Tempo di lettura: 4 minutiSono in aumento i disturbi neuropsichiatrici tra i bambini, aggravati soprattutto dalla pandemia. La salute mentale e la gestione della cronicità complessa sono solo alcune delle sfide che la pediatria italiana è chiamata ad affrontare per il benessere dei più piccoli. Se ne è parlato oggi a Firenze in occasione della prima edizione del Child Health Summit. L’iniziativa ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica ed è patrocinata dal Ministero della Salute, dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dalla Regione Toscana e dal Comune di Firenze, realizzata da AOPI – Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani in collaborazione con The European House – Ambrosetti.
Politiche per la natalità per uno sviluppo sostenibile
Dal 2008 in Italia si assiste a una costante riduzione delle nascite (nel 2022 sono nati poco più di 392.500 bambini) che unita all’allungamento dell’aspettativa di vita produce un progressivo invecchiamento della popolazione. Oggi gli under-14 sono solo il 12,7% della popolazione contro il 23,8% over-65. Inoltre se le tendenze demografiche dovessero essere confermate, nel 2050 per ogni ragazzo di età inferiore ai 14 anni ci saranno 3 adulti di età superiore ai 65 anni. Questa tendenza ha per molto tempo concentrato il dibattito pubblico su invecchiamento e cronicità e sull’insostenibilità del sistema sanitario e di welfare. Tuttavia, agendo sulle politiche per la natalità e sui determinanti di salute di bambini e adolescenti si garantisce una crescita e uno sviluppo sostenibile del nostro Paese.
“Migliorare lo stato di salute di bambini e ragazzi richiede un approccio multidisciplinare che agisca in modo efficace su molteplici aspetti della loro vita, dalla dieta e gli stili di vita che seguono, all’accesso all’istruzione, a adeguate condizioni abitative, alla qualità dell’aria che respirano passando naturalmente dall’accesso e dalla qualità delle cure che il SSN mette a loro disposizione” afferma Rossana Bubbico, Senior Consultant di The European House – Ambrosetti. “Le politiche sanitarie vanno quindi ripensate in un’ottica più ampia che comprenda tutti i fattori che vanno a incidere sulla salute dei più piccoli. Nel nostro Paese le politiche devono essere inoltre indirizzate a diminuire le elevate difformità territoriali oggi esistenti: basti pensare che il tasso di mortalità infantile, che vede l’Italia tra i best performer europei con 2,5 decessi per 1.000 bambini nati vivi, nelle Regioni del Sud è 1,73 volte maggiore rispetto alle Regioni di Nord-est”.
Bambini italiani tra i più in sovrappeso in Europa
I bambini italiani continuano a essere tra i più in sovrappeso in Europa. Il 16% dei bambini tra i 7 e 9 anni di età è obeso, contro una media europea del 12%. Continuano a muoversi poco: solo il 34,3% dei bambini/ragazzi di età compresa tra i 3 e i 14 anni pratica sport in modo continuativo. Inoltre, seguono una dieta poco bilanciata: solo il 32,4% dei bambini/ragazzi di età compresa tra i 3 e i 14 anni mangia verdura più di una volta al giorno. Ad aggravare la situazione è l’aumento del numero di famiglie in povertà assoluta, giunto nel 2021 a 1,96 milioni. Questa condizione si ripercuote sul benessere psico-fisico dei bambini e dei loro genitori.
Aumentano problemi di salute mentale nei bambini
Oltre alla salute fisica, quello che preoccupa maggiormente dopo l’esperienza della pandemia è il benessere psico-fisico di bambini e ragazzi. Un’indagine della Società Italiana di pediatria condotta in 9 Regioni ha mostrato un aumento dell’incidenza degli accessi al pronto soccorso per patologia neuropsichiatrica. Dallo 0,7% del periodo marzo 2019-marzo 2020 è passata all’1,2% del periodo marzo 2020-marzo 2021. Nello stesso periodo sono aumentati anche i ricoveri per patologia neuropsichiatrica del 39%.
“Già prima della pandemia osservavamo un trend in aumento di disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva. Con la pandemia, non è più rinviabile l’investimento per aumentare il numero di posti letto dedicati alla neuropsichiatria infantile nelle strutture ospedaliere e contestualmente migliorare anche la risposta territoriale ai bisogni psicologici per i nostri bambini attraverso strutture intermedie e diurne – ha sottolineato Alberto Zanobini, Presidente di AOPI e Direttore Generale dell’AOU Meyer – IRCCS. “Oltre al rafforzamento dei servizi per la salute mentale dei più giovani occorre aumentare il numero delle terapie intensive pediatriche – ci sono 23 terapie unità sul territorio nazionale con 202 posti letto, un valore pari a 3 posti letto per milione di abitanti rispetto a una media europea pari a 8, con una elevata difformità territoriale – e degli hospice – ci sono solo 8 strutture aperte e 47 posti letto attivi cui si sommano 7 strutture in costruzione con 52 posti letto aggiuntivi. Un’ultima grande sfida per la pediatria è la gestione della cronicità complessa e della transizione verso l’età adulta, frutto del grande progresso tecnologico della medicina che sta determinando un allungamento della vita di bambini che fino a qualche anno non superavano i primi anni di vita. Anche per questo è opportuno che il Paese aumenti anche gli investimenti in ricerca”.
