Tempo di lettura: 3 minutiIl welfare non è un lusso, o almeno non dovrebbe esserlo. Oggi invece i moderni sistemi di welfare, e quello italiano in primis, faticano a rispondere adeguatamente ai cambiamenti della società. Una frattura, se vogliamo uno scollamento dalle realtà sociali contemporanee, rende impossibile una reale comprensione di bisogni sempre più multiproblematici e complessi. Non bastasse questo, la crisi economico-finanziaria ha acuito la vulnerabilità delle fasce più deboli della popolazione, generando un impoverimento materiale e di prospettive: basta pensare alla difficile condizione dei bambini, dei giovani, delle donne e degli anziani.
Lectio Magistralis
Come meravigliarsi, dunque, dell’interesse suscitato dalla Lectio Magistralis tenuta da Giuseppe Guzzetti, presidente dell’associazione delle Fondazioni di origine bancaria, e della Fondazione Cariplo, dal titolo «Il Welfare di Comunità», organizzata a Roma da Federsanità ANCI in collaborazione con Ifel, Cittalia e Centro di Documentazione e Studi dei Comuni. Una Lectio Magistrali con la quale Guzzetti ha proposto con forza l’esigenza di una «riprogettazione del sistema italiano di welfare» quale impresa «sempre più necessaria».
Nuove esigenze
Rivedere il sistema, ha spiegato Guzzetti, non è un’esigenza solo di costo (stante la difficile situazione del bilancio pubblico del nostro Paese) ma soprattutto è necessario per «rendere il sistema italiano dei servizi sociali più capace di affrontare le nuove sfide che si presentano al paese, per tornare a pensare il welfare come un fattore propulsivo del nostro sistema economico e sociale e non come una “zavorra”, un ostacolo per lo sviluppo.
Giuseppe Guzzetti
Un buon sistema di welfare, invece, favorisce la coesione sociale e questa è la precondizione per una crescita autentica e duratura. I termini della sfida sono ormai chiari. I rischi sociali a cui il sistema di welfare tentano di rispondere sono molto cambiati negli ultimi vent’anni: l’invecchiamento della popolazione, la caduta della natalità, la crescita (seppure ancora insufficiente) della partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’impatto della globalizzazione sul mercato del lavoro, la forte immigrazione e altro ancora, sono tutti fattori che hanno contribuito a cambiare le condizioni di rischio sociale».
Welfare di comunità
Bisogna sperimentare nuove modalità di intervento che contribuiscano alla realizzazione di un “welfare di comunità”, un modello di politica sociale che garantisca maggiore soggettività e protagonismo alla società civile, aiutandola nella realizzazione di un percorso di auto- organizzazione e di autodeterminazione fondato sui valori comunitari della solidarietà, della coesione sociale e del bene comune. «Il tema del ripensamento del welfare – ha proseguito Guzzetti – è un tema molto caro alle Fondazioni di origine bancaria e a Fondazione Cariplo, in particolare. Dal 2004 infatti Fondazione Cariplo ha dato il via a un programma ambizioso che specificatamente per il per il welfare di comunità e l’innovazione sociale negli ultimi tre anni ha messo a disposizione 30 milioni di euro, con l’obiettivo di sostenere sistemi territoriali pubblico/privati che hanno lavorato su percorsi di riprogettazione e di adeguamento delle risposte ai bisogni della comunità. Tale approccio passa attraverso l’innovazione dei servizi, il ripensamento della spesa sociale attuale e la capacità di ricomporre risorse pubbliche e private, la mobilitazione della società civile che partecipa e investe sui valori della solidarietà, della reciprocità e del bene comune».
Il ruolo degli enti locali
I lavori sono stati coordinati da Lucio Alessio D’Ubaldo, Segretario Generale di Federsanità ANCI, che ha sottolineato come «la titolarità delle risposte ai bisogni sociali della popolazione e lo sviluppo dei servizi alla persona sono demandati agli enti locali primi interlocutori sul territorio. Bisogna partire da qui per favorire un rinnovamento del welfare locale che si realizzi attraverso l’innovazione di servizi, dei processi e dei modelli, potenziando i sistemi di governance territoriale. Proprio in relazione alla governante – ha detto D’Ubaldo – i sistemi territoriali, valorizzando ove possibile la programmazione territoriale già attivata, dovrebbero intraprendere azioni volte a realizzare nuove forme di alleanza pubblico/privato (profit e non profit), arricchendo il sistema di programmazione territoriale di attori “non convenzionali” del cosiddetto “secondo welfare” (aziende, associazioni di categoria, fondazioni private e di comunità, e così via) e riorientare l’utilizzo delle risorse, evitando dispersioni e sprechi».
