase di test sull’uomo. L’obiettivo non è prevenire la malattia, ma supportare il sistema immunitario dei pazienti nel riconoscere e attaccare il tumore in modo più efficace.
Risultati preliminari del vaccino
Il direttore del dipartimento di Oncologica e Terapie innovative dell’Istituto Pascale, Paolo Ascierto, ha sottolineato che i risultati della fase III richiederanno alcuni anni. Tuttavia, si basano sulla speranza alimentata dai dati dello studio di fase II del vaccino a mRNA, che ha mostrato una riduzione del 44 per cento del rischio di recidiva nei pazienti con melanoma, trattati in combinazione con anticorpi monoclonali.
Il paziente
Il 71enne, medico di base con una storia di scoperta di melanoma due anni fa, ha attraversato varie fasi di trattamento, dal primo riconoscimento a Isernia fino alla sperimentazione del vaccino a Napoli. La sua speranza e fiducia nella scienza guidano la sua partecipazione a questa sperimentazione rivoluzionaria contro il melanoma.
Ricerca corre
Sono ben 70 i farmaci immunoterapici allo studio al momento, sia in fase preclinica (su sperimentazioni non umane) che in fase clinica. Solo nel nostro Paese si contano circa 200 studi clinici in corso, di cui 51 con arruolamento attivo, che rappresentano a tutti gli effetti una nuova opportunità terapeutica per i pazienti e per il futuro della cura.
Breast Unit, cure migliori e meno spostamenti, focus Sicilia
Associazioni pazientiOgni anno, circa 270 mila italiani sono colpiti dal cancro. In Sicilia, nel 2019, sono stati stimati 27.150 nuovi casi di tumore, 13.900 negli uomini e 13.250 nelle donne. Le percentuali di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi, pari al 60 per cento fra le donne e al 52 per cento fra gli uomini, collocano la Regione Siciliana al terzultimo posto in Italia, prima di Sardegna e Campania. Si registra, inoltre, un aumento dell’incidenza delle patologie tumorali a fronte di un decremento della mortalità, di un miglioramento delle cure e di diagnosi precoci. Secondo i dati dell’Indagine ISTAT 2023, in Italia i tumori causano poco meno di un terzo (28% nel 2019) dei decessi totali e rappresentano la seconda causa di morte dopo l’insieme delle malattie del sistema circolatorio.
Per il 2023, sono state stimate 395 mila nuove diagnosi di tumore: 208 mila negli uomini e 187 mila nelle donne. Nel post pandemia si è avuta una ondata di casi, se si considera che, in tre anni, l’incremento è stato di 18.400 diagnosi (erano 376.600 nel 2020). Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2023, è il carcinoma della mammella (55.900 casi), seguito dal colon-retto (50.500), polmone (44.000), prostata (41.100) e vescica (29.700). E, nel 2022, il livello nazionale ha avuto un calo del 3% della
copertura degli screening mammografico (43%) e colorettale (27%), che nel 2021 erano tornati ai livelli prepandemici.
Rete oncologica in Sicilia
A una settimana dal World Cancer Day che si celebra in tutto il mondo ogni 4 febbraio, si sono confrontati gli esperti della Regione Siciliana, nell’ambito dell’evento dal titolo “Best Care Breast. Quale governance efficace nel percorso di cura del paziente oncologico”. L’incontro organizzato da Sineos Healthcare Solutions, con il contributo non condizionante di Daiichi Sankyo e AstraZeneca, ha ottenuto il patrocinio dell’Assessorato della Salute della Regione Siciliana, dell’Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere – ANMDO, del Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri – CIPOMO, del Collegio Oncologi Medici Universitari – COMU, della Fondazione Siciliana per l’Oncologia, della delegazione Siciliana di Europa Donna e di Salute Donna Odv – Associazione per la prevenzione e lotta ai tumori femminili.
“La governance, cioè la gestione di risorse umane e tecnologiche e di competenze professionali, è senza dubbio l’elemento principale della presa in carico del paziente oncologico nel suo percorso di diagnosi e cura che non può prescindere oggi da una organizzazione sotto forma di rete oncologica regionale – ha affermato il professore Vincenzo Adamo, coordinatore Rete Oncologica Siciliana Re. O.S., il quale ha aggiunto – Affinchè una rete oncologica possa funzionare, la governance deve passare attraverso l’attivazione e il controllo dei PDTA (percorsi diagnostici terapeutici) delle
neoplasie più rappresentate in termini di incidenza e mortalità.”