Otto principi per dare a ogni bambino il miglior inizio di vita possibile
Fare in modo che i bambini possano godere del miglior stato di salute e consentire l’accesso a cure sanitarie dedicate devono essere gli obiettivi dell’Italia, ribadiscono gli specialisti. Dare a ogni bambino il miglior inizio di vita possibile è anche il primo degli 8 principi enunciati da Sir Michael Marmot, Professore di epidemiologia e sanità pubblica della University College of London e Direttore dell’UCL Institute of Health Equity, per ridurre le disuguaglianze di salute. Gli altri 7 prevedono: “Consentire a tutti i bambini, i giovani e gli adulti di massimizzare le proprie capacità e di avere il controllo sulla propria vita”, “Creare un’occupazione equa e un buon lavoro per tutti”, “Garantire un tenore di vita sano per tutti”, “Creare e sviluppare luoghi e comunità sane e sostenibili”, “Rafforzare il ruolo e l’impatto della prevenzione delle malattie”, “Combattere la discriminazione, il razzismo e i loro esiti”, “Perseguire insieme la sostenibilità ambientale e l’equità nella salute”. Il professore inglese – che è intervenuto durante il Summit con un videomessaggio – plaude anche alla possibilità che Firenze aderisca al network delle Marmot Cities, vale a dire le città che perseguono nelle loro politiche questi principi con azioni concrete.
Il valore insostituibile della medicina narrativa
Adolescenti, Eventi PreSa-Mesit, Med. narrativa, Partner, PrevenzioneNell’ultimo decennio il melanoma ha raggiunto a livello mondiale le centomila diagnosi l’anno, con un incremento del 15 per cento. Anche per questo, per informare su una patologia tanto diffusa, che è nata l’idea del libro “La memoria della pelle”, un progetto che ha visto come protagonisti il presidente della Fondazione Mesit Marco Trabucco Aurilio, l’oncologo e ricercatore Paolo Ascierto, e il direttore generale Ryder Cup 2023 Gian Paolo Montali. Il romanzo è un bell’esempio di medicina narrativa e fa parte di una più ampia campagna di informazione rivolta soprattutto ai più giovani.
Prevenzione
«La medicina narrativa – ha spiegato Trabucco Aurilio ai microfoni di Radio Kiss Kiss – consente attraverso un linguaggio semplice e accessibile a tutti, non solo di raccontare il lato clinico della malattia, ma soprattutto quello sociale ed emotivo, attraverso punti di vista differenti. Una storia come tante, come quella della nostra protagonista, si trasforma in un forte strumento di informazione e prevenzione». Parte del ricavato del volume La memoria della pelle è destinato a sostenere le iniziative della Fondazione Mesit e della Fondazione Melanoma.
Giovani
Che il libro sia un progetto importante anche e soprattutto per i giovani lo ha sottolineato Paolo Ascierto: «La storia di Erica – ha detto – ci insegna che la prevenzione è la strategia migliore per combattere il cancro, e il melanoma non fe eccezione. La medicina narrativa può fare arrivare questo messaggio in profondità, ai giovani, che sono purtroppo direttamente chiamati in causa da questa malattia, perché oggi l’anello debole. Se il melanoma è stato per anni un tumore tipico dell’anziano, ora abbiamo un picco a 40 anni ed è addirittura la prima causa di morte tra i ragazzi nella fascia d’età 20-30 anni».
Mentalità
Di «giusto approccio» ha parlato invece Gian Paolo Montali. «Nel modo dello sport la mentalità vale tanto quanto il talento», ha ricordato. «Quando inizio una nuova avventura dico sempre tre cose: “atteggiamento”, “atteggiamento”, “atteggiamento”. Così si crea la mentalità giusta. Serve la disponibilità delle persone per affrontare al meglio ogni sfida e con la malattia è la stessa cosa». Quando ci si ammala, ci si ritrova di colpo catapultati in un mondo sconosciuto, pieno di luoghi impervi e spaventosi. Ci si può sentire spaesati e molto soli, almeno fino a quando non si scopre l’aiuto prezioso di alleati, guide e compagni di viaggio. Il volume può essere acquistato on line su Amazon (Acquista) e in tutte le librerie fisiche.
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Tumore al seno, in che tempi si deve intervenire
News PresaIl tumore al seno è ancora oggi una delle neoplasie più frequenti nelle donne. La prevenzione è tutt’oggi l’arma più efficace, ma nel caso di una diagnosi come ci si deve comportare? Lo spiega Martino Trunfio, direttore della Breast Unit dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, riconosciuto dalla Società Europea di Senologia (EUSOMA) unico centro pubblico del Mezzogiorno ad avere percorsi di qualità certificabili in base ai propri rigidi standard.
