Tempo di lettura: 5 minutiLe donne vittime di violenza potranno curare le cicatrici gratuitamente grazie a un’iniziativa che finanzierà 500 terapie pro bono. All’evento di presentazione è intervenuta la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella. Il progetto si intitola: “RigeneraDerma, la possibilità di rinascita dopo la violenza di genere. 500 terapie pro bono per la cura delle cicatrici”. Maurizio Busoni, ideatore, e il Professor Andrea Sbarbati dell’Università di Verone, partner del progetto, hanno presentato i risultati fino ad oggi ottenuti. Filomena Lamberti e Maria Antonietta Rositani, simbolo della lotta alla violenza di genere, hanno raccontato la loro esperienza di rinascita.
Erano presenti anche i parlamentari di Fratelli d’Italia Elisabetta Lancellotta, Capogruppo in commissione Femminicidio, Maddalena Morgante, Responsabile dipartimento Famiglia e valori non negoziabili del partito e Andrea Pellicini, componente della commissione Giustizia alla Camera, e la senatrice Cinzia Pellegrino, Responsabile dipartimento Tutela Vittime del partito.
Violenza di genere
La violenza sulle donne continua la sua drammatica escalation. I femminicidi nel 2024 a oggi sono stati ben 9, nell’arco di soli due mesi e mezzo. Dietro questo dato spaventoso, ce n’è un altro che riguarda le donne che provando a liberarsi da un partner violento, vengono sfigurate, con danni permanenti che cambieranno per sempre la loro vita. La cronaca racconta spesso di uomini con tratti comuni, con un’idea che la donna sia una loro proprietà e la volontà di punirla per l’intenzione di volersi allontanare.
Il progetto
RigeneraDerma nasce da un’idea di Maurizio Busoni, Ricercatore, Docente presso il Master di Medicina Estetica dell’Università di Camerino e dell’Università di Barcellona, e si pone l’obiettivo di riparare il danno funzionale per migliorare la vita delle donne vittime di violenza di genere. Lo fa offrendo a 500 persone, la cura gratuita delle cicatrici con Biodermogenesi®, la metodologia per la rigenerazione dei tessuti cutanei, 100% italiana, presente in 32 Paesi nel mondo. Partner del progetto RigeneraDerma è l’Università di Verona.
«Anche in questa legislatura mi sono occupata di provvedimenti che avevano come obiettivo il contrasto alla violenza nei confronti delle donne. Il tema dell’evento di oggi è molto importante perché è un tema che riguarda la speranza. Una donna spesso vive in solitudine la scelta di fare una denuncia, così come il momento processuale. Per noi è importante che, oltre alla prevenzione e al contrasto, ci sia anche la tutela delle vittime affinché ciascuna donna non si senta mai sola. Su questi tre pilastri poggia infatti il ddl Femminicidio, provvedimento fortemente voluto dal Governo e dal ministro Roccella», ha spiegato l’On. Carolina Varchi, capogruppo di FdI in Commissione Giustizia alla Camera, in video collegamento all’evento.
Violenza sulle donne, la proposta di legge
«La proposta di legge a mia prima firma, ora in esame in Commissione Lavoro alla Camera, è volta ad inserire le vittime di violenza con deformazione o sfregio permanente del viso nelle categorie protette ai fini del collocamento obbligatorio del lavoro. Gli effetti dell’aggressione sulla vittima sono terribili, sia sul piano fisico sia sul piano psicologico, ma anche sul piano relazionale e sociale. Si tratta di una pdl che mi sta particolarmente a cuore, perché la violenza che colpisce il volto colpisce una delle parti essenziali della persona con le quali si relaziona e che sono espressione della sua identità», ha affermato l’On. Morgante.
«L’impegno del Governo e di Fratelli d’Italia nel contrasto alla violenza sulle donne si è concretizzato ulteriormente con la recente approvazione della legge voluta dal ministro Roccella. In essa vi sono strumenti efficaci finalizzati a prevenire questi odiosi comportamenti. Purtroppo però anche le migliori leggi a volte possono non bastare a impedire atti di mostruosa violenza che possono recare danni permanenti di grave entità. Vi sono stati casi di donne che sono state sfregiate con l’acido con conseguenze terribili. Vogliamo rimanere vicini a loro ed è per questo che guardo con ammirazione al progetto RigeneraDerma che ha permesso ad alcune donne di ‘tornare a sentire il vento sul viso’. Voglio per questo ringraziare gli specialisti che hanno creato questo metodo di cura, ma soprattutto Filomena Lamberti e Maria Antonietta Rositani per la loro preziosa e toccante testimonianza. Dopo l’inferno vissuto stanno poco a poco risorgendo», ha evidenziato l’On. Pellicini.
«La Commissione Femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere è uno strumento istituzionale strategico che si occupa di contrastare non solo il femminicidio, ma anche il fenomeno della violenza contro le donne, puntando sull’attività di prevenzione e su una vera rivoluzione culturale attraverso la scuola, lo sport e la famiglia. Sono tante le misure approvate dal governo Meloni in tema di violenza di genere, a riprova di quanto è per noi importante questo argomento: penso al raddoppio dei fondi destinati ai centri anti-violenza, alle campagne di diffusione del numero verde anti-violenza 1522 e alle iniziative di sensibilizzazione nelle scuole. Un evento come questo di oggi sensibilizza ancor di più il lavoro che stiamo portando avanti in commissione, il cui fine è quello di rendere le donne indipendenti, tutelandole da un punto di vista economico sociale e sanitario, affinché simili tragici episodi di violenza non ostacolino il percorso di rinascita della vittima», ha concluso l’On. Lancellotta.
Filomena Lamberti e Maria Antonietta Rositani hanno raccontato il loro percorso di rinascita. Entrambe hanno beneficiato delle cure gratuite del progetto RigeneraDerma.
La storia di Filomena Lamberti
Filomena Lamberti è stata la prima donna in Italia vittima di acido, che le fu versato nella notte dall’ex marito su testa, volto, mani e décolleté. Dopo essere stata tra la vita e la morte ed essere stata sottoposta a ben 30 interventi, Filomena presentava anche danni funzionali e problemi respiratori per via della retrazione del naso. A 10 anni di distanza da quel tragico episodio, grazie ai trattamenti pro bono, ha riacquistato la sensibilità dei tessuti, tanto da riuscire a “sentire nuovamente il vento sul volto”, come lei stessa ha raccontato.
