Tempo di lettura: 4 minutiNonostante il tema coinvolga metà della popolazione globale, la menopausa rimane ancora avvolta da molte incognite. Una recente revisione scientifica, pubblicata sulla rivista Cell, ha fatto emergere “lacune da colmare” nella ricerca scientifica ai fini di cure migliori.
Sebbene per molte donne si tratti di un processo vitale invalidante, oltre l’85% tra chi ne accusa i sintomi non riceve un trattamento efficace approvato. La prof.ssa Susan R. Davis, direttrice del Women’s Health Research Program presso la Monash University (Melbourne, Australia) e autrice dello studio, ha spiegato che le cause sono riconducibili a un insieme di fattori, tra cui “riluttanza, paura, scarsa formazione e conoscenza della comunità e degli operatori sanitari”.
Nel nostro Paese sono circa 14 milioni le donne tra i 45 e i 75 anni e 3 milioni e mezzo sono over 75. Tre su quattro considerano la menopausa un periodo naturale della vita (indagine CENSIS su oltre mille donne tra i 45 e i 65 anni). Ricorrono soprattutto a rimedi naturali per i sintomi e utilizzano terapie ormonali specifiche in meno del 10 per cento dei casi. Ancora oggi l’impatto della menopausa sulla salute della donna è sottostimato. Se n’è parlato ieri a Milano nell’incontro promosso da Fondazione Onda, con il contributo incondizionato di Organon.
Sintomi della menopausa
Il termine “menopausa”, la cui giornata mondiale ricorre il 18 ottobre, fa riferimento a un arco temporale della vita femminile che coincide con la fine della fertilità. Spesso, la menopausa è associata a una serie di disturbi più o meno severi, tra cui vampate di calore e disturbi del sonno. I sintomi possono impattare in modo significativo sulla qualità di vita, nonché sulla sfera relazionale e lavorativa.
Durante questa fase possono presentarsi anche altri disturbi, come senso di confusione mentale, stanchezza, palpitazioni, depressione, ansietà, nervosismo, dolori osteo-articolari, cefalea, secchezza, calo del desiderio sessuale, gonfiore addominale, disturbi urinari, cistiti ricorrenti e perdita della forma fisica con aumento di peso e accumulo del grasso corporeo.
Impatto sottostimato
Nonostante l’aumento rapido dell’aspettativa di vita dell’ultimo secolo, non è ancora ben delineata una strategia per migliorare la qualità di questi anni guadagnati. “La menopausa è sì un evento naturale, ma va rapportata all’aumento dell’aspettativa di vita e conseguentemente, all’aumento del rischio delle cosiddette malattie non trasmissibili, che avviene con il passare degli anni”. Lo ha sottolineato Rossella Nappi, ginecologa, endocrinologa e sessuologa, Presidente eletto della Società Internazionale della Menopausa (IMS), Centro per la Procreazione Medicalmente Assistita e Ambulatorio di Endocrinologia Ginecologica & della Menopausa, Clinica Ostetrica e Ginecologica, IRCCS Fondazione San Matteo dell’Università degli Studi di Pavia.
“I big killers della donna non sono soltanto i tumori ginecologici e della mammella – ha ribadito – ma anche il diabete, l’obesità, l’ipertensione, l’aterosclerosi e la trombosi, che rappresentano fattori di rischio per gli eventi cardio-vascolari e per la demenza senile. È necessario, quindi, far crescere la consapevolezza che prendersi cura della donna in menopausa in senso preventivo con uno stile di vita sano e anche con l’uso di terapie ormonali laddove necessarie, come la TOS, ormai considerata uno strumento sicuro e efficace, rappresenti un importante tassello nel panorama socio-sanitario del nostro Paese”, ha concluso.
Menopausa e prevenzione
La menopausa è associata a un aumento dei fattori di rischio di alcune malattie croniche degenerative, primo fra tutti quello cardiovascolare. Uno studio apparso sulla rivista Lancet Endocrinology and Metabolism nel 2022 ha definito la menopausa come una fase di transizione cardio-metabolica. Secondo gli autori, la donna e il medico devono allearsi al fine di favorire i fattori essenziali per la salute cardiovascolare, tra cui attività fisica, astinenza dal fumo, peso regolare e livelli nella norma di glucosio e grassi nel sangue e pressione arteriosa.
In particolare, è stato dimostrato che le vampate di calore non sono soltanto un sintomo fastidioso. Se severe, frequenti e prolungate negli anni, rappresentano un indicatore molto fedele di un rischio cardio-metabolico legato all’infiammazione e allo stress, che si rende evidente dai 65 anni di età, e risulta più che doppio rispetto alle donne con sintomi lievi o assenti. La ricerca scientifica, tuttavia, ha evidenziato che stare bene in menopausa è possibile.
Le terapie
Secondo uno studio apparso su Circulation nel 2023, l’utilizzo degli ormoni estrogeni, associati al progesterone o ai progestinici per proteggere l’utero, si è dimostrato efficace nel prevenire il rischio cardio-vascolare e metabolico in donne che presentano sintomi vasomotori da moderati a severi e a rischio di frattura a causa di osteopenia/osteoporosi progressiva nei primi 10 anni dall’inizio della menopausa. Esistono inoltre terapie a base di estrogeni coniugati equini senza progestinico, che consentono di mantenere i benefici della terapia tradizionale con estrogeni, antagonizzando gli effetti di stimolazione su endometrio e ghiandola mammaria associati ai progestinici. In generale, le terapie vengono personalizzate sulla base del profilo individuale di ciascuna donna.