50% dei casi dipende da lui, ma 1 coppia su 4 salta controllo fertilità maschile
Associazioni pazienti, Bambini, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneQuando c’è il desiderio di un figlio, ma non arriva, a fare i controlli è più spesso la donna. Il maschio è il ‘grande assente’. Lo segnalano gli esperti della Società Italiana di Andrologia (SIA) nel corso del loro Congresso Nazionale, durante la sessione sulla alla fertilità. “L’infertilità maschile ha subito negli ultimi anni una forte impennata e il fattore maschile è esattamente sovrapponibile a quello femminile. Ciò nonostante, mentre si moltiplicano i programmi di prevenzione per la donna e, a volte, ci si accanisce nell’individuazione e trattamento delle cause femminili, spesso si tralascia o si trascura del tutto l’altra metà della coppia – commenta Alessandro Palmieri, presidente SIA e professore dell’Università Federico II di Napoli – “Dal confronto a livello nazionale delle nostre esperienze emerge che il 25% delle coppie infertili “salta” diagnosi e cure dell’infertilità maschile, che consentirebbero di evitare almeno 8mila PMA l’anno con un risparmio di oltre 150 milioni di euro e, nei casi in cui la procedura resti indispensabile, migliorarne fino al 50% la probabilità di successo, visto che una su due è tuttora destinata a fallire. Inoltre le procedure sono spesso ‘pesanti’, dato che l’80% delle coppie viene sottoposto a terapie di secondo e terzo livello, come ad esempio la FIVET ” continua Palmieri. Palmieri spiega che la PMA deve rappresentare “l’ultima spiaggia” di approdo e non essere vissuta come una “scorciatoia”. Peraltro, esiste anche una normativa, del tutto disattesa, per cui si potrebbe accedere alla PMA solo con la certificazione che il maschio non può essere curato: nella realtà invece accade esattamente il contrario e si arriva a valutare il maschio prima e non dopo il ricorso alla PMA. Anche i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, varati a gennaio scorso, per la prima volta danno ampio spazio alla salute riproduttiva tanto dell’uomo che della donna, sottolineando l’importanza della consulenza preconcezionale in entrambi i partner e della prevenzione attraverso corretti stili di vita che preservino la fertilità. È la prima volta che la salute sessuale maschile occupa un ruolo di tale rilevanza nei LEA, anche se per ora si tratta solo di linee programmatiche, ma che in futuro potranno essere vincolanti.
Speciale Salute, appuntamento con la prevenzione
Alimentazione, Associazioni pazienti, Bambini, Farmaceutica, SpecialiLunedì 29 maggio un nuovo appuntamento con la Prevenzione e la Salute, in edicola con il Corriere della Sera/Corriere del Mezzogiorno. L’inserto, realizzato in partnership con PreSa approfondisce ogni mese i temi più attuali in fatto di salute, con l’obiettivo preciso di informare il lettore e migliorare la capacità di ciascuno di prendersi cura di sé. In questo numero verrà dedicato ampio spazio ai benefici (ma anche alle insidie del vino e dell’alcol). E ancora, spazio a focus approfonditi su linfomi e mielomi e le relative terapie; nonché ad uno dei mali del nostro secolo, l’Artrite reumatoide. L’appuntamento è in edicola per lunedì 29 maggio, sempre e solo con il Corriere della Sera/Corriere del Mezzogiorno.