Tempi stretti
I tempi di presa in carico delle pazienti con tumore al seno sono fondamentali per la qualità dell’assistenza. «Mediamente, al Cardarelli, entro sette giorni dalla richiesta effettuiamo una prima visita a un nodulo sospetto, entro dieci giorni facciamo una biopsia, in due settimane abbiamo la caratterizzazione del campione prelevato e, quattro settimane dopo la valutazione multidisciplinare, effettuiamo l’intervento chirurgico. Per rispettare queste tempistiche è necessaria una grande sinergia tra tutti coloro che partecipano al percorso diagnostico terapeutico.
Ricostruzione del seno
Gli interventi chirurgici prevedono una degenza di 2 o 3 giorni e nel 70% dei casi permettono di non asportare il seno. Per quelle situazioni, invece, in cui sia necessario effettuare interventi più radicali, si procede nel 93% dei casi già da subito ad una completa ricostruzione del seno grazie alla collaborazione con l’Unità di Chirurgia Plastica Ricostruttiva.
Alimentazione
Il modello di presa in carico globale della paziente adottato dal reparto prevede che, nella fase successiva all’intervento, oltre all’avvio della terapia medica e radioterapica vi sia un affiancamento della nutrizionista, dello psicologo, dell’endocrinologo, del farmacista e – per le donne in età fertile – dello specialista che si preoccupa di garantire la possibilità di essere mamma anche dopo il cancro. La Breast Unit del Cardarelli lavora in modo costante anche sulla ricerca clinica, collaborando su linee di ricerca nazionali ed internazionali, nello sviluppo di nuovi protocolli terapeutici, attraverso il proprio Clinical Trial Office.
Tumore alla prostata, intelligenza artificiale prevede recidive. Lo studio
Prevenzione, Ricerca innovazioneUna metodologia basata su nuovi algoritmi di intelligenza artificiale è in grado di prevedere la recidiva del tumore alla prostata. È stata sviluppata dall’Istituto di informatica e telematica del Cnr e i risultati dello studio sono stati pubblicati su Scientific Reports.
Tumore alla prostata (Prc) è tra i più diffusi
Il tumore alla prostata (Prc) è il quarto tipo di tumore più diagnosticato al mondo, con circa 1.4 milioni di diagnosi nel 2022. Secondo le stime, nel 2025 saranno 363mila le nuove diagnosi di Prc in Europa, con un numero di decessi stimato a circa 78mila. Dopo l’asportazione chirurgica della prostata, circa il 15% dei pazienti viene classificato come ad alto rischio di recidiva. In questi casi è necessario un monitoraggio continuo per individuare il prima possibile la ricomparsa della malattia. Tuttavia, la velocità con cui il tumore si ripresenta varia da paziente a paziente.
Lo studio sui marcatori
La ricerca dell’Istituto di informatica e telematica (Cnr-Iit) del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa ha utilizzato una lista di geni marcatori e ha sviluppato un metodo computazionale di apprendimento automatico per analizzarli. Il nuovo metodo è in grado di predire con alta precisione l’anno di insorgenza della recidiva dopo l’asportazione del tessuto tumorale. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.
Le analisi sono state effettuate su un database di sequenze genetiche di esami di biopsie di un gruppo di 1.240 pazienti. Grazie all’applicazione dell’Intelligenza artificiale indicano una capacità predittiva superiore a quella dei metodi in uso oggi.
Il futuro, terapie innovative e personalizzate
“La metodologia adottata è un miglioramento e un raffinamento rispetto ai risultati ottenuti nel 2021 nella predizione della sopravvivenza a cinque anni dei pazienti di tumore al seno dopo l’asportazione chirurgica e l’applicazione di terapie post-operatorie”, spiega Marco Pellegrini, dirigente di ricerca del Cnr-Iit. “In particolare, le predizioni di recidiva del tumore alla prostata utilizzano un più ampio spettro di marcatori genetici integrandoli con i marcatori clinici già correntemente in uso per migliorare le prestazioni”.
Lo studio può contribuire alle decisioni cliniche sulla terapia per il tumore alla prostata, al fine di personalizzare la cura e aumentare la sopravvivenza. All’interno del progetto “Tuscany Health Ecosystem” (The) finanziato dal Pnrr è previsto lo sviluppo nei prossimi tre anni di un sistema diagnostico per uso clinico basato su queste ricerche.
Depressione post partum. Psichiatra spiega dinamiche e segnali
Genitorialità, News Presa, PsicologiaQuello che segue il parto può essere un periodo difficile, generare gravi disagi e in alcuni casi anche condizioni patologiche. Negli ultimi giorni il dibattito pubblico si è incentrato sui rischi per la salute mentale delle neomadri dopo la vicenda di cronaca di una madre affetta da depressione post partum che ha strangolato il figlio di 1 anno mentre era da sola. Lo psichiatra Enrico Zanalda, Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense ha spiegato l’importanza del riconoscere i segnali e le dinamiche sottostanti alla malattia che può emergere nella fase successiva alla gravidanza. Tutti gli operatori sanitari – ha ribadito lo specialista – devono essere attenti a intercettare le situazioni a rischio.