“L’allungamento dell’aspettativa di vita ha portato con sé per ciascuna donna la prospettiva di trascorrere in menopausa circa trent’anni. Una nuova dimensione di femminilità, che, tuttavia, spesso viene vissuta con imbarazzo e disagio. La perdita della fertilità, infatti, non solo comporta sintomi spiacevoli che alterano la quotidianità, ma può dare adito anche a sentimenti di inadeguatezza riconducibili alla consapevolezza di non fare più parte attiva del ciclo riproduttivo, i quali si acuiscono in caso di menopausa anticipata, tema che merita molta attenzione in un Paese come l’Italia dove ci si riproduce poco e sempre più tardi”, aggiunge Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
“La menopausa è sempre narrata come qualcosa che toglie e mai aggiunge, trasformando per molte donne questa fase naturale in un tabù. Parlarne apertamente, educare sui sintomi e le opzioni terapeutiche permette alle donne di arrivare a questa fase preparate, informate ma soprattutto con un atteggiamento positivo. La menopausa è solo un cambio di gestione, un passaggio a un nuovo capitolo che può essere pieno di sorprese e divertimento”, conclude Manuela Peretti, influencer “Manupausa”.
Sclerosi multipla: tra ricerca, innovazione e real world evidence
Economia sanitaria, Eventi d'interesse, Farmaceutica, News Presa, Ricerca innovazioneIn Italia 137mila persone convivono con la sclerosi multipla (SM) e ogni anno vengono diagnosticati 3.600 nuovi casi, secondo le stime. Le donne sono le più colpite e l’esordio di frequente è tra i 20 e i 40 anni di età. Si tratta del periodo della vita più attivo e produttivo, con pesanti ripercussioni in termini di costi sociosanitari e qualità della vita. La patologia oggi rappresenta la più frequente causa di disabilità nei giovani adulti, dopo i traumi. La strada che porta alla cura della sclerosi multipla passa inevitabilmente dalla ricerca, che negli ultimi anni ha raggiunto importanti traguardi grazie a nuove terapie. Il punto sulla patologia, con un focus sulla Real World Evidence, e cioè la centralità dei dati e delle evidenze cliniche nella cura, è stato fatto durante l’evento “Sclerosi multipla: la rwe come contributo alla ricerca, alla presa in carico e alla qualità della vita” alla Camera dei Deputati.
L’iniziativa è stata promossa da Italian Health Policy Brief, con il patrocinio di AISM e FISM. “L’accesso a dati di alta qualità e l’applicazione di analisi avanzate sono fondamentali per individuare soluzioni personalizzate e ottimizzare la gestione della malattia” – ha sottolineato il senatore Claudio Durigon, sottosegretario di Stato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali –.
“Sanità Digitale e Real World Evidence sono due voci che devono andare di pari passo nella sanità del futuro”, ha aggiunto l’onorevole Simona Loizzo (XII Commissione Affari Sociali). “Fulcro dell’impegno della mia attività politica, in particolare del lavoro dell’Intergruppo Parlamentare Sanità Digitale e Terapie Digitali, del quale sono Presidente, sarà promuovere il paradigma della RWE come caposaldo dei principi su cui si basa il Servizio Sanitario Nazionale”.
L’impatto della sclerosi multipla
“Gli studi clinici controllati randomizzati (RCT) sono stati a lungo il pilastro della ricerca medica”, ha spiegato il prof. Claudio Gasperini (Coordinatore gruppo di studio SM-SIN, Direttore UOC Neurologia e Neurofisiopatologia, San Camillo Forlanini, Roma). “Tuttavia – ha aggiunto – gli studi di Real Word stanno emergendo come una componente essenziale nella comprensione della SM in tutte le sue sfaccettature. Mentre gli RCT sono rigorosi e ben controllati, gli RWE forniscono dati preziosi basati sull’esperienza dei pazienti nella vita di tutti i giorni e in particolare ci forniscono informazioni fondamentali per dare risposta ai bisogni dei nostri pazienti in quanto sono rappresentativi della vita reale. Inoltre – ha continuato – forniscono informazione sugli effetti a lungo termine e identificano bisogni non soddisfatti e aiutano la personalizzazione delle cure”. Il presidente della FISM, prof. Mario Alberto Battaglia, ha aggiunto: “è essenziale oggi che il decisore politico disponga di dati affidabili e aggiornati, che riflettano in modo rigoroso i bisogni di salute e assistenza delle persone, e con essi le loro prospettive di vita”. In questa direzione va l’annuale Barometro della SM realizzato da AISM, associazione di persone con Sclerosi Multipla e patologie correlate.
La sclerosi multipla
“La sclerosi multipla (SM) è la più frequente e importante tra le malattie demielinizzanti del sistema nervoso centrale”, ha spiegato la prof.ssa Mariapia Amato (Professore Ordinario in Neurologia Università di Firenze). Il barometro della SM 2023 “stima che in Italia 137.000 persone convivono con la SM. La malattia ha un decorso cronico nell’arco di decadi e un significativo potenziale invalidante, rappresentando di fatto la più frequente causa di disabilità nei giovani adulti, dopo i traumi”. Negli ultimi anni, grazie alla ricerca che ha portato nuove terapie efficaci la storia naturale della malattia e il futuro dei giovani pazienti è molto cambiato, ma “molto resta ancora da fare – ha precisato Amato – per comprendere e contrastare i meccanismi che portano alla progressione dei disturbi”.