Il Welfare di Comunità come volano per il Paese
News PresaIl welfare non è un lusso, o almeno non dovrebbe esserlo. Oggi invece i moderni sistemi di welfare, e quello italiano in primis, faticano a rispondere adeguatamente ai cambiamenti della società. Una frattura, se vogliamo uno scollamento dalle realtà sociali contemporanee, rende impossibile una reale comprensione di bisogni sempre più multiproblematici e complessi. Non bastasse questo, la crisi economico-finanziaria ha acuito la vulnerabilità delle fasce più deboli della popolazione, generando un impoverimento materiale e di prospettive: basta pensare alla difficile condizione dei bambini, dei giovani, delle donne e degli anziani.
Lectio Magistralis
Come meravigliarsi, dunque, dell’interesse suscitato dalla Lectio Magistralis tenuta da Giuseppe Guzzetti, presidente dell’associazione delle Fondazioni di origine bancaria, e della Fondazione Cariplo, dal titolo «Il Welfare di Comunità», organizzata a Roma da Federsanità ANCI in collaborazione con Ifel, Cittalia e Centro di Documentazione e Studi dei Comuni. Una Lectio Magistrali con la quale Guzzetti ha proposto con forza l’esigenza di una «riprogettazione del sistema italiano di welfare» quale impresa «sempre più necessaria».
Nuove esigenze
Rivedere il sistema, ha spiegato Guzzetti, non è un’esigenza solo di costo (stante la difficile situazione del bilancio pubblico del nostro Paese) ma soprattutto è necessario per «rendere il sistema italiano dei servizi sociali più capace di affrontare le nuove sfide che si presentano al paese, per tornare a pensare il welfare come un fattore propulsivo del nostro sistema economico e sociale e non come una “zavorra”, un ostacolo per lo sviluppo.
Giuseppe Guzzetti
Un buon sistema di welfare, invece, favorisce la coesione sociale e questa è la precondizione per una crescita autentica e duratura. I termini della sfida sono ormai chiari. I rischi sociali a cui il sistema di welfare tentano di rispondere sono molto cambiati negli ultimi vent’anni: l’invecchiamento della popolazione, la caduta della natalità, la crescita (seppure ancora insufficiente) della partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’impatto della globalizzazione sul mercato del lavoro, la forte immigrazione e altro ancora, sono tutti fattori che hanno contribuito a cambiare le condizioni di rischio sociale».
Welfare di comunità
Bisogna sperimentare nuove modalità di intervento che contribuiscano alla realizzazione di un “welfare di comunità”, un modello di politica sociale che garantisca maggiore soggettività e protagonismo alla società civile, aiutandola nella realizzazione di un percorso di auto- organizzazione e di autodeterminazione fondato sui valori comunitari della solidarietà, della coesione sociale e del bene comune. «Il tema del ripensamento del welfare – ha proseguito Guzzetti – è un tema molto caro alle Fondazioni di origine bancaria e a Fondazione Cariplo, in particolare. Dal 2004 infatti Fondazione Cariplo ha dato il via a un programma ambizioso che specificatamente per il per il welfare di comunità e l’innovazione sociale negli ultimi tre anni ha messo a disposizione 30 milioni di euro, con l’obiettivo di sostenere sistemi territoriali pubblico/privati che hanno lavorato su percorsi di riprogettazione e di adeguamento delle risposte ai bisogni della comunità. Tale approccio passa attraverso l’innovazione dei servizi, il ripensamento della spesa sociale attuale e la capacità di ricomporre risorse pubbliche e private, la mobilitazione della società civile che partecipa e investe sui valori della solidarietà, della reciprocità e del bene comune».
Il ruolo degli enti locali
I lavori sono stati coordinati da Lucio Alessio D’Ubaldo, Segretario Generale di Federsanità ANCI, che ha sottolineato come «la titolarità delle risposte ai bisogni sociali della popolazione e lo sviluppo dei servizi alla persona sono demandati agli enti locali primi interlocutori sul territorio. Bisogna partire da qui per favorire un rinnovamento del welfare locale che si realizzi attraverso l’innovazione di servizi, dei processi e dei modelli, potenziando i sistemi di governance territoriale. Proprio in relazione alla governante – ha detto D’Ubaldo – i sistemi territoriali, valorizzando ove possibile la programmazione territoriale già attivata, dovrebbero intraprendere azioni volte a realizzare nuove forme di alleanza pubblico/privato (profit e non profit), arricchendo il sistema di programmazione territoriale di attori “non convenzionali” del cosiddetto “secondo welfare” (aziende, associazioni di categoria, fondazioni private e di comunità, e così via) e riorientare l’utilizzo delle risorse, evitando dispersioni e sprechi».
