Tempo di lettura: 6 minutiStefano Mazzariol, padre di Marco di 5 anni con la Distrofia muscolare di Duchenne e Vice Presidente di Parent Project Onlus, è uno tra i primi 50 pazienti e familiari in Europa ad aver ricevuto il diploma di Paziente Esperto certificato da EUPATI. Stefano ci racconta la sua esperienza, il suo percorso e le sue future aspettative come nuovo “ambasciatore” dei pazienti nel campo della ricerca clinica e dello sviluppo di nuove terapie.
Come ha scoperto il progetto EUPATI e come è nata la sua partecipazione al corso di formazione di “Paziente Esperto”?
La mia esperienza è quella di una persona comune che di punto in bianco nel 2013 si è ritrovato ad essere genitore di un bambino con la distrofia muscolare di Duchenne. Da quel momento ho deciso che avrei fatto tutto il possibile per contribuire in qualche modo alla ricerca medico-scientifica focalizzata su questa patologia. Nel 2014 grazie a Parent Project Onlus, un’associazioni di genitori di bambini affetti da distrofia muscolare di Duchenne e becker, sono venuto a conoscenza del progetto EUPATI che in quel momento era in pieno sviluppo. È maturata in me la decisione di provare a iscrivermi al corso per “Pazienti Esperti” sul tema della Ricerca e Sviluppo (R&D) dei farmaci che sarebbe partito da lì a poco. In tutto sono stati ammessi 53 partecipanti provenienti da 24 Paesi diversi, tra cui 3 italiani.
Come si è svolto il corso?
Il corso è stato molto impegnativo, 14 mesi molto intensi di acquisizione di informazioni di ogni genere che vanno da aspetti tecnico-scientifici per lo studio di nuove terapie agli aspetti più burocratici e regolatori sull’immissione dei farmaci sul mercato. Il corso è interamente in inglese, e già questa è una prima difficoltà per chi come me non è madrelingua, e basato su una piattaforma online di tipo e-learning. Gli argomenti affrontati nel corso sono strutturati in 6 diversi moduli e comprendono: la scoperta dei farmaci, la pianificazione del loro sviluppo, le verifiche pre-cliniche e le sperimentazioni cliniche, le questioni regolatorie, la sicurezza dei medicinali e la farmacovigilanza, la farmacoeconomia e la valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA). Sono tutti argomenti molto complessi ma fondamentali se si vuole capire bene come avviene il processo di sviluppo e approvazione di nuove terapie. Ciascun modulo comporta degli esami finali molto impegnativi con delle scadenze temporali da rispettare. Oltre al corso online, sono stati organizzati due incontri, di 5 giorni ognuno, in cui tutti i partecipanti si sono riuniti a Barcellona per lezioni didattiche, approfondimenti e esercitazioni pratiche. Queste giornate sono state ricche di input e mi hanno permesso di avere un confronto diretto con i docenti e con gli altri partecipanti.
Cosa le ha dato il corso EUPATI e cosa è cambiato concretamente nella sua vita quotidiana di papà di un bambino con la Duchenne?
Prima del corso EUPATI cercavo di avere quante più informazioni possibile sullo stato dell’arte della ricerca sulla Duchenne un po’ da autodidatta e un po’ appoggiandomi ai materiali e alle attività di Parent Project Onlus. Ma, nonostante la mia preparazione scientifica proveniente dalla mia formazione universitaria, mi mancavano le basi per capire realmente come si muove la ricerca scientifica. L’esperienza che ho vissuto durante il corso, e che sto vivendo tuttora come Paziente Esperto ha cambiato molto la mia visione sul complesso e difficile percorso regolatorio di nuove terapie. Il corso mi ha permesso di avere una visione più oggettiva del mondo della ricerca, mi ha dato gli strumenti fondamentali per capirne i meccanismi e le motivazioni. Il corso di formazione si sta rivelando importantissimo e le cose per me stanno cambiando rapidamente. Innanzitutto, ora posso approfondire molto meglio tutti gli aspetti della patologia di Marco, sia dal punto di vista medico-biologico, sia dal punto di vista della ricerca e delle sperimentazioni in corso. Posso interagire più facilmente con gli specialisti che lo hanno in cura, a volte collaborando assieme a loro nello stabilire il percorso terapeutico da seguire. Inoltre, ora riesco a leggere con analisi critica alcune pubblicazioni scientifiche, e a districarmi nella marea di articoli che escono sui media sulla ricerca scientifica riuscendo a discernere quelle troppo ottimistiche e entusiastiche da quelle effettivamente realistiche e obiettive. Infine, aver studiato quali sono i tempi e le regole sui quali si basa lo sviluppo di una potenziale nuova terapia mi aiuta a capire meglio le tante novità che ruotano intorno ai trial clinici per la Duchenne, comprese le problematiche e gli stop che a volte possono incontrare sul cammino.
E in quale modo, in qualità di Paziente Esperto, riesce a dare un contributo alla comunità dei pazienti?