Sui progressi registrati dalla Re.O.S. ha, poi, sottolineato: “La Rete Oncologica Siciliana-
Re.O.S. con i suoi 8 PDTA già approvati ed attivati (tumori della mammella, polmone, ovaio, prostata, colon-retto, melanoma, tiroide, e mesotelioma) negli ultimi tre anni, sta garantendo organizzazione, competenza, efficienza e anche equità di prestazioni e cure nell’ambito delle aree oncologiche del territorio siciliano.”
Tumore al seno e nuove Breast Unit in Sicilia
In Sicilia, il tumore alla mammella ha una incidenza del 30,5%4. “L ‘identificazione in tutto il territorio siciliano delle Breast Unit, come da decreto assessoriale n.49 del gennaio 2020, ha avuto dei risvolti positivi su due fronti – ha dichiarato la
dott.ssa Francesca Catalano, direttore U.O. Senologia A.O.E. Cannizzaro di Catania e coordinatrice Rete senologica regione siciliana. Abbiamo garantito da un lato la migliore cura per le pazienti affette da tumore mammario, assistite praticamente a casa senza affrontare i lunghi viaggi verso regioni ritenute più preparate in ambito sanitario; e contestualmente siamo riusciti, con una buona comunicazione, a ridurre la percentuale della mobilità passiva per la cura di questa malattia oncologica che rappresenta la prima causa di morte per le donne. È indubbio che resti ancora molto da fare anche per le altre patologie oncologiche, ma siamo comunque pronti a dare una corretta immagine della sanità siciliana che a mio parere, non resta indietro rispetto a quella delle altre regioni italiane, così come dimostrano gli ultimi dati.”
UFA – Unità Farmaci Antiblastici
Il farmacista ospedaliero, e in particolare dell’UFA, beneficia di un rapporto diretto con
paziente e medico e si pone come filtro tra di loro e figura chiave nell’implementazione e nel monitoraggio dei PDTA. “La nostra missione riguarda la presa in carico del paziente oncologico, prendendosi cura di lui da tutti i punti di vista”, ha affermato il dott. Paolo Amari, Dirigente Farmacista UOC Farmacia ARNAS Civico Di Cristina Benfratelli di Palermo.
La voce dei pazienti
“In un contesto come quello siciliano, la rete diventa oltremodo centrale. – ha puntualizzato la dott.ssa Carmela Amato, referente Europa Donna Sicilia. – La rete delle associazioni crea un grande valore di tipo relazionale, permette di mettere in comunicazione quasi diretta le pazienti con le Istituzioni e raccoglie le istanze delle pazienti trasferendole ai tavoli istituzionali regionali, mettendoli a sistema, con l’obiettivo di migliorare le condizioni delle pazienti con tumore al seno”.
Cancro al seno, percorsi e criticità dei pazienti. L’indagine
News Presa, PrevenzioneLe pazienti e i pazienti con tumore al seno rivendicano più informazioni al momento della diagnosi. Difatti quasi il 20 per cento del campione non ha saputo indicare il sottotipo di tumore mammario che le è stato diagnosticato. Il vissuto dei pazienti è stato indagato da un questionario da cui emerge l’importanza di avere un team multidisciplinare, più supporto psicologico, più tempo per i colloqui con i medici e più informazioni sulla malattia e i percorsi. L’adesione allo screening mammografico offerto gratuitamente dal SSN appare soddisfacente. Molto, invece, resta da fare per rendere accessibili a tutti i pazienti i test genetici, che al momento sono offerti a meno di 1 paziente su 2. L’indagine conoscitiva sul tumore al seno è stata condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 45 Associazioni del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”. I dati sono stati presentati in una diretta sul web dedicata ai tumori della mammella.