ISC: ragazzi poco consapevoli delle malattie sessualmente trasmissibili
News Presa, Nuove tendenze, Prevenzione, Ricerca innovazioneQuasi tutti gli adolescenti fra i 13 e i 17 anni conoscono i rischi del virus dell’Hiv e giudicano questa malattia come la più pericolosa (72,2%). Peccato però che siano totalmente impreparati su altre malattie, come l’epatite. Inoltre, solamente il 6,6% dei ragazzi e delle ragazze associa la sessualità a “procurarsi un contraccettivo”. I giovani conoscono l’esistenza del preservativo e della pillola in oltre il 90% dei casi, mentre tutti gli altri anticoncezionali sono conosciuti da meno del 50% e il loro meccanismo d’azione è dichiarato conosciuto da percentuali ancora più basse.
A fare un quadro della consapevolezza degli adolescenti italiani è l’indagine condotta dall’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma (ISC), membro della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica (FISS) i cui dati sono stati resi noti in occasione dell’AdolescenDay, la VII Giornata degli Adolescenti celebrata nel mese di maggio.
Tra i suoi obiettivi, giungere a una Carta dei diritti degli Adolescenti che veda tra gli altri temi la sessualità come diritto, la prevenzione della violenza, del bullismo, delle infezioni sessualmente trasmissibili e delle gravidanze indesiderate.
Durante la ricerca, è stato rivolto il questionario a un gruppo composto da 185 studenti del biennio di un liceo di Roma di entrambi i sessi (42 maschi e 143 femmine), di età compresa tra i 13 e i 17 anni. L’indagine è stata svolta nel periodo di febbraio 2016, durante l’orario scolastico, attraverso un questionario scritto a risposte aperte e multiple. Non vuole essere un’indagine scientifica, ma sicuramente indicativa di quelli che sono gli orientamenti e le conoscenze degli adolescenti.
“Si tratta di un gruppo limitato di adolescenti – commenta Roberta Rossi, Presidente della FISS – per cui possiamo parlare della rappresentazione di una tendenza riguardo le conoscenze sulla sessualità, l’uso di contraccezione e delle infezioni sessualmente trasmissibili. I ragazzi da più parti chiedono a gran voce che ci sia una educazione alla sessualità, svolta da esperti, che li aiuti ad orientarsi nella mole di informazioni, a volte contraddittorie ed erronee, che ricevono da più fonti. Tutto questo aumenterebbe la loro consapevolezza e si sentirebbero rassicurati, possiamo quindi continuare a tralasciare questa necessità?”.
L’indagine ha fatto rilevare una forte carenza di informazioni sulle infezioni sessualmente trasmissibili (Ist). Durante la somministrazione del questionario la maggior parte del campione ha chiesto ai ricercatori delle informazioni su cos’è l’epatite. I risultati sono in linea con un’altra indagine, condotta recentemente dal Censis su 1.000 giovani dai 12 ai 24 anni. In questo caso, il 94% dei giovani ha sentito parlare di infezioni a trasmissione sessuale e per la maggior parte (89,6%) l’Aids è la sindrome più nota, mentre altre infezioni non sono così ben conosciute.
In onda le storie di “piccoli giganti” per promuovere la solidarietà
Bambini, News Presa, PrevenzioneAnche l’intrattenimento televisivo qualche volta può essere un mezzo per sensibilizzare e promuovere la solidarietà. È il caso del penultimo appuntamento su Real Time con il programma “Piccoli Giganti”, condotto da Gabriele Corsi con il piccolo Giorgio Zacchia che racconta le storie di piccoli bambini nati in contesti difficili che rivendicano il loro diritto all’infanzia. La malnutrizione nel mondo colpisce circa 200 milioni di bambini e quando un bambino è malnutrito non ha la forza di camminare, giocare, ridere e neppure di piangere.