Innanzitutto, ho iniziato a dare il mio contributo a Parent Project Onlus. Le conoscenze acquisite mi hanno dato la competenza e la possibilità di diventare Vice Presidente di un’associazione, che è molto attiva nel campo della ricerca scientifica, e nella quale potrò mettere a disposizione le nozioni sui temi di R&D dei farmaci e di terapie innovative (geniche o con cellule staminali). Far parte del progetto EUPATI mi sta inoltre offrendo la grande opportunità di entrare in contatto con altre organizzazioni di pazienti, in Italia e all’estero (tramite i miei colleghi di corso). Le conoscenze trasversali che mi ha fornito il corso mi hanno permesso di diventare un punto di riferimento anche per associazioni che si occupano di patologie diverse dalla Duchenne. Mi chiedono di partecipare ai loro convegni e di illustrare alle loro comunità quale sia l’importanza di avere una rappresentanza di pazienti formati ed informati e come i pazienti possono partecipare attivamente al processo di ricerca scientifica e di sviluppo dei farmaci. Gli strumenti che ho acquisito mi stanno consentendo di colloquiare e interagire a vari livelli tecnici, in modo da potermi sempre porre “alla pari” con i diversi interlocutori con cui mi capita di interfacciarmi. E’ sicuramente un ruolo impegnativo, in termini di tempi, di energie e di risorse, sento una grande responsabilità quando mi relaziono con tutte queste varie parti, soprattutto con le comunità di pazienti, perché dall’efficacia del mio ruolo possono dipendere azioni future, e vorrei che fossero sempre a vantaggio e a tutela di chi, come me, convive quotidianamente con patologie spesso gravi.
A questo proposito su quali punti potrebbe essere coinvolto attivamente il Paziente Esperto?
In realtà il contributo di un paziente formato può essere prezioso per tutte le fasi del processo di sviluppo di una terapia. Ad esempio, la collaborazione dei pazienti per la progettazione delle sperimentazioni cliniche può essere determinante per definire, insieme ai clinici, i parametri prioritari nella valutazione della sperimentazione clinica. Addirittura sempre più studi clinici prevedono la compilazione di PROs (Patient Reported Outcomes). Si tratta di una raccolta di dati clinici forniti direttamente dai pazienti nel corso della sperimentazione clinica. Queste informazioni hanno un valore più qualitativo che quantitativo e sono utilizzate per ottenere le misure di esito centrate sui pazienti (PCOM). I PCOM definiscono cosa dovrebbe essere misurato e riportato durante gli studi clinici con l’obiettivo di determinare se una terapia sia in grado o meno di migliorare la qualità di vita dei malati. E’ fondamentale che i PROs siano stabiliti in collaborazione con i pazienti stessi. Inoltre, i pazienti dovrebbero dare il proprio contributo alla stesura dei consensi informati, soprattutto per le categorie più deboli, in modo da ottenere condizioni e accordi equilibrati e corretti dal punto di vista etico. I testi dei consensi informati sono troppo spesso complicati, scritti con un linguaggio “tecnico-burocratese” e non illustrano in maniera adeguata gli obiettivi dello studio clinico, o i rischi e i vantaggi di partecipare al trial. Il Paziente esperto dovrebbe anche figurare all’interno dei comitati etici. Un altro punto importante riguarda l’adeguata e corretta divulgazione dei risultati dei trial clinici, argomento sul quale i pazienti potrebbero fare la differenza. Inoltre va assolutamente sottolineato il coinvolgimento dei pazienti nell’ambito della farmacovigilanza, dato che alla fine chi vive sul proprio organismo i benefici e gli effetti collaterali di una qualsiasi terapia, anche dopo la sua immissione sul mercato, è proprio il paziente. E ancora, ritengo molto importante il contributo del Paziente Esperto sui complessi temi di HTA (Health Technology Assessment), ovvero di tutte le implicazioni sociali ed economiche correlate all’approvazione di un farmaco. Tema ancora poco conosciuto dalle comunità dei pazienti, che invece è fondamentale per i meccanismi di accesso a una nuova terapia.
Insomma, i punti sui quali i pazienti, adeguatamente formati, possono avere un ruolo determinante sono veramente tanti.
Qual è il suo messaggio riguardo all’importanza della formazione dei pazienti e del loro coinvolgimento nelle decisioni sul tema della salute?
Il paziente, inteso qualche volta come singolo, ma più spesso come collettività, deve imparare a collaborare con tutte le figure che si stanno occupando sia di gestione clinica, sia di ricerca clinica. E’ fondamentale che i pazienti abbiano chiaro un concetto: se la ricerca avanza, o se le metodologie di presa in carico del paziente migliorano, il vantaggio è prima di tutto per noi pazienti e per le nostre famiglie. La ricerca in ambito medico-farmacologico non può, e non deve, essere vista come un processo distaccato, contro cui puntare il dito, delimitato nei laboratori (o negli ambulatori) e di competenza solamente di professionisti che, comunque, con la patologia non ci convivono. Viviamo in un momento in cui ricercatori, clinici e aziende farmaceutiche si stanno rendendo conto che la comunità dei pazienti può portare un contributo importantissimo alla pianificazione, all’ottimizzazione e alla buona riuscita del processo di ricerca e sviluppo di potenziali terapie. Però, dobbiamo anche noi pazienti renderci conto che le nostre indicazioni e le nostre opinioni saranno effettivamente considerate utili, e prese in considerazione, solo nel momento in cui ci dimostreremo affidabili e competenti nel fornirle.