“Trovare una cura definitiva per la sclerosi multipla – ha detto Marco Salvetti (Professore all’Università Sapienza di Roma, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso, Università Sapienza) – non può prescindere dall’identificazione delle cause. La ricerca in questo settore vive un momento particolarmente favorevole perché si è giunti a importanti acquisizioni negli ultimi quattro anni. Per compiere il passo decisivo è importante creare un sistema integrato per la raccolta di dati clinici, epidemiologici, genetici e di risonanza magnetica di alta qualità. Realizzare questo sistema rappresenterebbe un progresso decisivo per la ricerca ma anche per l’assistenza da parte del Servizio Sanitario Nazionale”.
La Real World Evidence (RWE)
La Real World Evidence (RWE) è un’evidenza clinica, a partire da dati, sull’uso, i benefici e i rischi di un determinato farmaco. Non è da confondere con una semplice analisi a posteriori di farmacovigilanza. Si basa sulla pratica clinica e dunque sulle evidenze prodotte nel mondo reale, ad esempio nelle corsie degli ospedali, per confermare o meno la validità dei risultati dei trial clinici randomizzati. Questi ultimi sono studi sperimentali controllati che permettono di valutare l’efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione.
Durante l’evento, è stata sottolineata l’importanza delle fonti utilizzabili per la Real World Evidence, in cui figurano i registri dell’Aifa, le banche dati amministrative, le banche dati di medicina generale, la segnalazione spontanea di reazioni avverse, e di recente anche il nuovo scenario fornito dalle App degli smartphone e di altri digital device. E, non secondario, l’importanza di mettere in rete tali dati, al momento frammentati.
Bisogni dei pazienti e nuove tecnologie digitali
I cosiddetti “unmet medical needs”, i bisogni e le aspettative dei pazienti possono guidare gli investimenti del Sistema Sanitario Nazionale. “Il coinvolgimento delle persone con Sclerosi Multipla – ha detto Maria Trojano (Professore Ordinario di Neurologia Università di Bari) –, le nuove modalità di raccolta dei dati, il collegamento delle fonti di dati, i nuovi strumenti analitici hanno incrementato il valore della RWE nell’indirizzare le strategie d’intervento per la malattia”.
“Ci aspettano cambiamenti istituzionali che vanno nella direzione di un concetto più ampio di salute – ha precisato Paola Zaratin (Direttore Ricerca Scientifica FISM – AISM) – dove le nuove tecnologie digitali sono il metodo a servizio del cambiamento. Per questo servono modelli di Ricerca ed Innovazione responsabili perché la partecipazione delle persone che vivono con la malattia alla ricerca sia rappresentativa e porti il sapere, ossia l’esperienza di tanti”. “Tra le evidenze più importanti – ha aggiunto Teresa Petrangolini (Direttore del Patient Advocacy Lab di Altems) – “ci sono oggi quelle dei pazienti che accanto ai dati clinici, economici e organizzativi, rappresentano preziose fonti di informazione per capire l’impatto di una tecnologia sulla vita delle persone, sulla loro famiglia, sul contesto lavorattivo, gli ostacoli, gli eventi avversi, i vantaggi. La sua partecipazione non è un abbellimento o un corollario, ma un asse portante nel decision making sanitario”.
Riduzione dei costi
L’uso della RWE possono produrre un risparmio economico. Avere accesso ai database per capire quali servizi siano stati erogati, o a quanti pazienti siano stati prescritti certi farmaci, con quali effetti o conseguenze, consente valutazioni sull’impatto delle terapie e sui costi associati. “Gli strumenti economici in sanità pubblica sono aspetti fondamentali per i decisori – ha precisato Andrea Marcellusi (CEIS – Centre for Economic and International Studies – Economic Evaluation and HTA (EEHTA) Università degli studi di Roma Tor Vergata) – La raccolta di dati provenienti dalla reale pratica clinica per lo sviluppo di modelli economici e di impatto finanziario offre una visione più vicina alla realtà del paziente”.
La ricerca e il settore produttivo
“Al fine di migliorare il percorso di cure dei pazienti con Sclerosi Multipla è fondamentale raccogliere in modo continuo i dati sull’efficacia e sicurezza dei farmaci nella normale pratica clinica (Real World) – spiega Carlotta Galeone (Ricercatore Centro di Ricerche B-ASC Università degli Studi di Milano Bicocca) – al fine di costruire evidenze utili per prendere le migliori decisioni terapeutiche. La creazione di evidenze solide utilizzando i dati Real World permette di migliorare l’erogazione delle cure e di valutare l’impatto clinico e di sostenibilità dei vari trattamenti disponibili. In un percorso virtuoso di continua generazione di evidenze al fine di migliorare i percorsi dei pazienti è auspicabile che tali evidenze Real World diventino parte integrante delle linee guida di patologia. Tuttavia è importante sottolineare che per costruire evidenze Real World solide e utili è fondamentale che la raccolta dei dati sia basata su disegni di studio metodologicamente solidi e che i dati siano analizzati con le corrette metodologie statistiche”.
Fedez, ecco cosa si sa sulla salute del rapper
News PresaCome sta Fedez? È la domanda che spopola in rete da quando si è diffusa la notizia che il rapper è ricoverato in ospedale per colpa di alcune ulcere che gli hanno causato delle emorragie. Sette giorni di grande preoccupazione. Anche perché il cantante è stato sottoposto ad un intervento chirurgico praticato in urgenza, ma al momento trapela un clima di cauto ottimismo. A quanto apprende l’Adnkronos Salute, il cantante e marito di Chiara Ferragni ha trascorso un’altra giornata serena A vegliare su di lui il team di Chirurgia d’urgenza e oncologica diretto da Marco Antonio Zappa. Nessun nuovo episodio di sanguinamento è stato rilevato dopo quello di domenica, subito bloccato grazie a un’endoscopia, senza necessità di ulteriori trasfusioni.