Buona presa in carico ma scarsi test genetici
«Sono decine di migliaia ogni anno le persone cui viene diagnosticato un tumore della mammella, in maggioranza donne sovente in età ancora produttiva e sono in aumento i casi giovanili – dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna ODV e Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che aggiunge. L’indagine mette in luce un aspetto molto importante, vale a dire che sul nostro territorio nazionale la presa in carico e l’assistenza di questi pazienti è decisamente buona, di alta qualità e ampiamente diffusa a livello regionale. Certo le criticità su cui lavorare non mancano: bisogna ampliare l’offerta dei test genetici e ampliare lo screening ad altre fasce d’età specie per i soggetti giovani con storia famigliare e a maggiore rischio. E poi bisogna pensare a potenziare le strutture, migliorare l’organizzazione, i percorsi per i controlli, allungare i tempi di incontro medico-paziente, il sostegno psicologico e rivolgere maggiore attenzione alla quotidianità dei pazienti con uno sguardo alla riabilitazione e ai postumi dell’intervento chirurgico».
Dall’indagine emerge una buona conoscenza della prevenzione secondaria con adesione di 1 paziente su 2 allo screening mammografico gratuito cui consegue nella maggioranza dei casi la scoperta della malattia in fase iniziale, un dato che fa la differenza in termini di possibilità di cura e sopravvivenza. Tuttavia, l’accesso ai test genetici appare ancora lacunoso sul territorio nazionale mentre vi è un’ampia disponibilità di opzioni terapeutiche utilizzate nei diversi tipi di neoplasia e nelle diverse fasi di malattia.
Attraverso l’indagine è stata richiesta la testimonianza delle pazienti e dei pazienti che in 1 caso su 2 hanno un’età compresa tra i 61 e i 75 anni, mentre nel 10,8% dei casi sono ancora in età fertile.
Screening per tumore al seno
La prevenzione secondaria (mammografia – ecografia) del tumore almeno è abbastanza nota nella maggior parte del campione. Quasi il 54% aderisce con costanza ai programmi di screening biennali offerti gratuitamente del SSN. Tuttavia, circa l’11,7% del campione non rientra nella fascia d’età prevista dallo screening mentre il 12,1% non è stato mai raggiunto da una comunicazione su questa opportunità. Riguardo l’autoesame delle mammelle, il 43% del campione lo effettua con regolarità ma oltre il 50% lo effettua di rado o mai.
Un dato molto positivo emerso dall’indagine è la scoperta in fase precoce della malattia in oltre il 90% del campione. Al momento della diagnosi, infatti, il tumore della mammella era in fase iniziale (meno di 2 centimetri senza linfonodi coinvolti) nel 53,4% dei rispondenti e in fase iniziale (più di 2 centimetri con interessamento dei linfonodi ascellari) nel 32,3% mentre era in fase avanzata nell’11,2% e con metastasi a distanza in un residuo 3,1% del campione. La maggioranza del campione (49,3%) è stata presa in carico all’interno di una Breast Unit oppure da un reparto oncologico (33,2%); solo il 13% è stato assistito in un reparto di chirurgia generale.
La Breast Unit
«L’indagine dimostra quanto sia cruciale quando si tratta di tumori la comunicazione rivolta alla popolazione generale e ai pazienti – sottolinea Nicla La Verde, Direttore UOC di Oncologia, ASST Fatebenefratelli Sacco PO Luigi Sacco di Milano. «Un dato che rafforza e conferma l’importanza dei programmi di screening – continua – è la diagnosi del tumore mammario che viene fatta in fase precoce nella maggioranza del campione. Un altro dato importante è che in Italia la presenza delle Unità di senologia è molto alta e piuttosto capillarmente diffusa, certamente disponibile negli ospedali di tutte le grandi città. La Breast Unit è una struttura altamente specializzata per la diagnosi e cura del carcinoma della mammella che consente ai pazienti la presa in carico da parte di una équipe che risponda al bisogno di cura a 360 gradi grazie alla collaborazione tra i diversi professionisti (chirurgo, oncologo, radiologo, radioterapista, anatomo patologo, psiconcologo) e garantisce i migliori standard in termini di trattamenti chirurgici e medici. Tutto ciò per i pazienti è una garanzia sia in termini di scelte terapeutiche sia in termini di efficienza organizzativa».
Il 40,8% del campione si sottopone alla visita senologica una volta l’anno e il 26% ogni due anni resta, tuttavia uno zoccolo duro, pari al 28,3% del campione, che non si è “mai” o “raramente” sottoposta a questo semplice esame clinico.
La scoperta del tumore al seno avviene per caso sentendo un nodulo durante l’autopalpazione (40%), il 5,8% lo ha scoperto osservando i cambiamenti del capezzolo, il 25,6% a seguito dello screening e l’8,1% durante controlli per familiarità.