Forse ci vorrà ancora un po’ di tempo per vedere i pazienti seduti ai tavoli decisionali “alla pari” con clinici, aziende farmaceutiche e agenzie regolatorie ma le cose si stanno muovendo. Tutti gli stakeholder coinvolti nel processo di sviluppo di nuove terapie sono consapevoli della necessità del coinvolgimento di Pazienti Esperti. Nel nuovo regolamento europeo 536/2014 sulle sperimentazioni cliniche del Parlamento e del Consiglio Europeo, che deve ancora entrare in vigore, è indicato espressamente che per i tavoli decisionali “gli stati membri dovrebbero assicurare la partecipazione di persone non addette ai lavori, in particolare di pazienti o di organizzazioni di pazienti”. Un’ottima opportunità per dimostrare che la scelta migliore come “non addetti ai lavori” sarà quella di includere i Pazienti Esperti.
Il paziente esperto: una nuova visione nella sanità
Associazioni pazienti, News PresaStefano Mazzariol, padre di Marco di 5 anni con la Distrofia muscolare di Duchenne e Vice Presidente di Parent Project Onlus, è uno tra i primi 50 pazienti e familiari in Europa ad aver ricevuto il diploma di Paziente Esperto certificato da EUPATI. Stefano ci racconta la sua esperienza, il suo percorso e le sue future aspettative come nuovo “ambasciatore” dei pazienti nel campo della ricerca clinica e dello sviluppo di nuove terapie.
Come ha scoperto il progetto EUPATI e come è nata la sua partecipazione al corso di formazione di “Paziente Esperto”?
La mia esperienza è quella di una persona comune che di punto in bianco nel 2013 si è ritrovato ad essere genitore di un bambino con la distrofia muscolare di Duchenne. Da quel momento ho deciso che avrei fatto tutto il possibile per contribuire in qualche modo alla ricerca medico-scientifica focalizzata su questa patologia. Nel 2014 grazie a Parent Project Onlus, un’associazioni di genitori di bambini affetti da distrofia muscolare di Duchenne e becker, sono venuto a conoscenza del progetto EUPATI che in quel momento era in pieno sviluppo. È maturata in me la decisione di provare a iscrivermi al corso per “Pazienti Esperti” sul tema della Ricerca e Sviluppo (R&D) dei farmaci che sarebbe partito da lì a poco. In tutto sono stati ammessi 53 partecipanti provenienti da 24 Paesi diversi, tra cui 3 italiani.
Come si è svolto il corso?
Il corso è stato molto impegnativo, 14 mesi molto intensi di acquisizione di informazioni di ogni genere che vanno da aspetti tecnico-scientifici per lo studio di nuove terapie agli aspetti più burocratici e regolatori sull’immissione dei farmaci sul mercato. Il corso è interamente in inglese, e già questa è una prima difficoltà per chi come me non è madrelingua, e basato su una piattaforma online di tipo e-learning. Gli argomenti affrontati nel corso sono strutturati in 6 diversi moduli e comprendono: la scoperta dei farmaci, la pianificazione del loro sviluppo, le verifiche pre-cliniche e le sperimentazioni cliniche, le questioni regolatorie, la sicurezza dei medicinali e la farmacovigilanza, la farmacoeconomia e la valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA). Sono tutti argomenti molto complessi ma fondamentali se si vuole capire bene come avviene il processo di sviluppo e approvazione di nuove terapie. Ciascun modulo comporta degli esami finali molto impegnativi con delle scadenze temporali da rispettare. Oltre al corso online, sono stati organizzati due incontri, di 5 giorni ognuno, in cui tutti i partecipanti si sono riuniti a Barcellona per lezioni didattiche, approfondimenti e esercitazioni pratiche. Queste giornate sono state ricche di input e mi hanno permesso di avere un confronto diretto con i docenti e con gli altri partecipanti.
Cosa le ha dato il corso EUPATI e cosa è cambiato concretamente nella sua vita quotidiana di papà di un bambino con la Duchenne?
