Tempo di lettura: 4 minutiLe malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel nostro Paese (il 44% di tutti i decessi) e sono responsabili di oltre 900 mila ricoveri (14.3% del totale). In Europa i numeri non sono migliori: con oltre 4,3 milioni di vite perse ogni anno, rappresentano il 48 per cento di tutti i decessi (54% donne, 43% uomini). Le malattie coronariche e ictus sono le forme più comuni. Uno dei principali responsabili è lo scompenso cardiaco: la prima causa di ricovero ospedaliero in Italia (268 mila ricoveri). La malattia spesso è caratterizzata da diagnosi tardive e poca prevenzione.
Scompenso cardiaco, dati in Italia
Lo scompenso cardiaco si verifica quando il cuore non riesce a pompare sangue a sufficienza e se non trattato può avere conseguenze letali. I sintomi includono affanno, ridotta tolleranza allo sforzo e affaticamento. La malattia in genere diventa cronica, stravolge la vita del paziente e di tutte le persone che lo circondano. Colpisce l’1.5% della popolazione italiana (oltre 1 milione di persone), con un’incidenza legata all’età (nella fascia over 65), ma si stima che arriverà al 2.3% nei prossimi 10 anni. Oggi è responsabile di 190 mila ricoveri l’anno, con un alto tasso di ospedalizzazioni e re-ospedalizzazioni. La spesa annuale per un paziente con scompenso cardiaco supera gli 11.800 euro, di cui l’85 per cento è legato ai costi di ricovero. Complessivamente, la spesa raggiunge i 3 miliardi di euro/anno per il SSN, costituendo il 2% della spesa sanitaria totale.
Tavolo Caregiver e contributo AISC
In seguito al decreto interministeriale del 12 ottobre 2023, il “Tavolo Caregiver” ha l’obiettivo di individuare delle aree di intervento, con il contributo delle associazioni coinvolte. Nell’ultima audizione al Ministero della Disabilità, l’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci e Prevenzione Malattie Cardiovascolari AISC APS, rappresentata dalla Dott.ssa Maria Rosaria Di Somma, ha proposto dieci azioni. AISC rappresenta oltre 6 mila pazienti a livello nazionale e dal 2014, anno in cui è nata, porta alle istituzioni la loro voce e quella dei caregiver. Le misure includono la revisione della definizione, corsi di formazione, coinvolgimento nelle Case della Comunità e incentivi fiscali.
Ruolo del caregiver
La cura dello scompenso cardiaco implica terapie farmacologiche, la possibilità di devices impiantati, di un cuore artificiale (VAD) o di un trapianto cardiaco. Il paziente diventa spesso non autosufficiente e il caregiver è indispensabile. La persona che lo assiste nella cura, oltre ad essere coinvolta emotivamente, si trova a dover gestire molti ambiti della vita, affrontando sfide quotidiane. L’impatto della malattia, quindi, si estende alle famiglie, per questo le associazioni chiedono il riconoscimento e il supporto per questa figura. L’aderenza alla terapia è un aspetto determinante nella cura e la gestione della terapia farmacologica è spesso resa più complessa da malattie croniche aggiuntive.
Scompenso cardiaco pediatrico
Lo scompenso cardiaco non risparmia i più giovani, può colpire bambini con malformazioni congenite e giovani adulti con patologie alle valvole cardiache o al muscolo cardiaco. Questa condizione in età pediatrica ha caratteristiche diverse rispetto all’età adulta. Nell’infanzia, lo scompenso cardiaco può aggravarsi rapidamente, mettendo a rischio la vita del bambino. Gli approcci clinici, psicologici e di supporto alla famiglia devono adattarsi al piccolo paziente, sottolinea la dottoressa Di Somma, richiedendo un legame stretto con il caregiver, che spesso è il genitore.
Impatto sulle famiglie dei piccoli con scompenso cardiaco
Le famiglie di pazienti pediatrici con scompenso cardiaco affrontano lunghe liste di attesa per i trapianti cardiaci che possono arrivare a tre anni, e rendere necessaria un’assistenza continua. I dati dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma riportano 200 pazienti pediatrici trapiantati viventi e 25 in attesa di trapianto.
