Tempo di lettura: 7 minutiIl monitoraggio dell’erogazione dei LEA sul territorio nazionale ha messo in luce come solo 13 Regioni e Province Autonome siano risultate adempienti nelle 3 macro-aree Prevenzione collettiva e salute pubblica, Assistenza Distrettuale e Assistenza Ospedaliera. I dati fanno emergere un importante grado di difformità e un forte gradiente Nord-Sud con ripercussioni sull’equità di accesso alle prestazioni sanitarie. Il quadro è emerso dall’ultimo rapporto di Meridiano Sanità, presentato di recente a Roma. Inoltre, a livello complessivo, le aree Prevenzione e Assistenza Distrettuale mostrano le maggiori criticità, con l’Area Prevenzione che ha ottenuto il punteggio complessivo più basso e l’Area Distrettuale che è peggiorata nell’ultimo triennio.
L’Area Ospedaliera è l’unica in costante miglioramento, con tutte le Regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta, che nel 2022 hanno incrementato il loro punteggio rispetto al 2020. L’attuale sistema di monitoraggio dei LEA deve superare alcune criticità che lo contraddistinguono per diventare uno strumento più completo e accurato, in grado di restituire una fotografia della capacità dei SSR di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, si legge nel report. Se il sistema di monitoraggio deve permettere di valutare in modo sistematico l’erogazione delle prestazioni sanitarie essenziali, garantendo l’appropriatezza e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche e assicurando che le stesse siano effettivamente fornite a tutti i cittadini in modo uniforme sul territorio, è necessaria un’integrazione della griglia di indicatori di monitoraggio per catturare la complessità e la diversità delle sfide affrontate dai sistemi sanitari regionali.
Ad esempio, sottolinea il rapporto, appare prioritario superare la distinzione tra indicatori CORE e non-CORE, garantire la disponibilità di flussi di dati completi e affidabili in tutte le Regioni e definire nuovi indicatori a partire da quelli relativi alla salute mentale e ai soggetti ad alto rischio cardio-metabolico nell’area Distrettuale, alle coperture delle vaccinazioni indicate nel Calendario Vaccinale/di Immunizzazione e al monitoraggio delle infezioni correlate all’assistenza nell’area Prevenzione.
La prevenzione, come sottolineato dal Ministro della Salute Orazio Schillaci in apertura del Forum Meridiano Sanità, è anche la prima leva su cui agire se “vogliamo che un sistema universalistico come il nostro possa continuare a essere sostenibile, in considerazione dei trend demografici ed epidemiologici”. “Nonostante gli investimenti in prevenzione siano in grado di migliorare la resilienza sociale ed economica del Paese, al centro delle nuove regole europee di programmazione economica, nel Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 occupano uno spazio residuale – ha spiegato Daniela Bianco, Partner di The European House – Ambrosetti e Responsabile Practice Healthcare di TEHA Group. “Nel nuovo regime di Governance europea, la spesa sanitaria e, in particolare, la spesa per la prevenzione, può essere considerata un investimento in sicurezza sociale, allo stesso modo degli investimenti in difesa, digitale e green, non concorrendo quindi al deficit e offrendo maggiore flessibilità agli Stati Membri, a partire dall’Italia caratterizzata da un elevato indebitamento”.
In Italia permangono ampie differenze di spesa in prevenzione tra le varie Regioni e Province Autonome, con poche Regioni che superano il target di spesa in prevenzione del 5%. La spesa pro capite in prevenzione, con una media nazionale pari a 109,6 euro nel 2023, oscilla tra un massimo di 160,8 in Molise e un minimo di 85,9 in Liguria, con un differenziale per singolo cittadino di quasi 75 euro, in riduzione rispetto agli anni precedenti. Alla variabilità regionale si aggiunge una criticità relativa all’allocazione delle risorse dedicate alle singole voci: anche nel 2023, le voci di spesa più propriamente dirette alla salute delle persone (sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, sorveglianza e prevenzione delle patologie croniche) rimangono al di sotto della soglia del 50% del totale.
Prevenzione: solo 23% proattivo
Secondo una survey realizzata da Meridiano Sanità con SWG – che ha avuto come oggetto proprio le opinioni e i comportamenti degli italiani nei confronti della prevenzione – solo il 23% degli italiani si definisce molto proattivo verso la prevenzione, sostenendo di impegnarsi regolarmente per uno stile di vita sano e sottoporsi a controlli medici periodici. Tra le ragioni sottese a una limitata propensione/partecipazione alle attività di prevenzione figurano le barriere economiche tra i senior, e il senso di benessere percepito e di mancanza di tempo, soprattutto tra i giovani: tutti fattori che, insieme al timore di fare scoperte negative in fase di controllo, contribuiscono a ridurre la frequenza dei controlli preventivi.
Con riferimento agli stili di vita, il 18% dichiara di non presentare alcun fattore di rischio tra consumo di alcol e tabacco, dieta non equilibrata e sedentarietà, con percentuali che aumentano tra i laureati e tra coloro che abitano nelle grandi città. Un altro 18% invece presenta almeno 3 fattori di rischio, con valori più elevati tra la Gen Z, gli abitanti di Isole e Nord-Est e gli abitanti dei piccoli centri.
Guardando agli screening il 30% dei cittadini di età compresa tra 50 e 70 anni ha dichiarato di non aver mai eseguito lo screening del colon-retto, percentuali che scendono al 15% per la cervice uterina nelle donne di 25-64 anni e al 13% per la mammografia nelle donne di 50-69 anni. Preoccupante anche che circa il 40% dei cittadini non esegua gli screening oncologici da più di 1 anno.
Vaccini, comunicazione carente
In termini di adesione alle campagne di immunizzazione, l’indagine mette in luce un aumento significativo della propensione degli italiani verso i vaccini anti-pneumococco, anti-Herpes Zoster e anti-HPV, con un particolare incremento tra le donne, mentre tra i giovani emerge una generale e crescente apertura nei confronti della vaccinazione. Se in termini di vaccinati e possibilisti rispetto a queste campagne vaccinali, la percentuale di adesione si aggira intorno al 50%, tra coloro che mostrano atteggiamenti meno propensi, la vera causa di una scarsa adesione alle campagne vaccinali sembra essere la mancanza di comunicazione, tanto che, secondo la survey, 1 italiano su 4 potrebbe avvicinarsi a queste vaccinazioni grazie ad una maggiore informazione.
La qualità delle informazioni relative alla prevenzione viene percepita come scarsa, contraddittoria e confusa da quasi l’80% degli intervistati, che denunciano una carenza di dati e notizie adeguate: solo i neo-genitori e coloro che godono di una migliore salute esprimono giudizi più positivi. Per migliorare la comunicazione sulla salute, è necessaria una combinazione di iniziative di tipologie tra loro differenti: i Boomers preferiscono un contatto diretto con il medico o il farmacista e apprezzano le campagne istituzionali frequenti, mentre i giovani danno maggiore importanza alla sensibilizzazione attraverso eventi in presenza. Nella comunicazione il tono di voce e lo stile comunicativo devono essere semplici e chiari e provenire da professionisti; tra i giovani, l’aspetto visivo della comunicazione è particolarmente rilevante.
Prevenzione e campagne regionali
Meridiano Sanità ha condotto anche un’indagine con le Direzioni Prevenzione delle Regioni e Province Autonome italiane volta a comprendere se, in che misura e con quali modalità, le Regioni hanno realizzato delle campagne di comunicazione sulle tematiche di prevenzione nel corso dell’ultimo anno (2023). Ad oggi 3 Regioni su 4 dichiarano di essersi dotate di un piano o di una strategia di comunicazione delle attività del Piano Regionale Prevenzione (43%) o di aver previsto una sezione/capitolo dedicato a queste tematiche all’interno del Piano regionale di Comunicazione (29%). 1 Regione su 3 dichiara invece di avere un ufficio/settore specificamente dedicato alla comunicazione in quest’ambito. Il finanziamento delle attività di comunicazione in prevenzione avviene principalmente attraverso l’utilizzo di fondi regionali (86% delle Regioni).