Prima del corso EUPATI cercavo di avere quante più informazioni possibile sullo stato dell’arte della ricerca sulla Duchenne un po’ da autodidatta e un po’ appoggiandomi ai materiali e alle attività di Parent Project Onlus. Ma, nonostante la mia preparazione scientifica proveniente dalla mia formazione universitaria, mi mancavano le basi per capire realmente come si muove la ricerca scientifica. L’esperienza che ho vissuto durante il corso, e che sto vivendo tuttora come Paziente Esperto ha cambiato molto la mia visione sul complesso e difficile percorso regolatorio di nuove terapie. Il corso mi ha permesso di avere una visione più oggettiva del mondo della ricerca, mi ha dato gli strumenti fondamentali per capirne i meccanismi e le motivazioni. Il corso di formazione si sta rivelando importantissimo e le cose per me stanno cambiando rapidamente. Innanzitutto, ora posso approfondire molto meglio tutti gli aspetti della patologia di Marco, sia dal punto di vista medico-biologico, sia dal punto di vista della ricerca e delle sperimentazioni in corso. Posso interagire più facilmente con gli specialisti che lo hanno in cura, a volte collaborando assieme a loro nello stabilire il percorso terapeutico da seguire. Inoltre, ora riesco a leggere con analisi critica alcune pubblicazioni scientifiche, e a districarmi nella marea di articoli che escono sui media sulla ricerca scientifica riuscendo a discernere quelle troppo ottimistiche e entusiastiche da quelle effettivamente realistiche e obiettive. Infine, aver studiato quali sono i tempi e le regole sui quali si basa lo sviluppo di una potenziale nuova terapia mi aiuta a capire meglio le tante novità che ruotano intorno ai trial clinici per la Duchenne, comprese le problematiche e gli stop che a volte possono incontrare sul cammino.
E in quale modo, in qualità di Paziente Esperto, riesce a dare un contributo alla comunità dei pazienti?
Innanzitutto, ho iniziato a dare il mio contributo a Parent Project Onlus. Le conoscenze acquisite mi hanno dato la competenza e la possibilità di diventare Vice Presidente di un’associazione, che è molto attiva nel campo della ricerca scientifica, e nella quale potrò mettere a disposizione le nozioni sui temi di R&D dei farmaci e di terapie innovative (geniche o con cellule staminali). Far parte del progetto EUPATI mi sta inoltre offrendo la grande opportunità di entrare in contatto con altre organizzazioni di pazienti, in Italia e all’estero (tramite i miei colleghi di corso). Le conoscenze trasversali che mi ha fornito il corso mi hanno permesso di diventare un punto di riferimento anche per associazioni che si occupano di patologie diverse dalla Duchenne. Mi chiedono di partecipare ai loro convegni e di illustrare alle loro comunità quale sia l’importanza di avere una rappresentanza di pazienti formati ed informati e come i pazienti possono partecipare attivamente al processo di ricerca scientifica e di sviluppo dei farmaci. Gli strumenti che ho acquisito mi stanno consentendo di colloquiare e interagire a vari livelli tecnici, in modo da potermi sempre porre “alla pari” con i diversi interlocutori con cui mi capita di interfacciarmi. E’ sicuramente un ruolo impegnativo, in termini di tempi, di energie e di risorse, sento una grande responsabilità quando mi relaziono con tutte queste varie parti, soprattutto con le comunità di pazienti, perché dall’efficacia del mio ruolo possono dipendere azioni future, e vorrei che fossero sempre a vantaggio e a tutela di chi, come me, convive quotidianamente con patologie spesso gravi.
A questo proposito su quali punti potrebbe essere coinvolto attivamente il Paziente Esperto?
In realtà il contributo di un paziente formato può essere prezioso per tutte le fasi del processo di sviluppo di una terapia. Ad esempio, la collaborazione dei pazienti per la progettazione delle sperimentazioni cliniche può essere determinante per definire, insieme ai clinici, i parametri prioritari nella valutazione della sperimentazione clinica. Addirittura sempre più studi clinici prevedono la compilazione di PROs (Patient Reported Outcomes). Si tratta di una raccolta di dati clinici forniti direttamente dai pazienti nel corso della sperimentazione clinica. Queste informazioni hanno un valore più qualitativo che quantitativo e sono utilizzate per ottenere le misure di esito centrate sui pazienti (PCOM). I PCOM definiscono cosa dovrebbe essere misurato e riportato durante gli studi clinici con l’obiettivo di determinare se una terapia sia in grado o meno di migliorare la qualità di vita dei malati. E’ fondamentale che i PROs siano stabiliti in collaborazione con i pazienti stessi. Inoltre, i pazienti dovrebbero dare il proprio contributo alla stesura dei consensi informati, soprattutto per le categorie più deboli, in modo da ottenere condizioni e accordi equilibrati e corretti dal punto di vista etico. I testi dei consensi informati sono troppo spesso complicati, scritti con un linguaggio “tecnico-burocratese” e non illustrano in maniera adeguata gli obiettivi dello studio clinico, o i rischi e i vantaggi di partecipare al trial. Il Paziente esperto dovrebbe anche figurare all’interno dei comitati etici. Un altro punto importante riguarda l’adeguata e corretta divulgazione dei risultati dei trial clinici, argomento sul quale i pazienti potrebbero fare la differenza. Inoltre va assolutamente sottolineato il coinvolgimento dei pazienti nell’ambito della farmacovigilanza, dato che alla fine chi vive sul proprio organismo i benefici e gli effetti collaterali di una qualsiasi terapia, anche dopo la sua immissione sul mercato, è proprio il paziente. E ancora, ritengo molto importante il contributo del Paziente Esperto sui complessi temi di HTA (Health Technology Assessment), ovvero di tutte le implicazioni sociali ed economiche correlate all’approvazione di un farmaco. Tema ancora poco conosciuto dalle comunità dei pazienti, che invece è fondamentale per i meccanismi di accesso a una nuova terapia.