“Baby blues”, cos’è
“Il baby blues, è una condizione di irritabilità/instabilità emotiva che colpisce 70-80 % delle donne nei giorni successivi al parto. Dura una o due settimane e si risolve spontaneamente per cui non è considerato una condizione patologica”. Tuttavia il 10-15% circa delle neomamme si ammala di depressione post partum, racconta lo specialista. Se non riconosciuta e trattata, questa condizione “nel 50% dei casi può essere presente sei mesi dopo il parto e nel 20/25% a distanza di un anno”. La salute mentale delle madri più fragili “Come tutti i grandi cambiamenti, la nascita di un figlio soprattutto il primo, è un momento di grande transizione – spiega Zanalda.
Se la neomamma è una persona fragile dal punto di vista emotivo, “anche la grande gioia è un notevole stress. La maternità comporta notevoli cambiamenti fisici, psichici e di ruolo, e può mettere a dura prova la resilienza della donna. Oltre ai cambiamenti fisici e biologici, tra cui le fluttuazioni ormonali, lo stress associato alla maternità è determinato dalla sfida nell’adattarsi al nuovo ruolo comprese le difficoltà determinate dalla responsabilità della cura del neonato”.
Condizioni patologiche
Alcune condizioni patologiche possono insorgere in coincidenza del parto o nei tre mesi successivi: la psicosi peripartum o la depressione post partum. “A intercettare queste patologie sono sensibilizzati gli operatori sanitari del settore (ostetriche, ginecologi, pediatri, etc) – spiega il presidente. “Sappiamo quanto sia fondamentale fornire tempestivamente il supporto professionale alle mamme che ne soffrono”.
I segnali della depressione post partum
“La depressione post partum insorge generalmente nei tre mesi successivi al parto ed è sovente una depressione maggiore a tutti gli effetti. I sintomi caratteristici di grande allarme sono la “mancanza di progettazione nel futuro” e “l’incapacità di chiedere aiuto”, sensi di colpa, depressione del tono dell’umore con i caratteristici sintomi della mancanza di energie e di provare piacere, le crisi di pianto, sentimenti di disperazione, ansia e insonnia. La sintomatologia è generalmente più acuta al risveglio quando vi è il contrasto tra la giornata che inizia e lo stato interno della persona depressa che può essere cristallizzato sulla negatività e sulla convinzione di essere incapace a vivere una nuova giornata”.
Hiv, in Italia 63% diagnosi tardive. PrEP e nuove terapie
Associazioni pazienti, FarmaceuticaIn Italia il 63% delle diagnosi di HIV arrivano quando emergono già i problemi. Eppure “i test si possono fare in maniera gratuita e anonima in ospedali, centri specializzati, consultori, ma anche in farmacia e nei check-point. Un altro modo per facilitare l’accesso al test riguarda i luoghi di primo accesso, come i Pronto Soccorso e i medici di medicina generale, che possono indagare eventuali comportamenti a rischio dei pazienti” ha ricordato il Prof. Stefano Vella, Presidente Commissione Nazionale per la lotta contro l’Aids.
In Italia sono in calo le diagnosi dal 2012, nel 2021 sono state 1770, ma resta ancora alto il numero delle diagnosi tardive. Il 63% dei pazienti scopre di essere affetto da HIV quando ha già una malattia conclamata. Questo ritardo ostacola l’avvio delle terapie. Da questi dati nascono le proposte frutto della collaborazione tra istituzioni, ISS, società scientifiche e associazioni della Community dei pazienti.
Le proposte sono state presentate in un recente convegno scientifico “HIV Testing & Linkage to care: esperienza di collaborazione tra Malattie Infettive e Pronto Soccorso” a Roma. Sono state esaminate le offerte del test HIV più efficaci per il linkage-to-care tempestivo delle persone HIV positive. Inoltre si è discuso dell’inquadramento legislativo, riferito al Piano Nazionale AIDS e alla riforma della legge 135/90.
La lotta all’hiv, la PrEP
Le nuove terapie antiretrovirali, assunte regolarmente, rendono il virus dell’HIV non più rilevabile nel sangue e non trasmissibile. Un nuovo strumento è la Profilassi pre-Esposizione (PrEP), di cui AIFA ha da poco approvato la rimborsabilità. In molti Paesi questa misura ha già ridotto drasticamente il numero di nuove infezioni. “Nonostante gli straordinari progressi scientifici, la lotta all’HIV nel mondo presenta ancora molte criticità, come dimostrano le circa 1,5 milioni di nuove infezioni che si registrano ogni anno a livello globale, mentre in Italia persiste il problema delle diagnosi tardive, che si riflettono su un ritardo nei trattamenti e un numero ancora congruo di contagi – ha spiegato il Prof. Stefano Vella.