Molteplici sono anche i canali di comunicazione che sono stati attivati, mediamente 5 per Regione: il sito web della Regione e il materiale informativo sono utilizzati dalla quasi totalità dei territori; meno diffusi i siti web dedicati alle attività di prevenzione. I social network sono più utilizzati rispetto ai canali di comunicazione tradizionali locali, a causa di una maggior capillarità dei canali social rispetto a TV e radio locali (81% vs. 62%). Iniziano ad essere utilizzate anche le App (29% delle Regioni). Il personale scolastico/universitario, insieme alla medicina generale e alle associazioni di volontariato/terzo settore sono gli stakeholder maggiormente coinvolti nella realizzazione delle campagne di comunicazione. Ulteriori elementi interessanti riguardano un buon coinvolgimento dei farmacisti (43% dei casi) e un maggior coinvolgimento di specialisti (28%) e del personale socio-sanitario (24%) rispetto alle società scientifiche (14%).
Con riferimento alle campagne sugli stili di vita, prevalgono quelle rivolte al contrasto del tabagismo e quelle a favore di un’alimentazione corretta (rispettivamente 76% e 72% delle Regioni); leggermente meno diffuse quelle contro l’abuso di alcolici e la sedentarietà. La quasi totalità delle Regioni prevede una comunicazione mirata per le campagne vaccinali stagionali; superiore all’80% anche la percentuale di Regioni che comunicano le campagne rivolte alla popolazione pediatrica e adolescenziale e all’età adulta; meno della metà delle Regioni prevede attività di comunicazione per i soggetti a elevato rischio di fragilità.
Per gli screening oncologici (mammografia, screening della cervice uterina e del colon-retto), la quasi totalità delle Regioni utilizza simultaneamente la chiamata attiva attraverso lettera, SMS, telefonata o notifica sull’app, l’invio di materiale informativo e un sito internet ad hoc. Emerge come non vi siano strategie differenziate in funzione del tipo di screening ma le Regioni tendano a riproporre la stessa modalità di azione. Diverse Regioni si sono mosse per la realizzazione anche di altri screening di massa a partire da quello per l’epatite C (17 Regioni) e lo screening cardiovascolare (8 Regioni).
Le Regioni si sono attivate nella realizzazione di ulteriori campagne di comunicazione anche su altri ambiti di prevenzione: ad esempio, il 76% prevede campagne sul contrasto dell’AMR e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; seguono le campagne per la prevenzione delle malattie infettive tropicali, la sicurezza alimentare, l’invecchiamento attivo e la relazione tra Ambiente e Salute (per più del 60% delle Regioni). Per tutte queste campagne le ASL rappresentano l’attore maggiormente coinvolto, mentre per quanto riguarda gli strumenti utilizzati prevalgono i siti internet e la realizzazione di incontri specifici. Dai dati emerge la consapevolezza, da parte delle Regioni, dell’importanza della comunicazione in ambito prevenzione, della necessità di utilizzare una molteplicità di strumenti di comunicazione e di coinvolgere una pluralità di stakeholder.
Integrare politica sanitaria e la politica industriale
In chiusura del Forum si è discusso dell’integrazione tra la politica sanitaria e la politica industriale e della strategia Life Science nazionale con il coinvolgimento di referenti del Ministero della Salute, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Rispetto a 20/30 anni fa, il settore farmaceutico, che è quello a più alta intensità di ricerca e sviluppo e tra quelli più tecnologici, in Europa e in Italia ha perso competitività e attrattività, come sottolineato anche dal recente Rapporto Draghi “The Future of European Competitiveness”. Negli anni però molti Paesi diretti competitor dell’Italia (Regno Unito, Francia, Germania, Spagna) sono partiti con interventi di vario tipo per il rafforzamento del settore, accomunati da un forte impegno da parte del Governo e una forte collaborazione tra Istituzioni e industria verso obiettivi condivisi e una visione unitaria delle Life Sciences. Per l’Italia, l’attivazione dei Tavoli per i settori della farmaceutica e del biomedicale avviati a marzo 2023 e la presentazione del Libro Verde per la politica industriale “Made in Italy 2030” elaborato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che inserisce il farmaceutico tra i settori strategici, rappresentano un’occasione importante di rilancio: serve però un’accelerazione per colmare i divari nei confronti dei Paesi competitor.
Rinoplastica, quali rischi?
News, NewsMorta in seguito ad una rinoplastica, morta nella speranza di realizzare un sogno di bellezza che cullava da sempre. Questa mattina un paese intero si stringerà attorno alla famiglia Margaret Spada per i funerali che si terranno anella chiesa Madre Santa Maria La Cava e Sant’ Alfio a Lentini. Ieri in centinaia hanno affollato la camera ardente e per oggi il primo cittadino ha proclamato il lutto cittadino. «La prematura scomparsa della nostra giovane concittadina Agata Margaret Spada – ha detto – ha suscitato nella comunità profondo sgomento e i più autentici sentimenti solidaristici e di vicinanza alla famiglia colpita da una così drammatica perdita».
Cos’è una rinoplastica?
Senza entrare nel merito di quanto accaduto a Margaret, della questione si stanno occupando gli inquirenti, proviamo a capire in cosa consiste un intervento di rinoplastica e quali sono i possibili rischi. In primis occorre dire che una rinoplastica è un intervento chirurgico vero e proprio, con tutti i rischi che questo consegue. Serve ad ottenere un risultato estetico o funzionale e in generale punta a modificare la forma o la struttura del naso. Come detto, può essere effettuata per ragioni estetiche, come migliorare l’armonia del viso, o per risolvere problemi funzionali, come difficoltà respiratorie causate da deformità o deviazioni del setto nasale.
L’intervento può coinvolgere diverse aree del naso, inclusa la punta, il dorso o le narici, e può essere eseguito con tecniche “aperte” (con incisioni visibili) o “chiuse” (con incisioni interne, meno invasive).
Quali sono i rischi della rinoplastica?
Come ogni procedura chirurgica, anche la rinoplastica comporta alcuni rischi, tra cui:
Dove deve essere svolto l’intervento in sicurezza?
Trattandosi di un intervento chirurgico, la rinoplastica deve essere effettuata esclusivamente in cliniche specializzate o ospedali certificati da chirurghi plastici esperti e qualificati. È fondamentale scegliere un professionista iscritto all’albo dei medici e con esperienza specifica in chirurgia plastica e ricostruttiva. Tanto per essere chiari, la struttura deve disporre di strumentazione avanzata per garantire la sicurezza del paziente. Un reparto di rianimazione, nel caso di emergenze e un ambiente sterile e controllato, per ridurre il rischio di infezioni. Prima dell’intervento, è sempre bene discutere in modo approfondito con il chirurgo, valutando i benefici, i rischi e le aspettative realistiche.
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CAR-T, il nuovo paradigma nella cura dei tumori, oggi già trattati oltre 1.400 pazienti
Associazioni pazienti, Bambini, Eventi d'interesse, Farmaceutica, Pediatria, Ricerca innovazioneSono passati cinque anni dall’arrivo in Italia della prima terapia genica anticancro, le CAR-T (acronimo di Chimeric Antigens Receptor T-Cells). Queste terapie avanzate sono basate sulla modifica e sul potenziamento dei linfociti T che in questo modo riescono a riconoscere e aggredire le cellule tumorali. Oggi sono una realtà ben presente nella pratica clinica di molti Centri italiani e rappresentano un nuovo paradigma di cura per alcuni tumori del sangue, aggressivi e refrattari, e motivo di speranza per i pazienti dopo tanti fallimenti.
CAR-T, in Italia già trattati più di 1.400 pazienti
In Italia fino ad oggi sono stati trattati più di 1.400 pazienti, tanti considerato che la prima somministrazione risale al 2019 e che per un lungo periodo solo un Centro presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano è stato autorizzato ad effettuare questi trattamenti. Attualmente sono circa 30 i Centri abilitati sul territorio nazionale e, di questi, 10 in Lombardia. Sta maturando anche l’esperienza nell’utilizzo e nella gestione delle terapie CAR-T e si accumulano evidenze e dati clinici.
Tuttavia, il ‘viaggio nel futuro’ è appena iniziato. Da un lato aumenta il numero delle CAR-T cells autorizzate in oncologia e onco-ematologia (secondo il Report 2019 dell’European Society for Blood and Marrow Transplantation-EBMT sui trapianti di cellule emopoietiche, le terapie CAR-T sono cresciute del 650% rispetto al 2017) e nei laboratori di tutto il mondo la ricerca scientifica avanza velocemente a caccia di nuovi e difficili bersagli da colpire. Dall’altro le CAR-T come le conosciamo oggi sono solo il primo passo su un cammino in profonda evoluzione e con molti interrogativi a cui dare risposte.