Il caregiver familiare, spesso il genitore, oltre a fronteggiare la patologia, vive le difficoltà logistiche legate alle cure e all’accudimento del figlio. La convivenza con la malattia, infatti, porta a lunghi ricoveri, influenzando la vita lavorativa, psicologica ed economica delle famiglie.
Quadro normativo attuale, PNRR e obiettivi di assistenza
Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede interventi in ambito di assistenza domiciliare e telemedicina, ma manca una specifica definizione e riconoscimento del caregiver familiare nella legislazione vigente. AISC sottolinea la necessità di includere la figura del caregiver familiare nella Legge 22/2023, che disciplina le politiche a favore delle persone anziane e non autosufficienti, tutela che dovrebbe estendersi anche al malato cronico. “La figura del caregiver richiede un riconoscimento più approfondito in termini di assistenza psicologica, conoscenza clinica, agevolazioni lavorative ed economiche”, sottolinea Di Somma.
Rapporto di Cergas Bocconi
Il Primo Rapporto di Cergas Bocconi mette in luce l’urgenza di un esercito silenzioso di 8 milioni di caregiver familiari. Individui che si auto-organizzano per affrontare le esigenze di assistenza dei propri cari non più autonomi, perché i servizi pubblici e privati non bastano. I tassi di copertura del bisogno per anziani con limitazioni funzionali sono aumentati solo del 31%, mentre la stima di bisogno è cresciuta di oltre 66 mila persone.
Modello Emilia Romagna come esempio
La regione Emilia Romagna, tramite la legge regionale del 2004, ha riconosciuto la figura del caregiver familiare come componente informale di una rete di assistenza alla persona. Circa 289 persone nel territorio della regione evitano il ricovero in strutture sanitarie grazie alla loro azione. La legge regionale prevede formazione, sostegno, coinvolgimento nei piani assistenziali, riconoscimento delle competenze e agevolazioni lavorative e previdenziali.
In Europa
Le statistiche di EUROCARERS, la rete europea dei caregiver familiari, mostrano che l’80% dell’assistenza a persone non autosufficienti nell’Unione Europea è fornito da parenti. In Europa, ci sono 100 milioni di caregiver, di cui il 66% sono donne. In Inghilterra, il Carers Recognition and Services Act del 1995 ha riconosciuto ai familiari il diritto alla valutazione delle proprie condizioni di bisogno. La strategia del 2020 ha stabilito come priorità il riconoscimento del caregiver, coinvolgendolo nei piani di cura e supporto per la salute mentale e fisica.
Proposte per il riconoscimento del caregiver in Italia
Il documento di AISC propone dieci azioni costruttive, per supportare le sfide dei caregiver familiari in Italia, migliorando il loro riconoscimento e condizioni lavorative.
1. Ridefinizione del caregiver familiare: includere chi si prende cura di pazienti non autosufficienti con patologie croniche certificate.
2. Corsi di informazione e formazione: prevedere corsi su prevenzione, assistenza e conoscenza della patologia.
3. Coinvolgimento clinico: coinvolgere il clinico nella definizione del percorso di cura individuale.
4. Presenza del caregiver nelle Case della Comunità: riconoscimento del ruolo socio-sanitario.
5. Tutela nei Contratti Collettivi: garantire diritti nel contesto lavorativo del caregiver familiare.
6. Collaborazione con il Terzo Settore: formazione e assistenza psicologica nelle Case della Comunità.
7. Sgravi fiscali: possibilità di sgravi per spese documentate di assistenza, basati sul reddito ISEE.
8. Riconoscimenti specifici: maggiori riconoscimenti per caregiver giovani e quelli di pazienti pediatrici.
9. Procedura di riconoscimento legislativo: creare una procedura di riconoscimento del caregiver familiare basata su una dichiarazione del Medico di Medicina Generale (MMG).