Insomma, i punti sui quali i pazienti, adeguatamente formati, possono avere un ruolo determinante sono veramente tanti.
Qual è il suo messaggio riguardo all’importanza della formazione dei pazienti e del loro coinvolgimento nelle decisioni sul tema della salute?
Il paziente, inteso qualche volta come singolo, ma più spesso come collettività, deve imparare a collaborare con tutte le figure che si stanno occupando sia di gestione clinica, sia di ricerca clinica. E’ fondamentale che i pazienti abbiano chiaro un concetto: se la ricerca avanza, o se le metodologie di presa in carico del paziente migliorano, il vantaggio è prima di tutto per noi pazienti e per le nostre famiglie. La ricerca in ambito medico-farmacologico non può, e non deve, essere vista come un processo distaccato, contro cui puntare il dito, delimitato nei laboratori (o negli ambulatori) e di competenza solamente di professionisti che, comunque, con la patologia non ci convivono. Viviamo in un momento in cui ricercatori, clinici e aziende farmaceutiche si stanno rendendo conto che la comunità dei pazienti può portare un contributo importantissimo alla pianificazione, all’ottimizzazione e alla buona riuscita del processo di ricerca e sviluppo di potenziali terapie. Però, dobbiamo anche noi pazienti renderci conto che le nostre indicazioni e le nostre opinioni saranno effettivamente considerate utili, e prese in considerazione, solo nel momento in cui ci dimostreremo affidabili e competenti nel fornirle.
Forse ci vorrà ancora un po’ di tempo per vedere i pazienti seduti ai tavoli decisionali “alla pari” con clinici, aziende farmaceutiche e agenzie regolatorie ma le cose si stanno muovendo. Tutti gli stakeholder coinvolti nel processo di sviluppo di nuove terapie sono consapevoli della necessità del coinvolgimento di Pazienti Esperti. Nel nuovo regolamento europeo 536/2014 sulle sperimentazioni cliniche del Parlamento e del Consiglio Europeo, che deve ancora entrare in vigore, è indicato espressamente che per i tavoli decisionali “gli stati membri dovrebbero assicurare la partecipazione di persone non addette ai lavori, in particolare di pazienti o di organizzazioni di pazienti”. Un’ottima opportunità per dimostrare che la scelta migliore come “non addetti ai lavori” sarà quella di includere i Pazienti Esperti.
Mappatura dei nei e lotta al Melanoma: intervista al Dott. Mozzillo
PodcastMappatura dei nei e lotta al Melanoma: intervista al Dott. Mozzillo
Italiani scoprono cause Floating Harbor
News Presa, Ricerca innovazioneI risultati della scoperta sono stati pubblicati sul Journal Medical Genetics. La ricerca si basa sullo studio della struttura e funzione della cromatina, una struttura nucleoproteica che avvolge il DNA. La cromatina ha un’organizzazione dinamica che va incontro a cambiamenti di natura epigenetica mediati da specifici enzimi. Numerose sperimentazioni indicano che mutazioni in geni codificanti proteine richieste per corretta organizzazione strutturale e funzionale della cromatina svolgono un ruolo determinante nell’insorgenza di disordini genetici del differenziamento e dello sviluppo nella specie umana che comprendono tra l’altro difetti dello sviluppo cranio-facciale. In particolare i ricercatori hanno analizzato le funzioni di due proteine cromatiniche umane chiamate SRCAP e CFDP1, codificate dai geni omonimi. Queste proteine appartengono ad un complesso di rimodellamento della cromatina chiamato SRCAP. Le mutazioni del gene SRCAP sono responsabili dell’origine della rara sindrome genetica Floating-Harbor.
La tintarella per combattere i reumatismi
News Presa, PrevenzioneL’estate è sinonimo di mare e di sole. Le giornate trascorrono in spiaggia con il caldo afoso e la sabbia bollente. La stagione estiva, però, è anche un’ottima occasione per curare determinate patologie come l’osteoporosi. L’irradiazione solare, infatti, favorisce la sintesi della vitamina D. Insomma, sebbene sia pericoloso esporsi al sole senza le dovute precauzioni, soprattutto nelle ore più calde, molte malattie reumatiche traggono beneficio dall”esposizione solare, favorendo l’accumulo di vitamina D nel tempo.
Per prevenire l’insorgere di problemi in vacanza, oltre alle regole generali che valgono per tutti, ci sono prima degli aspetti da considerare riguardo ai reumatismi. Per alcuni casi, come quelli di tipo infiammatorio, l’esposizione non è consigliata, può provocare infatti l’aumento dell’infiammazione. Per pazienti affetti da Lupus è assolutamente controindicata l’esposizione in spiaggia. Un cappello in questi casi non basta bisogna anche applicare una crema ad altissima protezione per evitare la sollecitazione della luce. Molti malati sono affetti da una condizione che si chiama Fibromialgia, anche per loro è sconsigliata l’esposizione; così come la ventilazione eccessiva, gli ambienti nei quali il condizionamento dell’aria sia estremamente basso e in generale gli sbalzi di temperatura.