L’UNICEF, che collabora alla realizzazione del programma e mette a disposizione la borsa di studio per la squadra vincitrice al termine delle sei puntate, anche in questa puntata racconterà le storie di vita di bambini meno fortunati, “piccoli giganti” che lottano quotidianamente contro le ingiustizie, le violenze, le guerre e la povertà, e affronterà il tema della “Nutrizione”. Verrà raccontata la storia di Hadiza, bambina nigeriana di 7 mesi che pesa solo 3 chili e di Nyabiel che ha 5 anni ed è in cura presso un centro nutrizionale sostenuto dall’UNICEF in Sud Sudan.
Le squadre degli Aquiloni, delle Stelle Filanti e delle Bolle di Sapone, capitanate, rispettivamente, da Massimiliano Rosolino, Rossella Brescia e Leonardo Decarli, sono pronte a salire sul palco e a esibirsi davanti alla giuria composta da Enzo Miccio, Benedetta Parodi e Serena Rossi. Ospite di questa puntata il cantante Lele.
Infarto, può dipendere dal sistema immunitario
News Presa, PrevenzioneIn molti casi di infarto, si parla addirittura del 30% del totale, il colpevole è il sistema immunitario. Un insospettabile colpevole che può indurre un’eccessiva azione infiammatoria. A svelarlo è una ricerca dell’Istituto di Cardiologia della Cattolica e Polo di Scienze Cardiovascolari e Toraciche del Gemelli diretto da Filippo Crea, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology. Il meccanismo è quello dell’eccessiva risposta, vale a dire che un’attività esagerata di alcune cellule immunitarie, i linfociti di tipo T, porta a un’eccessiva infiammazione della placca aterosclerotica depositata sulle pareti dei vasi sanguigni, placca che poi va incontro a rottura e causa l’infarto.
Medicina personalizzata
Il tema sembra essere quanto mai importante nell’ottica della medicina di precisione. Infatti negli ultimi anni si è iniziato a capire che gli infarti non sono tutti uguali, ma originano da meccanismi diversi che si traducono in prognosi diverse da paziente a paziente. I progetti di ricerca in corso e futuri presso il Gemelli, consentiranno di sviluppare terapie mirate sulla base del meccanismo che porta all’infarto e di stabilire per ogni paziente la prognosi, nonché indicazioni sulle misure di prevenzione primaria e secondaria da seguire. Uno dei meccanismi possibili è proprio mediato dall’azione del sistema immunitario sulla placca: in un sottogruppo di pazienti si è visto che la placca aterosclerotica sulle pareti dei vasi che ossigenano il cuore (le coronarie) va incontro a rottura e successiva formazione del trombo con meccanismi che coinvolgono uno squilibrio nelle cellule del sistema immunitario. Inoltre altre ricerche hanno evidenziato come in circa la metà degli infarti non si verifica rottura di placca e che in assenza di rottura la prognosi dei pazienti è più favorevole a lungo termine. In alcuni casi si ha solo un’erosione, e probabilmente questi infarti necessitano di terapia diversa senza necessità di impiantare uno stent coronarico.
Una seconda chance
Chi è sopravvissuto a un infarto dovrebbe avere come obiettivo quello di ridurre il rischio di averne un secondo. Una missione impossibile? Assolutamente no. Ci si può riuscire seguendo alla lettera i consigli del medico, assumendo con costanza le terapie e mantenendo uno stile di vita sano. Il controllo del colesterolo e degli altri fattori di rischio è determinante e può essere raggiunto non solo attraverso un’adeguata terapia farmacologica, ma anche attraverso una dieta equilibrata e una moderata ma costante attività fisica.
Futuro Remoto, medici in campo per l’informazione
News Presa, PrevenzioneI medici napoletani guardano al futuro, anzi al Futuro Remoto. Al di là della battuta, i camici bianchi sono oggi alla kermesse di Piazza del Plebiscito a Napoli per svelare i segreti della comunicazione con i pazienti. Un tema importante, che ha convinto i medici partenopei a ritrovarsi con uno stand nell’isola tematica di «Scienze della vita» (dalle 10 alle 22). Uno stand dove si affronta il tema della digitalizzazione in ambito sanitario e vengono analizzati i cambiamenti intervenuti nel tempo nelle dinamiche di comunicazione.