10. Sostegni Economici: valutare possibili incentivi finanziari per i caregiver familiari.
Bonus Psicologico, come ottenerlo
News Presa, PsicologiaLa data è stata fissata: a partire dal 18 marzo sarà possibile richiedere il Bonus Psicologo, contributo mirato a sostenere le spese per le sessioni di psicoterapia. Ma a chi è destinato e qual è la soglia massima di ISEE per accedere? Vediamolo assieme nel dettaglio. Il Bonus Psicologico, reso disponibile dall’INPS, è destinato a coloro che presentano un ISEE non superiore ai 50.000 euro. Le richieste possono essere presentate fino al 31 maggio 2024 ed è a tutti gli effetti un’opportunità preziosa per tutti coloro che necessitano di supporto psicologico.
Requisiti e procedure
Per ottenere il Bonus Psicologo, è essenziale soddisfare determinati requisiti e seguire le procedure indicate. Le domande devono essere presentate esclusivamente online tramite il portale web dell’INPS. È necessario disporre delle credenziali SPID, CIE o CNS per completare la procedura. In alternativa, è possibile contattare il contact center integrato ai numeri 803.164 (gratuito da rete fissa) o 06 164.164 (da rete mobile a pagamento).
Importo del contributo
Rispetto all’anno precedente, gli importi del contributo sono stati incrementati e il periodo per utilizzarlo è stato esteso a 270 giorni. Il Ministero della Salute ha annunciato che il contributo sarà erogato prioritariamente alle persone con ISEE più basso, in base all’ordine di presentazione delle domande. I beneficiari variano a seconda dell’ISEE dichiarato:
Continuità del programma
Il Bonus Psicologo è stato introdotto dal decreto-legge 228/2021 ed è stato confermato per gli anni successivi, incluso il 2024, con il decreto Milleproroghe. L’INPS comunicherà annualmente la finestra temporale per le domande relative agli anni successivi.
Sguardo ai giovani
Il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato l’importanza del sostegno alla salute mentale, in particolare dei giovani. Ha confermato l’impegno del governo nel rendere strutturale il Bonus Psicologo, aumentando gli importi del contributo e rifinanziandolo per il 2024, al fine di garantire un accesso adeguato alle risorse psicologiche per tutti coloro che ne hanno bisogno. Una misura, quella del Bonus, che era stata invocata anche con un appello social dall’artista Fedez, che ha sempre sostenuto l’importanza di questa misura.
Scompenso cardiaco e caregiver familiare, proposte e sfide in Italia
Anziani, Associazioni pazienti, Economia sanitaria, Genitorialità, News Presa, Pediatria, Prevenzione, PsicologiaLe malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel nostro Paese (il 44% di tutti i decessi) e sono responsabili di oltre 900 mila ricoveri (14.3% del totale). In Europa i numeri non sono migliori: con oltre 4,3 milioni di vite perse ogni anno, rappresentano il 48 per cento di tutti i decessi (54% donne, 43% uomini). Le malattie coronariche e ictus sono le forme più comuni. Uno dei principali responsabili è lo scompenso cardiaco: la prima causa di ricovero ospedaliero in Italia (268 mila ricoveri). La malattia spesso è caratterizzata da diagnosi tardive e poca prevenzione.
Scompenso cardiaco, dati in Italia
Lo scompenso cardiaco si verifica quando il cuore non riesce a pompare sangue a sufficienza e se non trattato può avere conseguenze letali. I sintomi includono affanno, ridotta tolleranza allo sforzo e affaticamento. La malattia in genere diventa cronica, stravolge la vita del paziente e di tutte le persone che lo circondano. Colpisce l’1.5% della popolazione italiana (oltre 1 milione di persone), con un’incidenza legata all’età (nella fascia over 65), ma si stima che arriverà al 2.3% nei prossimi 10 anni. Oggi è responsabile di 190 mila ricoveri l’anno, con un alto tasso di ospedalizzazioni e re-ospedalizzazioni. La spesa annuale per un paziente con scompenso cardiaco supera gli 11.800 euro, di cui l’85 per cento è legato ai costi di ricovero. Complessivamente, la spesa raggiunge i 3 miliardi di euro/anno per il SSN, costituendo il 2% della spesa sanitaria totale.
