Tempo di lettura: 4 minutiOltre 1400 le donne raggiunte in due mesi, circa 500 le ore messe a disposizione dal personale medico e oltre 600 le visite mediche eseguite e gli incontri di counseling. Hanno aderito all’iniziativa soprattutto le più giovani. Ad oggi le fasce di popolazione sottoposte a controllo mammografico sono, invece, quelle tra i 45 e i 49 anni (una volta all’anno) e tra i 50 e i 74 anni (ogni due anni), attraverso i programmi di screening gratuiti previsti dalle Regioni.
Questi numeri sono i risultati di “Care for Caring – Ambasciatrici della Prevenzione”, il progetto di sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione del tumore al seno, rivolto alle donne in forza alla Polizia di Stato, illustrati di recente al Ministero della Salute, presso l’Auditorium Cosimo Piccinno.
L’iniziativa, ideata e coordinata da Ladies First, ha coinvolto il personale medico specialistico di quattro strutture, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Sant’Orsola-Malpighi, Spedali Civili di Brescia e AUSL di Piacenza.
“La campagna Care for Caring – Ambasciatrici della prevenzione è un’iniziativa lodevole sotto molti punti di vista. In primo luogo, perché accende l’attenzione sul tema della prevenzione, elemento primario per la salute individuale e di comunità, che sappiamo essere un fattore decisivo soprattutto in ambito oncologico” – dichiara l’On. Simona Loizzo, Componente della XII Commissione (Affari Sociali) alla Camera dei deputati – “Inoltre, la campagna ha coinvolto moltissime giovani donne in forza alla Polizia di Stato, che quindi ora potranno diventare loro stesse “ambasciatrici della prevenzione”, diffondendo i valori che son stati trasmessi loro durante le visite e il counseling. Infine, penso che questo progetto sia un esempio virtuoso di collaborazione tra le Istituzioni, la Comunità Scientifica e l’industria, e spero che possa essere un modello per iniziative future. In qualità di Presidente dell’Intergruppo Parlamentare sulle Nuove Frontiere Terapeutiche nei Tumori della Mammella – ha concluso l’On. Loizzo – sono dunque molto orgogliosa di aprire l’evento conclusivo di presentazione dei risultati della campagna Care for Caring”.
La novità dell’iniziativa consiste nel focalizzare l’attenzione sulla prevenzione del tumore al seno già partendo dalla fascia di età tra i 20 e i 44 anni. Lo si è fatto mettendo a disposizione un controllo clinico senologico ed ecografico, che ha offerto l’opportunità di promuovere la cultura della prevenzione all’interno della Polizia di Stato, affinché il prendersi cura della propria salute possa riflettersi in una sempre più efficace offerta di sicurezza alla collettività.
Alla fascia di popolazione femminile tra i 45 e i 60 anni, sono state messe a disposizione brevi sessioni di counseling educazionale a cura di medici specialisti, sull’importanza di sottoporsi ai controlli mammografici previsti dalle Regioni, eseguire l’autopalpazione, seguire stili di vita sani.
L’evento è stato aperto dal Sottosegretario di Stato per la Salute, On. Marcello Gemmato e dalla promotrice dell’evento On. Simona Loizzo, Presidente Intergruppo Nuove Frontiere Terapeutiche nei Tumori della Mammella, XII Commissione Affari Sociali e Sanità, Camera dei deputati.
Il progetto ha avuto il patrocinio di Regione Emilia-Romagna e Fondazione AIOM.
“Diagnosticare un cancro a uno stadio precoce significa raggiungere livelli di sopravvivenza superiori al 95%. Quindi la prevenzione primaria è il modo ottimale per salvare vite e ridurre i costi sanitari”, dichiara il Professor Giuseppe Curigliano, Presidente della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e Vicedirettore Scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. “Sovrappeso o obesità, fumo, eccessivo consumo di alcolici, sedentarietà, alimentazione non corretta sono fattori di rischio noti, insieme alla familiarità: chi ha parenti di primo grado (madri, nonne, zie, sorelle) che hanno sviluppato un carcinoma mammario corre più pericoli. Bene che ci siano iniziative come questa che lavorano sul concetto di cultura della prevenzione, così da aumentare anche tra le giovani donne l’awareness sull’importanza di sottoporsi a controlli ecografici una volta all’anno e, specialmente, di abituarsi a fare l’autopalpazione una volta al mese, così che, se notano anomalie, non venga perso tempo prezioso”, conclude Curigliano.
“Per la nostra struttura è stato un onore mettere la professionalità dei nostri specialisti a disposizione delle donne in servizio alla Polizia di Stato, che hanno risposto con fiducia ed interesse alla possibilità di accedere agli esami e ai consulti. Ci auguriamo che campagne come questa possano ripetersi, magari coinvolgendo anche altre categorie professionali, per amplificare sempre più l’azione della prevenzione e moltiplicare le opportunità di individuare precocemente i casi ed agire tempestivamente”, commenta Gianpaolo Carrafiello, Direttore Struttura Complessa di Radiologia dell’Ospedale Policlinico di Milano.
“Abbiamo abbracciato con convinzione questa iniziativa virtuosa – evidenzia Paola Bardasi, Direttore Generale dell’Azienda Usl di Piacenza – insieme ai nostri professionisti perché si tratta di un’azione concreta che si affianca alle attività di prevenzione che sono il nostro impegno quotidiano e irrinunciabile. La risposta a Piacenza è stata positiva, soprattutto tra le giovani under 45 della Scuola di Polizia, segno che sul nostro territorio c’è una sensibilità forte sul tema. La nostra Azienda, in linea con la Regione Emilia-Romagna, crede fortemente nell’offerta dello screening gratuito che, insieme agli altri, si è dimostrata capace di modificare la storia della malattia. Scoprire una patologia il più precocemente possibile, prima della comparsa dei sintomi, permette di controllarne l’evoluzione: possiamo offrire maggiori possibilità di cura, terapie meno aggressive e meno impattanti sulla qualità di vita, con una notevole riduzione di mortalità. Prevenire è creare salute. Non ci stancheremo di ripeterlo alle donne: è difficile trovare il tempo per un esame, ma sono 5 minuti che valgono una vita”.
“Questo progetto rientra tra le attività di promozione della salute del nostro personale ed è stato favorevolmente accolto dalle donne della Polizia di Stato, che hanno mostrato un’adesione pari al 65% nella provincia di Bologna e all’88% tra le Allieve Agenti della Scuola di Polizia Giudiziaria e Amministrativa di Brescia” – spiega Mario Mazzotti, Dirigente Ufficio di Coordinamento Sanitario Polizia di Stato – Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna. “Dall’analisi dei dati preliminari risulta che, nonostante il 26% di queste colleghe presentasse familiarità per il tumore al seno, oltre la metà di loro non si era mai sottoposta ad una visita senologica e ad un’ecografia al seno. Per questo riteniamo che averle informate e sensibilizzate sia stato estremamente importante e abbia trasferito quanto la cultura della prevenzione sia fondamentale per scongiurare situazioni di malattia oggi in molti casi evitabili o circoscrivibili”. Conclude Mazzotti: “Consegniamo queste evidenze alle Istituzioni e alle Società Scientifiche, affinché possano essere valutati e intrapresi i passi necessari per rendere questi programmi di prevenzione una realtà solida, accessibile e continuativa anche per le giovani donne, nel loro percorso di vita”.