Accortezze che valgono per tutti, per prevenire soprattutto il rischio di lombalgia, cervicalgia e torcicollo. È buona norma asciugarsi, se si è sudati, prima di entrare in un ambiente condizionato, anche quando si entra in macchina. I pazienti che soffrono di reumatismi, prendono abitualmente farmaci, ma il trasporto deve avvenire in borse refrigerate, possibilmente riposte nell’abitacolo e non nel portabagagli.
Meglio scegliere poi bagagli con le rotelle, evitando di sollevare pesi troppo pesanti, facendo attenzione anche alle torsioni. La prevenzione per le malattie reumatiche inizia nel momento della partenza per le vacanze, per poi poter godere del sole e della vitamina D, molto importante soprattutto per le donne.
Alimentazione, da Napoli la ricetta del benessere
Alimentazione, News PresaIn tema di alimentazione tutti almeno una volta nella vita ci siamo sentiti ripetere che “a tavola non si invecchia”. Vero, ma non sapevamo che a tavola si può addirittura ringiovanire. Un’alimentazione sana non solo può coniugare l’equilibrio nutrizionale con il piacere della buona tavola, ma può addirittura aiutare il nostro corpo a tenersi giovane e sano, facendoci apparire più giovani e certamente anche più belli. Il problema è che sempre più spesso, sopratutto per ragioni di tempo, scegliamo invece di lasciarci andare a cibi da fast food o anche a prodotti in scatola. Di questi argomenti, e di molto altro, si parlerà nel corso del food contest «Colesterolo cattivo? No, grazie!», organizzato dalla Federico II di Napoli assieme all’associazione Italiana Food Blogger (AIFB). Nasce così il progetto “Insieme per la salute: la ricetta giusta per il tuo benessere”. L’iniziativa è ideata per favorire un’alimentazione sana non e soprattutto non “medicalizzata”, insomma un’alimentazione per la quale il rigore scientifico e la correttezza metodologica incontrino il gusto ed il piacere della buona tavola, la ricerca dell’equilibrio nutrizionale, la creatività e la sperimentazione in cucina, aumentando la consapevolezza delle scelte nutrizionali attraverso una sana cultura alimentare.
Alimentazione, Tradizione e innovazione
La sfida tra food blogger quest’anno si gioca sul terreno della tradizione e dell’innovazione, della semplicità e della convivialità, per celebrare e diffondere i sani stili di vita e le corrette regole alimentari proposte dalla Dieta Mediterranea, riconosciuta nel 2010 patrimonio immateriale dell’Umanità dall’UNESCO.
Fino a domenica 31 luglio i food blogger possessori di siti web dedicati alla cucina e all’alimentazione potranno candidare la propria ricetta per il contest “Dieta Mediterranea? Sì, grazie!”.
Per il regolamento completo clicca qui.
Biogen Italia: «Tutto il nostro impegno e la nostra esperienza»
Economia sanitaria, Farmaceutica«Il nostro impegno nell’avventura dei biosimilari è iniziato da cinque anni. Si tratta di un percorso nato a seguito di una joint venture con Samsung, dalla quale è nata una società che si occupa esclusivamente di sviluppo, produzione e commercializzazione di questi farmaci». A parlare è il dottor Paolo Gili, responsabile della business unit per i farmaci biosimilari di Biogen Italia, da sempre convinto che «più i farmaci biosimilari saranno usati, maggiori saranno le risorse economiche che si potranno reinvestire nella farmaceutica»
Quanto ha contato il vostro know how in questo progetto?
«È stato determinate. Quando Samsung ha scelto di entrare in questo mondo ha puntato su Biogen proprio per questo. Servono competenze e impianti tecnologici di altissimo livello. Noi produciamo i biosimilari negli stessi stabilimenti nei quali diamo vita ai nostri farmaci biotecnologici».
L’uso dei biosimilari può rendere le cure più accessibili?
«Sì, nella misura in cui ogni Regione, e il sistema sanitario nel suo complesso, può reinvestire i soldi risparmiati nell’acquisto di farmaci. Penso per esempio alle molecole innovative che hanno spesso costi molto alti».
L’Italia come si pone rispetto a questo tipo di farmaci?
«In tutta Europa le regole sono stringenti, tutti i biosimilari devono essere registrati centralmente presso l’Ema, poi ogni paese li recepisce e li introduce sul mercato. In Italia abbiamo saputo affrontare il tema con ragionevolezza, affidando una grande responsabilità alla decisione dei clinici. Forse la questione più difficile da risolvere riguarda le singole Regioni, cioè quelli che alla fine dei conti sono i “soggetti pagatori”. Non esiste un comportamento uniforme, ciascuna Regione decide in modo autonomo, e questo genera anche grandi diseguaglianze».
Qual è l’impegno per i prossimi anni?
«Il nostro impegno è legato al servizio che viene erogato ai pazienti. Tutto il nostro lavoro è finalizzato a garantire farmaci nuovi e sempre più accessibili. Se il sistema nazionale riesce a liberare risorse, questi stessi soldi potranno essere usati per migliorare l’offerta di salute reinvestendo in farmaceutica».