Dimissioni
Nulla si sa al momento sulle possibili dimissioni, sulle quali – evidentemente – non c’è ancora modo di fare previsioni. Per ora il rapper resta in ospedale, circondato dall’affetto costante della famiglia. I suoi fan lo seguono sui social e del resto era stato proprio Fedez – come in altre occasioni – a scrivere della propria salute. Questa vola nel post aveva detto “Grazie a due trasfusioni di sangue sto molto meglio”. Il 28 settembre era stato ricoverato d’urgenza a causa di queste due ulcere che avevano provocato un’emorragia interna.
Polemica
Sullo sfondo di questo ricovero non manca anche una polemica che si è scatenata ormai da qualche giorno e che riguarda la mancata partecipazione di Fedez a Belve. Il rapper avrebbe infatti dovuto essere uno degli ospiti delle prossime puntate del talk show condotto da Francesca Fagnani su Rai 2, ma questa partecipazione – a quanto pare – non ci sarà. Le condizioni di salute di Fedez non lo consentono, ma a quanto pare non è la sola ragione. La decisione era infatti stata presa dalla Rai in precedenza per una scelta editoriale, derivante dai conflitti pregressi tra Fedez e la Rai. Una notizia, quella del no imposto dal management Rai, che ha fatto infuriare i fan.
Tabacco e cannabis aumentano ansia e depressione
News Presa, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneTabacco e cannabis sono le sostanze d’abuso più diffuse al mondo. Tuttavia le persone che ne fanno uso hanno tassi di depressione e ansia molto più alti rispetto a coloro che non utilizzano nessuna delle due sostanze. Lo rivela un’indagine pubblicata su Plos One che ha coinvolto oltre 50mila americani. I risultati mettono in luce l’associazione tra l’uso di nicotina e thc e il peggiore stato mentale. Secondo lo studio è soprattutto il consumo simultaneo ad essere “associato a un ridotto benessere psicologico”.
Nello specifico lo studio rivela che circa un quarto degli utilizzatori di tabacco e cannabis sperimenta ansia o depressione, con un tasso dell’1,8% più elevato rispetto a quello rilevato tra chi non fa uso né di sigarette né di cannabis.
Tabacco, cannabis e salute mentale. Lo studio
Il team di ricerca guidato dal primo autore Nhung Nguyen dell’Università della California, a San Francisco, ha analizzato i dati sull’uso di sostanze e sulla salute mentale di quasi 54.000 cittadini statunitensi adulti, dal 2020 al 2022. Quasi il 5% dei partecipanti ha dichiarato di consumare tabacco, quasi il 7% di consumare cannabis e l’1,6% di consumare entrambe le sostanze insieme.
Più di un quarto di coloro che usavano tabacco e cannabis insieme soffrivano di ansia (26,5%) o depressione (28,3%). Un numero quasi doppio rispetto a coloro che non usavano nessuna delle due sostanze. In questo gruppo, il 10,6% ha riportato ansia e l’11,2% depressione.
Alla luce dei dati, l’uso quotidiano di sigarette, sigarette elettroniche e cannabis è associato a un rischio maggiore di ansia e depressione. Tuttavia lo studio si basa su un’associazione e per spiegare i meccanismi d’azione serviranno ulteriori ricerche.
Per quanto riguarda il consumo frequente di cannabis, un altro studio ha dimostrato di recente che può scatenare malattie psicotiche, in particolare la schizofrenia. Addirittura nei pazienti che ne fanno uso, il rischio di ricaduta è tre volte maggiore rispetto a coloro che non ne fanno uso.
Il futuro della medicina generale
Economia sanitaria, Eventi d'interesse, News PresaUn chiaro riferimento alle parole espresse dal Presidente della Repubblica in difesa del Servizio sanitario nazionale, che «nel nostro Paese è un patrimonio prezioso da difendere ed adeguare» e tanti spunti sui quali riflettere per far si che ogni cittadino possa continuare ad avere un medico di famiglia al quale affidare la propria salute. È questo, in estrema sintesi, l’indirizzo del discorso tenuto dal segretario generale Fimmg Silvestro Scotti, in occasione della sua relazione annuale per l’81esimo congresso nazionale della Federazione in corso a Villasimius (Sud Sardegna).
Risorse
Silvestro Scotti, tra l’altro, nel corso della sua relazione annuale ha poi evidenziato come questa difesa non possa prescindere dal valorizzare i professionisti che sono colonna portante della risorsa Servizio sanitario nazionale. «Servono risorse per rendere attrattiva anche la medicina generale», dice Scotti riferendosi alle anticipazioni dei contenuti della prossima Legge di Bilancio, in modo particolare sulle ipotesi di investimento a sostegno della professione medica. «Da anni chiediamo interventi di defiscalizzazione dei fattori di produzione della medicina generale. È essenziale che il Governo dia risposte concrete alle esigenze di tutti i professionisti che nel pubblico sono impegnati a tutela del diritto alla salute dei cittadini.
Semplificare
Avviare oggi un processo di defiscalizzazione delle indennità accessorie della medicina generale, così come prospettato per l’area della dipendenza, ci metterebbero in condizione di migliorare l’assistenza quotidianamente resa ai cittadini e ci sosterrebbe nella gestione dei costi». Dunque, il leader Fimmg auspica un provvedimento che «dovrà necessariamente trovare risorse per la sanità, guardando anche alla medicina del territorio per il ruolo chiave che svolge nell’assicurare una risposta alle esigenze di salute dei cittadini».