Nuove frontiere
Per i cittadini sono stati preparati esempi con video di telemedicina, brocure con indicazione delle linee guida della FNOMCeO sul tema dell’Information and Communications Technology (ICT), e una survey sulla relazione tra medicina e salute nell’era di Internet. Inoltre vengono affrontati i temi della microscopia digitale in epiluminescenza, una tecnica diagnostica non invasiva per il riconoscimento delle lesioni pigmentate cutanee, e della ultrasonografia del calcagno, una metodica che sfrutta la trasmissione dell’onda ultrasonografica per ottenere informazioni sulla struttura ossea. Infine, le nuove frontiere dell’odontoiatra digitale per il rilevamento delle impronte. I giovani medici effettueranno una rassegna dei principali strumenti web e dei loro possibili utilizzi nella comunicazione in medicina e risponderanno a domande e curiosità proposte da chi è interessato con l’intento di chiarire l’importanza della comunicazione tra medico digitalizzato e paziente internauta.
La chiarezza al primo posto
Sapere cosa succede, essere informati, per molti pazienti è un’impresa. E questo genera ansia e fa pensare al paziente di essere in balia delle onde, abbandonato a se stesso, anche quando non è così. Non si parla di semplice rassicurazione, la questione riguarda l’essenza stessa della terapia. La capacità di un medico di comunicare in modo efficace con il paziente determina infatti l’intensità della relazione, influenza il livello di motivazione del paziente, contribuisce a far si che il paziente aderisca al trattamento, aumentando il livello di soddisfazione di entrambi. Tuttavia il tradizionale faccia a faccia tra medico e paziente si trova oggi nel pieno di una vera e propria rivoluzione. Da alcuni anni una nuova consapevolezza dell’utilità di formare gli operatori della salute come esperti di comunicazione sta prendendo lentamente piede.
Dottor internet
In questo contesto c’è un nemico subdolo, difficile da scalzare. Un simil-medico che non indossa camice e che non ha neanche la laurea. Chi? Dottor Internet. Oggi sono moltissimi i pazienti che provano l’auto-diagnosi utilizzando il web, dove si trova veramente di tutto, non solo bufale vere e proprie, ma anche notizie che il paziente stesso non ha la capacità di decifrare. Il medico da parte sua, sia per la iper-specializzazione della medicina che per la varietà di problematiche con cui confrontarsi, può trovare nell’utilizzo di Internet un supporto valido per reperire dati e confrontarsi con altri professionisti, ed inoltre si trova nella condizione di dover gestire situazioni diverse e nuove dinamiche relazionali con il paziente informato. Ecco perché è cruciale acquisire consapevolezza dell’evolversi delle modalità con cui le persone si relazionano alla medicina e ai medici con l’obiettivo di comprendere quali nuovi rapporti vengono a crearsi tra medico e paziente. La speranza è che, anche grazie ad iniziative come questa, si possa uscire dal paradosso del nostro millennio. Un tempo nel quale ogni cosa si basa sulla comunicazione, ma nel quale riuscire a comprendersi sembra sempre più difficile.
Giornata del sollievo. Turco: lotta al dolore priorità in agenda governo
Anziani, News Presa, PrevenzioneSi celebra il 28 maggio la Giornata nazionale del Sollievo. È dedicata al sollievo dal dolore per chi è arrivato alla fine della propria vita a causa di una malattia e ha bisogno di terapie e farmaci efficaci quanto di cura umana. Sono centinaia le manifestazioni previste per la XVI Giornata presentata e promossa dal Ministero della Salute, dalla Conferenza delle Regioni e dalla Fondazione Nazionale Gigi Ghirotti.
“Dietro la terapia del dolore c’è un’azione di civiltà, un accompagnamento dolce, estremamente importante per le famiglie”, ha commentato il ministro Beatrice Lorenzin intervenendo alla presentazione. In particolare, l’Osservatorio di monitoraggio delle cure palliative, istituito dalla Fondazione e coordinato dall’ex ministro Livia Turco, ha sottolineato che secondo le rilevazioni la legge è ancora oggi poco nota: il 63% dei cittadini intervistati non la conosce. L’analisi fa emergere però un dato molto positivo: le persone che sono state prese in carico dai centri di terapia del dolore e dagli hospice ne sottolineano la dote di qualità umana e professionale.