Vi spiego perché i biosimilari sono farmaci sicuri
Economia sanitaria, FarmaceuticaQuando si parla di innovazione e di salute la prima cosa alla quale si pensa è la sicurezza. Sul web il tema dei biosimilari è molto dibattuto, l’eccezione più comune sollevata da chi è scettico è che milioni di euro potrebbero far “vacillare” l’integrità di chi è chiamato a controllare. Perché questo non sia neanche lontanamente possibile ce lo spiega il professor Pier Luigi Canonico, tra i massimi esperti in materia. «I farmaci biosimilari — dice — sono sottoposti a una serie tanto ambia di test prima di arrivare sul mercato da risultare impressionante. Incidere in qualche modo sul processo di verifica e autorizzazione è inverosimile, non ho alcun dubbio sul fatto che siano assolutamente efficaci e sicuri».
Professore, a chi spetta l’ultima parola?
«Il punto è proprio questo, non c’è alcun governo in Europa che possa decidere autonomamente di mettere in commercio un farmaco biosimilare. Il via libera deve essere dato a livello centrale dall’Agenzia europea dei farmaci».
Perché dovremmo preferire questi farmaci?
«Usare i biosimilari permette di creare una concorrenza nel rispetto della garanzia di efficacia e sicurezza. Non sfuggirà a nessuno che aumentare la competizione significa anche diminuire fare in modo che i prezzi calino e quindi diventa possibile aumentare la sostenibilità del sistema sanitario. In ogni paese con un sistema sanitario pubblico questo equivale ad un accesso alle cure veramente aperto a tutti».
Ci spiega qual è l’iter che porta all’approvazione?
«È il Comitato per i prodotti medicinali ad uso umano (Chmp) che rilascia l’autorizzazione all’immissione in commercio dopo aver valutato informazioni generali, materie prime (principio attivo ed eccipienti), processo di produzione, controlli di qualità, caratterizzazione e controllo della sostanza attiva. Il percorso si completa sempre con uno studio clinico “testa a testa” con il farmaco originatore, studio che serve a dimostrare appunto efficacia, sicurezza e immunogenicità».
Gli “scettici” paventano che si possano produrre risposte immunitarie impreviste, è vero?
«Nella pratica no. Se guardiamo alla teoria, allora tutti i farmaci biotecnologici possono portare alla formazione di anticorpi. Tuttavia lo studio della sicurezza sotto il profilo immunitario serve proprio a scongiurare questo rischio».
Per quali patologie si usano questi farmaci?
«Tutte le malattie per le quali oggi si usano i farmaci biotecnologici, e le garantisco che sono sempre di più. Si usano in ambito oncologico, nefrologico, ematologico. Ormai stanno arrivando anche quelli per il diabete di tipo I e II e moltissime altre patologie».
Melanoma, una settimana di approfondimenti per «salvarsi la pelle»
PrevenzionePer un’intera settimana PreSa dedica servizi di approfondimento al melanoma. Iniziative, curiosità, nuove opzioni terapeutiche e molto altro per tenersi informati e scegliere comportamenti responsabili. Al di là dello slogan «Salvati la pelle», che comunque è sempre valido, è bene fermarsi a ragionare un po’ di più su quali possono essere le conseguenze di questo tumore della pelle. Questo porta ad un numero enorme di decessi, circa 1.700 l’anno (e 10.500 nuovi casi). Se solo si guarda all’attività dell’Istituto per i tumori Pascale, i nuovi casi trattati ogni anno sono circa 450 e di questi il 20 per cento dei casi (media valida anche in generale) si riscontra in pazienti di età compresa tra i 15 e i 39 anni. Negli uomini la zona più a rischio è il tronco (con il 38 per cento di probabilità di sviluppo della malattia), mentre nelle donne sono le gambe (con il 42 per cento).
«Il melanoma – conferma il professor Nicola Mozzillo del Pascale – è il tumore più frequente nei giovani al di sotto dei 30 anni ed è quindi importante che sia trattato in centri specializzati. Salvare una vita è sempre importante, salvare quella di un giovane lo è ancora di più».
I dati
Stando ai dati, il 70 per cento dei melanomi sono diagnosticati in fase precoce, una percentuale che i medici auspicano innalzare ancora grazie a un panorama di terapie che. Un risultato, spiega Mozzillo, possibile anche grazie al fatti che negli ultimi anni il panorama dei trattamenti è cambiato radicalmente e apre le porte verso prospettive prima impensabili, dilatando l’approccio terapeutico sia chirurgico che medico».