La storia di Maria Antonietta Rositani
Maria Antonietta Rositani è scampata al tentativo di omicidio da parte dell’ex marito che le diede fuoco nel 2019 a Reggio Calabria. Dopo 20 mesi in ospedale tra terapia intensiva e decine di interventi chirurgici, la donna presentava ustioni diffuse sugli arti inferiori, con fibrosi estese e profonde. Aveva difficoltà a muovere le gambe e problemi anche semplicemente a stare ferma in piedi. Grazie alle cure ricevute, la Signora Rositani racconta commossa: «Ora inseguo felice la mia nipotina». Da un punto di vista clinico è stata documentata la ricomparsa del reticolo venoso superficiale, nonché dei peli. Un risultato mai registrato in letteratura medica prima d’ora.
A Filomena e Maria Antonietta si è aggiunta anche Pinky, la donna di origine indiana, cresciuta in Italia, aggredita con un combustibile e poi con le fiamme davanti ai propri figli di 2 e 5 anni dall’ex marito. Pinky è il trait d’union tra l’Italia e l’India, un Paese in cui, purtroppo le donne sono quotidianamente aggredite con acido e date alle fiamme dai mariti anche semplicemente perché il coniuge è stanco di loro e per poterle ripudiare ha prima bisogno di sfigurarle.
Prof. Sbarbati: conseguenze su psiche, oggi terapie non invasive
«Le cicatrici al volto sono un problema grave in medicina, perché creano conseguenze sulla psiche dell’individuo, alterano l’immagine del sé e diminuiscono la qualità della vita in modo significativo. Oggi abbiamo degli approcci terapeutici sicuramente efficaci, ma occorre sviluppare sempre più le terapie non invasive, in grado di agire in modo sicuro e con una documentata efficacia. Le terapie non invasive sono particolarmente importanti perché possono essere utilizzate più facilmente anche nelle fasce più svantaggiate della popolazione. Proprio per questo hanno un elevato impatto sociale», sottolinea il Professor Andrea Sbarbati, Professore Ordinario dell’Università di Verona, partner del progetto.
Centri di analisi chiusi, protesta contro le nuove tariffe
News PresaUna giornata da dimenticare, quella di oggi, per i pazienti che avevano programmato esami di laboratorio. La categoria ha infatti aderito alla protesta indetta da Snabilp Federbiologi e tante altre sigle sindacali nel segno dello slogan “chiudere un giorno per non chiudere per sempre”. La volontà è quella di opporsi al nuovo nomenclatore tariffario per le prestazioni specialistiche e ambulatoriali, che dovrebbe entrare in vigore dal 1° aprile e contro il quale, negli ultimi mesi, si sta registrando una vera e propria levata di scudi da ogni regione.
Strutture in crisi
Elisabetta Argenziano, presidente di Snabilp Federbiologi, parla di un provvedimento insostenibile, sia per il pubblico che per il privato accreditato. “Un provvedimento che, se applicato, avrà gravi conseguenze economiche per circa 8.000 strutture sanitarie, con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e il concreto rischio del tracollo dell’intero sistema di assistenza pubblica”. La protesta vede oggi a Roma un incontro tra tutte le categorie della specialistica del territorio e gli esponenti del Governo «per cercare di ottenere un dietrofront rispetto allo scellerato provvedimento.
Disagi
Il nuovo nomenclatore, infatti, prevede, tra l’altro, un notevole ribasso del costo delle prestazioni e taglia i rimborsi attuali fino al 70% per i laboratori di analisi cliniche convenzionati col Servizio Sanitario Nazionale. “Una riorganizzazione – conclude Argenziano – che non porterà alcun beneficio economico al sistema sanitario, ma causerà un drammatico impoverimento del tessuto sociale ed economico. Tutto ciò, senza considerare i disagi per i cittadini/pazienti che vedranno calare ancor più le capacità di risposta nei confronti delle loro istanze di salute e allungare ulteriormente le liste d’attesa. L’ennesimo colpo a una sanità già in grande affanno soprattutto in Campania e in tutto il Mezzogiorno”.
Lo slogan
Alla manifestazione a Roma Federbiologi ha scelto di aderire con una folta rappresentanza di iscritti: tanti specialisti che mercoledì chiuderanno i centri sanitari in segno di protesta. Ecco perché oggi molti cittadini che si recheranno negli studi diagnostici e nei laboratori di analisi aderenti troveranno affisso il cartello “Chiudere un giorno per non chiudere per sempre”.
Protesi al seno e tumore, quali possono aumentare rischio
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa forma della superficie di una protesi può interagire in modi inaspettati con il sistema immunitario. Lo ha scoperto un team di studiosi italiani. Dei micro avvallamenti o conche usati per rendere la protesi più ruvida e stabile possono intrappolare le cellule del sistema immunitario, scatenando un’infiammazione. La scoperta è stata possibile grazie a un lavoro multidisciplinare che ha coinvolto chirurghi, ingegneri, biofisici ed immunologi.
I dati emersi nello studio aggiungono un elemento inedito – quello della geometria microscopica – alla comprensione dei meccanismi infiammatori legati alle protesi. Fino a oggi l’ipotesi degli scienziati era che l’infiammazione dipendesse dai materiali o da infezioni batteriche o dalla frizione meccanica tra il corpo estraneo e i tessuti circostanti. Il nuovo studio si è concentrato sulle protesi per il seno ma i risultati valgono per tutti i dispositivi medici sottopelle.
Lo studio
Lo studio è stato pubblicato su Life Science Alliance, la rivista Open Access nata da tre realtà di eccellenza: EMBO, Rockefeller University e Cold Spring Harbor Laboratory. Il lavoro è stato condotto dal Dott. Valeriano Vinci, ricercatore di Humanitas University e chirurgo presso l’Unità Operativa di Chirurgia Plastica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas diretta dal Prof. Marco Klinger, il Prof. Gerardus Johannes Janszen, docente del Politecnico di Milano, la Dott.ssa Cristina Belgiovine dell’Università di Pavia e il Prof. Roberto Rusconi, professore associato di fisica applicata presso Humanitas University e responsabile del laboratorio di biofisica e microfluidica di Humanitas. La ricerca è stata possibile grazie al sostegno di un finanziamento PRIN del Ministero della Ricerca.