In chiusura dei lavori, i rappresentanti dell’azienda main sponsor, AstraZeneca, e delle aziende partner tecnici, Centro Diagnostico Italiano-Gruppo Bracco, GE HealthCare e Samsung Healthcare Italia hanno infine portato il punto di vista dell’Industria sull’importanza dell’educazione alla prevenzione.
“Siamo orgogliosi dei risultati di questa campagna, in particolare per l’impatto avuto sulle giovani donne in forza alla Polizia di Stato” – ha sottolineato Francesca Patarnello, VP Market Access & Government Affairs, AstraZeneca (che ha dato il supporto non condizionato). “La prevenzione e la tutela della salute sono fondamentali ad ogni età e questa iniziativa risponde alla necessità di coinvolgere nei programmi di screening anche le fasce di popolazione più giovane”.
Diabete aumenta rischio di demenza: troppo glucosio tossico per cervello
Alimentazione, Anziani, Associazioni pazienti, NewsCirca il 67% delle persone con diabete ha più di 65 anni, uno su 5 ha più di 80 anni. La patologia è comune nell’età in cui si verifica un calo delle funzioni cognitive. I primi segni della demenza interessano il 20% degli over 65 e uno su 3 sviluppa una forma conclamata nei 5 anni successivi. Tuttavia in presenza di diabete, il declino accelera, colpa dell’eccesso di glucosio e di altri fattori metabolici.
Se n’è parlato durante il 30º Congresso Nazionale della SID a Rimini. “La persona con diabete mellito è più esposta a diverse forme di decadimento cognitivo e malattie neurodegenerative, determinando un notevole impatto sulla qualità della vita della persona stessa e del nucleo familiare. Inoltre, secondo i dati provenienti dal registro REPOSI (Registro Politerapie della Società Italiana di Medicina Interna) la demenza rappresenta la prima causa di morte nei soggetti con diabete anziani e ospedalizzati, quando confrontati con soggetti di pari età” spiega la Dottoressa Carla Greco, creator della sessione e Coordinatore Nazionale YoSID (Gruppo Giovani della SID) “Congiuntamente al controllo glicemico, le condizioni spesso associate al diabete di tipo 2 del soggetto adulto, in particolare le complicanza vascolari, contribuiscono ad incrementare la vulnerabilità cerebrale agli effetti tossici dell’iperglicemia ”.
“L’invecchiamento induce cambiamenti nella composizione corporea come la perdita di massa muscolare e di osso e l’aumento della massa grassa che aumenta il rischio di sviluppare diabete. Tra le diverse comorbilità, la demenza è tra le più comuni nelle persone con diabete di più di 70 anni. Deterioramento cognitivo e fragilità hanno in comune anche meccanismi come lo stress ossidativo e l’origine metabolica” sottolinea il Professor Angelo Avogaro, Presidente SID.
Inoltre l’eccesso di zuccheri nel sangue produce sostanze tossiche e l’ipoglicemia determina una sofferenza dei neuroni in pochi minuti. Ecco perché il controllo glicemico della popolazione diabetica anziana rappresenta una sfida ulteriore per proteggere memoria, attenzione e attività psicomotorie legate il cui funzionamento garantisce l’autonomia della persona. Studi longitudinali hanno calcolato che il TD2 aumenta il rischio di demenza di Alzheimer del 50-100% e quello di demenza vascolare del 100 – 150%.
Il cervello ha bisogno di un costante apporto di glucosio che gli giunge dal circolo sanguigno attraverso la barriera emato-encefalica mediante specifici trasportatori GLUT. Nel tempo l’insulina è stata riconosciuta come un fattore neurotrofico e neuromodulatore implicata in numerosi processi con recettori espressi in molte zone. L’encefalo deve quindi essere considerato un organo insiulino-sensibile con vie di segnalazione dell’ormone che hanno un ruolo nella neurodegenerazione, la plasticità e l’invecchiamento dei neuroni.
Le quantità sono importanti – se a concentrazioni moderate l’insulina ha effetti neuroprotettivi, in quantità elevate può favorire lo sviluppo di specie reattive dell’ossigeno, aumento di proteina Beta amiloide e Tau, le stesse che inducono i sintomi dell’Alzheimer.
Il ruolo degli AGEs – I meccanismi alla base della relazione tra diabete e rischio di decadimento cognitivo sono molteplici e riconducibili all’effetto tossico del glucosio e di tutte le alterazioni metaboliche associate all’obesità e al diabete. Recentemente, avanzate tecniche di neuroimaging hanno dimostrato un’alterazione della capacità del cervello di modulare il flusso cerebrale a causa dell’iperglicemia cronica che causa la formazione di specie reattive dell’ossigeno, prodotti finali avanzati della glicazione (AGE, advanced glycosilated end products) e altre sostanze neurotossiche , oltre che per effetto di uno stato di infiammazione cerebrale subclinica. In questo processo, un ruolo importante è svolto dall’iperinsulinemia e insulino-resistenza cerebrale .
Ottimismo dalle nuove classi di farmaci – “Nuove e recenti evidenze hanno messo in luce specifici effetti di una classe di farmaci antidiabetici, gli analoghi del recettore del glucagon-like peptide 1 (GLP1-RAs), in termini di potenziamento della neurogenesi, contrasto alla morte delle cellule cerebrali, protezione dallo stesso ossidativo e della neuroinfiammazione in diverse condizioni neurologiche ” conclude la Dottoressa Greco.
Malattie cardiovascolari prima causa di morte nelle donne, ma italiane trascurano segnali
Benessere, News, News, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaLe malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nelle donne. Eppure questo rischio è ancora oggi sottovalutato, anche da diversi professionisti della salute.
La maggior parte delle donne italiane, non solo sottostima il proprio rischio cardiovascolare (RCV), ma non conosce tutti i fattori di rischio. Inoltre, quando ne è a conoscenza, non interviene sul proprio stile di vita. È quanto emerge dal CArdiovascular Risk awareness of Italian WOMEN (CARIN WOMEN), uno studio multricentrico pubblicato sul Journal of Clinical Medicine e condotto su un totale di 5.590 donne in 49 ambulatori cardiologici italiani dal gruppo Medicina di Genere di A.R.C.A. (Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali) con il contributo non condizionante di Daiichi Sankyo Italia.
Malattie cardiovascolari, come l’ictus, prima causa di morte
Sebbene decenni di campagne abbiano contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impatto delle malattie cardiovascolari sulle donne, queste rimangono poco arruolate negli studi clinici, poco diagnosticate e poco trattate.
L’obiettivo principale della survey era quello di determinare il livello di consapevolezza delle donne relativamente al proprio RCV che relativo alle differenze tra i generi, la conoscenza dei fattori di rischio (tradizionali e non) e il loro impatto sugli eventi cardiovascolari. Tra i fattori di rischio tradizionali considerati in questa survey figurano ipertensione arteriosa, diabete mellito, ipercolesterolemia e abitudine al fumo.