“Serve maggiore informazione e un più ampio accesso al test, soprattutto per chi ha avuto comportamenti a rischio. I test – ha continuato Vella – si possono fare in maniera gratuita e anonima in ospedali, centri specializzati, consultori, ma anche in farmacia e nei check-point gestiti dalla Community. Un altro modo per facilitare l’accesso al test riguarda i luoghi di primo accesso, come i Pronto Soccorso e i medici di famiglia, che possono indagare maggiormente lo stile di vita dei propri pazienti e capire eventuali comportamenti a rischio”.
Diagnosi precoce blocca l’avanzamento del virus
“L’avvio dei trattamenti non può prescindere da un ampliamento dei test nella popolazione – evidenzia il Prof. Claudio Mastroianni – La SIMIT è impegnata in diverse collaborazioni con altri specialisti di riferimento, come gli urgentisti della SIMEU e i Medici di Medicina Generale della SIMG. Obiettivo comune per tutti è riuscire a sfruttare ogni occasione per effettuare il test HIV in ogni momento utile, dall’accesso al Pronto Soccorso alle visite ambulatoriali, fino a quelle situazioni che possano far sospettare la presenza del virus.
Occorre quindi agire in diversi setting stimolando l’esecuzione del test: al Policlinico Umberto I, ad esempio, abbiamo avviato dei progetti finalizzati a testare i pazienti al PS e in tutte le situazioni dove vi possono essere eventi sentinella che possano far pensare all’infezione da HIV. Con questo metodo sono già stati ottenuti importanti risultati, identificando persone affette dal virus e non consapevoli della loro positività: questo ci ha permesso di iniziare precocemente la terapia antiretrovirale, che evita alla malattia di progredire e permette a queste persone di non trasmettere l’infezione”.
Celiachia, cos’è e come riconoscere i sintomi
Alimentazione, News PresaCos’è la celiachia, quali sono i sintomi e quali i test che possono portare ad una diagnosi? In molti se lo domandano e non a caso, visto che il numero dei pazienti con una diagnosi aumenta di anno in anno, anche tra i più piccoli. Va anche detto che su questa malattia (che è a tutti gli effetti un’intolleranza permanente al glutine, una proteina presente ad esempio nel grano, nell’orzo, nel kamut o nella segale) esistono molti falsi miti.
Risposta immunitaria
Alla base dei disturbi causati dalla celiachia, nel caso di assunzione di glutine, c’è una risposta immunitaria che colpisce l’intestino tenue. Nel tempo, quest’azione incontrollata degli anticorpi produce un’infiammazione dei villi intestinali, che sono quelle strutture deputate all’assorbimento dei nutrienti. Di conseguenza, a lungo termine, una celiachia non curata può avere effetti collaterali anche abbastanza seri.
Campanelli d’allarme
Uno dei grandi problemi è legato al fatto che i campanelli d’allarme della celiachia sono molto vari e in alcuni casi, addirittura, la malattia può essere asintomatica. Ad ogni modo, i sintomi più comuni sono: diarrea, gonfiore addominale, crampi addominali e perdita di peso. Inoltre, esistono campanelli d’allarme quali: anemia (spesso causata da carenza di ferro), aumento delle transaminasi senza una spiegazione chiara, problemi nel metabolismo osseo (come osteopenia o osteoporosi), debolezza muscolare, perdita di capelli, ulcere orali o stomatite, problemi di fertilità o aborti spontanei e mal di testa.
Gli esami per la celiachia
Il primo passo è sempre quello di consultare il proprio medico di famiglia. Sarà lui a indirizzarci verso uno specialista gastroenterologo. La visita gastroenterologica va effettuata prima di iniziare un’eventuale dieta priva di glutine, poiché interrompere o ridurre l’assunzione di glutine prima di sottoporsi ai test diagnostici potrebbe alterare i risultati.
A tavola
Purtroppo, dalla celiachia non si può guarire, ma una dieta appropriata può restituire ai pazienti un’ottima qualità di vita. Ovviamente, senza glutine. Si devono dunque evitare pane, pasta, dolci e prodotti da forno con cereali e farine a base di avena, frumento, farro, orzo, grano, kamut o malto. È necessario evitare anche lievito e seitan, piatti pronti che potrebbero contenere tracce di glutine, latte e yogurt a base di cereali e malto, salse, cubetti di brodo solubili, salumi e caramelle che contengono glutine come addensante. Niente birra e bevande solubili che potrebbero contenere tracce di glutine e tè aromatizzati.