Protesi al seno e risposta infiammatoria
Le protesi mediche possono essere strumenti di cura, come nel caso dei peacemaker. In altri casi consentono alle pazienti oncologiche di riappropriarsi della loro identità. Tuttavia si tratta pur sempre di corpi estranei accolti all’interno di un organismo abituato a rispondere alle possibili minacce che provengono dall’esterno. In altre parole, possono generare localmente una risposta infiammatoria. Quando questa risposta è eccessiva, può aumentare il rischio di sviluppare malattie infiammatorie, autoimmuni, o anche tumori, soprattutto quelli associati a condizioni di infiammazione cronica. È il caso, ad esempio, del Linfoma anaplastico a grandi cellule (noto come ALCL), un linfoma molto raro e con buoni tassi di guarigione, purché identificato per tempo. L’incidenza è però lievemente più alta nelle pazienti con protesi al seno macro-testurizzate, una tipologia di protesi caratterizzata da una superficie più ruvida, che è stata poi tolta dal commercio proprio per questa correlazione.
Protesi al seno e dispositivi, rischi bassi
“L’obiettivo della nostra ricerca non è tanto capire il meccanismo alla base del maggior rischio presentato dalla protesi macro-testurizzate, ormai non più in commercio”, ha spiegato il dott. Valeriano Vinci. “Era, invece, mettere a punto un sistema per testare la sicurezza delle altre protesi al seno in uso, come quelle lisce e soprattutto le micro-testurizzate, e potenzialmente di altre tipologie di protesi o dispositivi medici, anche molto diversi da una protesi al seno. Indipendentemente da forma e funzione infatti, tutti i dispositivi medici hanno una superficie esterna a contatto con i tessuti dell’organismo e, come la nostra ricerca dimostra, il modo in cui è fatta questa superficie ha un ruolo importante».
Geometria protesi interagisce con il sistema immunitario
Lo studio ha coinvolto 43 pazienti che avevano necessità di sostituire la propria protesi al seno. Si tratta una procedura comune a distanza di tanti anni dal primo inserimento e nel caso di protesi temporanee, a espansione, il cui ruolo è proprio quello di preparare il tessuto a ospitare la protesi permanente. Oltre il 60% delle donne aveva una storia di tumore al seno e a seguito dei trattamenti aveva fatto ricorso alla chirurgia ricostruttiva.
I ricercatori hanno raccolto il liquido peri-protesico delle pazienti e l’hanno analizzato con tecniche di analisi genomica e cellulare avanzate. L’obiettivo era identificare la presenza di infezioni batteriche e analizzare il profilo di attivazione immunitaria, ovvero quali cellule del sistema immunitario e quali citochine infiammatorie erano presenti.
Risultati
“Abbiamo scoperto che l’elemento chiave nel determinare la risposta infiammatoria, sia cellulare che molecolare, non era la presenza o meno di infezioni batteriche, quanto la struttura geometrica superficiale delle diverse protesi”, ha affermato il prof. Roberto Rusconi. “Nel caso delle protesi macro-testurizzate, che presentano cioè superfici con avvallamenti particolarmente pronunciati e spigolosi, come dei veri e propri pozzetti micrometrici, l’infiammazione è maggiore. Mentre quelle lisce e quelle micro-testurizzate, ovvero solo lievemente “ruvide” – una proprietà importante per mantenerle stabili e ridurre il rischio di altre complicanze – hanno tassi bassi di infiammazione e si confermano sicure”.
Per comprendere meglio il motivo di questa reazione infiammatoria, i ricercatori hanno riprodotto la superficie dei modelli in laboratorio. Hanno poi indagato come le cellule immunitarie reagiscono in un contesto controllato. L’esperimento è stato possibile grazie alla collaborazione con il gruppo del prof. Gerardus Janszen e del prof. Luca di Landro del Politecnico di Milano, che hanno utilizzato un microscopio elettronico in grado di fotografare la superficie delle a livello nanometrico, per poi riprodurle fedelmente utilizzando un materiale polimerico, il PDMS, simile a quello impiegato per le protesi al seno.
Protesi, i motivi alla base dei rischi
«Gli studi condotti in laboratorio hanno confermato quanto osservato nei campioni clinici. Non solo, ma ci hanno permesso di vedere cosa stava realmente accadendo: le cellule immunitarie, ed in particolare i linfociti T, vengono intrappolate all’interno dei pozzetti presenti sulla superficie di quelle macro-testurizzate. In questa condizione di confinamento, rilasciano segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario, le citochine appunto, caratteristici di uno stato di infiammazione cronica», spiegano Roberto Rusconi e Valeriano Vinci, che concludono: “Lo studio dà un messaggio positivo sulla sicurezza delle protesi micro-testurizzate e ha un alto valore traslazionale. Grazie a questo lavoro abbiamo messo a punto una vera e propria piattaforma tecnologica per testare le superfici di altre tipologie di protesi e dispositivi medici”.
Medici di Napoli: per noi un grande attestato di stima
News Presa«Siamo orgogliosi dell’esito dell’assemblea di approvazione del bilancio dell’Ordine, un plebiscito che è un grande attestato di fiducia da parte dei medici di Napoli e provincia e ci conforta rispetto al lavoro svolto in questi anni da tutto il consiglio in carica». Lo dice Bruno Zuccarelli a nome del Consiglio direttivo che ha guidato l’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri di Napoli e provincia anche nel difficilissimo frangente dell’emergenza Covid e della carenza di medici. Le parole di Zuccarelli arrivano dopo l’approvazione a larga maggioranza del bilancio dell’Ordine dei Medici.
Conferma
«Ringrazio tutti i colleghi che hanno scelto di essere presenti per esprimere il loro consenso. Gli unici motivati a prendere parte all’assemblea avrebbero dovuto essere i contrari, che sono arrivati solo in 16». La nota della Lista Etica prosegue con una sottolineatura non da poco: la gestione del presidente Bruno Zuccarelli e del suo Consiglio Direttivo lascia alla categoria un avanzo di gestione di oltre 1.100.000 euro e conti in ordine per poter favorire la breve fase di commissariamento.
Verso nuove elezioni
«Attendiamo con ansia che si proceda per tornare a votare, consapevoli che il danno che ci è stato fatto non è solo rivolto a noi. Le sentenze si rispettano, ma si rispettano anche gli uomini che ne sono stati coinvolti: in primis tutti i medici di Napoli e provincia e chi l’Ordine lo rappresenta e ora, con un’approvazione così massiva, riceve una grande conferma di rispetto, stima e fiducia dei medici napoletani che hanno chiaramente mostrato di sostenere la nostra estraneità agli eventi tecnici descritti in sentenza».