La campagna AIL per rendere i pazienti informati
In questa prospettiva AIL – Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma, ha deciso di riprendere, da Milano, il ‘viaggio’ di CAR-T – Il futuro è già qui, campagna itinerante e online nata nel 2021, per informare pazienti, familiari, caregiver e specialisti, e migliorare la conoscenza, l’accesso e la gestione dei trattamenti, con uno sguardo alle esperienze cliniche maturate, ai successi dei pazienti trattati e ai futuri ambiti di applicazione.
«L’arrivo delle CAR-T in Italia è stato atteso per lungo tempo e quando finalmente queste terapie si sono rese disponibili hanno generato molte aspettative e domande. AIL ha subito avvertito la necessità di scendere in campo con una informazione chiara e corretta: è nata così la campagna “CAR-T – Destinazione futuro”, ideata con l’obiettivo di fare educazione su queste innovative terapie cellulari –afferma Giuseppe Toro, Presidente Nazionale AIL. La prima edizione della campagna ha raggiunto 10 Regioni italiane con 11 tappe da nord a sud del Paese grazie al sostegno delle sezioni locali AIL. Ma AIL è consapevole che il viaggio nel futuro delle CAR-T continua, da qui la decisione di proseguire il “viaggio” con questa seconda edizione dell’iniziativa. Anche se rimangono ancora molte sfide da affrontare per la ricerca e per i clinici e alcuni interrogativi importanti a cui dare risposte, le CAR-T rappresentano più che una speranza concreta per quei pazienti che non rispondono alle terapie convenzionali e il loro impiego sta ottenendo successi insperati fino a pochi anni fa in pazienti che non avevano più alcuna possibilità terapeutica».
Con CAR-T oggi guariscono 50% circa delle leucemie linfoblastiche acute e il 40% dei linfomi a grandi cellule B
«Già oggi il 50% circa delle leucemie linfoblastiche acute ed il 40% dei linfomi a grandi cellule B vengono guariti da questa terapia – dichiara Paolo Corradini, Direttore Divisione di Ematologia, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano, Cattedra di Ematologia, Università degli Studi di Milano e Presidente SIE-Società Italiana di Ematologia – Le cellule CAR-T sono una delle strategie più innovative e promettenti per il trattamento delle patologie ematologiche refrattarie. Sono molti i dati di real life, derivanti dalla pratica clinica dei vari Centri nei diversi Paesi, che dimostrano come nel linfoma follicolare le CAR-T funzionano molto bene, e altrettanto nel mieloma multiplo, anche se non con gli stessi risultati dei linfomi. I dati di risposta e di sopravvivenza nelle malattie refrattarie fin qui raccolti sono molto incoraggianti, in particolare per la sopravvivenza a lungo termine. Le CAR-T dimostrano di funzionare laddove non funzionava più niente».
Aumento del numero dei pazienti trattati con CAR-T, sicurezza, efficacia sono le sfide che attendono ricercatori e clinici: cruciale in questo senso, in un patient journey complesso e articolato, il ruolo dei Centri autorizzati alla somministrazione.
Le CAR-T vengono somministrate presso Unità specializzate in terapie cellulari e genetiche
«Le terapie CAR-T hanno introdotto nel panorama dell’immunoterapia antineoplastica un approccio rivoluzionario, che prevede non più la “semplice” somministrazione di un farmaco, quanto piuttosto la proposta di un programma di trattamento in fasi sequenziali ma distinte – spiega Piera Angelillo, Ematologa UO di Ematologia e Trapianto di Midollo, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano – Ognuna di queste fasi coinvolge processi altamente complessi ed interdipendenti, che si svolgono in luoghi fisicamente distinti, sono gestiti da equipe diverse e devono avvenire a timing predefiniti, richiedendo un lavoro di logistica che talora esula da competenze sanitarie in senso stretto. I Centri autorizzati a somministrare CAR-T sono Unità specializzate in terapie cellulari e genetiche, dove sono standardizzati percorsi che garantiscono la catena di custodia ed identità del materiale dalla sua raccolta alla reinfusione. Tali percorsi sono garantiti da complessi processi di accreditamento del Centro sia a livello extra nazionale che regionale».
L’infusione di cellule CAR-T, per un paziente che ha vissuto periodi di cura lunghi e infruttuosi, riaccende la speranza ma ad essa si associa la paura riguardo le imprevedibili percentuali di successo o per il possibile fallimento anche di quest’ultimo tentativo di cura. Il supporto psicologico, la presenza costante degli specialisti e degli infermieri, l’accoglienza nelle Case alloggio AIL, sono elementi indispensabili per aiutare i pazienti onco-ematologici prima, durante e dopo aver ricevuto la terapia CAR-T, come conferma una ricerca realizzata con il supporto non condizionante di Gilead e AIL Milano.
La ricerca sui bisogni dei pazienti
«La ricerca, basata su interviste a 12 pazienti e 7 caregiver, ha indagato i principali bisogni dei pazienti onco-ematologici sottoposti a Car-T cells e dei loro caregiver – spiega Sara Alfieri, Ricercatrice psicologa SSD Psicologia Clinica, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – Emergono come prioritari i bisogni cosiddetti ‘esistenziali’, legati alla vita e alla sopravvivenza, ovvero quei bisogni per cui il paziente vuole sentirsi dire, vuole credere e vuole sperare che questa ennesima linea di terapia andrà bene e che, se non ci dovesse essere un risultato positivo, ci saranno altre possibilità terapeutiche. Emergono poi i bisogni relativi al desiderio di essere informati in maniera esaustiva, empatica e sincera, in caso contrario, si alimentano timori e incertezze. Seguono i bisogni legati all’assistenza per cui i pazienti desiderano il miglioramento dei servizi di base (supporto psicologico, visite e controlli vicini alla propria residenza) e il sostegno del mondo delle associazioni per migliorare la vita di tutti i giorni. È forte e predominante il bisogno di non sentirsi abbandonati. I caregiver dal canto loro mostrano una visione più pessimistica e hanno paura a credere che l’ennesimo tentativo di cura con CAR-T possa avere un lieto fine».
La ricerca in ambito pediatrico
La terapia con Car-T cells oggi sta dando un avvenire anche ai tanti bambini affetti da tumori del sangue, talvolta refrattari, in primis la leucemia linfoblastica acuta. L’attività di ricerca in ambito pediatrico è ampia per riuscire a trovare terapie geniche con il miglior profilo di sicurezza, efficacia e sostenibilità.
«In virtù degli attuali prodotti – commenta Adriana Balduzzi, Direttore S.C. Pediatria, Fondazione IRCCS San Gerardo, Monza e Professore di Pediatria, Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università Milano-Bicocca – solo alcuni dei pazienti pediatrici trattati potranno godere di una remissione duratura unicamente per le cellule CAR-T standing alone, che, però, possono fungere da strumento che consente di raggiungere una profonda remissione completa, anche molecolare, per garantire al trapianto migliori probabilità di successo, come bridge to transplant, per poi tradursi in guarigione».
«L’Associazione – sottolinea Matilde Cani, Responsabile Progetti Istituzionali AIL Milano – negli ultimi 10 anni ha contribuito alla realizzazione di 10 studi clinici pluriennali, coinvolgendo nel percorso ben 710 pazienti che potessero beneficiare dei risultati ottenuti in prima persona. La ricerca CAR-T che dal 2020 AIL Milano, con costante impegno, sostiene insieme alla Divisione di Ematologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori, ha permesso di realizzare obiettivi scientifici importanti a beneficio dei pazienti ematologici, proponendo loro migliori cure e qualità della vita. Il nostro obiettivo è quello di costruire un futuro nel quale i tumori del sangue possano essere sempre più curabili e affrontabili nel migliore dei modi; per questo cerchiamo di offrire una vicinanza quotidiana concreta al paziente e alla sua famiglia durante tutto il lungo e complesso percorso terapeutico».
Le iniziative 2024
Le attività dell’edizione 2024 della campagna “CAR-T – Il futuro è già qui” realizzata con il sostegno non condizionante di Bristol Myers Squibb, Gilead Sciences e Johnson&Johnson, prevedono una landing page dedicata all’interno del sito dell’AIL (www.ail.it) con tutte le informazioni e aggiornamenti relativi alle terapie CAR-T, insieme a una mappa dei Centri autorizzati alla somministrazione.