I fattori di rischio non tradizionali comprendevano sia quelli specifici di genere (complicazioni in gravidanza: nascite pretermine, ipertensione, diabete, aborti ripetuti) sia altri non specifici rappresentati da malattie autoimmuni, trattamenti chemioterapici o radioterapici per il cancro al seno, ansia e depressione.
I risultati dello studio
Indipendentemente dal proprio livello di istruzione, il 23% delle partecipanti con un RCV elevato e il 62% con un RCV molto elevato hanno sottostimato il proprio livello di rischio.
Fino al 43% delle donne ha sottostimato il rischio cardiovascolare femminile rispetto a quello maschile.
Sebbene il 94% delle intervistate fosse a conoscenza dei fattori di rischio tradizionali, solo una parte di loro conduceva uno stile di vita sano. Il 21,8% era infatti fumatrice, solo il 45,9% svolgeva una sufficiente attività fisica (il 13,3% faceva esercizio fisico e il 34,5% camminava regolarmente).
Solo il 20,2% delle intervistate ha riconosciuto di essere in sovrappeso rispetto al 46,9% valutate dagli sperimentatori in base all’indice di massa corporea. Infine, solo il 30,4% consumava più di due porzioni giornaliere di frutta e verdura. La maggior parte delle donne (87,44%) ha affermato inoltre la necessità di avere maggiori informazioni sul proprio RCV e su come ridurlo, e più del 77% di esse preferisce essere informata da un medico (cardiologo o medico di base).
La scarsa consapevolezza del proprio rischio cardiovascolare
La popolazione esaminata in questa indagine era prevalentemente in prevenzione primaria (solo il 6,3% aveva avuto precedenti eventi CV) ed era piuttosto eterogenea per età, scolarità e stato civile. Il 51,71% delle donne ha dichiarato di avere almeno un fattore di rischio tradizionale ma solo il 9,09% ritiene di avere un RCV aumentato.
La consapevolezza del proprio rischio cardiovascolare è risultata più bassa proprio dove invece avrebbe dovuto essere maggiore: solo il 37,76% delle donne con RCV elevato (3 o più Fattori di Rischio) si considera tale; il 23,03% delle pazienti con RCV intermedio (1 o 2 fattori di Rischio) si considera a basso rischio;
Un’altra dimostrazione di quanto il proprio rischio sia sottostimato dalle donne è la percezione del proprio peso: il 46,9% delle partecipanti aveva un indice di massa corporea (BMI) >26 ma solo il 20,2% ha dichiarato di essere in sovrappeso. Il 71,79% di coloro che avevano un BMI compreso tra 26 e 30 e il 41,47% delle donne con un BMI >30 non ha riconosciuto di essere sovrappeso o obesa.
Anche il livello di scolarizzazione, che è un importante fattore socio-culturale, sembra avere un impatto significativo sul RCV effettivo, in quanto il numero di fattori di rischio sembra diminuire con l’aumentare del grado di istruzione; tuttavia, analizzando l’auto-percezione, la sottostima del proprio rischio è generalizzata a tutti i livelli di scolarizzazione.
Un altro fattore socio-culturale preso in considerazione in questa indagine è lo stato civile, che sembra influenzare la percezione del proprio rischio. In tutti i gruppi di stato civile, il numero di fattori effettivi di RCV era più basso nelle donne giovani non sposate; eppure, solo una bassa percentuale di donne in tutti i gruppi (single/divorziate/vedove/sposate) percepiva di avere un RCV aumentato, e questa sottostima era maggiore nel gruppo delle donne sposate (solo il 10,85% riteneva di avere un RCV elevato). L’ipotesi degli Sperimentatori è che la percezione del rischio sia influenzata da fattori psicologici piuttosto che oggettivi.
La sottovalutazione del rischio femminile rispetto a quello maschile
Le malattie cardiovascolari (CVD) sono la principale causa di morte femminile nei Paesi sviluppati. Le donne subiscono meno eventi cardiovascolari prima della menopausa, ma sviluppano più malattie cardiovascolari e una prognosi peggiore dopo. Pertanto, non è possibile affermare che il RCV maschile sia superiore a quella femminile, eppure questa sembra essere la convinzione più diffusa, tanto che viene confermata anche dal CARIN WOMEN. Il 57% delle donne sapeva che il RCV femminile è almeno allo stesso livello di quello maschile, il 25% delle donne non ha risposto e il 18% ritiene che il RCV femminile sia inferiore.
Dunque, dal 36,33% al 43% delle donne sottovaluta o non conosce il rischio cardiovascolare femminile. Un risultato che non sorprende i ricercatori A.R.C.A, visto l’ambiente culturale (operatori sanitari inclusi) che finora ha considerato il rischio cardiovascolare come prettamente maschile, con una conseguente sottovalutazione dei sintomi e delle diagnosi, peggiorando così la prognosi nelle donne.
“La nostra indagine ha evidenziato una buona conoscenza dei fattori di rischio cardiovascolare ma allo stesso tempo una sottovalutazione del proprio rischio cardiovascolare. Nelle donne italiane, questa sottostima è maggiore tra le più giovani e soprattutto tra quelle con rischio cardiovascolare molto elevato. Il fattore culturale sembra influenzare il numero di fattori di rischio cardiovascolare ma non la percezione del proprio rischio”, spiega Adele Lillo, Responsabile Ambulatoriale Cardiologia ASL BA DSS 10 Ospedale Fallacara Triggiano e principale autrice dello studio.
“Il divario culturale nella riduzione del rischio cardiovascolare femminile purtroppo persiste, e anche gli stili di vita sani sono ben noti ma poco praticati. Riteniamo che l’educazione alla valutazione del proprio rischio CV e al perseguimento di abitudini di vita sane debba iniziare già nelle scuole e debba continuare a essere perseguita da tutti gli operatori sanitari. È inoltre giunto il momento di porre fine al pregiudizio secondo cui le donne sono meno esposte al rischio cardiovascolare rispetto agli uomini.”
Bambini e allergie alimentari, un farmaco elimina il problema
Bambini, AlimentazioneLe allergie alimentari possono essere molto pericolose e nel caso dei bambini sono un vero e proprio incubo per i genitori. Oggi, grazie ad un nuovo farmaco, si può drasticamente ridurre il rischio di reazioni al contatto con l’alimento “incriminato”. In questo modo, i piccoli possono recuperare una dieta meno severa e, quindi, avere una migliore qualità di vita. Il grado di sicurezza del farmaco per le allergie alimentari – un anticorpo monoclonale già utilizzato per l’asma – è stato verificato e confermato da uno studio osservazionale condotto da clinici e ricercatori dell’unità di Allergologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: dopo 12 mesi di trattamento, oltre il 60% dei piccoli pazienti coinvolti nella ricerca ha potuto adottare un’alimentazione completamente libera, senza restrizioni.