Per i giovani
Proprio oggi, il Consiglio direttivo dell’Ordine terrà un’ultima seduta, a dimostrazione che fino al termine prevalgono gli interessi della classe medica rappresentata. Questa seduta è stata voluta per poter accogliere nella casa dell’Ordine i neo laureati di questi giorni che hanno diritto ad essere iscritti. «Fino all’ultimo giorno abbiamo sentito il dovere di non strumentalizzare nessuna situazione, ma di andare avanti secondo l’Etica che ci ha sempre guidati, siamo orgogliosi del lavoro fatto e lo saremo sempre e ci sembra che i medici napoletani siano con noi», conclude Zuccarelli.
La polemica
Nei giorni scorsi la lista Ordinatamente, avversaria rispetto a quella Etica nelle ultime elezioni, aveva dichiarato di aver votato contro l’approvazione. Dato che si ritrova anche nei numeri della votazione, visto che (come messo in evidenza anche dalla lista Ordinatamente) l’approvazione è avvenuta con 16 contrari su 661 partecipanti (1 astenuto). Nei prossimi giorni all’Ordine dei Medici di Napoli ci si aspetta l’arrivo dei Commissari che dovranno traghettare l’Ente ad elezioni dopo la sentenza emessa dalla CCEPS.
Long Covid, nuova emergenza di sanità pubblica
Covid, News PresaC’è una bella differenza tra una debolezza che può persistere per qualche settimana a causa di una brutta influenza e ciò che può essere invece classificato come long Covid. Non si tratta infatti di qualche banale “strascico”, ma di una patologia vera e propria. In diversi casi con conseguenze pneumologiche, problemi cardiovascolari, sindromi metaboliche e persino malattie neuro-psichiatriche.
PASC
Il nome di questa condizione è comunemente quello di long Covid, ma in gergo tecnico viene definita PASC, ovvero “sequele post acute” dell’infezione da SarsCov2, che l’Oms stima attorno al 6% tra coloro che hanno contratto l’infezione. Una platea enorme, se si considera il numero di infezioni registrate dal primo anno di pandemia ad oggi. Insomma, la questione non andrebbe sottovalutata e di certo non viene sottovalutata dall’Oms che la considera una “nuova emergenza di sanità pubblica”.
Linee guida
Nel maggio 2023, l’Oms ha dichiarato ufficialmente conclusa l’emergenza pandemica del Covid19″, osserva Claudio Lucifora, direttore del Centro di ricerca sul Lavoro ‘Carlo Dell’Aringa’ (Crilda) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore del progetto Pascnet, i cui risultati della prima fase sono raccolti in un eBook dal titolo “Linee guida per il follow-up delle sequele da Covid-19”. Lucifora dice che “le statistiche raccolte dall’Oms ci ricordano che dall’inizio della pandemia ci sono stati, in tutto il mondo, oltre 765.222.932 casi di contagio, con quasi sette milioni di morti. Nella sola Lombardia, i contagi sono stati oltre 4 milioni con quasi 50mila decessi”.
Sintomi
Benché i sintomi possano variare notevolmente da persona a persona e possano durare settimane o mesi dopo che l’infezione iniziale è passata, alcuni dei frequenti sono:
Non tutti i pazienti sviluppano una sindrome di long Covid. Alcuni possono sperimentare solo alcuni sintomi leggeri o persistere con sintomi più gravi per un periodo di tempo più lungo. Se si sospetta di avere il long Covid, è sempre bene parlarne con il proprio medico per una valutazione e un trattamento appropriati.
Fegato, dal test ELF al TIPS. Diagnosi e cure malattie a una svolta
Alimentazione, Associazioni pazienti, Farmaceutica, Prevenzione, Ricerca innovazioneGli studi in tema di diagnosi e trattamento delle malattie del fegato procedono a passo spedito. Grazie ai progressi oggi si può passare da una cirrosi scompensata a una ricompensata. Inoltre il Test ELF che con un semplice prelievo del sangue identifica il rischio di sviluppare complicanze gravi della steatosi epatica non alcolica. Questi sono alcune delle novità della ricerca presentate al recente 56° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – AISF che ha fatto il punto sulle nuove possibilità per i pazienti.
Fegato, strategia contro malattia epatica
Per anni si è pensato la malattia epatica scompensata fosse una condizione irreversibile, un punto di non ritorno in cui il trapianto di fegato era l’unica soluzione per non andare incontro al decesso. Negli ultimi mesi la consapevolezza è cambiata. “Se si interviene sulla causa della malattia di fegato (astensione da bevande alcoliche, eradicazione dell’Epatite C, soppressione della replicazione del virus dell’Epatite B) la funzione del fegato può migliorare significativamente fino a un quadro di ricompensazione, ossia tornare a una fase compensata della malattia, nella quale le complicanze sono assenti e i sintomi sono modesti. La ricompensazione si associa ad un miglioramento della quantità e della qualità della vita – sottolinea Salvatore Piano, Medicina Interna indirizzo epatologico, Dip. Medicina, Università di Padova –. Inoltre, i pazienti che ottengono la ricompensazione mostrano una sopravvivenza sovrapponibile a quella dei pazienti che non hanno mai avuto un episodio di scompenso”.
Test ELF, diagnosi epatiche con il prelievo di sangue
Alcuni pazienti affetti da steatosi epatica non alcolica hanno più rischio di sviluppare eventi cardiovascolari, uno scompenso della funzione epatica o un tumore del fegato. Per valutare questi rischi è da poco stato introdotto un nuovo sistema non invasivo. “Fino a poco tempo fa, l’unico strumento disponibile per valutare i rischi di aggravamento della malattia epatica o di complicanze cardiovascolari era un metodo invasivo di misurazione della fibrosi epatica, ossia una biopsia epatica per valutare il grado di fibrosi nel fegato – spiega Antonio Liguori, UOC Medicina Interna e Trapianto di Fegato, Policlinico A. Gemelli, IRCCS – Recentemente sono stati sviluppati test non invasivi che si possono condurre con un semplice prelievo di sangue, attraverso i quali si può valutare sia la capacità di distinguere il grado di avanzamento della patologia epatica, sia stratificare il rischio futuro di questi eventi sfavorevoli. Uno di questi metodi diagnostici innovativi e non invasivi è il Test ELF, che misura le proteine che derivano dalla degradazione del collagene. Maggiore è il valore di questo biomarcatore, più è elevato il rischio negli anni di sviluppare le complicanze della patologia epatica. Questo biomarcatore ha una funzione prognostica, ovvero consente di capire il rischio che il paziente ha di sviluppare queste complicanze in futuro e di conseguenza di indicarci le adeguate contromisure da prendere. Rispetto a una biopsia, questa procedura è molto meno invasiva, è semplice, economica e non presenta complicanze. Inoltre, vista la semplicità, è utile sottoporre al Test ELF tutti i pazienti affetti da malattia epatica legata al grasso, con particolare attenzione per coloro che abbiano un’evidenza di steatosi epatica all’ecografia e comorbidità come diabete, ipertensione arteriosa, obesità”.