Dopo Milano la campagna approderà a Roma e Bologna, città che ospitano diversi Centri abilitati alla somministrazione di CAR-T. Gli eventi locali coinvolgono specialisti, pazienti, caregiver, volontari AIL e i media per fare il punto sullo stato dell’arte della terapia CAR-T, le criticità nelle singole Regioni, le novità, le prospettive e le domande dei pazienti. Le attività di informazione sono arricchite da un video-racconto orale, disponibile sulla landing page di campagna, nel quale Andrea Grignolio, Docente di Storia della Medicina e Bioetica dell’Università San Raffaele di Milano – CNR Ethics narra il percorso di scoperta che ha portato a questo approccio rivoluzionario nel trattamento dei tumori.
Diabete: il presidente dei Medici Diabetologi sfata pregiudizi e falsi miti
News, Adolescenti, Associazioni pazienti, Benessere, Medicina Sociale, Prevenzione, PsicologiaSi è celebrata nei giorni scorsi la giornata mondiale del diabete. Uno studio pubblicato su Diabetes Care ha indagato l’impatto dello stigma sulle persone con diabete e gli effetti negativi sul benessere psicologico e comportamentale. Riccardo Candido, Presidente Associazione Medici Diabetologi (AMD) sfata i falsi miti e i pregiudizi legati alla patologia.
Multi-Ethnic Group Of Diverse People Holding Letters That Form Diabetes
Pregiudizi e gestione del diabete
Candido: “Oggi il problema non è solo la malattia, ma i pregiudizi che la circondano e credere che chi ha il diabete debba limitarsi e condurre una vita diversa rispetto agli altri è un errore dannoso. Le ricerche ci mostrano chiaramente che lo stigma può portare ad un controllo non adeguato dei livelli di glicemia, a disordini alimentari e a un peggioramento della qualità della vita. Sono conseguenze che possiamo e dobbiamo prevenire, diffondendo una corretta informazione. I pregiudizi è il primo passo per migliorare la consapevolezza e la comprensione di una condizione che riguarda milioni di persone in tutto il mondo”.
Gestire al meglio il diabete ed evitare complicanze. I suggerimenti
Candido: “Grazie alle attuali conoscenze e ai progressi nella gestione della malattia, molte di queste credenze non solo sono false, ma rischiano anche di peggiorare il benessere psicologico e la qualità di vita delle persone che convivono con questa condizione. È fondamentale che la popolazione capisca che il diabete non impedisce di condurre una vita piena e sana e di coltivare i propri sogni. Con una dieta equilibrata, il supporto della tecnologia e un’adeguata gestione della terapia, le persone con diabete possono evitare complicanze gravi e godere di una buona qualità di vita. La tecnologia oggi ci offre strumenti avanzati per monitorare e gestire il diabete in modo discreto ed efficace, permettendo alle persone di vivere senza compromessi”.
La campagna sui falsi miti di Theras, ironizza su alcuni pregiudizi. Ecco un elenco, con il commento dello specialista
Prevenzione: solo il 23% degli italiani molto proattivo
Economia sanitariaIl monitoraggio dell’erogazione dei LEA sul territorio nazionale ha messo in luce come solo 13 Regioni e Province Autonome siano risultate adempienti nelle 3 macro-aree Prevenzione collettiva e salute pubblica, Assistenza Distrettuale e Assistenza Ospedaliera. I dati fanno emergere un importante grado di difformità e un forte gradiente Nord-Sud con ripercussioni sull’equità di accesso alle prestazioni sanitarie. Il quadro è emerso dall’ultimo rapporto di Meridiano Sanità, presentato di recente a Roma. Inoltre, a livello complessivo, le aree Prevenzione e Assistenza Distrettuale mostrano le maggiori criticità, con l’Area Prevenzione che ha ottenuto il punteggio complessivo più basso e l’Area Distrettuale che è peggiorata nell’ultimo triennio.
L’Area Ospedaliera è l’unica in costante miglioramento, con tutte le Regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta, che nel 2022 hanno incrementato il loro punteggio rispetto al 2020. L’attuale sistema di monitoraggio dei LEA deve superare alcune criticità che lo contraddistinguono per diventare uno strumento più completo e accurato, in grado di restituire una fotografia della capacità dei SSR di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, si legge nel report. Se il sistema di monitoraggio deve permettere di valutare in modo sistematico l’erogazione delle prestazioni sanitarie essenziali, garantendo l’appropriatezza e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche e assicurando che le stesse siano effettivamente fornite a tutti i cittadini in modo uniforme sul territorio, è necessaria un’integrazione della griglia di indicatori di monitoraggio per catturare la complessità e la diversità delle sfide affrontate dai sistemi sanitari regionali.
Ad esempio, sottolinea il rapporto, appare prioritario superare la distinzione tra indicatori CORE e non-CORE, garantire la disponibilità di flussi di dati completi e affidabili in tutte le Regioni e definire nuovi indicatori a partire da quelli relativi alla salute mentale e ai soggetti ad alto rischio cardio-metabolico nell’area Distrettuale, alle coperture delle vaccinazioni indicate nel Calendario Vaccinale/di Immunizzazione e al monitoraggio delle infezioni correlate all’assistenza nell’area Prevenzione.
La prevenzione, come sottolineato dal Ministro della Salute Orazio Schillaci in apertura del Forum Meridiano Sanità, è anche la prima leva su cui agire se “vogliamo che un sistema universalistico come il nostro possa continuare a essere sostenibile, in considerazione dei trend demografici ed epidemiologici”. “Nonostante gli investimenti in prevenzione siano in grado di migliorare la resilienza sociale ed economica del Paese, al centro delle nuove regole europee di programmazione economica, nel Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 occupano uno spazio residuale – ha spiegato Daniela Bianco, Partner di The European House – Ambrosetti e Responsabile Practice Healthcare di TEHA Group. “Nel nuovo regime di Governance europea, la spesa sanitaria e, in particolare, la spesa per la prevenzione, può essere considerata un investimento in sicurezza sociale, allo stesso modo degli investimenti in difesa, digitale e green, non concorrendo quindi al deficit e offrendo maggiore flessibilità agli Stati Membri, a partire dall’Italia caratterizzata da un elevato indebitamento”.
In Italia permangono ampie differenze di spesa in prevenzione tra le varie Regioni e Province Autonome, con poche Regioni che superano il target di spesa in prevenzione del 5%. La spesa pro capite in prevenzione, con una media nazionale pari a 109,6 euro nel 2023, oscilla tra un massimo di 160,8 in Molise e un minimo di 85,9 in Liguria, con un differenziale per singolo cittadino di quasi 75 euro, in riduzione rispetto agli anni precedenti. Alla variabilità regionale si aggiunge una criticità relativa all’allocazione delle risorse dedicate alle singole voci: anche nel 2023, le voci di spesa più propriamente dirette alla salute delle persone (sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, sorveglianza e prevenzione delle patologie croniche) rimangono al di sotto della soglia del 50% del totale.
Prevenzione: solo 23% proattivo
Secondo una survey realizzata da Meridiano Sanità con SWG – che ha avuto come oggetto proprio le opinioni e i comportamenti degli italiani nei confronti della prevenzione – solo il 23% degli italiani si definisce molto proattivo verso la prevenzione, sostenendo di impegnarsi regolarmente per uno stile di vita sano e sottoporsi a controlli medici periodici. Tra le ragioni sottese a una limitata propensione/partecipazione alle attività di prevenzione figurano le barriere economiche tra i senior, e il senso di benessere percepito e di mancanza di tempo, soprattutto tra i giovani: tutti fattori che, insieme al timore di fare scoperte negative in fase di controllo, contribuiscono a ridurre la frequenza dei controlli preventivi.
Con riferimento agli stili di vita, il 18% dichiara di non presentare alcun fattore di rischio tra consumo di alcol e tabacco, dieta non equilibrata e sedentarietà, con percentuali che aumentano tra i laureati e tra coloro che abitano nelle grandi città. Un altro 18% invece presenta almeno 3 fattori di rischio, con valori più elevati tra la Gen Z, gli abitanti di Isole e Nord-Est e gli abitanti dei piccoli centri.