Le allergie alimentari
I bambini suscettibili ad alcune categorie di alimenti, generalmente innocui, possono andare incontro a reazioni anche molto gravi: spesso affetti da malattie allergiche come dermatite atopica, rinite allergica e asma, quando entrano in contatto con un alimento per il quale hanno sviluppato anticorpi specifici (IgE) vedono scatenarsi una reazione che coinvolge la via respiratoria (soffocamento e asma), la pelle (gonfiori, orticaria e edema diffuso), la via digestiva (vomito e diarrea) e a volte il sistema soffocamento ed asma cardiovascolare, con ipotensione e shock.
Per questi bambini fino a qualche tempo fa le principali strategie di cura erano evitare gli alimenti responsabili o la desensibilizzazione, processo di introduzione pilotata dell’alimento, tramite specifici preparati, per innalzare la soglia di tolleranza. La terza via di trattamento oggi è anche farmacologica.
Protetti dalle reazioni allergiche
La terapia farmacologica per gli allergici agli alimenti consiste nella somministrazione di un anticorpo monoclonale che mantiene innocue le IgE circolanti nell’organismo. Già in uso per l’asma, all’inizio del 2024 è stato approvato dall’FDA americano come primo farmaco per l’allergia alimentare con l’indicazione, tuttavia, di continuare a evitare l’alimento che scatena le reazioni. Un recente studio USA, pubblicato sul New England Journal of Medicine, aveva documentato la capacità del farmaco di innalzare la soglia di reazione agli alimenti, rappresentando una sorta di scudo protettivo.
Altre esperienze cliniche hanno attestato nel tempo l’efficacia dell’anticorpo monoclonale per le allergie alimentari: all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù il farmaco viene utilizzato già da 10 anni come strategia di riduzione del rischio nei bambini con asma grave e allergia agli alimenti.
Lo studio
Lo studio osservazionale condotto da clinici e ricercatori dell’unità di Allergologia del Bambino Gesù, appena pubblicato sulla rivista scientifica Allergy, ha indagato il grado di sicurezza della terapia farmacologica in caso di reintroduzione dell’alimento nella dieta del bambino allergico, confermando che gran parte dei piccoli allergici può tornare a mangiare cibi che prima gli erano preclusi.
Nella ricerca sono stati coinvolti 65 bambini con asma ed allergia alimentare trattati con il farmaco per un periodo di 12 mesi. Dall’osservazione del gruppo di pazienti seguiti al Bambino Gesù è emerso che con il trattamento farmacologico le soglie di reazione all’alimento vengono moltiplicate (per il latte 250 volte, per l’uovo 170 volte, per la nocciola 250 volte, per l’arachide 55 volte) e il numero delle reazioni anafilattiche viene drasticamente ridotto (dai 98 casi registrati nei 12 mesi precedenti il trattamento farmacologico alle 8 reazioni durante il periodo di cura con l’anticorpo monoclonale).
Più allergie
Tra i dati più rilevanti dello studio, quello riguardante l’introduzione nella dieta, in sicurezza e senza manovre di desensibilizzazione, degli alimenti precedentemente evitati: una possibilità per l’88% della popolazione studiata. Poiché molti bambini coinvolti nella ricerca erano allergici a più alimenti, la percentuale di quelli che hanno ottenuto una dieta completamente libera, senza restrizioni, è del 61,5%. “Con il trattamento farmacologico tutti i bambini del gruppo hanno potuto smettere di osservare l’etichettatura precauzionale degli alimenti alla ricerca della dicitura “potrebbe contenere…”, pratica che limita di molto le scelte dei pazienti allergici alimentari” spiegano la dottoressa Stefania Arasi, allergologa, prima autrice dello studio e il professor Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia del Bambino Gesù e coordinatore della ricerca.
“Oltre a ciò, lo studio documenta che i genitori e i pazienti si rilassano, il loro indice di qualità della vita viene normalizzato non dovendo più essere condizionati in maniera incombente dal mangiare per errore qualcosa di sbagliato. I dati osservazionali del nostro studio dovranno essere replicati in maniera prospettica, ma la terza via per una vita migliore per i bambini allergici alimentari è aperta”.
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Allergie di stagione e dermatite atopica, quale legame
Gli investimenti strategici meglio di risorse a pioggia
News, Rubriche“La prevenzione è un pilastro fondamentale per la salute pubblica, e spesso la differenza non la fanno le risorse economiche, ma le scelte di investimento”. A ricordarlo è l’on. Ugo Cappellacci, Presidente della XII Commissione Affari Sociali alla Camera dei Deputati. La stessa lettura dell’ultimo rapporto Gimbe – prosegue – mette in evidenza una serie di indicatori che dimostrano che non è la quantità di risorse a determinare i risultati sanitari, ma la loro qualità e l’efficacia delle strategie adottate. Prendiamo come esempio la Germania: nonostante disponga di un sistema sanitario ampiamente finanziato, registra tassi di mortalità elevati se comparati a Paesi che, pur avendo meno mezzi, investono in modo più mirato e strategico.
Giusta programmazione
Questo dimostra che l’efficienza sanitaria si costruisce su decisioni ponderate e su un uso intelligente delle risorse, che devono essere allocate in modo da garantire i migliori esiti possibili per i cittadini. In questo scenario la prevenzione diventa uno strumento imprescindibile, non solo per ridurre i costi della sanità, ma soprattutto per migliorare la qualità della vita. È importante abbracciare un approccio sistematico e integrato, in linea con il concetto di “One Health”, che non si limiti alla cura delle malattie ma promuova l’educazione, la prevenzione e l’inclusione sociale. Non più tardi di un anno fa è stata approvata una legge che introduce in Italia lo screening sulla popolazione pediatrica per il diabete di tipo 1 e la celiachia. La prestigiosa rivista Science ha citato questo provvedimento riconoscendolo come esempio ed eccellenza in campo globale, sottolineando prevenire significa anticipare i problemi, investire nelle persone e nelle comunità, creare un sistema che si prenda cura di tutti, senza lasciare nessuno indietro.
Oltre l’emergenza
Una visione che guarda oltre l’emergenza, puntando a costruire una società più sana e resiliente, capace di affrontare le sfide future con consapevolezza e responsabilità. La prevenzione, quindi, non è solo una scelta strategica, ma un atto di responsabilità politica e sociale. È il momento di agire, di mettere in campo investimenti mirati e di adottare politiche che guardino al lungo termine. Solo così potremo garantire un futuro più sicuro e una sanità davvero efficiente”, conclude.
su IL MATTINO il giorno 3 novembre 2024 a firma di Sofia Gorgoni con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
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Fermare con tutele e incentivi la fuga di medici e infermieri
RubricheRappresentanti delle istituzioni, dell’industria e del mondo accademico si sono riuniti per un confronto serrato sul futuro della sanità italiana. All’evento Salute e legge di bilancio 2025, organizzato dalla Fondazione Mesit, con il sostegno incondizionato di Sanofi, le proposte per rafforzare il Sistema sanitario italiano e sostenere l’innovazione sono state al centro del dibattito, mentre prosegue l’iter parlamentare per l’approvazione della manovra entro fine anno. Il confronto si è focalizzato su quattro punti chiave: l’incremento del personale sanitario, maggiori tutele e retribuzioni per medici e infermieri, l’aumento del tetto di spesa farmaceutica e la revisione dei criteri di innovatività dei farmaci.