Colonna portante
Una realtà, quella della medicina generale, ben rappresentata dai numeri: 60.000 studi di medici di famiglia distribuiti in tutto il Paese e la capacità di rispondere alla quasi totalità (97,6%) di richieste di consultazione di un medico da parte dei cittadini (oltre 600 milioni/anno) a fronte degli accessi ai pronto soccorso che sono circa 14,5 milioni (2,4%). Il medico di famiglia resta un presidio capillare sul territorio, un riferimento imprescindibile per una popolazione composta al 25% da ultra65enni con un’alta prevalenza di patologie cronico degenerative e che per il 17% risiede in comuni con meno di 5.000 abitanti.
Attrattività
«Una mole enorme di lavoro – ricorda Scotti – i cui fattori di produzione (collaboratori di studio, strutture, tecnologie e utenze, ndr) gravano, oggi più che mai, sui singoli professionisti. Defiscalizzare questi fattori equivarrebbe ad immettere nuova linfa nel sistema, rendendo la professione anche più attrattiva per quei giovani medici che sono il futuro della medicina generale. Sarebbe un sostegno essenziale nella gestione dei costi dei nostri studi, che sono presidio del Servizio sanitario nazionale».
Menopausa, Fondazione Onda: impatti e rischi sottostimati
Farmaceutica, News Presa, PrevenzioneNonostante il tema coinvolga metà della popolazione globale, la menopausa rimane ancora avvolta da molte incognite. Una recente revisione scientifica, pubblicata sulla rivista Cell, ha fatto emergere “lacune da colmare” nella ricerca scientifica ai fini di cure migliori.
Sebbene per molte donne si tratti di un processo vitale invalidante, oltre l’85% tra chi ne accusa i sintomi non riceve un trattamento efficace approvato. La prof.ssa Susan R. Davis, direttrice del Women’s Health Research Program presso la Monash University (Melbourne, Australia) e autrice dello studio, ha spiegato che le cause sono riconducibili a un insieme di fattori, tra cui “riluttanza, paura, scarsa formazione e conoscenza della comunità e degli operatori sanitari”.
Nel nostro Paese sono circa 14 milioni le donne tra i 45 e i 75 anni e 3 milioni e mezzo sono over 75. Tre su quattro considerano la menopausa un periodo naturale della vita (indagine CENSIS su oltre mille donne tra i 45 e i 65 anni). Ricorrono soprattutto a rimedi naturali per i sintomi e utilizzano terapie ormonali specifiche in meno del 10 per cento dei casi. Ancora oggi l’impatto della menopausa sulla salute della donna è sottostimato. Se n’è parlato ieri a Milano nell’incontro promosso da Fondazione Onda, con il contributo incondizionato di Organon.
Sintomi della menopausa
Il termine “menopausa”, la cui giornata mondiale ricorre il 18 ottobre, fa riferimento a un arco temporale della vita femminile che coincide con la fine della fertilità. Spesso, la menopausa è associata a una serie di disturbi più o meno severi, tra cui vampate di calore e disturbi del sonno. I sintomi possono impattare in modo significativo sulla qualità di vita, nonché sulla sfera relazionale e lavorativa.
Durante questa fase possono presentarsi anche altri disturbi, come senso di confusione mentale, stanchezza, palpitazioni, depressione, ansietà, nervosismo, dolori osteo-articolari, cefalea, secchezza, calo del desiderio sessuale, gonfiore addominale, disturbi urinari, cistiti ricorrenti e perdita della forma fisica con aumento di peso e accumulo del grasso corporeo.
Impatto sottostimato
Nonostante l’aumento rapido dell’aspettativa di vita dell’ultimo secolo, non è ancora ben delineata una strategia per migliorare la qualità di questi anni guadagnati. “La menopausa è sì un evento naturale, ma va rapportata all’aumento dell’aspettativa di vita e conseguentemente, all’aumento del rischio delle cosiddette malattie non trasmissibili, che avviene con il passare degli anni”. Lo ha sottolineato Rossella Nappi, ginecologa, endocrinologa e sessuologa, Presidente eletto della Società Internazionale della Menopausa (IMS), Centro per la Procreazione Medicalmente Assistita e Ambulatorio di Endocrinologia Ginecologica & della Menopausa, Clinica Ostetrica e Ginecologica, IRCCS Fondazione San Matteo dell’Università degli Studi di Pavia.
“I big killers della donna non sono soltanto i tumori ginecologici e della mammella – ha ribadito – ma anche il diabete, l’obesità, l’ipertensione, l’aterosclerosi e la trombosi, che rappresentano fattori di rischio per gli eventi cardio-vascolari e per la demenza senile. È necessario, quindi, far crescere la consapevolezza che prendersi cura della donna in menopausa in senso preventivo con uno stile di vita sano e anche con l’uso di terapie ormonali laddove necessarie, come la TOS, ormai considerata uno strumento sicuro e efficace, rappresenti un importante tassello nel panorama socio-sanitario del nostro Paese”, ha concluso.
Menopausa e prevenzione
La menopausa è associata a un aumento dei fattori di rischio di alcune malattie croniche degenerative, primo fra tutti quello cardiovascolare. Uno studio apparso sulla rivista Lancet Endocrinology and Metabolism nel 2022 ha definito la menopausa come una fase di transizione cardio-metabolica. Secondo gli autori, la donna e il medico devono allearsi al fine di favorire i fattori essenziali per la salute cardiovascolare, tra cui attività fisica, astinenza dal fumo, peso regolare e livelli nella norma di glucosio e grassi nel sangue e pressione arteriosa.
In particolare, è stato dimostrato che le vampate di calore non sono soltanto un sintomo fastidioso. Se severe, frequenti e prolungate negli anni, rappresentano un indicatore molto fedele di un rischio cardio-metabolico legato all’infiammazione e allo stress, che si rende evidente dai 65 anni di età, e risulta più che doppio rispetto alle donne con sintomi lievi o assenti. La ricerca scientifica, tuttavia, ha evidenziato che stare bene in menopausa è possibile.