La Memoria della Pelle per parlare di Medicina Narrativa
News PresaLe parole possono essere parte della cura? La risposta è sì. Si chiama medicina narrativa e va ben oltre la semplice speranza che un racconto possa in qualche modo far riflettere o sollevare l’anima dal peso della malattia. Ai microfoni di Radio Kiss Kiss, per il consueto appuntamento con le Pillole di Salute volute e organizzate dal network editoriale PreSa, saranno Marco Trabucco Aurilio, Paolo Ascierto e Gian Paolo Montali (autori del volume La Memoria della Pelle) a parlare di come la medicina narrativa sia parte di un percorso con solide basi scientifiche. L’assunto principale è che condividere ricordi, emozioni e sentimenti (sia degli operatori, che dei pazienti e dei loro familiari) possa fornire un quadro assistenziale e clinico più efficace e personalizzato, e anche offrire un’occasione di dialogo, dibattito e sensibilizzazione. L’appuntamento è per sabato 15 luglio, alle 11.30 circa, Stay tuned!
Intelligenza artificiale in sanità: ricerca e inclusione
News Presa, Ricerca innovazioneÈ difficile, oggi, immaginare tutte le possibilità offerte dall’impiego in sanità dell’intelligenza artificiale (AI). Non è azzardato ritenere che l’impatto sarà rivoluzionario come forse in tutti gli altri ambiti dell’esistenza umana. Tra investimenti e attenzioni crescenti, l’AI in sanità è in parte già realtà: utilizzando una enorme quantità di dati tramite algoritmi di machine learning, ossia di apprendimento automatico, queste tecnologie sono già utilizzate nella pratica clinica (in ambito oncologico, neurologico e cardiologico) per supportare l’imaging medico e migliorare l’accuratezza e la rapidità dei risultati diagnostici. L’impiego di modelli linguistici può inoltre consentire di analizzare testi, riassumere e archiviare conversazioni medico-paziente, o di creare bot di interfaccia per rispondere a quesiti clinici in telemedicina; e più in generale di migliorare la rapidità e l’efficienza operativa, alleggerendo il peso di una burocrazia che oggi rappresenta la principale zavorra del Sistema Sanitario Nazionale, in termini anche di equità di accesso all’innovazione e dunque di inclusione socio-sanitaria nel suo complesso.
Requisiti normativi
Sicuramente molti degli utilizzi attesi, per esempio in terapia, sono ancora lontani, e non manca una fisiologica diffidenza sia tra i medici che tra i potenziali pazienti: i dati utilizzati dagli algoritmi possono infatti risultare imprecisi, e fornire risposte fuorvianti o errate, comportando dei potenziali rischi per la salute ma anche per la privacy del cittadino. Questo soprattutto nel caso in cui, come avverte l’Oms, si utilizzino sistemi non sufficientemente testati. Una riflessione corre dunque anche ai requisiti normativi europei sui dispositivi medici, che non possono che essere basati su solidissime prove di sicurezza ed efficacia. L’intelligenza artificiale in sanità non sostituirà probabilmente mai l’essere umano, a cui spettano le decisioni finali per questioni di responsabilità, ma soprattutto di etica e di deontologia. Che si parli di cure in senso più tradizionale, o di applicazioni d’avanguardia, è alla società tutta che va chiesta consapevolezza, sulla necessità di investire in ricerca e in risorse umane e tecnologiche, e di sviluppare una visione che includa tutti gli attori coinvolti: operatori sanitari, aziende e potenziali pazienti, cioè ogni singolo cittadino, nessuno escluso.
Articolo pubblicato su Molto Salute e sul Messaggero.it, il giorno 13 luglio 2023 a firma di Marco Trabucco Aurilio con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute
Un’amata multidisciplinare per battere l’infiammazione di tipo 2
Prevenzione, SpecialiAlcune patologie sono legate tra loro, perché sono accese, per così dire, da un’unica “scintilla”. È il caso di malattie come l’asma bronchiale, la rinosinusite cronica con poliposi nasale, la rinite allergica, la dermatite atopica, l’esofagite eosinofila. Tutte collegate a quella che gli esperti definiscono “infiammazione di tipo 2”. «Alcune cellule del sistema immunitario hanno la peculiarità di produrre citochine specifiche», spiega Oliviero Rossi, dirigente di I livello preso la SOD di Immunoallergologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze. «E sono proprio queste citochine (IL-4; IL-5; IL-13) a promuovere i danni a carico dei tessuti». Quindi, una base infiammatoria comune che sviluppa poi patologie differenti. «Non di rado, queste si manifestano anche in concomitanza. Ad esempio, nel 40% dei pazienti con asma grave può anche presente manifestarsi anche una rinosinusite cronica con poliposi nasale».