“TIPS” contro l’ipertensione
Un’altra innovazione consiste nel trattamento mini-invasivo delle complicanze dell’ipertensione portale con il TIPS (Shunt Portosistemico Intraepatico Transgiugulare). L’ipertensione portale è una complicanza delle malattie epatiche croniche come la cirrosi. Si presenta quando la pressione sanguigna nella vena porta (la vena principale che trasporta il sangue dall’intestino al fegato) diventa troppo elevata. Può provocare sanguinamenti gastrointestinali e la comparsa di ascite, ovvero l’accumulo di liquido a livello addominale.
Fegato: TIPS, approccio mini-invasivo
“Il TIPS è un intervento di radiologia interventistica che consiste nella creazione di uno shunt, una connessione, tra un ramo della vena porta e una vena epatica – spiega Dario Saltini, gastroenterologo, AOU Modena, Università di Modena e Reggio Emilia. Si esegue con un approccio mini-invasivo tramite una piccola puntura su una vena del collo (la vena giugulare interna) attraverso la quale si raggiunge l’interno del fegato, dove si crea questo bypass rilasciando uno stent ricoperto. Negli ultimi anni, grazie a sviluppi tecnici e clinici, il TIPS si è affermato come terapia efficace e sicura per il trattamento dell’ipertensione portale. Recenti studi hanno permesso di migliorare l’identificazione dei pazienti più idonei al posizionamento del TIPS, in base a vari parametri, tra i quali la funzionalità renale, la performance cardiaca e la massa muscolare. Al congresso AISF sono stati presentati i risultati di uno studio che ha coinvolto 4 centri italiani (Modena, Roma, Firenze, Padova) a supporto di un approccio innovativo per il posizionamento del TIPS: l’utilizzo di stent di diametro minore rispetto al trattamento convenzionale riduce gli effetti collaterali mantenendo elevata l’efficacia terapeutica”.
Anziani, solitudine aumenta rischio malattie, novità della Legge 33
Anziani, Associazioni pazienti, Medicina Sociale, News Presa, Prevenzione, Stili di vitaL’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo, gli over 65 sono 14 milioni, più del 20% della popolazione. Inoltre, si stima che nel 2050 saranno il 35%, ovvero 20 milioni. In questo quadro si inseriscono i nuovi decreti attuativi della Legge 33/23 per l’assistenza agli anziani.
Anziani, Legge 33
Il Decreto Legislativo proposto dal Consiglio dei Ministri in cui sono riportate le disposizioni attuative della Legge n.33 del 23 marzo 2023 sulla riforma dell’assistenza guarda agli anziani non autosufficienti. La legge delega razionalizza e sintetizza un lungo percorso normativo. La riforma valorizza il metodo della valutazione multidimensionale, lo sviluppo dei servizi territoriali e domiciliari integrati, la digitalizzazione. Tuttavia, per la Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio – SIGOT, si deve lavorare ancora sulla prossimità dell’assistenza alla persona anziana. La società ha avanzato alcune proposte in occasione della recente giornata di studi alla Camera. “Tra queste – ha spiegato il Prof. Lorenzo Palleschi, Presidente SIGOT – l’adozione di programmi di formazione delle professioni tecnico-sanitarie che saranno impiegate nella telemedicina; la presenza di una figura medica geriatrica di coordinamento delle attività assistenziali all’interno delle RSA in cooperazione con i medici di medicina generale”.
Scenario demografico
L’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo: gli over 65 sono 14 milioni, più del 20% della popolazione, e si stima che nel 2050 saranno 20 milioni, il 35%. Gli ultraottantenni, che oggi rappresentano il 7% della popolazione raddoppieranno entro il 2050 raggiungendo i 9 milioni di unità. Poiché l’incremento della durata media di vita non è accompagnato da un corrispondente aumento dell’aspettativa di vita in autonomia, il numero di persone in condizione di disabilità è in continua crescita. I cambiamenti sociali inoltre, con la riduzione della natalità e l’instabilità dei vincoli familiari, con la restrizione numerica dei nuclei, hanno ridotto la capacità da parte delle famiglie di far fronte alle necessità dei componenti bisognosi e non più produttivi. In Italia, il tasso di solitudine è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei, con coloro che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto che sono il 14%, mentre coloro che non hanno nessuno a cui raccontare cose personali il 12%, a fronte di una media europea del 6,1% (dati Eurostat). La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari.
Anziani, ruolo dello stile di vita
“Affinché gli anziani possano continuare ad essere una risorsa per le famiglie e per la società, è necessario impedire la perdita della loro autonomia e ridurre il numero delle disabilità, che aumentano con l’avanzare dell’età, tanto che oggi quasi il 60% di coloro che hanno una disabilità grave sono over 75 – sottolinea il Prof. Lorenzo Palleschi – La disabilità – sia cognitiva che fisica – può essere prevenuta, arrestando o ritardando la fragilità che ne è alla base con azioni mirate come l’esercizio fisico, l’intervento nutrizionale, la stimolazione cognitiva, e il controllo dei fattori di rischio. Questi interventi devono rivolgersi a coloro che hanno ancora un’autonomia preservata o parzialmente preservata e pertanto tenersi a domicilio”.
Assistenza a domicilio
Il domicilio si configura come il luogo elettivo dove assistere la persona anziana. L’ospedale, infatti, non solo non può dare tutte le risposte, ma può essere un fattore di rischio di perdita dell’autonomia personale. Diversi studi attestano che il 30% degli ultra70enni ricoverati per una patologia acuta non direttamente disabilitante, viene dimesso dall’ospedale con un livello di autonomia inferiore rispetto alla situazione antecedente il ricovero.
“I dati della letteratura dimostrano però che la disabilità correlata al ricovero in ospedale, può essere prevenuta negli anziani, orientando gli interventi sulla base della Valutazione Multidimensionale Geriatrica– sottolinea il Prof. Lorenzo Palleschi, Presidente SIGOT – Per questo la SIGOT invita a potenziare, negli ospedali, le Unità Operative Ospedaliere di Geriatria per acuti, reparti che utilizzano un modello clinico-assistenziale bio-psico-sociale, incentrato sulla funzione e non solo sulla malattia. Evidenze scientifiche fortissime e incontrovertibili hanno dimostrato che l’approccio specificamente dedicato al paziente anziano acuto in ospedale, riduce disabilità, istituzionalizzazione e mortalità. Parallelamente, nei percorsi operativi sul territorio è auspicabile assegnare allo specialista geriatra il ruolo di esperto della complessità e professionista di sintesi della polipatologia, prevedendo la sua integrazione organica nella Unità Valutativa Multidimensionale per i casi di maggiore complessità”.