Il personale
Il primo punto riguarda la carenza di personale sanitario. Le retribuzioni insufficienti e le crescenti pressioni lavorative, tra cui episodi di violenza e contenziosi, stanno allontanando sempre più professionisti dal settore, ha osservato Marco Trabucco Aurilio, Presidente della Fondazione Mesit, il quale auspica una defiscalizzazione, anche se parziale, dell’indennità di specificità medica. Anche l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ha evidenziato la mancanza di circa 65 mila infermieri e ha denunciato la fuga di professionisti italiani verso l’estero, in particolare verso Paesi emergenti come gli Emirati. Secondo Lorenzin, la competitività retributiva dell’Italia rispetto ad altri Paesi europei e non europei è una questione da affrontare con una grande riforma delle professioni mediche.
La spesa farmaceutica
La seconda proposta riguarda l’aumento dello 0,55% del tetto per la spesa farmaceutica, come indicato da Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria e AD di Sanofi Italia, unitamente alla revisione dei criteri dell’innovatività dei farmaci, per ampliare l’accesso al fondo destinato anche ai nuovi antibiotici efficaci contro i super batteri. Sul Fondo per i farmaci innovativi attualmente giacciono 500 milioni di euro non utilizzati, come ricordato anche da Trabucco Aurilio. “Con la manovra sono stati aggiunti miliardi sulla sanità – ha affermato Cattani – e questo va nella direzione giusta, poiché la spesa sanitaria non può che crescere, in risposta ai bisogni crescenti e ai costi per l’innovazione”. Tuttavia “servono investimenti maggiori nella spesa farmaceutica, che ha allungato la vita media negli ultimi 25 anni, garantendo terapie per moltissime patologie”.
L’incremento
In particolare Cattati ha richiesto un aumento di mezzo punto percentuale delle risorse per la spesa farmaceutica, portando la quota al 15,8% del Fondo sanitario nazionale rispetto all’attuale 15,3%. Infine, per supportare l’industria farmaceutica, che traina l’export italiano, ha auspicato la creazione immediata di un gruppo di lavoro. Le richieste dell’industria farmaceutica comprendono l’abolizione del payback dell’1,83% sulla spesa farmaceutica convenzionata e la stabilizzazione, per il 2025, del payback per la spesa ospedaliera che pesa come “un’extra tassa” da due miliardi sull’industria del farmaco, ha concluso Cattani. Trabucco Aurilio ha poi ricordato una proposta dell’Associazione italiana di oncologia di introdurre la “tassa sulle sigarette” da destinare al Fondo Sanitario Nazionale. Lorenzin e l’on. Ugo Cappellacci, Presidente della Commissione Affari Sociali, si sono trovati d’accordo sul mini prelievo dal costo delle sigarette (normali ed elettroniche). Lorenzin ha ricordato di aver presentato in varie occasioni, dalla maggioranza e dall’opposizione, questa norma, trovando sempre forti resistenze.
Costi e risultati
Per quanto riguarda la qualità degli investimenti, sottolineata dalla manovra, tutti i partecipanti hanno concordato sulla necessità di una programmazione della spesa basata sui risultati ottenuti, calcolando il valore effettivo generato per i cittadini. L’on. Ylenja Lucaselli ha sottolineato la responsabilità delle regioni nel consentire l’accesso tempestivo all’innovazione. Sulla qualità della spesa, ha ribadito: “vale la pena, talvolta, spendere di più, se questo significa raggiungere prima la diagnosi o curare meglio”. Il testo definitivo della Legge di Bilancio sarà approvato entro il 31 dicembre.
su IL MATTINO il giorno 3 novembre 2024 a firma di Sofia Gorgoni con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
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Prevenzione del tumore al seno, i risultati del progetto promosso dalla Polizia di Stato
NewsOltre 1400 le donne raggiunte in due mesi, circa 500 le ore messe a disposizione dal personale medico e oltre 600 le visite mediche eseguite e gli incontri di counseling. Hanno aderito all’iniziativa soprattutto le più giovani. Ad oggi le fasce di popolazione sottoposte a controllo mammografico sono, invece, quelle tra i 45 e i 49 anni (una volta all’anno) e tra i 50 e i 74 anni (ogni due anni), attraverso i programmi di screening gratuiti previsti dalle Regioni.
Questi numeri sono i risultati di “Care for Caring – Ambasciatrici della Prevenzione”, il progetto di sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione del tumore al seno, rivolto alle donne in forza alla Polizia di Stato, illustrati di recente al Ministero della Salute, presso l’Auditorium Cosimo Piccinno.
L’iniziativa, ideata e coordinata da Ladies First, ha coinvolto il personale medico specialistico di quattro strutture, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Sant’Orsola-Malpighi, Spedali Civili di Brescia e AUSL di Piacenza.
“La campagna Care for Caring – Ambasciatrici della prevenzione è un’iniziativa lodevole sotto molti punti di vista. In primo luogo, perché accende l’attenzione sul tema della prevenzione, elemento primario per la salute individuale e di comunità, che sappiamo essere un fattore decisivo soprattutto in ambito oncologico” – dichiara l’On. Simona Loizzo, Componente della XII Commissione (Affari Sociali) alla Camera dei deputati – “Inoltre, la campagna ha coinvolto moltissime giovani donne in forza alla Polizia di Stato, che quindi ora potranno diventare loro stesse “ambasciatrici della prevenzione”, diffondendo i valori che son stati trasmessi loro durante le visite e il counseling. Infine, penso che questo progetto sia un esempio virtuoso di collaborazione tra le Istituzioni, la Comunità Scientifica e l’industria, e spero che possa essere un modello per iniziative future. In qualità di Presidente dell’Intergruppo Parlamentare sulle Nuove Frontiere Terapeutiche nei Tumori della Mammella – ha concluso l’On. Loizzo – sono dunque molto orgogliosa di aprire l’evento conclusivo di presentazione dei risultati della campagna Care for Caring”.
La novità dell’iniziativa consiste nel focalizzare l’attenzione sulla prevenzione del tumore al seno già partendo dalla fascia di età tra i 20 e i 44 anni. Lo si è fatto mettendo a disposizione un controllo clinico senologico ed ecografico, che ha offerto l’opportunità di promuovere la cultura della prevenzione all’interno della Polizia di Stato, affinché il prendersi cura della propria salute possa riflettersi in una sempre più efficace offerta di sicurezza alla collettività.
Alla fascia di popolazione femminile tra i 45 e i 60 anni, sono state messe a disposizione brevi sessioni di counseling educazionale a cura di medici specialisti, sull’importanza di sottoporsi ai controlli mammografici previsti dalle Regioni, eseguire l’autopalpazione, seguire stili di vita sani.