Guardando agli screening il 30% dei cittadini di età compresa tra 50 e 70 anni ha dichiarato di non aver mai eseguito lo screening del colon-retto, percentuali che scendono al 15% per la cervice uterina nelle donne di 25-64 anni e al 13% per la mammografia nelle donne di 50-69 anni. Preoccupante anche che circa il 40% dei cittadini non esegua gli screening oncologici da più di 1 anno.
Vaccini, comunicazione carente
In termini di adesione alle campagne di immunizzazione, l’indagine mette in luce un aumento significativo della propensione degli italiani verso i vaccini anti-pneumococco, anti-Herpes Zoster e anti-HPV, con un particolare incremento tra le donne, mentre tra i giovani emerge una generale e crescente apertura nei confronti della vaccinazione. Se in termini di vaccinati e possibilisti rispetto a queste campagne vaccinali, la percentuale di adesione si aggira intorno al 50%, tra coloro che mostrano atteggiamenti meno propensi, la vera causa di una scarsa adesione alle campagne vaccinali sembra essere la mancanza di comunicazione, tanto che, secondo la survey, 1 italiano su 4 potrebbe avvicinarsi a queste vaccinazioni grazie ad una maggiore informazione.
La qualità delle informazioni relative alla prevenzione viene percepita come scarsa, contraddittoria e confusa da quasi l’80% degli intervistati, che denunciano una carenza di dati e notizie adeguate: solo i neo-genitori e coloro che godono di una migliore salute esprimono giudizi più positivi. Per migliorare la comunicazione sulla salute, è necessaria una combinazione di iniziative di tipologie tra loro differenti: i Boomers preferiscono un contatto diretto con il medico o il farmacista e apprezzano le campagne istituzionali frequenti, mentre i giovani danno maggiore importanza alla sensibilizzazione attraverso eventi in presenza. Nella comunicazione il tono di voce e lo stile comunicativo devono essere semplici e chiari e provenire da professionisti; tra i giovani, l’aspetto visivo della comunicazione è particolarmente rilevante.
Prevenzione e campagne regionali
Meridiano Sanità ha condotto anche un’indagine con le Direzioni Prevenzione delle Regioni e Province Autonome italiane volta a comprendere se, in che misura e con quali modalità, le Regioni hanno realizzato delle campagne di comunicazione sulle tematiche di prevenzione nel corso dell’ultimo anno (2023). Ad oggi 3 Regioni su 4 dichiarano di essersi dotate di un piano o di una strategia di comunicazione delle attività del Piano Regionale Prevenzione (43%) o di aver previsto una sezione/capitolo dedicato a queste tematiche all’interno del Piano regionale di Comunicazione (29%). 1 Regione su 3 dichiara invece di avere un ufficio/settore specificamente dedicato alla comunicazione in quest’ambito. Il finanziamento delle attività di comunicazione in prevenzione avviene principalmente attraverso l’utilizzo di fondi regionali (86% delle Regioni).
Molteplici sono anche i canali di comunicazione che sono stati attivati, mediamente 5 per Regione: il sito web della Regione e il materiale informativo sono utilizzati dalla quasi totalità dei territori; meno diffusi i siti web dedicati alle attività di prevenzione. I social network sono più utilizzati rispetto ai canali di comunicazione tradizionali locali, a causa di una maggior capillarità dei canali social rispetto a TV e radio locali (81% vs. 62%). Iniziano ad essere utilizzate anche le App (29% delle Regioni). Il personale scolastico/universitario, insieme alla medicina generale e alle associazioni di volontariato/terzo settore sono gli stakeholder maggiormente coinvolti nella realizzazione delle campagne di comunicazione. Ulteriori elementi interessanti riguardano un buon coinvolgimento dei farmacisti (43% dei casi) e un maggior coinvolgimento di specialisti (28%) e del personale socio-sanitario (24%) rispetto alle società scientifiche (14%).
Con riferimento alle campagne sugli stili di vita, prevalgono quelle rivolte al contrasto del tabagismo e quelle a favore di un’alimentazione corretta (rispettivamente 76% e 72% delle Regioni); leggermente meno diffuse quelle contro l’abuso di alcolici e la sedentarietà. La quasi totalità delle Regioni prevede una comunicazione mirata per le campagne vaccinali stagionali; superiore all’80% anche la percentuale di Regioni che comunicano le campagne rivolte alla popolazione pediatrica e adolescenziale e all’età adulta; meno della metà delle Regioni prevede attività di comunicazione per i soggetti a elevato rischio di fragilità.
Per gli screening oncologici (mammografia, screening della cervice uterina e del colon-retto), la quasi totalità delle Regioni utilizza simultaneamente la chiamata attiva attraverso lettera, SMS, telefonata o notifica sull’app, l’invio di materiale informativo e un sito internet ad hoc. Emerge come non vi siano strategie differenziate in funzione del tipo di screening ma le Regioni tendano a riproporre la stessa modalità di azione. Diverse Regioni si sono mosse per la realizzazione anche di altri screening di massa a partire da quello per l’epatite C (17 Regioni) e lo screening cardiovascolare (8 Regioni).
Le Regioni si sono attivate nella realizzazione di ulteriori campagne di comunicazione anche su altri ambiti di prevenzione: ad esempio, il 76% prevede campagne sul contrasto dell’AMR e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; seguono le campagne per la prevenzione delle malattie infettive tropicali, la sicurezza alimentare, l’invecchiamento attivo e la relazione tra Ambiente e Salute (per più del 60% delle Regioni). Per tutte queste campagne le ASL rappresentano l’attore maggiormente coinvolto, mentre per quanto riguarda gli strumenti utilizzati prevalgono i siti internet e la realizzazione di incontri specifici. Dai dati emerge la consapevolezza, da parte delle Regioni, dell’importanza della comunicazione in ambito prevenzione, della necessità di utilizzare una molteplicità di strumenti di comunicazione e di coinvolgere una pluralità di stakeholder.
Integrare politica sanitaria e la politica industriale
In chiusura del Forum si è discusso dell’integrazione tra la politica sanitaria e la politica industriale e della strategia Life Science nazionale con il coinvolgimento di referenti del Ministero della Salute, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Rispetto a 20/30 anni fa, il settore farmaceutico, che è quello a più alta intensità di ricerca e sviluppo e tra quelli più tecnologici, in Europa e in Italia ha perso competitività e attrattività, come sottolineato anche dal recente Rapporto Draghi “The Future of European Competitiveness”. Negli anni però molti Paesi diretti competitor dell’Italia (Regno Unito, Francia, Germania, Spagna) sono partiti con interventi di vario tipo per il rafforzamento del settore, accomunati da un forte impegno da parte del Governo e una forte collaborazione tra Istituzioni e industria verso obiettivi condivisi e una visione unitaria delle Life Sciences. Per l’Italia, l’attivazione dei Tavoli per i settori della farmaceutica e del biomedicale avviati a marzo 2023 e la presentazione del Libro Verde per la politica industriale “Made in Italy 2030” elaborato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che inserisce il farmaceutico tra i settori strategici, rappresentano un’occasione importante di rilancio: serve però un’accelerazione per colmare i divari nei confronti dei Paesi competitor.
Sanità, accesso ai nuovi farmaci può variare di 6 mesi tra le regioni
Anziani, Economia sanitaria, Medicina SocialeNegli ultimi 50 anni, il processo di invecchiamento della popolazione ha trasformato la struttura demografica dell’Italia, traslando la piramide demografica verso le fasce d’età più anziane. Gli effetti non riguardano solo la spesa per il SSN ma anche la forza lavoro disponibile – nel 2040 ci sarà un gap di 3,4 milioni di lavoratori.
È urgente affrontare il tema della sostenibilità nel tempo del finanziamento alla sanità in maniera integrata, lavorando congiuntamente su più dimensioni, tra cui: politiche per incentivare la natalità, politiche per promuovere la partecipazione al mercato del lavoro (in primis skill mismatch, donne e giovani) e aumentare l’attrattività del nostro Paese per attirare capitale umano dall’estero e favorire il rientro dei «cervelli soprattutto nei settori chiave come può essere quello delle life sciences. L’appello arriva dall’ultimo Rapporto di Meridiano Sanità, presentato di recente a Roma.