Tavolo Caregiver e contributo AISC
In seguito al decreto interministeriale del 12 ottobre 2023, il “Tavolo Caregiver” ha l’obiettivo di individuare delle aree di intervento, con il contributo delle associazioni coinvolte. Nell’ultima audizione al Ministero della Disabilità, l’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci e Prevenzione Malattie Cardiovascolari AISC APS, rappresentata dalla Dott.ssa Maria Rosaria Di Somma, ha proposto dieci azioni. AISC rappresenta oltre 6 mila pazienti a livello nazionale e dal 2014, anno in cui è nata, porta alle istituzioni la loro voce e quella dei caregiver. Le misure includono la revisione della definizione, corsi di formazione, coinvolgimento nelle Case della Comunità e incentivi fiscali.
Ruolo del caregiver
La cura dello scompenso cardiaco implica terapie farmacologiche, la possibilità di devices impiantati, di un cuore artificiale (VAD) o di un trapianto cardiaco. Il paziente diventa spesso non autosufficiente e il caregiver è indispensabile. La persona che lo assiste nella cura, oltre ad essere coinvolta emotivamente, si trova a dover gestire molti ambiti della vita, affrontando sfide quotidiane. L’impatto della malattia, quindi, si estende alle famiglie, per questo le associazioni chiedono il riconoscimento e il supporto per questa figura. L’aderenza alla terapia è un aspetto determinante nella cura e la gestione della terapia farmacologica è spesso resa più complessa da malattie croniche aggiuntive.
Scompenso cardiaco pediatrico
Lo scompenso cardiaco non risparmia i più giovani, può colpire bambini con malformazioni congenite e giovani adulti con patologie alle valvole cardiache o al muscolo cardiaco. Questa condizione in età pediatrica ha caratteristiche diverse rispetto all’età adulta. Nell’infanzia, lo scompenso cardiaco può aggravarsi rapidamente, mettendo a rischio la vita del bambino. Gli approcci clinici, psicologici e di supporto alla famiglia devono adattarsi al piccolo paziente, sottolinea la dottoressa Di Somma, richiedendo un legame stretto con il caregiver, che spesso è il genitore.
Impatto sulle famiglie dei piccoli con scompenso cardiaco
Le famiglie di pazienti pediatrici con scompenso cardiaco affrontano lunghe liste di attesa per i trapianti cardiaci che possono arrivare a tre anni, e rendere necessaria un’assistenza continua. I dati dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma riportano 200 pazienti pediatrici trapiantati viventi e 25 in attesa di trapianto.
Il caregiver familiare, spesso il genitore, oltre a fronteggiare la patologia, vive le difficoltà logistiche legate alle cure e all’accudimento del figlio. La convivenza con la malattia, infatti, porta a lunghi ricoveri, influenzando la vita lavorativa, psicologica ed economica delle famiglie.
Quadro normativo attuale, PNRR e obiettivi di assistenza
Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede interventi in ambito di assistenza domiciliare e telemedicina, ma manca una specifica definizione e riconoscimento del caregiver familiare nella legislazione vigente. AISC sottolinea la necessità di includere la figura del caregiver familiare nella Legge 22/2023, che disciplina le politiche a favore delle persone anziane e non autosufficienti, tutela che dovrebbe estendersi anche al malato cronico. “La figura del caregiver richiede un riconoscimento più approfondito in termini di assistenza psicologica, conoscenza clinica, agevolazioni lavorative ed economiche”, sottolinea Di Somma.
Rapporto di Cergas Bocconi
Il Primo Rapporto di Cergas Bocconi mette in luce l’urgenza di un esercito silenzioso di 8 milioni di caregiver familiari. Individui che si auto-organizzano per affrontare le esigenze di assistenza dei propri cari non più autonomi, perché i servizi pubblici e privati non bastano. I tassi di copertura del bisogno per anziani con limitazioni funzionali sono aumentati solo del 31%, mentre la stima di bisogno è cresciuta di oltre 66 mila persone.