L’evento è stato aperto dal Sottosegretario di Stato per la Salute, On. Marcello Gemmato e dalla promotrice dell’evento On. Simona Loizzo, Presidente Intergruppo Nuove Frontiere Terapeutiche nei Tumori della Mammella, XII Commissione Affari Sociali e Sanità, Camera dei deputati.
Il progetto ha avuto il patrocinio di Regione Emilia-Romagna e Fondazione AIOM.
“Diagnosticare un cancro a uno stadio precoce significa raggiungere livelli di sopravvivenza superiori al 95%. Quindi la prevenzione primaria è il modo ottimale per salvare vite e ridurre i costi sanitari”, dichiara il Professor Giuseppe Curigliano, Presidente della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) e Vicedirettore Scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. “Sovrappeso o obesità, fumo, eccessivo consumo di alcolici, sedentarietà, alimentazione non corretta sono fattori di rischio noti, insieme alla familiarità: chi ha parenti di primo grado (madri, nonne, zie, sorelle) che hanno sviluppato un carcinoma mammario corre più pericoli. Bene che ci siano iniziative come questa che lavorano sul concetto di cultura della prevenzione, così da aumentare anche tra le giovani donne l’awareness sull’importanza di sottoporsi a controlli ecografici una volta all’anno e, specialmente, di abituarsi a fare l’autopalpazione una volta al mese, così che, se notano anomalie, non venga perso tempo prezioso”, conclude Curigliano.
“Per la nostra struttura è stato un onore mettere la professionalità dei nostri specialisti a disposizione delle donne in servizio alla Polizia di Stato, che hanno risposto con fiducia ed interesse alla possibilità di accedere agli esami e ai consulti. Ci auguriamo che campagne come questa possano ripetersi, magari coinvolgendo anche altre categorie professionali, per amplificare sempre più l’azione della prevenzione e moltiplicare le opportunità di individuare precocemente i casi ed agire tempestivamente”, commenta Gianpaolo Carrafiello, Direttore Struttura Complessa di Radiologia dell’Ospedale Policlinico di Milano.
“Abbiamo abbracciato con convinzione questa iniziativa virtuosa – evidenzia Paola Bardasi, Direttore Generale dell’Azienda Usl di Piacenza – insieme ai nostri professionisti perché si tratta di un’azione concreta che si affianca alle attività di prevenzione che sono il nostro impegno quotidiano e irrinunciabile. La risposta a Piacenza è stata positiva, soprattutto tra le giovani under 45 della Scuola di Polizia, segno che sul nostro territorio c’è una sensibilità forte sul tema. La nostra Azienda, in linea con la Regione Emilia-Romagna, crede fortemente nell’offerta dello screening gratuito che, insieme agli altri, si è dimostrata capace di modificare la storia della malattia. Scoprire una patologia il più precocemente possibile, prima della comparsa dei sintomi, permette di controllarne l’evoluzione: possiamo offrire maggiori possibilità di cura, terapie meno aggressive e meno impattanti sulla qualità di vita, con una notevole riduzione di mortalità. Prevenire è creare salute. Non ci stancheremo di ripeterlo alle donne: è difficile trovare il tempo per un esame, ma sono 5 minuti che valgono una vita”.
“Questo progetto rientra tra le attività di promozione della salute del nostro personale ed è stato favorevolmente accolto dalle donne della Polizia di Stato, che hanno mostrato un’adesione pari al 65% nella provincia di Bologna e all’88% tra le Allieve Agenti della Scuola di Polizia Giudiziaria e Amministrativa di Brescia” – spiega Mario Mazzotti, Dirigente Ufficio di Coordinamento Sanitario Polizia di Stato – Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna. “Dall’analisi dei dati preliminari risulta che, nonostante il 26% di queste colleghe presentasse familiarità per il tumore al seno, oltre la metà di loro non si era mai sottoposta ad una visita senologica e ad un’ecografia al seno. Per questo riteniamo che averle informate e sensibilizzate sia stato estremamente importante e abbia trasferito quanto la cultura della prevenzione sia fondamentale per scongiurare situazioni di malattia oggi in molti casi evitabili o circoscrivibili”. Conclude Mazzotti: “Consegniamo queste evidenze alle Istituzioni e alle Società Scientifiche, affinché possano essere valutati e intrapresi i passi necessari per rendere questi programmi di prevenzione una realtà solida, accessibile e continuativa anche per le giovani donne, nel loro percorso di vita”.
In chiusura dei lavori, i rappresentanti dell’azienda main sponsor, AstraZeneca, e delle aziende partner tecnici, Centro Diagnostico Italiano-Gruppo Bracco, GE HealthCare e Samsung Healthcare Italia hanno infine portato il punto di vista dell’Industria sull’importanza dell’educazione alla prevenzione.
“Siamo orgogliosi dei risultati di questa campagna, in particolare per l’impatto avuto sulle giovani donne in forza alla Polizia di Stato” – ha sottolineato Francesca Patarnello, VP Market Access & Government Affairs, AstraZeneca (che ha dato il supporto non condizionato). “La prevenzione e la tutela della salute sono fondamentali ad ogni età e questa iniziativa risponde alla necessità di coinvolgere nei programmi di screening anche le fasce di popolazione più giovane”.
Sclerosi multipla: sintomi, diagnosi e nuove prospettive
News, RubricheSempre più spesso si sente parlare di sclerosi multipla, una malattia neurologica, autoimmune, infiammatoria e neurodegenerativa che colpisce prevalentemente i giovani adulti (l’esordio in media avviene tra i 20 e i 40 anni), in particolare le donne, causando una serie di lesioni nell’encefalo e nel midollo spinale, con sintomi a carico del sistema nervoso centrale. Una malattia complessa della quale abbiamo parlato con la professoressa Roberta Lanzillo, associato in Neurologia all’Università Federico II di Napoli.
I segnali
La professoressa Roberta Lanzillo
«I primi campanelli d’allarme possono essere problemi visivi o di equilibrio, di forza o problemi sfinterici», ci spiega. «Di norma la malattia ha un andamento fatto di remissioni e ricadute». Se è vero che la sclerosi multipla viene diagnosticata solitamente verso i 28 anni, altrettanto vero è che nel 5 o 10% dei casi l’esordio si ha già in età pediatrica (sotto i 18 anni) e, ultimamente, si registrano casi ad esordio tardivo (oltre i 50 anni). Centrale, nel dibattito attuale sulla sclerosi multipla, è il ragionamento sulla cosiddetta smoldering disease. La professoressa Lanzillo ci dice che uno dei principali limiti nella gestione attuale della malattia è proprio riuscire a combinare un controllo soddisfacente della componente infiammatoria evidente della malattia, caratterizzata da recidive acute, con un impatto altrettanto soddisfacente sulla successiva progressione della disabilità. «Abbiamo sicuramente migliorato la prognosi dei nostri pazienti riducendo la componente infiammatoria, specialmente nelle fasi iniziali della malattia, ma persiste questa situazione di “braci sotto la cenere” (la smoldering disease, appunto, ndr) per cui un processo patologico già innescato molti anni prima continua a manifestare nel tempo una degenerazione. Su questo meccanismo non riusciamo ancora ad avere un grosso impatto, ma va anche detto – aggiunge – che iniziamo a comprendere meglio l’eziopatogenesi della smoldering disease e a vedere promettenti terapie in fase avanzata di sperimentazione clinica, che cominciano a dare qualche spiraglio di speranza, riducendo la progressione di malattia in alcune classi di pazienti».
