Hikikomori
Il fenomeno dei cosiddetti “Hikikomori” consiste nell’isolamento volontario negli adolescenti. Il termine giapponese in italiano si può tradurre come “ritirati sociali”. In particolare indica la tendenza, nei giovani o giovanissimi, di smettere di uscire di casa, di frequentare scuola e amici, per chiudersi nelle proprie stanze e limitare al minimo i rapporti con l’esterno, mantenendo i contatti solo attraverso Internet.
L’età più a rischio dai 15 ai 17 anni
L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni. Un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione avviene già nel periodo della scuola media.
Le differenze di genere si rivelano nella percezione del ritiro. I maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi. Invece, le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori. Le differenze sono anche nell’utilizzo del tempo, con le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i ragazzi al gaming online.
Il fenomeno degli hikikomori, sul quale ci sono finora pochi dati analitici, è ora oggetto di uno studio promosso dal Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada. L’obiettivo è definire una prima stima quantitativa attendibile. Il report integrale è disponibile sul sito web della onlus. Il primo studio nazionale per una stima quantitativa è stato realizzato dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc).
Le cause
Fra le cause dell’isolamento, assume un peso determinante il senso di inadeguatezza rispetto ai compagni: “L’aver subito episodi di bullismo, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è fra le ragioni più frequenti della scelta. Mentre si evince una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei, caratterizzati da frustrazione e auto-svalutazione”, spiega Sonia Cerrai (Cnr-Ifc). “Un altro dato parzialmente sorprendente riguarda la reazione delle famiglie: più di un intervistato su 4, fra coloro che si definiscono ritirati, dichiara infatti che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande. Il dato è simile quando si parla degli insegnanti”.
Di fronte ai dati emersi, il Gruppo Abele intende stimolare una riflessione approfondita, anche con un seminario per operatori, educatori e insegnanti, in programma a Torino il 5 maggio prossimo. Prosegue intanto con un intervento educativo sperimentale, iniziato nel 2020. Spiega Milena Primavera, responsabile del percorso: “Il progetto Nove ¾ – vincitore di un premio dell’Accademia dei Lincei che ha finanziato anche lo studio in oggetto – si è fatto finora carico di una quarantina fra ragazzi e ragazze le cui famiglie non trovavano risposta alla chiusura e all’isolamento dei loro figli.
Per loro si è attivato un affiancamento a domicilio, con la possibilità di frequentare un centro laboratoriale dedicato, dove si svolgono attività individuali o in piccolo gruppo con “maestri di mestiere” a partire dagli interessi espressi dai ragazzi. Ai genitori è offerto, in parallelo, un sostegno psicologico volto ad acquisire maggiori strumenti per gestire le difficoltà dei figli. Una prima sperimentazione, in rete con il sistema scolastico e i servizi socio-sanitari, per tentare di accompagnare i ragazzi isolati dal mondo a un diverso progetto di vita”.
Lo studio sul fenomeno hikikomori
La ricerca ha preso le mosse dallo studio ESPAD®Italia (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs, condotto annualmente dal Cnr-Ifc rispetto al consumo di sostanze psicoattive), coinvolgendo un campione di oltre 12.000 studenti rappresentativo della popolazione studentesca italiana fra i 15 e i 19 anni.
I ragazzi sono stati intervistati attraverso un apposito set di domande volte a intercettare sia i comportamenti che le loro cause percepite: i risultati si basano sull’autovalutazione dei partecipanti stessi. “Il 2,1% del campione attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori: proiettando il dato sulla popolazione studentesca (dato del 2018; fonte Ministero dell’Istruzione) 15-19enne a livello nazionale, si può quindi stimare che circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale”, afferma Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr-Ifc.
“Questo dato appare confermato dalle risposte sui periodi di ritiro effettivo: il 18,7% degli intervistati afferma, infatti, di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre 6 mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi). Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo”.