Le terapie
Secondo uno studio apparso su Circulation nel 2023, l’utilizzo degli ormoni estrogeni, associati al progesterone o ai progestinici per proteggere l’utero, si è dimostrato efficace nel prevenire il rischio cardio-vascolare e metabolico in donne che presentano sintomi vasomotori da moderati a severi e a rischio di frattura a causa di osteopenia/osteoporosi progressiva nei primi 10 anni dall’inizio della menopausa. Esistono inoltre terapie a base di estrogeni coniugati equini senza progestinico, che consentono di mantenere i benefici della terapia tradizionale con estrogeni, antagonizzando gli effetti di stimolazione su endometrio e ghiandola mammaria associati ai progestinici. In generale, le terapie vengono personalizzate sulla base del profilo individuale di ciascuna donna.
“L’allungamento dell’aspettativa di vita ha portato con sé per ciascuna donna la prospettiva di trascorrere in menopausa circa trent’anni. Una nuova dimensione di femminilità, che, tuttavia, spesso viene vissuta con imbarazzo e disagio. La perdita della fertilità, infatti, non solo comporta sintomi spiacevoli che alterano la quotidianità, ma può dare adito anche a sentimenti di inadeguatezza riconducibili alla consapevolezza di non fare più parte attiva del ciclo riproduttivo, i quali si acuiscono in caso di menopausa anticipata, tema che merita molta attenzione in un Paese come l’Italia dove ci si riproduce poco e sempre più tardi”, aggiunge Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
“La menopausa è sempre narrata come qualcosa che toglie e mai aggiunge, trasformando per molte donne questa fase naturale in un tabù. Parlarne apertamente, educare sui sintomi e le opzioni terapeutiche permette alle donne di arrivare a questa fase preparate, informate ma soprattutto con un atteggiamento positivo. La menopausa è solo un cambio di gestione, un passaggio a un nuovo capitolo che può essere pieno di sorprese e divertimento”, conclude Manuela Peretti, influencer “Manupausa”.
Disagio giovanile, i medici come guida sicura per i giovani
Adolescenti, Bambini, News Presa, PsicologiaDa Napoli un’iniziativa che vede protagonisti i medici, pronti a scendere in campo per aiutare gli studenti più giovani ad affrontare temi complessi, talvolta dalle conseguenze drammatiche, e per affrontare il disagio che troppo spesso resta inespresso. Un arma in più per evitare che si arrivi a situazioni di orrore mostrate dai più recenti episodi di cronaca e non solo.
L’intesa
Stamani, il presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri di Napoli Bruno Zuccarelli, il Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale Ettore Acerra e il dirigente dell’Ufficio di Ambito Territoriale di Napoli Luisa Franzese hanno firmato un protocollo d’intesa che rende strutturale l’esperienza di insegnamento tenuta lo scorso anno dai camici bianchi in alcune scuole di Napoli e provincia. Un progetto che partirà a novembre con lezioni frontali e che, simbolicamente, avranno inizio in una scuola di Caivano. «Nessuna retorica – avverte Zuccarelli – solo il dovere di lanciare un messaggio forte a tutti quei giovani e alle famiglie che vivono situazioni drammatiche per le quali non si intravede una via d’uscita. Importante prendere il via da quella, come da altre periferie disagiate».
Il progetto
Quella dei Medici di Napoli non sarà un’iniziativa “spot”. «Ben venga il controllo del territorio – prosegue Zuccarelli – tuttavia, se si vuole cambiare le cose è essenziale guardare alla scuola e in una prospettiva di lungo periodo. Dobbiamo formare generazioni di giovani che siano la speranza per un futuro diverso di questa regione e nel contempo dobbiamo aiutare i ragazzi che già oggi vivono situazioni di difficoltà». Il progetto che diventa strutturale con la sottoscrizione di questo protocollo d’intesa guarda ad un nuovo modello di divulgare la salute, ideato dalla Commissione Infanzia, Famiglia, Scuola dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Napoli coordinata dalla pediatra Raffaella de Franchis.
Esperienza vincente
Lo scorso anno l’Ordine dei Medici di Napoli ha coinvolto tre scuole cittadine: l’Istituto Cavalcanti, il Liceo Giambattista Vico e il Liceo Labriola con lezioni in classe, tenute dai medici e da referenti di Cittadinanza Attiva, proprio su temi di grande impatto quali dipendenza da alcol, da fumo e da sostanze stupefacenti. Ma anche obesità, anoressia e bulimia, bullismo, cyberbullismo e salute orale. Alla fine del percorso didattico, gli alunni sono poi divenuti protagonisti creando vere e proprie campagne informative e di sensibilizzazione sugli argomenti appresi attraverso la produzione di video divulgativi. Diventando loro stessi, in questo modo, un sostegno per i compagni in difficoltà.
Una guida sicura
Quest’anno per i giovani studenti si apriranno le porte dell’Ordine dei Medici di Napoli. Le lezioni si terranno infatti nella “casa” dei medici, che diventerà per i ragazzi un luogo di apprendimento e un luogo sicuro. Un ambiente protetto e neutro nel quale affrontare in libertà argomenti anche dolorosi, ma sempre con il sostegno e la guida di professionisti.
Tumore al seno, l’importanza della prevenzione
News Presa, Podcast10 ore al giorno seduti aumenta rischio di demenza anche facendo sport
News Presa, Prevenzione, Sport, Stili di vitaStare seduti per dieci ore al giorno (e oltre), aumenta il rischio di demenza, soprattutto se viene mantenuta la stessa posizione per molte ore consecutive. Gli effetti non vengono compensati neanche da un’attività fisica regolare. Lo rivela un recente studio che ha indagato l’impatto della sedentarietà sulla salute. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica JAMA.