Lavoro di squadra
Di qui l’importanza di conoscere bene i meccanismi alla base di tutte queste malattie. È altresì importante che i diversi specialisti lavorino insieme per la gestione ottimale del paziente che può presentare più di una patologia legata all’infiammazione di tipo 2. Rossi spiega che la formazione dei medici e la loro capacità di saper individuare le varie patologie di tipo 2 è determinante. E qui entra in gioco un altro elemento comune a tutto questo gruppo di patologie, vale a dire l’aumento di alcuni “segnali” (biomarker) specifici, quali ad esempio incremento degli eosinofili, aumentati livelli di ossido nitrico nel respiro esalato, aumento degli anticorpi IgE circolanti ed altri. Quindi, questi biomarker, se accompagnati a sintomi specifici, devono sempre far accendere un campanello d’allarme nel medico che è chiamato ad effettuare una diagnosi ed indirizzare il paziente anche verso differenti specialisti per lavorare in approccio multidisciplinare alla gestione di questi pazienti con più malattie di tipo 2 coesistenti. In molti casi il singolo biomarker non è univocamente associato alla presenza di un’alterazione legata all’infiammazione di tipo 2 in queste patologie: importante quindi considerare la sintomatologia e la storia clinica del paziente.
Qualità di vita
Arrivare ad individuare precocemente il problema è essenziale anche in considerazione dell’impatto che queste malattie hanno sulla qualità di vita dei pazienti. «Si pensi all’asma bronchiale o alla dermatite atopica, sono malattie che hanno effetti pesantissimi sui pazienti e, spesso, sulle loro famiglie. Impattano in modo drammatico sulla vita personale, lavorativa o anche sul profitto scolastico». Proprio per il loro essere croniche, sono malattie che compromettono performance fisiche, rapporti sociali, qualità del sonno e produttività sul lavoro. Questo gruppo di malattie scatenato da infiammazione di tipo 2 ha un andamento cronico e se non sono adeguatamente trattate sono patologie che vedono spesso riacutizzazioni e ricoveri ospedalieri, oltre che un aumento di morbilità, mortalità, costi sociali e sanitari. Facile capire perché è di fondamentale importanza assicurarsi che il paziente rimanga “compliante” per tutta la durata della terapia, anche se ci fosse la necessità di proseguirla per tutta la vita. «Sino ad oggi, l’unica arma a disposizione di noi specialisti di queste malattie era legata a terapie a base di cortisone, che non sono però prive di effetti collaterali».
Terapie
Oggi, invece, per molte di queste malattie scatenate da infiammazione di tipo 2 i medici e soprattutto i pazienti possono beneficiare di terapie innovative biologiche, che lavorano intervenendo su diverse componenti della cascata infiammatoria e quindi possono portare ad un controllo dei sintomi e, di conseguenza, un della qualità di vita. «Grazie a queste nuove terapie – conclude il professor Rossi – riusciamo ad avere un’ottima compliance, perché sono farmaci che il paziente può gestire autonomamente presso il proprio domicilio e che vengono dispensati gratuitamente mediante un piano terapeutico stilato dai centri specialistici. Una vera e propria rivoluzione». Di qui l’importanza, evidenziata poc’anzi, di un’attenta azione di aggiornamento da parte dei medici e la fondata speranza che, attraverso una maggiore consapevolezza dei pazienti, la storia naturale di queste malattie possa veramente cambiare.
Articolo pubblicato su Molto Salute il giorno 13 luglio 2023 a firma di Arcangelo Barbato con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute
Bambini, peggiora salute mentale, cronicità e assistenza tra le sfide urgenti
Adolescenti, Bambini, Genitorialità, Pediatria, PsicologiaSono in aumento i disturbi neuropsichiatrici tra i bambini, aggravati soprattutto dalla pandemia. La salute mentale e la gestione della cronicità complessa sono solo alcune delle sfide che la pediatria italiana è chiamata ad affrontare per il benessere dei più piccoli. Se ne è parlato oggi a Firenze in occasione della prima edizione del Child Health Summit. L’iniziativa ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica ed è patrocinata dal Ministero della Salute, dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dalla Regione Toscana e dal Comune di Firenze, realizzata da AOPI – Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani in collaborazione con The European House – Ambrosetti.
Politiche per la natalità per uno sviluppo sostenibile
Dal 2008 in Italia si assiste a una costante riduzione delle nascite (nel 2022 sono nati poco più di 392.500 bambini) che unita all’allungamento dell’aspettativa di vita produce un progressivo invecchiamento della popolazione. Oggi gli under-14 sono solo il 12,7% della popolazione contro il 23,8% over-65. Inoltre se le tendenze demografiche dovessero essere confermate, nel 2050 per ogni ragazzo di età inferiore ai 14 anni ci saranno 3 adulti di età superiore ai 65 anni. Questa tendenza ha per molto tempo concentrato il dibattito pubblico su invecchiamento e cronicità e sull’insostenibilità del sistema sanitario e di welfare. Tuttavia, agendo sulle politiche per la natalità e sui determinanti di salute di bambini e adolescenti si garantisce una crescita e uno sviluppo sostenibile del nostro Paese.