Modello Emilia Romagna come esempio
La regione Emilia Romagna, tramite la legge regionale del 2004, ha riconosciuto la figura del caregiver familiare come componente informale di una rete di assistenza alla persona. Circa 289 persone nel territorio della regione evitano il ricovero in strutture sanitarie grazie alla loro azione. La legge regionale prevede formazione, sostegno, coinvolgimento nei piani assistenziali, riconoscimento delle competenze e agevolazioni lavorative e previdenziali.
In Europa
Le statistiche di EUROCARERS, la rete europea dei caregiver familiari, mostrano che l’80% dell’assistenza a persone non autosufficienti nell’Unione Europea è fornito da parenti. In Europa, ci sono 100 milioni di caregiver, di cui il 66% sono donne. In Inghilterra, il Carers Recognition and Services Act del 1995 ha riconosciuto ai familiari il diritto alla valutazione delle proprie condizioni di bisogno. La strategia del 2020 ha stabilito come priorità il riconoscimento del caregiver, coinvolgendolo nei piani di cura e supporto per la salute mentale e fisica.
Proposte per il riconoscimento del caregiver in Italia
Il documento di AISC propone dieci azioni costruttive, per supportare le sfide dei caregiver familiari in Italia, migliorando il loro riconoscimento e condizioni lavorative.
Le proposte di AISC
1. Ridefinizione del caregiver familiare: includere chi si prende cura di pazienti non autosufficienti con patologie croniche certificate.
2. Corsi di informazione e formazione: prevedere corsi su prevenzione, assistenza e conoscenza della patologia.
3. Coinvolgimento clinico: coinvolgere il clinico nella definizione del percorso di cura individuale.
4. Presenza del caregiver nelle Case della Comunità: riconoscimento del ruolo socio-sanitario.
5. Tutela nei Contratti Collettivi: garantire diritti nel contesto lavorativo del caregiver familiare.
6. Collaborazione con il Terzo Settore: formazione e assistenza psicologica nelle Case della Comunità.
7. Sgravi fiscali: possibilità di sgravi per spese documentate di assistenza, basati sul reddito ISEE.
8. Riconoscimenti specifici: maggiori riconoscimenti per caregiver giovani e quelli di pazienti pediatrici.
9. Procedura di riconoscimento legislativo: creare una procedura di riconoscimento del caregiver familiare basata su una dichiarazione del Medico di Medicina Generale (MMG).
10. Sostegni Economici: valutare possibili incentivi finanziari per i caregiver familiari.
Carcinoma ovarico, intervento innovativo a Napoli
News PresaUn complesso ed innovativo intervento ha permesso ad una donna affetta da carcinoma ovarico avanzato di essere sottoposta ad un trattamento radicale e di poter ottenere una significativa riduzione del rischio di recidiva. È la storia di Claudia (nome di fantasia a tutela della privacy) che era stata ricoverata presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli con la diagnosi di carcinoma ovarico avanzato.
La tecnica
La paziente, a seguito di un lungo studio clinico del Gruppo Oncologico Multidisciplinare ginecologico coordinato dal professor Carmine De Angelis, e dopo un adeguato trattamento medico, è stata ritenuta idonea per affrontare un innovativo intervento di citoriduzione associata ad una chemio ipertermia intra peritoneale. Ma vediamo di cosa si tratta. «Semplificando – spiega il professor Giuseppe Bifulco, Direttore della UOC di Ginecologia e Ostetricia della Federico II – possiamo affermare che questa procedura, unitamente all’intervento chirurgico radicale, è uno dei più innovativi percorsi terapeutici nel trattamento del carcinoma ovarico. Nel corso dell’intervento, infatti, la paziente è stata trattata con l’impiego di farmaci chemioterapici per via intraperitoneale, vale a dire che le cellule cancerose sono entrate così in contatto diretto con l’agente citotossico ed in questo modo è possibile minimizzare il rischio di una recidiva».