I progressi
Passi in avanti che sono, e sempre più saranno, determinanti perché consentono di rallentare o ritardare la progressione della disabilità anche nelle fasi più avanzate di malattia. Detto in altri termini, si sono aperti nuovi fronti nella ricerca sulla sclerosi multipla che sembrano confermare come sia necessario lavorare tanto sul processo acuto, quanto sul processo smoldering, andando ad agire direttamente all’interno del sistema nervoso centrale. «Le evidenze più recenti ci dicono che l’infiammazione periferica – quella che controlliamo meglio – non è l’unico meccanismo con cui la patologia progredisce. Anzi, esiste un’infiammazione nel sistema nervoso centrale, tra le meningi e il parenchima cerebrale, che è quella su cui bisogna agire con molecole che siano in grado di attraversare la barriera ematoencefalica».
Le linee d’azione
Queste, dunque, le principali e più attuali linee d’azione, ma come si arriva alla diagnosi di sclerosi multipla e quali sono le prospettive in relazione alla qualità di vita? La professoressa Lanzillo ci spiega che, benché sia impossibile guarire dalla sclerosi multipla (come del resto non si guarisce da nessuna malattia cronica, ndr), una condizione di vita soddisfacente è assolutamente perseguibile. «Il nostro obiettivo è, quindi, agire con potenza, ma con un bilanciamento degli effetti benefici e collaterali delle terapie, il che si può raggiungere anche attraverso degli stili di vita sani. Non sono importanti solo i farmaci, è cruciale che il paziente abbia attenzione all’alimentazione, all’attività fisica e anche validi stimoli cognitivi e socioculturali affinché si ottenga una gestione ottimale della patologia».
I criteri
Per la diagnosi i criteri sono stringenti: si parte sempre da un sospetto diagnostico clinico, al quale deve seguire una conferma strumentale che si ottiene attraverso la risonanza magnetica. «Oggi giorno si è tornati a valutare anche l’importanza dell’esame del liquor, che per alcuni anni era stato messo un po’ da parte in base ai criteri diagnostici. Oggi è tornato invece in auge e così facendo riusciamo a fare diagnosi anche dopo il primo episodio clinico di malattia, senza dover aspettare che la sclerosi multipla avanzi. Non è superfluo dire che una diagnosi precoce ci consente di avviare una terapia in modo tempestivo, evitando che si creino danni e rallentando il decorso». Resta sempre determinante, da parte del paziente, prestare grande attenzione a qualsiasi, anche lieve, variazione che avvenga nella sua vita quotidiana (ad esempio, nella velocità di pensiero e/o nel modo di muoversi, nella capacità visiva e anche nell’umore) e poter afferire ad un centro specialistico, perché la prognosi è sempre connessa all’esperienza del Centro a cui ci si rivolge. Questo è tanto più vero per le diagnosi che arrivano in giovane età o in età avanzata. «In casi più complessi c’è bisogno di una grossa expertise per arrivare ad una diagnosi differenziale. Inoltre, attraverso i centri di riferimento i pazienti hanno la possibilità di accedere a tutte le terapie, anche quelle sperimentali legate a trials clinici che vengono condotti nei principali centri per la sclerosi multipla».
pubblicato su IL MATTINO il giorno 3 novembre 2024 a firma di Marcella Travazza con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
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Malattie cardiovascolari, 3 fattori di rischio
Prevenzione, News, NewsConcentrando l’attenzione su calcio coronarico, fattori genetici ed elasticità delle arterie possiamo proteggerci dal rischio di malattie cardiovascolari. Questi tre elementi sono infatti essenziali nella valutazione dell’esposizione al rischio, aiutano infatti i medici a capire quali sono le persone che rischiano di più e, di conseguenza, ci consentono di mettere in atto le misure necessarie a proteggerle. Insomma, quando si parla di prevenzione delle malattie cardiovascolari, la chiave del successo è rendere sempre più personalizzata le strategie di intervento, perché siano più efficaci per tutti.
Lo studio studio CVrisk-IT
È proprio questo uno degli obiettivi dello studio CVrisk-IT e per questo i medici e i ricercatori di CVrisk-IT andranno alla ricerca (e alla verifica scientifica) di specifici fattori che possano aumentare o diminuire il rischio di contrarre una malattia cardiovascolare. Perché? Per capire se queste informazioni più precise e personalizzate, insieme ai consigli sullo stile di vita e al trattamento medico, possano aiutare a proteggere in modo sempre più efficace tutti noi dal rischio di ammalarsi.
Lo studio CVrisk-IT si concentra in particolare su tre fattori: la quantità di calcificazioni presenti nella parete interna delle arterie coronarie (i vasi che “nutrono” il muscolo cardiaco), la presenza, nel nostro patrimonio genetico, di caratteristiche predisponenti, e lo spessore della parete dell’arteria carotide. Vediamoli in dettaglio.
Cosa ci dice il calcio coronarico nelle arterie
Il calcio non si trova solo nelle ossa, ma è anche importante per la salute del cuore, permettendogli di mantenere un ritmo regolare e far scorrere il sangue. Il calcio aiuta anche il sangue a coagulare normalmente e a gestire la pressione sanguigna.
Però, il calcio nel sangue può depositarsi nelle coronarie, insieme ad altre sostanze, come colesterolo, grassi, cellule sanguigne, sotto forma di accumuli chiamati “placche”. La quantità di calcificazioni in corrispondenza delle placche è direttamente proporzionale al rischio di andare incontro a un evento cardiovascolare, come l’infarto del miocardio.
Ecco perché lo studio CVrisk-IT misura, tra l’altro, il calcio coronarico – mediante quello che i medici chiamano “punteggio del Calcio”, – per vedere se vi è un accumulo anomalo di calcio nelle arterie. Se vi sono segni di calcificazione, il cardiologo interviene, adattando i consigli e i trattamenti a seconda delle necessità di ogni persona.
Fattori genetici: il cuore che “ereditiamo”
Alcuni di noi sono più predisposti di altre a sviluppare malattie cardiovascolari a causa di fattori genetici, cioè ereditati dai propri genitori e nonni. Questo non significa che sia inevitabile avere problemi cardiovascolari, ma sapere se si è più a rischio può fare una grande differenza. Nello studio CVRISK-IT, si cercherà di indagare quei fattori genetici che influenzano la salute del cuore. Grazie alle informazioni raccolte dai ricercatori, si potrà scoprire se esiste il rischio di avere malattie cardiovascolari correlato all’ereditarietà familiare.
Stato della parete arteriosa: la “flessibilità” delle arterie
Le arterie sono come piccoli tubi che permettono al sangue ossigenato di viaggiare in tutto il corpo. In particolare, nel collo sono presenti due arterie (le arterie carotidi), responsabili dell’apporto di sangue alla testa e al cervello. Come per tutte le arterie, anche le pareti delle carotidi sono composte da tre strati.