L’ex ministro Turco ha dichiarato: “Colpisce constatare che troppe persone vivono nella solitudine dell’inguaribilità”.
Poi ha lanciato un appello: “La lotta al dolore deve essere una priorità nell’agenda politica di chi governa, occorre impegnarsi affinché nessuno resti solo di fronte alla malattia”. “Non possiamo lasciare gli incurabili all’eutanasia”, ha aggiunto il presidente della Fondazione Isal William Raffaeli, “vogliamo occuparci di loro e dargli una casa”.
Per il 2017 il premio Gerbera d’oro, attribuito alla struttura sanitaria che si è distinta nell’affrancamento dal dolore inutile, è stato assegnato alla Lombardia per il progetto dall’ospedale Niguarda.
OMS: nel mondo, della metà dei decessi non viene registrata la causa
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneDella metà dei decessi, a livello mondiale, non viene registrata la causa e questo rende difficile sapere dove intervenire. Ad ogni modo, la situazione è in miglioramento. Nel 2005 le cause di morte conosciute e notificate erano solo un terzo del totale. Il problema è che molti paesi ancora non raccolgono abitualmente i dati con la qualità adatta a monitorare gli indicatori SDG (Sustainable Development Goals) relativi alla salute. A fare un quadro è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con un’analisi e il resoconto di tutti gli obiettivo da raggiungere entro il 2030.
Nel Rapporto World Health Statistics dell’Oms sono contenute le statistiiche di salute di 194 paesi e il loro progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile, tra cui una serie di dati su mortalità, malattie, e indicatori del sistema sanitario, come aspettativa di vita, malattia e morte per causa, servizi e trattamenti sanitari, investimenti finanziari nella sanità , fattori di rischio e comportamenti che influenzano la salute.
L’Oms ad esempio considera un successo che nel 2015 si sia giunti al dato che quasi la metà di tutti i decessi (27 milioni su 56 milioni di morti) a livello globale sono registrati con una causa ben definita. Diversi paesi hanno fatto passi significativi verso il rafforzamento dei dati raccolti, tra cui la Cina, la Turchia e la Repubblica islamica dell’Iran, dove il 90% dei decessi sono ora registrati con le informazioni dettagliate di causa di morte, contro il 5% nel 1999.
“Se i paesi non sanno perché le persone si ammalano e muoiono, è molto più difficile sapere cosa fare al riguardo – ha detto Marie-Paule Kieny, vicedirettore generale per i Sistemi sanitari e innovazione dell’Oms -. “L’Oms sta lavorando con i paesi per rafforzare i sistemi di informazione sanitaria e per consentire loro di ottenere progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile.”
La World Health Statistics, fornisce quindi un’istantanea dei dati positivi e delle minacce per la salute della popolazione mondiale. Ma mentre la qualità dei dati di salute è notevolmente migliorata negli ultimi anni, molti paesi ancora non raccolgono abitualmente i dati con la qualità adatta a monitorare gli indicatori SDG (Sustainable Development Goals) relativi alla salute.
Il rapporto include i nuovi dati sui progressi verso la copertura sanitaria universale che mostrano che a livello mondiale, dieci misure di copertura essenziale del servizio sanitario sono migliorate dal 2000.
La copertura del trattamento per l’HIV e le zanzariere per prevenire la malaria sono aumentati di più, da livelli molto bassi nel 2000. Sono in costante aumento anche l’accesso assistenza prenatale e ai servizi igienici adeguati, mentre ha rallentato la copertura di immunizzazione dei bambini di routine dal 2000 al 2010, tra il 2010 e il 2015.
L’accesso ai servizi è solo una dimensione della copertura sanitaria universale. L’altra è quanto la gente può pagare di tasca propria per tali servizi.
I dati più recenti provenienti da 117 paesi mostrano che una media del 9,3% delle persone in ogni paese spende più del 10% del loro bilancio familiare per l’assistenza sanitaria, un livello di spesa che rischia di esporre una famiglia a difficoltà finanziarie.
Tutto il rapporto completo è stato pubblicato sul sito dell’OMS.