Danni della sedentarietà, lo sport non basta
Molti studi avevano già dimostrato come l’immobilità per ore metta a rischio pancreas e colon, oltre a creare problemi alla circolazione sanguigna, aumentando il rischio di malattie cardiovascolari, obesità, diabete e tumori. Il pericolo riguarda soprattutto chi lavora tutti i giorni alla scrivania o affronta lunghi viaggi in auto. Un altro lavoro, pubblicato su Jama Cardiology, ha dimostrato che chi resta seduto per più di 8 ore al giorno ha un rischio di malattie cardiovascolari e morte prematura tra il 17% e il 50% in più rispetto a chi trascorre meno di 4 ore seduto.
Quest’ultimo studio, condotto dagli scienziati dell’Università della California del Sud in collaborazione con altre Università, dimostra che le persone “inattive” corrono anche un rischio più elevato di sviluppare demenza. Gli effetti nocivi della sedentarietà valgono anche per coloro che praticano attività fisica regolarmente.
Immobilità e demenza. Lo studio
I ricercatori hanno esaminato i dati della Biobanca del Regno Unito di circa 50 mila persone, tra uomini e donne di età pari o superiore ai 60 anni, nessuno dei quali soffriva di demenza. I partecipanti hanno indossato per una settimana dei tracker (rilevatori di attività). Grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale, gli scienziati hanno ricostruito i movimenti in ogni minuto della giornata. Hanno poi consultato periodicamente, nei successivi sette anni, i documenti ospedalieri e le cartelle cliniche per vedere se segnalavano forme di demenza.
Secondo i risultati, chi stava seduto per oltre 10 ore al giorno aveva un rischio di sviluppare demenza nei 7 anni successivi superiore dell’8% rispetto a chi restava seduto meno di 10 ore. Per chi trascorreva circa 12 ore seduto, il rischio di demenza era addirittura superiore del 63%. “Non è poi così impossibile trascorrere 10-12 ore seduti – ha sottolineato il prof. David Raichlen, tra gli autori del lavoro -. Succede al lavoro, in macchina durante gli spostamenti, a pranzo e a cena. Questi livelli estremi di sedentarietà sono quelli in cui vediamo un rischio molto più elevato di declino cognitivo e di memoria”.
“Le persone che svolgevano attività fisica o sportiva ma poi se ne stavano sedute per 10 ore o più – hanno affermato gli autori – erano inclini alla demenza tanto quanto le persone che non avevano praticato esercizio”. Lo studio era di tipo associativo, per cui ricercatori ha dimostrato solo l’associazione tra sedentarietà e declino cognitivo, ma non il nesso di causale. “Il flusso sanguigno cerebrale – hanno ipotizzato – potrebbe essere influenzato dallo stare seduti, riducendo l’apporto di ossigeno e nutrienti al cervello”.
Per prevenire i danni dell’eccessiva sedentarietà sono necessarie pause attive frequenti. Secondo i ricercatori della Vagelos College of Physicians and Surgeons della Columbia University, che hanno realizzato una ricerca pubblicata su Medicine&Science in Sports&Exercise, sarebbero necessari cinque minuti di camminata ogni 30 minuti di tempo trascorso seduti.
Donne dopo il tumore, progetto per riportarle al lavoro
Associazioni pazienti, Benessere, Medicina Sociale, News Presa, Prevenzione, PsicologiaIl 42 per cento delle donne operate al seno per tumore ha problemi nel reinserimento al lavoro. Il 6 per cento, invece, non rientra più anche a causa di discriminazioni. Lo rivela uno studio dell’Associazione Onconauti e AUSL Bologna. Le difficolta sono legate a sintomi psichici e fisici secondari ai trattamenti che dopo un anno tendono a cronicizzarsi.
1071 diagnosi di tumore al giorno, 50% in età lavorativa
Le diagnosi di tumore in Italia sono 1071 al giorno e 496 le morti, secondo i dati LILT. Con le diagnosi in costante aumento, cresce anche il numero di donne operate al seno che sopravvivono a un tumore e convivono con gli effetti collaterali. Un report del National Health Institute USA (JAMA Oncology, Aprile 2023) evidenzia che negli ultimi 20 anni il numero di pazienti oncologici lungo-sopravviventi con limitazioni causate dalle terapie oncologiche è aumentato fino a raggiungere il 70% nel 2018.
In Italia, circa il 50% delle nuove diagnosi di tumore vengono effettuate in età lavorativa. Ogni anno circa 100mila persone si aggiungono ai quasi 1,5 milioni di “pazienti-lavoratori” oncologici che sono rientrati al lavoro dopo un tumore. Fra questi, le donne operate al seno sono il gruppo più numeroso, con circa 30-40mila casi annui stimati di rientro al termine dei trattamenti e più di 800mila lungo-sopravviventi che spesso hanno difficoltà nel reinserimento lavorativo.
Il progetto per la prevenzione
Un nuovo progetto congiunto dell’Associazione Onconauti con la Polizia di Stato vuole agevolare il reintegro professionale e sociale delle donne affette da tumore che dopo aver superato la malattia trovano un ostacolo sul posto di lavoro. Il progetto, da titolo “Return to work”, è stato presentato ieri a Roma.