Difficoltà economiche aumentano anni vissuti in cattiva salute
Alla transizione demografica, si aggiungono nuove sfide, tra cui non solo le difficoltà economiche – sono 2,2 milioni le famiglie e 5,7 milioni gli individui in povertà assoluta – ma anche l’incertezza lavorativa, il crescente disagio mentale, il cambiamento climatico e l’aumento delle difformità territoriali – in Italia esiste un divario di 3 anni tra la Regione con l’aspettativa di vita alla nascita maggiore e quella minore.
Gli italiani vivono sempre più a lungo ma gli anni vissuti in cattiva salute sono aumentati passando da quasi 11 anni nel 2004 al quasi 16 nel 2023, si legge nel report. La causa è legata a una elevata prevalenza di patologie ad alto impatto causate da una molteplicità di fattori di rischio a partire da sedentarietà, obesità, fumo.
Prevenzione, il ruolo dei vaccini
Le malattie non trasmissibili, insieme a quelle infettive, sono responsabili di oltre 19,5 milioni di DALY (Disability Adjusted Life Years), di cui il 40% riguarda la popolazione in età lavorativa, con un impatto maggiore sulle donne, che si traduce in una perdita di produttività di 97 miliardi di euro, pari al 4,6% del PIL italiano.
Una strategia di intervento sui fattori di rischio, sulle vaccinazioni e sugli screening, oltre a migliorare in maniera significativa la salute dei cittadini, contribuirebbe alla sostenibilità del SSN, con costi evitati pari a circa 544 miliardi di euro in 10 anni. Tale valore è il risultato della somma dei costi diretti e indiretti evitati grazie al miglioramento dei fattori di rischio (fumo, alcol, sedentarietà, cattiva alimentazione), alla riduzione dell’incidenza delle malattie prevenibili attraverso la vaccinazione (anti-HPV negli adolescenti e antipneumococco, anti- Herpes Zoster e antinfluenzale negli over 65 e nei pazienti oncologici) e alla diagnosi precoce attraverso i programmi di screening oncologici (mammella, cervice uterina e colon-retto).
“È chiaro che investire nella salute della popolazione è una necessità, non solo per garantire il benessere dei cittadini e della collettività, ma anche per migliorare la produttività e accelerare la crescita economica del Paese. È necessario lavorare a un vero e proprio Piano Marshall per la prevenzione sanitaria, puntando su stili di vita sani, immunizzazione e campagne di screening. Si tratta di strumenti fondamentali per migliorare le condizioni di salute e contenere i costi futuri per il sistema sanitario e di welfare, e contribuire alla riduzione delle difformità territoriali – ha spiegato Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti e TEHA Group.
“Accanto al miglioramento della buona salute e al rafforzamento del SSN, obiettivi al centro dell’agenda della sanità, per aumentare la produttività è necessario anche agire sulla politica industriale, puntando su settori strategici come il farmaceutico.”
Sanità: puntare sui settori strategici
Per tornare a crescere il Paese ha bisogno di puntare su settori strategici caratterizzati da un’alta intensità di R&S, elevati moltiplicatori dell’attività economica, una maggiore dimensione aziendale, occupazione altamente qualificata. Con un valore aggiunto per addetto e investimenti in produzione per addetto doppi rispetto alla manifattura e investimenti in R&S per addetto pari a 8 volte quello manifatturiero, il farmaceutico rappresenta un volano di crescita, innovazione e produttività che si inserisce in un ecosistema della Salute fortemente dinamico.
Occorre però lavorare per aumentare l’attrattività del Paese, semplificando la normativa e introducendo meccanismi di premialità anche come compensazione degli effetti del payback per le imprese che investono in Italia nel sistema produttivo e della ricerca – analizza il report. L’impegno nella ricerca e sviluppo riflette la vocazione all’innovazione che caratterizza il settore farmaceutico a livello globale: nel 2024 sono oltre 22.800 i farmaci in sviluppo (+7,2% rispetto al 2023).
Con riferimento al 2023, l’Italia è al 2° posto dopo la Germania in termini di numero di farmaci resi accessibili ai pazienti sul territorio nazionale sul totale dei farmaci approvati a livello europeo (129 su 167 farmaci complessivi) e, tra i principali Paesi Europei, al 3° per il tempo medio di accesso (424 giorni tra l’approvazione del farmaco a livello europeo e la rimborsabilità a livello nazionale), dopo Germania e Inghilterra, in progressivo miglioramento.
Il blocco a livello regionale
Alla rimborsabilità a livello nazionale, segue la fase di accesso regionale, valutata da Meridiano Sanità secondo 3 dimensioni, vale a dire il tempo di accesso ai farmaci (tempo che va dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della determina di riclassificazione / regime di Prezzo&Rimborso al 1° acquisto a livello regionale da parte di almeno una struttura sanitaria), la disponibilità dei farmaci stessi (numero dei farmaci per cui è stato rilevato almeno un consumo a livello regionale sul totale dei farmaci), e l’utilizzo effettivo dei farmaci acquistati dalle strutture del SSN.
Su un campione di partenza di 61 farmaci contenenti nuove sostanze attive che hanno ricevuto il parere positivo di EMA nel corso del 2021 per la 1a indicazione terapeutica, ne sono stati selezionati 38 tra quelli rimborsabili e per i quali si è registrata una vendita in almeno una Regione o P.A. Per questi farmaci, siano essi orfani o non orfani o valutati come innovativi da AIFA si rilevano notevoli difformità regionali in termini di accesso per i pazienti. Il tempo mediano di accesso (pari a 3,7 mesi per i farmaci orfani non innovativi, a 4,1 mesi per i farmaci innovativi e a 5,6 mesi per i farmaci non orfani non innovativi) presenta un gap temporale superiore ai 6 mesi tra la Regione più rapida e quella più lenta nel rendere disponibile il farmaco.
Per quanto riguarda la disponibilità, nessuna Regione ha acquistato, e quindi reso disponibili, tutti i farmaci oggetto dell’analisi (la disponibilità è pari al 63% per i farmaci non orfani non innovativi, al 57% per gli orfani non innovativi e al 52% per gli innovativi). Sull’utilizzo effettivo dei farmaci, la Regione che utilizza di più i farmaci presenta consumi più di 2 volte superiori a quella che ne consuma meno. In sostanza, dai dati emergono significative differenze regionali derivanti da sistemi di accesso regionale differenti che generano difformità nei tempi e nell’equità di accesso da parte dei pazienti.
Sif-Farmindustria: premiati a Sorrento 10 progetti di ricerca farmacologica
News, Eventi d'interesse, Farmaceutica, News, Ricerca innovazioneDieci premi, da 5.000 euro ognuno, per 10 progetti di ricerca farmacologica destinati a under 38 dell’Accademia e di altri enti di Ricerca.
I riconoscimenti sono stati consegnati da Giuseppe Cirino, Presidente della SIF e da Marco Zibellini, Direttore della Direzione Tecnico Scientifica di Farmindustria.
“Premiare il talento dei giovani ricercatori – ha dichiarato Giuseppe Cirino, presidente della Società Italiana di Farmacologia – rappresenta uno dei momenti più significativi per la nostra comunità scientifica. La farmacologia italiana si distingue per la sua eccellenza nella ricerca e il suo contributo fondamentale alla salute pubblica. Questi premi sono la testimonianza concreta del nostro impegno nel sostenere il progresso scientifico. I dieci progetti premiati quest’anno affrontano alcune delle principali sfide mediche e noi auspichiamo che contribuiscano a gettare le basi per terapie innovative che potranno migliorare la qualità della vita dei pazienti. Il nostro obiettivo, come Società Italiana di Farmacologia, è continuare a promuovere ricerca di alta qualità, valorizzando le competenze dei nostri giovani ricercatori, contribuendo così allo sviluppo di una sanità sempre più all’avanguardia”, ha concluso Cirino.
“È entusiasmante premiare giovani ricercatori che con le loro idee, le loro competenze e la loro passione innovano, aprono nuovi scenari. In un contesto che vede i diversi attori della Ricerca & Sviluppo collaborare per arrivare insieme a importanti traguardi di cura per i cittadini, sostenere la scienza oggi per avere i migliori farmaci in futuro, come sottolineato dal titolo del congresso SIF di quest’anno. I Premi sono un esempio concreto di come alimentare queste sinergie per incoraggiare la ricerca in ambiti importanti per la salute umana, quali oncologia, neuroscienze, immunologia, cardiologia”. Così Marco Zibellini, Direttore della Direzione Tecnico Scientifica di Farmindustria.