Sostegno psicologico
«Sono ancora molti gli unmet needs su cui è necessario lavorare – dichiara Marina Morbiducci, Patient Advocate Fondazione IncontraDonna – Nell’ambito della gestione quotidiana della malattia l’assenza di un sostegno psicologico è l’aspetto maggiormente segnalato dall’indagine. In Italia, infatti, si evidenzia una notevole disuguaglianza nell’offrire interventi psico-oncologici la cui carenza implica che pazienti, famiglie e caregiver si trovano a dover affrontare da soli il carico psicologico che aggrava il percorso di cura. Sebbene l’indagine abbia evidenziato buona consapevolezza rispetto ai temi riguardanti la salute del seno, è ancora fondamentale lavorare sulla centralità della prevenzione primaria e su come questa giochi un ruolo cruciale nel prevenire molti fattori di rischio per i tumori, salvaguardando lo stato naturale di salute degli individui e contribuendo alla sostenibilità del nostro sistema sanitario.»
Tumore al seno e terapie
Il tipo di tumore mammario più frequente (46,6%) è quello positivo al recettore ormonale (HR), seguito dal tumore HER2 positivo (24,2%) e dal tumore triplo negativo (10,3%). Circa il 18,8% del campione non ha saputo indicare il sottotipo di tumore mammario che le è stato diagnosticato. Questo dato mette in luce una criticità nella comunicazione durante il percorso diagnostico. L’intervento chirurgico resta il trattamento d’elezione, quando è possibile operare, allo scopo di eradicare, cioè, asportare tutto il tumore. Terapia ormonale (64,1%), radioterapia, (63,7%), chemioterapia (44,8%), farmaci target (11,2%) e immunoterapia (10,3%) sono le opzioni terapeutiche impiegate routinariamente, si tratta di terapie farmacologiche sempre più targettizzate e con minori effetti collaterali, spesso utilizzate in combinazione e facili da assumere a domicilio per evitare i ricoveri e aumentare l’adesione alla cura.
Riguardo la familiarità, meno di un paziente su 2 riferisce una storia familiare per tumore della mammella in parenti di I e II grado. Tuttavia al 58,7% del campione non è stato suggerito di effettuare il test genetico che è stato prescritto solo ad un terzo dei pazienti.
Consapevolezza
Le pazienti e i pazienti con tumore della mammella hanno una percezione molto chiara dell’impatto che la neoplasia ha nella vita di tutti i giorni, limitandone le attività anche più basilari: il 34,1% dei rispondenti ha lamentato ansia/depressione, il 18,8% ha accusato postumi dell’intervento chirurgico, notevoli i disagi vissuti a causa della distanza tra casa e ospedale, il 17% ha riferito difficoltà di comunicazione con l’oncologo curante mentre il 16,6% ha lamentato l’assenza di un supporto psicologico, infine, oltre il 16,1% ha avuto problemi nella gestione delle terapie e dei controlli per i quali la maggiore criticità sta nell’organizzazione.
«Il tumore al seno è una malattia che impatta pesantemente sulla qualità della vita e come evidenzia l’indagine – dice Mariangela Fantin, Presidente A.N.D.O.S. Udine – Associazione Nazionale Donne Operate al Seno –, le pazienti e i pazienti hanno una percezione molto chiara dei loro bisogni. Questi pazienti non vanno lasciati da soli. Nella realtà di Udine, l’Associazione si avvale di due psicologi che mettiamo in contatto diretto con le pazienti che si rivolgono a noi; un altro importante servizio è l’offerta della parrucca, oltre alla consulenza di un medico che si occupa del database della Breast Unit dell’Ospedale di Udine. Infine, attraverso attività di raccolta fondi doniamo strumentazioni diagnostiche innovative».
Rispetto al percorso di cura le esigenze più sentite tra le pazienti e i pazienti sono la presenza di un team plurispecialistico per affrontare un approccio integrato alla persona, (38,6%), tempi più lunghi per i colloqui con i medici curanti (29,1%), maggiore informazione sulla malattia e le terapie disponibili (23,3%), la necessità di avere un supporto psicologico (20,6%), maggiore tutela dei diritti in ambito lavorativo e sociale (20,6%), percorsi facilitati in ambulatorio e day hospital (11,7%) e più informazioni su centri di riferimento (7,2%).