Lavaggi nasali e il rischio dell’ameba mangia cervello
News PresaLa notizia è sensazionalistica, di quelle che spingerebbe a pensare ad una fake news. Invece è tutto vero: un invito a fare attenzione alla cosiddetta “ameba mangia cervello”. Sul social X è Matteo Bassetti a spiegare che si tratta di una grave infezione che può colpire il cervello. Aggiungendo anche che stando ad un report del Cdc ci sarebbe un legame con l’utilizzo di acqua non sterile per i lavaggi nasali. E proprio per questo bisogna evitare di utilizzare acqua del rubinetto per i lavaggi nasali.
Il rischio
Il tema è serio, anche perché questo allarme non arriva da uno qualunque. Bassetti è infatti direttore di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova, e la sua allerta arriva dal commento di un rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention che ha preso in esame alcuni pazienti (adulti e anziani già immunodepressi) con infezione da Acanthamoeba e una storia di risciacqui nasali ripetuti e prolungati, eseguiti almeno nella metà dei casi con acqua del rubinetto.
Il caso
Certamente non si sta parlando di rischio per tutti, ma per pazienti immunodepressi: i pazienti presi in esame negli USA sono tutti fragili e quasi tutti avevano usato acqua non sterile per i risciacqui nasali con la speranza di poter alleviare i sintomi della sinusite cronica. Proprio i pazienti avevano dichiarato di aver eseguito queste procedure per mesi, se non anni, prima di sviluppare sintomi, confermando il legame tra l’utilizzo di acqua non bollita e l’insorgenza dell’infezione dall’ameba Acanthamoeba.
Evitare ogni pericolo
Per stare al riparo dal rischio, francamente evitabile, di contrarre questa terribile ameba è sufficiente adoperare per i lavaggi nasali solo acqua sterile. Soluzioni acquistate in farmacia sono perfette e sicure, oltre che molto efficaci. Assolutamente da evitare è l’abitudine di alcuni di usare acqua del rubinetto che, benché potabile e spesso trattata con il cloro, potrebbe nascondere qualche insidia se adoperata per questi lavaggi. Va anche detto che in persone con un sistema immunitario sano il rischio che eventuali batteri o microrganismi possano annidarsi e creare danno è remota. Ma, a scanso di equivoci, meglio seguire i consigli degli esperti.
Papa Francesco abbraccia l’Ospedale Bambino Gesù
News PresaLa scienza, e di conseguenza la capacità di cura, è il primo dei compiti che caratterizza oggi l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Essa è la risposta concreta che date alle accorate richieste di aiuto di famiglie che domandano per i loro figli assistenza e, ove possibile, guarigione. Sono state queste le parole di papa Francesco ai circa 4 mila dipendenti, volontari, pazienti con le loro famiglie riuniti nell’Aula Paolo VI in Vaticano per un’udienza particolare in occasione dei 100 anni dalla donazione dell’Ospedale alla Santa Sede da parte della famiglia Salviati.
Fragili
L’eccellenza della ricerca biomedica – ha aggiunto il Santo Padre nel suo discorso – è dunque importante. Vi incoraggio a coltivarla con lo slancio di offrire il meglio di voi stessi e con un’attenzione speciale nei confronti dei più fragili, come i pazienti affetti da malattie gravi, rare e ultra-rare”. Prima dell’intervento del Santo Padre il presidente del Bambino Gesù, Tiziano Onesti, si è rivolto alla comunità dell’Ospedale sottolineando che “curare non è solo un atto medico. È una parola che esprime attenzione, premura e diligenza nelle cose che facciamo ad ogni livello, qualunque sia il nostro ruolo e il nostro mestiere”. “L’Ospedale è un corpo unico – ha aggiunto Onesti – e tutti facciamo parte di questo corpo e di questa famiglia. Insieme possiamo affrontare tutte le sfide che abbiamo davanti e continuare a portare avanti questo progetto così importante e meraviglioso che è l’Ospedale Bambino Gesù, l’Ospedale del Papa, l’Ospedale che cura e accoglie i bambini del mondo”.
Desiderio di pace
C’è tanto desiderio di pace nei disegni e nei pensieri dei piccoli pazienti del Bambino Gesù che due di loro hanno donato a papa Francesco alla fine dell’udienza grandi arcobaleni colorati, colombe e bambini stilizzati con i palloncini che sorridono come dovrebbero fare tutti i bambini del mondo. “Vorrei la pace nel mondo e che i bambini stanno bene – scrive Alessandro di 12 anni -. Vorrei tante cose ma tante quindi mettiamo fine alla guerra per favore” e Claudia aggiunge: “Vorrei per tutti i bambini niente guerra, solo giochi”. C’è chi esprime l’apprezzamento per il pontefice con la confidenza che solo i piccoli possono avere: “Caro papa mi piaci tanto – afferma Martina – perché sei un vero costruttore di pace” mentre Luca scrive: “Caro papa ti voglio bene. Sei saggio come mio nonno”. E poi il pensiero per i bambini malati: “Vorrei che tutti i bambini avessero la possibilità di curarsi” confida Sara al papa, mentre Samuele lo ringrazia: “per le cure che offri a tutti i bambini”. L’augurio più sincero per la salute di Francesco lo firma Vincenzo: “Caro Papa Francesco, spero che tu guarisci presto. Anche io non sto bene e spero di guarire presto”.
Le famiglie
Fanno eco al coraggio dei piccoli guerrieri nell’affrontare la malattia i pensieri dei genitori raccolti dai canali social del Bambino Gesù e proiettati in un video prima dell’arrivo del pontefice: “Sembra paradossale – afferma mamma Enrica – che l’aiuto per superare l’ostacolo venga proprio dal sorriso di un figlio che ha conosciuto la sofferenza troppo presto, ma è così” e per Matteo, papà di Elena: “A volte mi trovo ad osservare la forza di mia figlia nell’affrontare cure e rinunce e il mio dolore diventa secondario: prevale l’ammirazione”.