Lavoro di squadra
Il lungo e complesso intervento (ben 6 le ore di sala operatoria) è stato eseguito con successo presso il DAI Materno Infantile, ha visto la collaborazione tra l’equipe della Chirurgia Oncologica Ginecologica del professor Bifulco e quella della Chirurgia Colorettale coordinata dal professor Gaetano Luglio (DAI di Chirurgia generale, dei trapianti e gastroenterologia, diretto dal prof. Giovanni De Palma). L’intervento si è concluso con un decorso senza complicanze, la paziente è stata dimessa in ottime condizioni cliniche generali.
Soluzioni efficaci
«Queste procedure chirurgiche innovative sono il frutto della collaborazione tra le diverse unità operative – spiega il Direttore Generale Giuseppe Longo – ma soprattutto sono possibili grazie allo strettissimo legame che da sempre lega la componente assistenziale a quella della ricerca universitaria. Un connubio che consente alla nostra Azienda di promuovere innovazione chirurgica e trattamenti all’avanguardia per la gestione di patologie oncologiche avanzate».
Infezioni ospedaliere e antibiotico resistenza, i progetti Simit
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, Farmaceutica, News Presa, One health, PrevenzioneAntibiotico. In Italia si stimano 11mila morti l’anno a causa delle infezioni correlate all’assistenza (ICA), un record europeo. Le ICA impattano sul Servizio Sanitario Nazionale con 2,7 milioni di posti letto l’anno occupati e circa 2,4 miliardi di euro di costi diretti. Le soluzioni, come la prevenzione vaccinale, i protocolli d’igiene e i sistemi di monitoraggio, non sempre vengono applicate e l’Italia si muove a due velocità.
Società scientifiche in campo
La Società di Malattie Infettive e Tropicali ha presentato i progetti per promuovere un uso corretto degli antibiotici e uniformare l’applicazione delle norme sul territorio nazionale. “Insieme” e “Resistimit” sono stati presentati alla Camera dei Deputati in un incontro insieme alle società scientifiche e alle associazioni del territorio. Se ne è poi discusso nel convegno a margine, promosso dalla SIMIT “Insieme contro le Infezioni Correlate all’Assistenza”.
Antibiotico. Infezioni, 11 mila morti l’anno in Italia
Antibiotico-resistenza e Infezioni Correlate all’Assistenza – ICA crescono in tutta Europa, con l’Italia che è tra i Paesi con i numeri peggiori. Tra le principali cause vi è l’uso eccessivo di antibiotici, sia in ambito umano sia animale, ma anche la scarsa igiene delle mani. Per questo occorre un piano di controllo e prevenzione delle ICA, ribadiscono gli specialisti.
“Nel mondo si stimano 5 milioni di morti associate all’antibiotico resistenza, di cui 1 milione 300mila direttamente attribuibili ad essa. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stimano nel 2050 una mortalità per germi multiresistenti agli antibiotici superiori alle patologie oncologiche, con 10 milioni di decessi a livello globale – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT –. In Italia si calcolano 11mila morti l’anno, record europeo, un terzo di tutti i decessi. Le ICA hanno un impatto enorme sul SSN. Il conto economico contempla costi diretti che ammontano a circa 2,4 miliardi di euro. Circa l’8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione di questo tipo. Tuttavia, è possibile inaugurare un nuovo percorso che permetterebbe di ridurre di almeno il 30% l’impatto di queste infezioni”.
“Insieme” per contrastare ica e antibiotico-resistenza
“Insieme è un progetto con cui SIMIT si propone come braccio operativo nell’applicazione del PNCAR, – ha sottolineato la Prof.ssa Cristina Mussini, Vicepresidente SIMIT – uniformando a livello nazionale le politiche di controllo delle infezioni ospedaliere. Proprio per evitare applicazioni eterogenee abbiamo costituito un gruppo di esperti che possano promuovere la formazione, organizzare controlli negli ospedali e audit che raccolgono le criticità. Nel primo workshop, a Modena, che ha coinvolto 14 ospedali distribuiti su tutto il territorio nazionale, abbiamo formato e addestrato il gruppo di progetto e creato una survey allo scopo di evidenziare le criticità principali per l’implementazione dei programmi di contrasto alle infezioni nosocomiali negli ospedali. Questo questionario lanciato e diffuso dalla SIMIT ha visto la partecipazione di oltre 40 ospedali.