Comportamenti a rischio
Eppure, è tanta è la voglia di abbronzatura, che spesso ci si dimentica quanto sia pericoloso esagerare. Se poi ci si mette anche un po’ di disinformazione mediatica il disastro è fatto. Una volta tanto, allora, proviamo a ragionare su cosa è sbagliato. In primo luogo, non esistono creme solari a schermo totale. Pensare di starsene quattro o cinque ore sotto il sol leone, del al sicuro, solo perché ci si è messi una protezione 50 è un’illusione. I filtri solari sono importantissimi, ma non per questo non si deve stare attenti. Altro errore, purtroppo comune, è quello di pensare che una carnagione scura metta al riparo da ogni problema. Sì, l’identikit del soggetto a rischio è capelli rossi o biondi, occhi chiari e carnagione chiara, ma questo non significa che tutti gli altri siano al sicuro. Serve, come sempre nella vita, un po’ di buon senso. La letteratura scientifica ci dice che la predisposizione genetica è dimostrata dai casi di familiarità e anche dalla evenienza di melanomi multipli nello stesso soggetto; la ragione, invece, ci suggerisce di evitare il sole diretto nelle ore più calde. Di usare sempre e in maniera ripetuta durante il giorno i filtri solari e, cosa non meno importante, di prenotare periodicamente una visita dal dermatologo. Piccoli “segreti” che possono «salvarci la pelle».
Antibiotici e super batteri, a rischio soprattutto i neonati
Farmaceutica, News BreviL’Italia, a detta dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc), è il quinto Paese in Europa, dopo Grecia, Francia Lussemburgo e Belgio, per utilizzo giornaliero di antibiotici. Il che tende a favorire la resistenza di batteri come lo Stafilococco aureo, l’enterococco, lo pseudomonas, la klebsiella, l’escherichia coli. E la lista potrebbe continuare. Insomma, batteri trasformatisi in super batteri, con i neonati che sono la fascia di popolazione più a rischio.
Un vero e proprio allarme quello che la Società Italiana di Neonatologia (SIN) ha lanciato lo scorso 10 giugno a Pavia in occasione del VII Convegno internazionale sulle infezioni neonatali. Già nel 2013 i neonatologi avevano avvertito del pericolo, scaturito dal rapporto Review on Antimicrobial Resistance commissionato dal premier inglese David Cameron in seguito all’epidemia di neonati morti in India a causa dell’inefficacia di antibiotici.
Dei quattro milioni di decessi in epoca neonatale che avvengono ogni anno nel mondo, il 36 per cento, quindi circa 1,4-1,5 milioni, sono causati da patologie infettive. Il fatto che queste infezioni stiano diventando sempre più difficili da curare non farà altro che aumentare il triste bilancio. La resistenza dei batteri agli antibiotici rappresenta una delle sfide più importanti della neonatologia per i prossimi anni.
Mauro Stronati, presidente della Sin, afferma che l’emergere di resistenze avviene naturalmente non appena l’antibiotico viene utilizzato. Il quadro che emerge è quello di un mondo in cui “l’arsenale” per combattere i microrganismi è sempre più limitato. I motivi di questa povertà sono essenzialmente due: lo scarso investimento delle industrie farmaceutiche nella scoperta di nuove molecole, e la circolazione di batteri resistenti a pressoché tutti gli antibiotici già in commercio.
Carne macinata irradiata, in Canada si valuta la fattibilità
Alimentazione, News BreviUn sistema per ridurre il livello di varie tipologie di batteri, come Salmonella e Campylobacter, nella carne macinata? Il Dipartimento di Sanità del Canada sta pensando di permettere l’irraggiamento, tecnologia già utilizzata nel Paese nordamericano per il trattamento di patate, cipolle, frumento, farina, spezie e preparati di stagionatura.
Il Dipartimento ha stabilito che la carne macinata irradiata è sicura da mangiare e mantiene le peculiarità nutritive, il gusto, la consistenza e l’aspetto; ha, inoltre, concluso che ci sono dati sufficienti per sostenere che l’irradiazione riduce i livelli di batteri come E. coli O157:H7. Cosa non da poco se si pensa che la contaminazione con questo microbo ha portato al più grande richiamo di manzo nella storia del Canada, nel settembre 2012.
Il Dipartimento di Sanità canadese aveva proposto di consentire la vendita di carne macinata irradiata gia nel 2002, ma alcune associazioni di consumatori e singoli canadesi non hanno sostenuto la proposta a causa dello scetticismo che, ancora oggi, circonda questa tecnologia applicata al food: è il termine stesso, “radiazione”, ha detta di Tim Sly, docente alla School of Public Health della Ryerson University di Toronto, che “induce la gente ad afferrare i propri figli e a fuggire verso le colline”.
Ma come funziona questa tecnologia? L’irradiazione degli alimenti comporta il “bombardamento” del cibo con radiazioni, con raggi gamma o raggi X, che sono comunemente impiegati per la sterilizzazione dei prodotti medici e dentistici ionizzanti. Gli alimenti irradiati devono essere chiaramente etichettati con una descrizione chiara e il simbolo dell’irradiamento sull’imballaggio stesso.
E nel resto del mondo? L’Unione Europea autorizza solo l’irradiazione di erbe aromatiche essiccate, spezie e condimenti vegetali, anche se alcuni paesi dell’UE consentono l’irradiazione di altri alimenti, come il pollame.
Gli Stati Uniti permettono di irradiare carne cruda di manzo refrigerata o congelata, anche per prolungarne la durata, perché con l’irradiazione si previene il deterioramento precoce e aumenta di conseguenza la shelf life dell’alimento.