“Migliorare lo stato di salute di bambini e ragazzi richiede un approccio multidisciplinare che agisca in modo efficace su molteplici aspetti della loro vita, dalla dieta e gli stili di vita che seguono, all’accesso all’istruzione, a adeguate condizioni abitative, alla qualità dell’aria che respirano passando naturalmente dall’accesso e dalla qualità delle cure che il SSN mette a loro disposizione” afferma Rossana Bubbico, Senior Consultant di The European House – Ambrosetti. “Le politiche sanitarie vanno quindi ripensate in un’ottica più ampia che comprenda tutti i fattori che vanno a incidere sulla salute dei più piccoli. Nel nostro Paese le politiche devono essere inoltre indirizzate a diminuire le elevate difformità territoriali oggi esistenti: basti pensare che il tasso di mortalità infantile, che vede l’Italia tra i best performer europei con 2,5 decessi per 1.000 bambini nati vivi, nelle Regioni del Sud è 1,73 volte maggiore rispetto alle Regioni di Nord-est”.
Bambini italiani tra i più in sovrappeso in Europa
I bambini italiani continuano a essere tra i più in sovrappeso in Europa. Il 16% dei bambini tra i 7 e 9 anni di età è obeso, contro una media europea del 12%. Continuano a muoversi poco: solo il 34,3% dei bambini/ragazzi di età compresa tra i 3 e i 14 anni pratica sport in modo continuativo. Inoltre, seguono una dieta poco bilanciata: solo il 32,4% dei bambini/ragazzi di età compresa tra i 3 e i 14 anni mangia verdura più di una volta al giorno. Ad aggravare la situazione è l’aumento del numero di famiglie in povertà assoluta, giunto nel 2021 a 1,96 milioni. Questa condizione si ripercuote sul benessere psico-fisico dei bambini e dei loro genitori.
Aumentano problemi di salute mentale nei bambini
Oltre alla salute fisica, quello che preoccupa maggiormente dopo l’esperienza della pandemia è il benessere psico-fisico di bambini e ragazzi. Un’indagine della Società Italiana di pediatria condotta in 9 Regioni ha mostrato un aumento dell’incidenza degli accessi al pronto soccorso per patologia neuropsichiatrica. Dallo 0,7% del periodo marzo 2019-marzo 2020 è passata all’1,2% del periodo marzo 2020-marzo 2021. Nello stesso periodo sono aumentati anche i ricoveri per patologia neuropsichiatrica del 39%.
“Già prima della pandemia osservavamo un trend in aumento di disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva. Con la pandemia, non è più rinviabile l’investimento per aumentare il numero di posti letto dedicati alla neuropsichiatria infantile nelle strutture ospedaliere e contestualmente migliorare anche la risposta territoriale ai bisogni psicologici per i nostri bambini attraverso strutture intermedie e diurne – ha sottolineato Alberto Zanobini, Presidente di AOPI e Direttore Generale dell’AOU Meyer – IRCCS. “Oltre al rafforzamento dei servizi per la salute mentale dei più giovani occorre aumentare il numero delle terapie intensive pediatriche – ci sono 23 terapie unità sul territorio nazionale con 202 posti letto, un valore pari a 3 posti letto per milione di abitanti rispetto a una media europea pari a 8, con una elevata difformità territoriale – e degli hospice – ci sono solo 8 strutture aperte e 47 posti letto attivi cui si sommano 7 strutture in costruzione con 52 posti letto aggiuntivi. Un’ultima grande sfida per la pediatria è la gestione della cronicità complessa e della transizione verso l’età adulta, frutto del grande progresso tecnologico della medicina che sta determinando un allungamento della vita di bambini che fino a qualche anno non superavano i primi anni di vita. Anche per questo è opportuno che il Paese aumenti anche gli investimenti in ricerca”.
Otto principi per dare a ogni bambino il miglior inizio di vita possibile
Fare in modo che i bambini possano godere del miglior stato di salute e consentire l’accesso a cure sanitarie dedicate devono essere gli obiettivi dell’Italia, ribadiscono gli specialisti. Dare a ogni bambino il miglior inizio di vita possibile è anche il primo degli 8 principi enunciati da Sir Michael Marmot, Professore di epidemiologia e sanità pubblica della University College of London e Direttore dell’UCL Institute of Health Equity, per ridurre le disuguaglianze di salute. Gli altri 7 prevedono: “Consentire a tutti i bambini, i giovani e gli adulti di massimizzare le proprie capacità e di avere il controllo sulla propria vita”, “Creare un’occupazione equa e un buon lavoro per tutti”, “Garantire un tenore di vita sano per tutti”, “Creare e sviluppare luoghi e comunità sane e sostenibili”, “Rafforzare il ruolo e l’impatto della prevenzione delle malattie”, “Combattere la discriminazione, il razzismo e i loro esiti”, “Perseguire insieme la sostenibilità ambientale e l’equità nella salute”. Il professore inglese – che è intervenuto durante il Summit con un videomessaggio – plaude anche alla possibilità che Firenze aderisca al network delle Marmot Cities, vale a dire le città che perseguono nelle loro politiche questi principi con azioni concrete.