Dono dell’assistenza
Al Bambino Gesù che nel 2024 celebra “l’anno del dono” va il ringraziamento delle tante famiglie che hanno trovato tra le sue mura il dono dell’assistenza e della cura: “Siamo tornati tra quelle mura – scrive Ester, mamma di Francesco – riascoltando l’assordante rumore dei silenzi in sala d’attesa. La fede, il coraggio e la fiducia in tutti loro ci hanno donato la vita. È dura, tanto dura, ma il dono che lascia questo percorso è il più bello”.
Tumori, scoperto ruolo della proteina hMENA
Farmaceutica, News Presa, Ricerca innovazioneIl suo ruolo è cruciale nella risposta all’immunoterapia. La proteina HMena controlla l’organizzazione delle cellule del sistema immunitario all’interno dei tumori. La sua funzione è stata messa in luce da ricercatori italiani e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista eBioMedicine.
Proteina influenza crescita tumori
La proteina hMENA e alcune sue varianti sono in grado di influenzare il microambiente tumorale. Quest’ultimo è un ecosistema molto eterogeneo che può contribuire alla crescita, la progressione o remissione del tumore. La scoperta è avvenuta nell’ambito di uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE). I risultati dimostrano che l’espressione delle varianti di hMENA nelle cellule tumorali e nei fibroblasti hanno un ruolo cruciale nel regolare un importante recettore, responsabile della formazione di aggregati di cellule immunitarie. Questi aggregati sono detti strutture linfoidi terziarie e funzionano come una sorta di fabbrica di risposte immunitarie anti-tumorali.
Predire il rischio di recidive
Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato che hMENA regola anche una componente della matrice extracellulare che ostacola l’accesso delle cellule immunitarie all’interno del tumore. Negli esperimenti i ricercatori hanno utilizzato sofisticate tecnologie che consentono di studiare le cellule del microambiente tumorale, la loro localizzazione spaziale e i segnali che esse impiegano per comunicare tra di loro. Hanno potuto così generare una specie di “carta d’identità” del tumore. Con analisi biocomputazionali avanzate hanno poi individuato una “firma” molecolare con la quale è possibile predire se pazienti con carcinoma del polmone a stadio precoce della malattia hanno un rischio più o meno alto di andare incontro a recidive. Con tale “firma” molecolare sembra anche possibile individuare i pazienti che hanno maggiori probabilità di rispondere a immunoterapie, non solo in caso di tumori del polmone, ma anche di melanoma e di tumori della mammella di tipo triplo-negativo.
Nuove terapie combinate contro i tumori
La scoperta ha permesso di individuare nuovi meccanismi coinvolti in una efficiente risposta immunitaria anti-tumorale e potrà aprire la strada a nuove terapie combinate sempre più efficaci. Allo studio sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro ha partecipato un gruppo multidisciplinare di ricercatori. Prima autrice dell’articolo è Francesca Di Modugno dell’Unità di Immunologia e Immunoterapia dell’IRE, diretta da Paola Nisticò.
“Da anni il nostro laboratorio – spiega Paola Nisticò – studia il ruolo della proteina hMENA e delle sue varianti nella progressione tumorale. hMENA era stata individuata diversi anni fa tramite il legame ad anticorpi di una paziente affetta da carcinoma della mammella. In studi precedenti abbiamo chiarito che hMENA è un regolatore del citoscheletro della cellula tumorale, quel complesso di filamenti proteici che costituiscono l’impalcatura della cellula, controllandone forma e funzione. Ma da poco abbiamo scoperto che hMENA è anche in grado di regolare geni coinvolti nella risposta immunitaria.”
Risultati ottenuti dopo anni di studio
“In questo ultimo studio – chiarisce Francesca Di Modugno – abbiamo dimostrato che alcune varianti di hMENA espresse nelle cellule tumorali e nei fibroblasti svolgono un ruolo importante nell’organizzazione e localizzazione delle strutture linfoidi terziarie. Sono questi siti nei quali si può sviluppare una risposta immunitaria efficace, in grado di contrastare lo sviluppo e la progressione del tumore.
“Dopo anni di lavoro – prosegue Nisticò – i dati ottenuti hanno rivelato un ruolo inedito e inaspettato per hMENA. I risultati di questo studio ci hanno permesso di identificare i meccanismi con cui hMENA e le sue varianti regolano in maniera diversa la risposta immunitaria. Inoltre abbiamo identificato “firme” di microambiente tumorale con cui è possibile prevedere la risposta clinica dei pazienti a terapie con inibitori dei check-point immunitari. Altri studi sono in corso per capire quali terapie combinate possano influenzare l’espressione delle varianti di hMENA e la formazione di strutture linfoidi terziarie.”
Violenza sulle donne, dopo 10 anni riacquista sensibilità al volto grazie al progetto
Eventi d'interesse, News Presa, Psicologia, Ricerca innovazioneLe donne vittime di violenza potranno curare le cicatrici gratuitamente grazie a un’iniziativa che finanzierà 500 terapie pro bono. All’evento di presentazione è intervenuta la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella. Il progetto si intitola: “RigeneraDerma, la possibilità di rinascita dopo la violenza di genere. 500 terapie pro bono per la cura delle cicatrici”. Maurizio Busoni, ideatore, e il Professor Andrea Sbarbati dell’Università di Verone, partner del progetto, hanno presentato i risultati fino ad oggi ottenuti. Filomena Lamberti e Maria Antonietta Rositani, simbolo della lotta alla violenza di genere, hanno raccontato la loro esperienza di rinascita.
Erano presenti anche i parlamentari di Fratelli d’Italia Elisabetta Lancellotta, Capogruppo in commissione Femminicidio, Maddalena Morgante, Responsabile dipartimento Famiglia e valori non negoziabili del partito e Andrea Pellicini, componente della commissione Giustizia alla Camera, e la senatrice Cinzia Pellegrino, Responsabile dipartimento Tutela Vittime del partito.
Violenza di genere
La violenza sulle donne continua la sua drammatica escalation. I femminicidi nel 2024 a oggi sono stati ben 9, nell’arco di soli due mesi e mezzo. Dietro questo dato spaventoso, ce n’è un altro che riguarda le donne che provando a liberarsi da un partner violento, vengono sfigurate, con danni permanenti che cambieranno per sempre la loro vita. La cronaca racconta spesso di uomini con tratti comuni, con un’idea che la donna sia una loro proprietà e la volontà di punirla per l’intenzione di volersi allontanare.