I premiati:
Farmaceutica, Sanofi con istituzioni e policymaker per una Life Sciences strategy italiana
Economia sanitaria, Eventi d'interesse, Farmaceutica, News, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneDefinire la priorità di una Life Sciences Strategy tricolore, di cui non mancano esempi di altri Paesi in Europa e nel mondo, e gettare le basi per una sua realizzazione. Fare leva su un ruolo chiave che la farmaceutica del nostro Paese ha già dimostrato di avere in Europa e guardare al futuro con un potenziale di ulteriore crescita e sviluppo. Nasce con questo obiettivo l’incontro, promosso da Sanofi Italia, presso il Centro Studi Americani a Roma, dal titolo “Il valore del settore farmaceutico nel sistema Paese. Una Life Sciences strategy italiana”. Istituzioni nazionali e regionali, esperti e imprese si sono confrontati per costruire insieme la nuova “strategia di sviluppo delle Scienze della Vita”, comparto strategico per l’economia, l’occupazione, lo sviluppo di innovazione e la crescita per il nostro Paese.
L’Italia rappresenta, infatti, un unicum in Europa da un lato con una produzione che nel 2023 ha superato per la prima volta i 50 miliardi di euro, dall’altro con 3,6 miliardi di investimenti in innovazione, di cui ben 2 destinati alla Ricerca e Sviluppo, e un numero di richieste brevettuali in crescita che registra un ritmo superiore alla media europea – come sottolineato dal Ministro Urso nell’ambito dell’ultima Assemblea di Farmindustria – stimolando un circolo virtuoso di crescita che va al di là del solo settore farmaceutico. Perché, proprio grazie alle attività di ricerca, produzione e sviluppo dell’innovazione, l’eccellenza farmaceutica può fungere da catalizzatore in termini di attrazione di investimenti, così come da stimolo per la competitività italiana in Europa, ed europea nel mondo.
L’Italia sta perdendo competitività
Secondo l’ultima analisi del Technology Forum Life Sciences, promosso da The European House Ambrosetti, nel TEHA Life Sciences Innosystem Index, l’indice proprietario che misura le performance degli ecosistemi dell’innovazione nelle Scienze della Vita di 23 Paesi dell’Unione Europea, con un punteggio di 3,59, l’Italia si colloca nella fascia dei Paesi a medio-alta innovazione, posizionandosi al nono posto della classifica generale, ma restando distante dai top performer. Le prime tre posizioni sono infatti occupate da Danimarca (6,02), Germania (5,73) e Belgio (5,63). Tra i principali freni all’innovazione nel settore Life Sciences italiano vi è la carenza di capitale umano qualificato e un basso numero di laureati STEM con competenze in materie scientifiche, ingegneristiche e tecnologiche. Anche sul fronte del peso dell’Italia sul Pil a livello mondiale si registra una diminuzione negli ultimi 30 anni, passando dal 5,1% del 1992 al 2,2 % del 2023.
“Anche in Europa si ha avuto un crollo dal 28,7% al 17,5%. Gli investimenti diretti esteri sono al di sotto di altri nostri competitor europei, in Italia gli IDE in ingresso sono solo il 44% degli IDE della Germania e il 55% della Spagna. Ciò nonostante, le aziende farmaceutiche a capitale estero analizzate nel nostro Libro Bianco sull’attrattività degli investimenti esteri, hanno generato nel 2022 un valore pari a quasi 20 miliardi di euro, oltre l’1% del Pil. Il farmaceutico, infatti, rappresenta un settore di priorità strategica non solo perché presenta elevati moltiplicatori dell’attività economica e alta intensità di R&S ma anche perché produce beni e servizi che hanno ricadute positive sulla qualità di vita dei cittadini”. Lo ha affermato Daniela Bianco, Partner e Responsabile Practice Healthcare, The European House-Ambrosetti.
A dare slancio all’Italia e migliorarne il posizionamento nell’ecosistema dell’innovazione è la produttività scientifica, dove il nostro Paese si distingue con quasi 80mila pubblicazioni nel settore delle Scienze della Vita, rappresentando così il secondo numero più alto in Europa.
Come emerge dai dati elaborati dal WifOR Institute, l’impatto di Sanofi a livello europeo supera i 29 miliardi di euro per contributo al Pil dell’Europa (attraverso effetti diretti, indiretti e indotti) e posiziona l’azienda come uno dei principali contributori all’economia europea, con un’intensità di R&S pari a quasi 4 volte l’obiettivo di investimento in R&S dell’UE.
Malina Müller Head of Health Economics, WifOR Institute ha sottolineato: “Se si considera invece il contributo di Sanofi rispetto al Pil italiano, questo è ammontato a quasi 1,4 miliardi di euro nel 2023, attraverso effetti diretti, indiretti e indotti e i suoiinvestimenti in Ricerca e Sviluppo in Italia rappresentano il 3% del suo contributo diretto al Pil. Per ogni posto di lavoro dipendente di Sanofi si stimano più di 5 posti di lavoro aggiuntivi creati come valore per il Paese. In senso più ampio Sanofi Italia contribuisce concretamente al raggiungimento degli SDGs delle Nazioni Unite in termini di crescita piena e produttiva, inclusiva e sostenibile e di lotta alla povertà, oltre che alla creazione di infrastrutture, innovazione, industrializzazione sostenibile e riduzione delle emissioni”.
Cattani: “Sanofi più grande realtà industriale Life Sciences in Europa”
Marcello Cattani, Presidente e Ad di Sanofi Italia e Malta ha dichiarato: “Sanofi rappresenta la più grande realtà industriale delle scienze della vita in Europa. In Italia vantiamo una presenza consolidata con tre stabilimenti, tutti con un ruolo strategico per il Gruppo a livello mondiale. Siamo orgogliosi del valore condiviso che generiamo per pazienti, cittadini, imprese e Stato. La nostra pipeline oggi include un numero senza precedenti di terapie potenzialmente trasformative in fase avanzata. Ampia è l’attività di ricerca clinica che svolgiamo in Italia con centri di eccellenza a livello globale. Mai come ora, è per noi cruciale che l’Italia investa finalmente in una Life Sciences Strategy ambiziosa che faccia leva sul nostro settore per valorizzare la ricerca, batta le ultime preclusioni ideologiche a partnership pubblico-privato, sviluppo industriale e accesso, per aumentare la competitività e spinta all’innovazione del nostro Paese e del nostro Continente, riguadagnando terreno in ambito globale”.
Malattie respiratorie terza causa di morte, prevenzione e cura
Anziani, News, Prevenzione, Stili di vitaIn Italia, le malattie respiratorie sono la terza causa di morte dopo quelle cardiovascolari e oncologiche. L’incidenza è in crescita, anche per via dell’invecchiamento della popolazione. Sebbene esistano misure preventive efficaci, queste patologie sono spesso trascurate, diagnosticate in ritardo e trattate in modo insufficiente. Tra le più comuni vi sono l’asma, la BPCO, il tumore del polmone, l’OSAS, l’ipertensione polmonare, le bronchiettasie, le interstiziopatie e la fibrosi polmonare e le malattie rare polmonari.
Il tema è al centro del XXV Congresso Nazionale della Società Italiana di Pneumologia (SIP – IRS), dal titolo “Pneumologia, il futuro è adesso”, presieduto dal professor Fabiano Di Marco. “I dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimano che attualmente centinaia di milioni di persone soffrono di malattie respiratorie croniche. Secondo l’OMS, le 5 più importanti malattie respiratorie non solo causano il 17% di tutte le morti, ma sono alla base di ben il 13% di tutti gli anni di vita in buona salute persi (per invalidità o morte)” spiega il professor Fabiano Di Marco.
L’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico impattano sulla salute respiratoria. Le malattie respiratorie croniche continuano a essere cause di morbilità e mortalità, con un aumento previsto nei prossimi anni. L’Intelligenza Artificiale nel campo della pneumologia oggi offre metodologie diagnostiche avanzate e terapie farmacologiche sempre più personalizzate e precise.