Conoscere lo spessore di questi strati è importante, perché può segnalare la presenza di accumuli di placca, anche nelle sue fasi iniziali, prima che si manifestino i sintomi. L’accumulo di placca rende la parete delle arterie più spessa, riducendo il flusso del sangue. Inoltre, le placche possono rompersi, provocando la formazione di coaguli di sangue, che a loro volta possono bloccare del tutto la circolazione del sangue stesso.
Proprio per identificare in tempo questo rischio e agire prevenendo complicazioni in futuro, nello studio CVRISK-IT verrà controllato lo stato della parete arteriosa, per vedere quanto sono sane, flessibili e liberi da placca le arterie delle persone che partecipano allo studio.
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Editoria: Speciale Salute e Prevenzione di Novembre
SpecialiProsegue il viaggio che il Network editoriale PreSa ha intrapreso ormai da anni nel mondo della Prevenzione e della Salute. Un viaggio improntato alla chiarezza e alla semplicità dei messaggi veicolati, grazie anche alla partnership con il quotidiano Il Mattino. In questo numero si parla di Sclerosi Multipla, in particolare di una condizione infiammatoria che è al centro delle sfide da vincere per consentire ai pazienti affetti da questa malattia di condurre una vita di qualità e libera da gravi disabilità. A fornire un quadro completo su questa condizione è stata la dottoressa Roberta Lanzillo, associato in Neurologia all’Università Federico II di Napoli. Non manca un interessante approfondimento tra passato e futuro della medicina che vede protagonisti gli ospedali storici d’Italia. Questo solo un’assaggio di un’edizione ricca di contenuti, scritta come sempre in modo chiaro e diretto, per informare e sensibilizzare su temi cruciali per la salute di tutti.
Ospedali storici, una lezione per il futuro
Rubriche«Il confronto tra le variegate realtà italiane e le esperienze europee può essere proficuo per mutuare le differenti linee guida adottate dalle diverse istituzioni ospedaliere-museali italiane ed europee, funzionali alla salvaguardia e valorizzazione dei rispettivi patrimoni culturali, ma anche per focalizzare l’attenzione sulla imprescindibile prospettiva della configurazione dell’ospedale del futuro, che rispetti le peculiarità specifiche degli ospedali storici». Non ha dubbi Gennaro Rispoli, presidente di turno dell’Associazione Culturale Ospedali Storici Italiani (ACOSI) che, il 24 novembre, vedrà Napoli come sede del prossimo convegno nazionale dell’Associazione.
La centralità degli Ospedali storici
Un evento che si centrerà sul tema “L’Ospedale e la città” peri promuovere il confronto tra relatori, esperti conoscitori delle diverse realtà storicamente documentate, rappresentate dai più antichi ospedali d’Italia. Il convegno vuole insomma essere un momento di riflessione sulla centralità del ruolo degli Ospedali nella storia, attraverso le diverse esperienze che coniugano la secolare funzione sanitaria a quella di valorizzazione del loro patrimonio culturale. Ripercorrere la storia degli ospedali, dei luoghi ed antiche istituzioni della salute d’Italia significa ripercorrere la storia della scienza, della medicina, della carità e dell’arte del nostro Paese; mettere in evidenzia attraverso la storia della sanità quella dell’intera società civile, ponendo al centro il contenitore di ogni esperienza: l’ospedale, appunto.
Rapporto osmotico
Rispoli ricorda che dal Medioevo fino ai giorni nostri, tra la città e l’ospedale è sempre esistito un dinamico scambio, quasi un rapporto osmotico; gli ospedali, qualunque sia stata l’iniziativa fondativa, religiosa o laica, pubblica o privata, sono stati istituiti per rispondere ad una precisa esigenza di accoglienza e di assistenza; nel corso del tempo si sono trasformati per soddisfare nuove esigenze, legate alla trasformazione del tessuto sociale in cui sono incardinati, ma sempre per rispondere ai bisogni dei pazienti e dei cittadini; oggi più che mai l’Ospedale ha un rapporto diretto con la città e i sui abitanti che sono pazienti e fruitori e che valutano la propria esperienza di cura e assistenza come un’esperienza di benessere. Napoli con la sua tradizione medico-sanitaria e le sue antiche strutture è l’esempio di questa simbiosi.
Patrimonio Unesco
I complessi della Real Santa Casa della SS. Annunziata, di Santa Maria del Popolo degli Incurabili e di Santa Maria della Pace sono la testimonianza tangibile del rapporto tra le antiche corsie ospedaliere e la storia artistica ed economico-sociale della città. Questi ospedali insistono nel Centro Storico partenopeo, iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco dal 1995. Le magnifiche strutture hanno apportato qualcosa di nuovo al paesaggio urbano unendo alla loro funzione sanitaria quella di arricchimento del proprio contesto. Questa circostanza implica una nuova missione degli antichi ospedali, alcuni dei quali hanno cessato o modificato l’antica funzione assistenziale integrando la nuova funzione di conservazione, valorizzazione e divulgazione del complesso patrimonio materiale e immateriale, rappresentato dalla storia dell’assistenza, della solidarietà e della scienza medica. Queste istituzioni possono assumere il ruolo di attivatore sociale ed economico rinnovando i rapporti cultura-turismo, cultura-ospitalità verso traguardi più innovativi e più adatti alla città, superando l’esclusiva attivazione di iniziative confinate al contesto dell’intrattenimento e del tempo libero, legati ai circuiti turistici tradizionali.
La rete ACOSI
Il convegno è organizzato dal Museo delle Arti Sanitarie – Ospedale degli Incurabili di Napoli, che riveste il ruolo di Presidente pro tempore ACOSI per l’anno 2024 ed è tra i soci fondatori insieme a: Ospedale Santa Maria Nuova di Firenze, Ospedale Civile SS. Giovanni e Paolo di Venezia, Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Ospedale Santo Spirito in Sassia di Roma. Dal 2019 la rete degli Ospedali storici italiani si è estesa e al convegno saranno presenti i rappresentanti istituzionali di tutte le realtà che fino ad oggi hanno aderito: AOU SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo (Alessandria), AUSL di Bologna, DG ASST Spedali Civili di Brescia, IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli (Bologna), AUSL Romagna, Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori (Monza), “AULSS 3 “Serenissima” (Venezia), AO San Giovanni Addolorata (Roma), AOU “San Giovanni e Ruggi d’Aragona” – Scuola Medica Salernitana (Salerno), AORN Antonio Cardarelli (Napoli), Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico (Milano), ASST di Lodi Azienda Ospedaliera dei Colli (Napoli), AUSL Toscana Centro, Ente Ospedaliero Ospedali Galliera (Genova), ASL Roma 1 – AO S. Spirito in Sassia (Roma), Museo delle Arti Sanitarie, Referente per i beni storico-sanitari della Campania e ASL Napoli 1 Centro.
pubblicato su IL MATTINO il giorno 3 novembre 2024 a firma di Raffaele Bellotti con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
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