Il progetto
RigeneraDerma nasce da un’idea di Maurizio Busoni, Ricercatore, Docente presso il Master di Medicina Estetica dell’Università di Camerino e dell’Università di Barcellona, e si pone l’obiettivo di riparare il danno funzionale per migliorare la vita delle donne vittime di violenza di genere. Lo fa offrendo a 500 persone, la cura gratuita delle cicatrici con Biodermogenesi®, la metodologia per la rigenerazione dei tessuti cutanei, 100% italiana, presente in 32 Paesi nel mondo. Partner del progetto RigeneraDerma è l’Università di Verona.
«Anche in questa legislatura mi sono occupata di provvedimenti che avevano come obiettivo il contrasto alla violenza nei confronti delle donne. Il tema dell’evento di oggi è molto importante perché è un tema che riguarda la speranza. Una donna spesso vive in solitudine la scelta di fare una denuncia, così come il momento processuale. Per noi è importante che, oltre alla prevenzione e al contrasto, ci sia anche la tutela delle vittime affinché ciascuna donna non si senta mai sola. Su questi tre pilastri poggia infatti il ddl Femminicidio, provvedimento fortemente voluto dal Governo e dal ministro Roccella», ha spiegato l’On. Carolina Varchi, capogruppo di FdI in Commissione Giustizia alla Camera, in video collegamento all’evento.
Violenza sulle donne, la proposta di legge
«La proposta di legge a mia prima firma, ora in esame in Commissione Lavoro alla Camera, è volta ad inserire le vittime di violenza con deformazione o sfregio permanente del viso nelle categorie protette ai fini del collocamento obbligatorio del lavoro. Gli effetti dell’aggressione sulla vittima sono terribili, sia sul piano fisico sia sul piano psicologico, ma anche sul piano relazionale e sociale. Si tratta di una pdl che mi sta particolarmente a cuore, perché la violenza che colpisce il volto colpisce una delle parti essenziali della persona con le quali si relaziona e che sono espressione della sua identità», ha affermato l’On. Morgante.
«L’impegno del Governo e di Fratelli d’Italia nel contrasto alla violenza sulle donne si è concretizzato ulteriormente con la recente approvazione della legge voluta dal ministro Roccella. In essa vi sono strumenti efficaci finalizzati a prevenire questi odiosi comportamenti. Purtroppo però anche le migliori leggi a volte possono non bastare a impedire atti di mostruosa violenza che possono recare danni permanenti di grave entità. Vi sono stati casi di donne che sono state sfregiate con l’acido con conseguenze terribili. Vogliamo rimanere vicini a loro ed è per questo che guardo con ammirazione al progetto RigeneraDerma che ha permesso ad alcune donne di ‘tornare a sentire il vento sul viso’. Voglio per questo ringraziare gli specialisti che hanno creato questo metodo di cura, ma soprattutto Filomena Lamberti e Maria Antonietta Rositani per la loro preziosa e toccante testimonianza. Dopo l’inferno vissuto stanno poco a poco risorgendo», ha evidenziato l’On. Pellicini.
«La Commissione Femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere è uno strumento istituzionale strategico che si occupa di contrastare non solo il femminicidio, ma anche il fenomeno della violenza contro le donne, puntando sull’attività di prevenzione e su una vera rivoluzione culturale attraverso la scuola, lo sport e la famiglia. Sono tante le misure approvate dal governo Meloni in tema di violenza di genere, a riprova di quanto è per noi importante questo argomento: penso al raddoppio dei fondi destinati ai centri anti-violenza, alle campagne di diffusione del numero verde anti-violenza 1522 e alle iniziative di sensibilizzazione nelle scuole. Un evento come questo di oggi sensibilizza ancor di più il lavoro che stiamo portando avanti in commissione, il cui fine è quello di rendere le donne indipendenti, tutelandole da un punto di vista economico sociale e sanitario, affinché simili tragici episodi di violenza non ostacolino il percorso di rinascita della vittima», ha concluso l’On. Lancellotta.
Filomena Lamberti e Maria Antonietta Rositani hanno raccontato il loro percorso di rinascita. Entrambe hanno beneficiato delle cure gratuite del progetto RigeneraDerma.
La storia di Filomena Lamberti
Filomena Lamberti è stata la prima donna in Italia vittima di acido, che le fu versato nella notte dall’ex marito su testa, volto, mani e décolleté. Dopo essere stata tra la vita e la morte ed essere stata sottoposta a ben 30 interventi, Filomena presentava anche danni funzionali e problemi respiratori per via della retrazione del naso. A 10 anni di distanza da quel tragico episodio, grazie ai trattamenti pro bono, ha riacquistato la sensibilità dei tessuti, tanto da riuscire a “sentire nuovamente il vento sul volto”, come lei stessa ha raccontato.
La storia di Maria Antonietta Rositani
Maria Antonietta Rositani è scampata al tentativo di omicidio da parte dell’ex marito che le diede fuoco nel 2019 a Reggio Calabria. Dopo 20 mesi in ospedale tra terapia intensiva e decine di interventi chirurgici, la donna presentava ustioni diffuse sugli arti inferiori, con fibrosi estese e profonde. Aveva difficoltà a muovere le gambe e problemi anche semplicemente a stare ferma in piedi. Grazie alle cure ricevute, la Signora Rositani racconta commossa: «Ora inseguo felice la mia nipotina». Da un punto di vista clinico è stata documentata la ricomparsa del reticolo venoso superficiale, nonché dei peli. Un risultato mai registrato in letteratura medica prima d’ora.
A Filomena e Maria Antonietta si è aggiunta anche Pinky, la donna di origine indiana, cresciuta in Italia, aggredita con un combustibile e poi con le fiamme davanti ai propri figli di 2 e 5 anni dall’ex marito. Pinky è il trait d’union tra l’Italia e l’India, un Paese in cui, purtroppo le donne sono quotidianamente aggredite con acido e date alle fiamme dai mariti anche semplicemente perché il coniuge è stanco di loro e per poterle ripudiare ha prima bisogno di sfigurarle.
Prof. Sbarbati: conseguenze su psiche, oggi terapie non invasive
«Le cicatrici al volto sono un problema grave in medicina, perché creano conseguenze sulla psiche dell’individuo, alterano l’immagine del sé e diminuiscono la qualità della vita in modo significativo. Oggi abbiamo degli approcci terapeutici sicuramente efficaci, ma occorre sviluppare sempre più le terapie non invasive, in grado di agire in modo sicuro e con una documentata efficacia. Le terapie non invasive sono particolarmente importanti perché possono essere utilizzate più facilmente anche nelle fasce più svantaggiate della popolazione. Proprio per questo hanno un elevato impatto sociale», sottolinea il Professor Andrea Sbarbati, Professore Ordinario dell’Università di Verona, partner del progetto.