“L’unico modo per conciliare un’ottimale assistenza sanitaria ai malati e una spesa pubblica sostenibile è prevenire le malattie respiratorie, assicurare una diagnosi il più possibile precoce, con strumenti standardizzati cui seguano terapie tempestive e appropriate, in grado di prevenire o ritardare l’invalidità, gestire i malati cronici il più possibile sul territorio – continua il professor Di Marco -. L’impatto delle malattie respiratorie croniche, oltre a causare morti premature, ha importanti effetti negativi sulla qualità della vita e sulla disabilità dei pazienti”
“È essenziale che la comunità medico-scientifica italiana unita ai professionisti sanitari interessati al management del paziente respiratorio collaborino nella definizione di standard chiari e linee guida mirate ad assicurare cure ottimali, efficaci e sempre più personalizzate alle specifiche necessità del malato” conclude il professor Di Marco.
Adottando azioni mirate per la salute polmonare, i governi possono migliorare la vita dei cittadini e rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari. La Coalizione Internazionale per l’Apparato Respiratorio (IRC), punta a ridurre la mortalità legata alle malattie respiratorie a livello globale entro il 2030, in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, incoraggiando strategie nazionali mirate alla prevenzione e all’accesso alle cure. In Italia, SIP/IRS e AIPO-ITS/ETS collaborano con la Consulta della Pneumologia – l’organo italiano responsabile dell’attuazione delle direttive IRC a livello nazionale – per sviluppare e promuovere strategie nazionali efficaci, sensibilizzando istituzioni e popolazione sulle patologie respiratorie.
Presa Weekly 15 Novembre 2024
PreSa WeeklyObesità: una malattia sempre più “giovane”
News, Stili di vitaL’obesità non è solo un problema di peso, è infatti fortemente correlata alla comparsa delle principali malattie cardiovascolari, come infarto, ictus e insufficienza cardiaca e tumore maligno.
Rispetto a 20 anni fa, sono circa 1,6 milioni in più le persone con obesità in Italia, per un totale di quasi 6 milioni di cittadini. Un incremento del 38 per cento rispetto al 2003, dove il tasso di obesità risulta in aumento soprattutto tra i giovani adulti. In particolare nella fascia di età 18-34 la percentuale di persone affette è passato dal 2,6 per cento al 6,6 per cento, raddoppiando tra gli uomini e triplicando tra le donne, mentre in quelle 35-44 è passata dal 6,4 per cento al 9,8 per cento. Anche tra gli over74 il tasso incrementa dall’11,0 per cento del 2003 al 13,8 per cento del 2023. Questi sono alcuni dei dati Istat 2023 sull’epidemiologia in Italia, presentati di recente durante il sesto Italian Obesity Barometer Summit “Unire gli sforzi per ridurre, prevenire e curare l’obesità”.
“L’obesità è una sfida complessa che va ben oltre l’aspetto individuale, impattando profondamente sulla salute pubblica, sui sistemi sanitari e sull’economia di un Paese. Il costante aumento dei casi anche in Italia, associato a malattie croniche come diabete e patologie cardiovascolari, ci impone di agire con decisione e coerenza. Il Ministero della Salute, consapevole dell’urgenza, ha posto la lotta all’obesità tra le sue priorità. Le nostre strategie, in linea con le raccomandazioni internazionali e con gli obiettivi del Piano Nazionale della Prevenzione, mirano a promuovere stili di vita sani fin dalla più giovane età, incentivando l’attività fisica e una dieta equilibrata”, spiega il Ministro della Salute Orazio Schillaci nella prefazione dell’Italian Barometer Obesity Report 2024.
Obesità accorcia la vita
L’obesità è associata a oltre 200 complicazioni, inclusi tumori, malattie cardiovascolari, diabete tipo 2 e malattie respiratorie croniche con conseguenze sulla morbilità e mortalità. L’obesità grave è stata associata a una diminuzione dell’aspettativa di vita e ad un aumento del tasso di mortalità indipendentemente dall’età, regione geografica, titolo di studio o l’abitudine di fumare.
«L’obesità è molto più di un semplice eccesso di peso, basti pensare che il 41 per cento di tutta la mortalità cardiovascolare negli Stati Uniti corrisponde a un alto indice di massa corporea (IMC). Esiste, infatti, una chiara associazione tra IMC e ipertensione alla base delle principali malattie cardiovascolari, come infarto, ictus e insufficienza cardiaca. È stato osservato in Italia che l’ipertensione è presente nel 45 per cento delle persone con un IMC normale, nel 67 per cento di quelle con sovrappeso, fino ad arrivare all’87 per cento in coloro che soffrono di obesità», dice Paolo Sbraccia, Presidente di IBDO Foundation.
«Secondo le stime Istat più aggiornate, nel 2023 sono l’11,8 per cento gli adulti con obesità in Italia. Il lieve aumento registrato rispetto al 2022 (0,4 punti percentuali) non risulta statisticamente significativo nel complesso della popolazione adulta, ma dall’analisi per età emerge un incremento importante tra i più giovani tra gli adulti, ovvero quelli compresi nella fascia di età 18-34 anni. Infatti, anche se la percentuale di persone con obesità in questa fascia di età rimane sempre inferiore rispetto alle altre, si è passati dal 5,0 per cento nel 2022 al 6,6 per cento nel 2023.Si conferma dunque la tendenza all’aumento dell’obesità tra i giovani adulti registrata nel lungo periodo. La quota più elevata di obesità si registra come sempre tra gli anziani di 65-74 anni, dove si stima che oltre 1 persona su 6 abbia la malattia (15,9 per cento) nel 2023», spiega Roberta Crialesi, Responsabile del Servizio Sistema integrato salute, assistenza e previdenza dell’Istat. «Restano invece del tutto stabili rispetto all’anno precedente i livelli complessivi di eccesso di peso, che continua a riguardare complessivamente quasi un adulto su due in Italia (46,3 per cento)».
“L’obesità e un problema globale in crescente diffusione, considerata una delle principali sfide per la salute pubblica. Si tratta di una condizione complessa, multifattoriale, che richiede interventi coordinati e personalizzati, capaci di incidere non solo a livello individuale ma anche comunitario e politico. In questo contesto, le strategie e gli interventi multi-setting emergono come approccio essenziale per combattere l’obesità, in linea con le politiche di salute e benessere promosse a livello internazionale”, commenta Nathan Levialdi Ghiron, Rettore dell’Università di Roma Tor Vergata nella prefazione dell’Italian Barometer Obesity Report 2024. “Le strategie multi-setting sono approcci integrati che agiscono su più livelli e in contesti diversi – dalla scuola, al luogo di lavoro, all’ambiente urbano – per affrontare i determinanti sociali e ambientali dell’obesità”.
«A livello nazionale, dobbiamo garantire che i nostri servizi sanitari, tutti i livelli istituzionali territoriali e le nostre comunità, inclusi gli ambiti scolastici e imprenditoriali, siano adeguatamente alfabetizzati, e conseguentemente attrezzati, per ridurre il rischio e l’impatto dell’obesità. A livello parlamentare, attraverso i provvedimenti che abbiamo presentato sia alla Camera dei Deputati sia al Senato della Repubblica, ci stiamo impegnando per affrontare le radici strutturali dell’obesità e per far riconoscere la stessa come malattia», chiosa l’On. Roberto Pella, Deputato della Repubblica, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Obesità, Diabete e malattie croniche non trasmissibili e Presidente ff di ANCI.
«In questa XIX Legislatura ci stiamo concretamente impegnando come Intergruppo parlamentare ad avviare iter legislativi che portino a considerare l’obesità, nella propria complessità, come una malattia che esige prevenzione e cura. L’inserimento dell’obesità nelle politiche sulla salute del G7 può aprire nuove prospettive globali nell’affrontare una malattia che ha impatti devastanti a livello clinico, sociale ed economico», aggiunge la Sen. Daniela Sbrollini, Senatrice della Repubblica, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Obesità, Diabete e malattie croniche non trasmissibili e Vice Presidente della 10a Commissione permanente del Senato (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale).
L’evento è stato realizzato, su iniziativa della Sen. Daniela Sbrollini, in collaborazione con l’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili, Intergruppo parlamentare qualità di vita nelle città, Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation Spin off Università di Roma Tor Vergata, Istat, Coresearch, Crea Sanità, Bhave, Università di Roma Tor Vergata – Dipartimento di medicina dei servizi, le società scientifiche di area1, Italian Obesity Network, Open Italy, Amici Obesi e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk nell’ambito del progetto internazionale Driving change in obesity.