Tiroide, aumentano i casi. Ecco cosa dicono gli esperti
News Presa, PrevenzioneDi questa settimana il dato che emerge dal Registro tumori infantili della Campania: aumentano i casi di tumore della tiroide anche nei bambini. Un dato preoccupante, che è in linea con quanto si osserva nel resto d’Italia e non solo. Oggi, per la Giornata Mondiale della Tiroide, PreSa vuole dedicare un servizio ampio e completo a questi tema, partendo ovviamente da quanto emerso dal Congresso Europeo di Endocrinologia di Lisbona, dove gli endocrinologi si sono confrontati e hanno condiviso il nuovo approccio relativo al trattamento delle piccole neoplasie della tiroide.
I noduli, se benigni
Da più parti si sono presentate relazioni che avvalorano un atteggiamento cauto e di monitoraggio dei noduli di piccole dimensioni che, se non danno disturbi e sono classificati come benigni dopo uno studio ecografico o un esame citologico con ago aspirato non richiedono un intervento chirurgico. Il motivo di questa procedura lo spiega Paolo Vitti, presidente eletto della Società Italiana di Endocrinologia. «La gran parte dei noduli alla tiroide (circa l’85%) – dice – non cresce nel corso del tempo e rimane benigna. Negli ultimi anni si è verificato un aumento dell’incidenza dei noduli tiroidei: questo aumento si è registrato soprattutto per le forme tumorali meno aggressive (istotipo papillare) e per tumori con dimensioni inferiori a 1 centimetro che sono stati rilevati grazie alla migliore sensibilità e il facile accesso ai moderni mezzi diagnostici che ha sicuramente influito nel “portare alla luce” quei piccoli tumori che probabilmente non sarebbero mai cresciuti fino a divenire clinicamente evidenti». Oggi fortunatamente, per i casi più seri, esistono cure prima impensabili.
Maggior informazione
Appuntamenti come quello appena concluso a Lisbona sono molto utili per la salute generale di questa ghiandola che, in questi ultimi anni è oggetto di campagne di sensibilizzazione che hanno portato le persone a una maggiore consapevolezza dell’importanza della tiroide per il proprio benessere. Non è un caso che le persone che hanno problemi alla tiroide, per spiegare la propria condizione, dichiarano di aver «perso il loro benessere».
Ipotiroidismo
L’ipotiroidismo, la malattia più frequente della tiroide che colpisce oltre 5 milioni di italiani, ha sintomi molto sfumati, ma comunque dannosi. Difficilmente il paziente comprende di avere una malattia, anche se sono davvero tanti: stanchezza, alterazioni del tono dell’umore, difficoltà di concentrazione, palpitazioni, nervosismo, insonnia, scarsa capacità di tollerare il freddo, gonfiore, pelle e capelli secchi e tanti altri disturbi. Proprio per questo il tema scelto per la Giornata Mondiale della Tiroide «Tiroide e benessere». Che si tratti di malattie che devono essere propriamente inquadrate e che i trattamenti debbano essere personalizzati ormai non basta più, la sfida è ridare quel benessere che tante persone dichiarano di avere perso.
A cosa serve la tiroide
La tiroide svolge una serie di funzioni vitali per il nostro organismo come la regolazione del metabolismo, il controllo del ritmo cardiaco, lo sviluppo del sistema nervoso, l’accrescimento corporeo, la forza muscolare e molto altro. Proprio per il ruolo di “centralina”, quando questa ghiandola non funziona correttamente, tutto il corpo ne risente. Il tumore può colpire ad ogni età e per questo motivo occorre non trascurare alcuni campanelli di allarme rivolgendosi al proprio medico in caso di dubbio.
Diete ricche di iodio
Essenziale il ruolo dell’assunzione di iodio in quantità adeguate per prevenire le malattie della tiroide, spiega Massimo Tonacchera, professore associato di endocrinologia e coordinatore nazionale del comitato della prevenzione della carenza iodica; questo elemento è il costituente essenziale degli ormoni tiroidei. La carenza di iodio anche lieve, che affligge ancora alcune aree del nostro paese, può provocare conseguenze anche gravi soprattutto se la carenza nutrizionale si verifica durante la gravidanza o la prima infanzia.