Oggi sono circa 2milioni gli italiani con malattie rare. Sebbene la ricerca faccia passi da gigante, le opzioni di trattamento sono ancora limitate. L’intelligenza artificiale può essere un’opportunità anche nell’ambito di queste patologie. I modelli di AI si sono dimostrati promettenti per la diagnosi e il trattamento delle malattie rare. Tra le criticità da superare vi è mancanza di grandi dataset strutturati e la necessità di modelli di facile interpretazione da parte degli operatori sanitari. Il tema è stato analizzato dall’Italian Health Policy Brief. Nella pubblicazione sono intervenuti Salvatore Crisafulli, Silvia Girotti e Gianluca Trifirò, del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Verona. Circa l’80% delle malattie rare (MR) è di origine genetica e il 75% di esse interessa soggetti di età pediatrica. Il ruolo e l’importanza dell’analisi di real-world data (RWD), hanno pertanto un alto potenziale scientifico: “l’aumento esponenziale della disponibilità di dati sanitari elettronici rappresenta una notevole opportunità per lo sviluppo e l’applicazione di metodologie di intelligenza artificiale (IA) volte a migliorare la capacità diagnostica, la pratica clinica e la qualità delle cure a favore dei pazienti con malattia rara”.
AI e machine learning nella ricerca sulle malattie rare
Oggi la crescente potenza di calcolo in termini di prestazioni, velocità e archiviazione e i nuovi approcci analitici basati su strumenti bioinformatici e tecniche di IA e di machine learning (ML), aumentano la possibilità di generare evidenze. I modelli di IA possono sempre più facilitare l’analisi integrata di più dati, inclusi appunto i RWD, trovando applicazioni in ambito biomedico: dal supporto alla diagnosi e alla prognosi, così come ai processi di drug discovery e drug repurposing. La maggior parte di questi algoritmi è applicabile a un ampio spettro di malattie rare sia in ambito diagnostico sia di identificazione di nuovi percorso terapeutici.
Intelligenza artificiale nella diagnosi delle malattie rare
In media, sono necessari tra i 4 e i 5 anni affinché una persona con MR riceva una diagnosi corretta. La ricerca sulle MR e sui farmaci orfani può avere una spinta dalle tecnologie di IA che utilizzano i RWD per ottimizzare e accelerare la diagnosi e la gestione delle malattie, così come per aiutare i ricercatori a comprendere meglio i meccanismi alla base di tali malattie e identificare nuovi target farmacologici.
Trattamento e AI
Una strategia nel processo di sviluppo di trattamenti – in termini di tempo e investimento, a fronte di una maggiore probabilità di successo – è il riposizionamento di farmaci (drug repurposing o drug repositioning), che consiste nell’identificazione di nuovi usi terapeutici di farmaci già esistenti, strategia rilevante nel campo delle MR. Il riposizionamento può riguardare medicinali già approvati dalle agenzie regolatorie per una determinata indicazione, ma anche farmaci che hanno raggiunto la fase di sperimentazione clinica, ma che non sono stati approvati per diverse ragioni. Precisano gli autori, che “l’IA, con algoritmi di deep learning (DL) e machine learning (ML), trova diverse applicazioni negli approcci di tipo computazionale attraverso l’analisi di big data, come database di farmaci, profili di espressione genica e dati clinici, così come anche l’analisi della relazione quantitativa struttura-attività (QSAR) di strutture chimiche da database molecolari, creando modelli matematici quantitativi tra la struttura chimica e l’attività biologica”.
Malattie rare. Applicazioni a livello globale
Esistono diverse applicazioni già esistenti di ML, tra cui CURE ID (piattaforma online sviluppata da FDA e dal National Center for Advancing Translational Sciences) con il supporto della Infectious Diseases Society of America (IDSA), dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che permette a medici, pazienti e caregiver di segnalare casi in cui un farmaco già in commercio è stato usato con successo per un’indicazione diversa da quella approvata da FDA. Sempre nell’ottica del repurposing di medicinali già in commercio, uno strumento basato sull’IA è mediKanren, sviluppato dal gruppo di lavoro dello Hugh Kaul Precision Medicine Institute (PMI) dell’Università dell’Alabama a Birmingham, che sfrutta la visione meccanicistica di patologie genetiche per identificare possibili trattamenti tra medicinali approvati da FDA. In Italia, all’Università di Siena, è stata testata ApreciseKUre una piattaforma digitale creata per facilitare la raccolta, l’integrazione e l’analisi di dati per i pazienti con alcaptonuria (AKU), malattia genetica ultrarara.
La conclusione dell’Italian Health Policy Brief è che oggi i modelli di IA si sono dimostrati promettenti per la diagnosi e il trattamento delle MR ma per utilizzarli in modo efficace “è necessario che essi siano implementati secondo i giusti principi etici e nel rispetto della privacy dei pazienti. Per favorire l’utilizzo di questi sistemi, è necessario lavorare per superare le criticità legate alla qualità e alla disponibilità dei dati, validare i modelli di IA tramite studi clinici e studi di real-world, garantire modelli affidabili e tradurre i risultati della ricerca in applicazioni pratiche a beneficio dei pazienti e delle loro famiglie”.
Sistema paziente-centrico
La pubblicazione contiene l’intervento conclusivo di Annalisa Scopinaro (presidente UNIAMO), in cui viene auspicato che l’ingresso nel tempo dell’ “intelligenza artificiale utile alle malattie rare accada in modo governato, diffuso e approfondito, sia perché non possiamo ‘vivere da soli’, sia perché proprio i ‘numeri’ delle malattie rare chiedono di essere messi a confronto su territori sovranazionali a cui l’Italia deve contribuire”. In particolare UNIAMO, nella sua presenza e azione continua a sostenere che “tecnologie avanzate ed intelligenza artificiale siano particolarmente utili quando messe a disposizione di sistemi e ambiti nei quali anche la presenza ed il ruolo dei pazienti siano utilmente previsti e incentivati. Perché così lo sviluppo digitale sarà non solo tecnologicamente performante, ma anche socialmente equilibrato, andando a generare servizi sanitari autenticamente paziente-centrici”.