In Italia, tra le persone positive all’Hiv ci sarebbero almeno 15-20 mila pazienti con infezione da Epatite C (Hcv) ancora attiva. Ogni anno, dei 4 mila nuovi casi di infezione da Hiv, 250 soggetti hanno anche l’infezione da Hcv. L’Hiv influisce negativamente sull’evoluzione dell’infezione da Hcv: ne fa aumentare la sua carica virale e il tasso di progressione verso fibrosi e cirrosi e la mortalità Hcv‐correlata. I pazienti con la coinfezione hanno una più alta prevalenza di infezione da genotipo 1a e 3 di Hcv, nonché una più alta prevalenza del cofattore di danno da alcol.
Da poco si è conclusa la IX edizione di Icar, l’Italian Conference on Aids and Antiviral Research che ha coinvolto, all’Università di Siena, oltre mille specialisti. Al termine del Congresso è stata presentata la nuova campagna, che partirà a luglio, per combattere l’epatite C (Hcv) nei pazienti coinfetti con Hiv. In Italia ci sono almeno 15-20 mila pazienti di questo tipo. Le nuove terapie sono in grado di eradicare l’epatite C in oltre il 95% dei casi.
La nuova campagna di eradicazione dell’epatite C (Hcv) nei pazienti coinfetti con Hiv è promossa da Simit, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
L’obiettivo della Simit è eliminare l’Hcv in questa popolazione nell’arco di un triennio. Per ottenere questo risultato, vuole coinvolgere in un lavoro comune le Associazioni dei pazienti. È in corso inoltre un’importante sinergia con la Fondazione Icona, che sta sviluppando una progettualità di ricerca su questo tema, a supporto e a validazione dei risultati del piano di eradicazione. Lo scopo è di implementare il supporto assistenziale al paziente, attraverso programmi che facilitino l’assunzione dei farmaci. Secondo gli organizzatori della campagna, serve sostenere i centri di minori dimensioni, favorendo l’accesso ai Daa (direct acting antiviral) dei pazienti ad essi afferenti, favorendo il coordinamento dei maggiori centri erogatori.
“La coinfezione Hiv/Hcv – ha spiegato Massimo Galli, Vicepresidente Simit, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Milano – determina interazioni patogenetiche che causano nelle persone colpite una maggior incidenza di malattie cardiovascolari, danno renale, malattie metaboliche e un’accelerazione della progressione dell’infezione da Hcv. Per tutti questi motivi l’eradicazione tempestiva dell’infezione da Hcv nelle persone con infezione da Hiv è da considerarsi una priorità, indipendentemente dal grado di compromissione epatica raggiunto. I risultati della terapia con Daa nelle persone con Hiv dimostrano inoltre percentuali di successo del tutto analoghe a quelle registrate negli Hiv-negativi, anche nei casi definibili come ‘difficili’, nei pregressi fallimenti a terapie antivirali basate sull’interferone e nei cirrotici”.
“In Italia – ha detto Andrea De Luca, Direttore Malattie Infettive Università di Siena – il fenomeno della coinfezione, cioè di pazienti che hanno infezione sia da Hcv che da Hiv, costituisce una percentuale abbastanza alta: il 25% delle persone con Hiv ha anche l’epatite C. Oggi però ci sono nuovi trattamenti per l’epatite C: i dati presentati ad Icar presentano come, soprattutto in Italia, queste nuove terapie sono in grado di eradicare l’epatite C anche in chi è affetto da Hiv in oltre il 95% dei casi. Sono risultati addirittura superiori agli studi clinici, a dimostrazione che nei centri infettivologici italiani si fa una terapia molto attenta, fatta da personale molto esperto e mirata sul paziente”.
“La maggior parte dei pazienti coinfetti – ha aggiunto De Luca – è nota ai centri ed è già seguita, rendendo più rapidamente praticabile questo processo rispetto all’eradicazione generale. Ciò è molto importante perché una parte di trasmissione dell’epatite C in Italia avviene proprio nell’ambito della popolazione coinfetta e nei pazienti affetti da Hiv l’epatite C fa molti più danni a tutti gli organi. È dunque una priorità. Simit si sta impegnando molto e ICAR sarà un punto cruciale perché raccoglie tutti gli attori coinvolti in questo processo. L’obiettivo ambizioso è quello di verificare se nell’ambito del prossimo anno sia possibile intraprendere il trattamento nel 90% di questi pazienti”.