“Negli ultimi 10 anni – ha spiegato Stefano Giordani, Direttore Scientifico Associazione Onconauti – un numero sempre maggiore di pazienti per ridurre l’incidenza di recidive a distanza effettua terapie ormonali preventive fino a 7-10 anni dopo la diagnosi, e usa farmaci biologici per 2-3 anni. Inoltre, sempre più donne con malattia metastastica sono ormai da considerarsi lungo-sopravviventi e possono rientrare al lavoro, pur dovendo eseguire terapie ormonali, farmaci biologici e chemioterapia per il resto della vita. Sulle spalle dei Medici Competenti grava quindi un’enorme responsabilità, che non è però supportata da strumenti adeguati, in quanto nessuno ha mai misurato l’impatto psico-sociale e le conseguenze sulla capacità lavorativa di questa nuova realtà clinica”.
Il Piano Oncologico Nazionale e il Piano Nazionale di Prevenzione sottolineano l’importanza degli stili di vita salutari e del recupero del benessere nel follow-up oncologico. In particolare, gli ambienti di lavoro vengono identificati come “setting” di prevenzione. “Serve un ampio consenso tra Istituzioni, Società scientifiche, Aziende e Associazioni del Terzo Settore che favorisca una comunicazione tra Oncologi, MMG e Medici Competenti, e percorsi riabilitativi di ‘Return to Work’ dedicati al recupero funzionale delle pazienti lavoratrici. Intervenire sullo stile di vita è difficile, non bastano le raccomandazioni; servono dei percorsi di reinserimento lavorativo adeguati”, ha aggiunto Giordani.
Riabilitazione dopo il tumore
Il nuovo progetto prevede interventi integrati sullo stile di vita e ad oggi ha coinvolto oltre duemila pazienti. In particolare, il metodo di riabilitazione integrata oncologica ha come obiettivo quello di ridurre ansia, depressione, dolore, affaticamento e migliorare l’efficienza psico-fisica. “Il metodo della nostra associazione consiste in trattamenti non farmacologici che si sono dimostrati di provata efficacia scientifica – ha spiegato il dott. Giordani.
Ai pazienti – ha proseguito – viene offerto un programma personalizzato di attività (tra cui lezioni di yoga, agopuntura ecc.), interventi sullo stile di vita per un’alimentazione salutare e un’attività fisica regolare e il supporto psicologico (arteterapia, mindfulness, ecc). Vengono offerte, in caso di necessità, sedute di fisioterapia. La combinazione di questi tre elementi (trattamenti integrati, stile di vita corretto, supporto psicologico) in un percorso della durata di tre mesi ha dimostrato il miglioramento della qualità di vita e dei sintomi nell’86% dei partecipanti, che possono così riprendere l’attività lavorativa. Questi interventi, conferma la letteratura scientifica, sono inoltre anche in grado nei tumori più frequenti di ridurre il rischio di recidiva della malattia e aumentano la sopravvivenza. Fondamentali in questo percorso risultano la tecnologia per la Teleriabilitazione, la presenza sul territorio e la personalizzazione degli interventi”.
“Questa iniziativa rientra appieno nell’attività della struttura medica che abbiamo nell’ambito della polizia – ha detto Fabrizio Ciprani, direttore centrale della sanità della Polizia di Stato, durante la presentazione. “È molto importante favorire questi processi in quanto il lavoro è una terapia in sé e aiuta psicologicamente le donne che abbiano avuto un tumore e nel nostro ambito cerchiamo di incentivare questo processo”, ha concluso.
Influenza di stagione, perché è importante vaccinarsi
Adolescenti, Anziani, Bambini, PrevenzioneI medici di famiglia lanciano un appello a vaccinarsi. Anche se le temperature di questi giorni sono ancora estive, molto presto ci troveremo infatti a fare i conti con l’autunno e, di conseguenza, con raffreddori e influenze. Mentre molti possono pensare che l’influenza sia una malattia comune e lieve, non bisogna sottovalutarla. L’influenza può causare sintomi debilitanti e persino portare a complicazioni gravi, specialmente per le persone più vulnerabili. Ecco perché la vaccinazione antinfluenzale è così importante.
Cos’è l’influenza di stagione?
L’influenza è una malattia respiratoria altamente contagiosa causata dai virus influenzali. La stagione dell’influenza inizia generalmente in autunno e può durare fino alla primavera successiva. I sintomi, lo sappiamo bene, includono prevalentemente febbre, tosse, mal di gola, stanchezza estrema, congestione nasale e dolori muscolari. Ma l’influenza può portare a complicazioni come polmonite, bronchite e, in casi estremi la necessità di ricorrere ad un ricovero.
Perché dovremmo fare il vaccino?
La vaccinazione antinfluenzale è un modo efficace per proteggersi dall’influenza e per ridurre la sua diffusione nella comunità. Ecco alcune ragioni chiave per fare il vaccino:
Come funziona il vaccino antinfluenzale?
Il vaccino antinfluenzale è progettato per stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi contro i virus influenzali. Gli scienziati selezionano i ceppi di virus influenzali più probabili di circolare in una determinata stagione e creano il vaccino di conseguenza. Anche se la protezione non è al 100%, il vaccino riduce significativamente il rischio di contrarre l’influenza e di sviluppare sintomi gravi.
Chi dovrebbe vaccinarsi?
La raccomandazione è che tutte le persone dai 6 mesi in su dovrebbero ricevere il vaccino antinfluenzale ogni anno. Tuttavia, è particolarmente importante per:
L’influenza di stagione è una malattia seria, ma possiamo proteggerci e proteggere gli altri attraverso la vaccinazione antinfluenzale. Una misura fondamentale per prevenire complicazioni gravi e contribuire a una comunità più sana. L’importante è consultare il proprio medico per ricevere il vaccino antinfluenzale e, in questo modo, fare prevenzione e proteggere i più fragili.