Dalle risposte abbiamo rilevato la difficoltà di interazione tra i diversi gruppi di lavoro, la mancanza di personale dedicato e di sistemi integrati di sorveglianza nei laboratori, la necessità di diffondere ulteriormente pratiche standard come, ad esempio, l’igiene delle mani del personale sanitario, che deve essere rafforzata in almeno la metà degli ospedali. Più della metà degli ospedali non ha un sistema integrato di monitoraggio delle principali infezioni diffuse nelle chirurgie, legate agli accessi vascolari, alle infezioni del tratto urinario, alle polmoniti, alle protesi articolari con difficoltà nell’attuare interventi di prevenzione specifici (bundle) degli stessi. Migliorare la situazione è possibile, basti pensare che con l’applicazione di strategie adeguate possono prevenire fino al 50% delle ICA. Serve dunque sia un’azione culturale che generi consapevolezza, sia una strategia operativa che realizzi un’inversione di rotta che acquisti continuità”.
Sorveglianza resistimit
L’altro progetto avviato dagli infettivologi è la piattaforma clinica Resistimit, per combattere i microrganismi multiresistenti agli antibiotici. “Il progetto ora si estende su 30 centri infettivologici a livello nazionale – spiega il Prof. Marco Falcone, Consigliere SIMIT – Queste 30 unità operative di malattie infettive svolgeranno un’attività di sorveglianza e condivideranno dati continuamente aggiornati su trend epidemiologici, caratteristiche dell’infezione, mortalità associata all’infezione e altri parametri utili. Oggetto di studio saranno batteri, funghi, virus e ogni altro microrganismo resistenti ai farmaci. Gli antibiotici restano un prezioso strumento salvavita, ma devono essere usati con consapevolezza. La piattaforma software che utilizzeremo, inoltre, permetterà non solo di mettere in rete tutti i dati di real life, ma anche di determinare un sistema di analisi dei dati stessi tramite l’intelligenza artificiale con analisi predittive”.
Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR)
“In Italia, il Piano d’Azione Nazionale “Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2022-2025”, approvato il 30 novembre 2022, fornisce le linee guida strategiche e indicazioni operative per affrontare l’antibiotico-resistenza nei prossimi anni – ha evidenziato Francesco Paolo Maraglino, Direttore Prevenzione delle Malattie Trasmissibili e Profilassi Internazionale, Ministero della Salute – Il Piano include anche azioni riguardanti il settore ambientale, integrando dunque l’approccio One Health già definito nel precedente documento. Il PNCAR è finanziato con 40 milioni l’anno per le attività da realizzare nel triennio 2023-2025. Il Ministero monitora le attività del Piano attraverso una Cabina di Regia istituita per rafforzare la Governance centrale e garantire un efficace coordinamento tra le istituzioni centrali e le Regioni”.
Proposta di Legge per ridurre infezioni
La SIMIT si è avvalsa della collaborazione dell’Associazione culturale Fülop. “Abbiamo redatto il testo di una proposta di legge che a febbraio 2023, – spiega l’Avv. Raffaele Di Monda, Presidente Associazione Fülop – che è stato presentato alla Camera da un testo redatto da Fratelli d’Italia con l’On. Matteo Rosso primo firmatario, sottoposto anche all’attenzione del Sottosegretario Marcello Gemmato. La legge raggruppa quanto è già presente in materia; guida il comportamento delle direzioni sanitarie per abbattere il numero di infezioni nosocomiali; crea una banca dati nazionale obbligando tutti gli ospedali a segnalare i casi del proprio centro e le relative terapie. Questo permetterebbe di uniformare i trattamenti e di evitare l’abuso di antibiotici. Alcuni comportamenti virtuosi dovrebbero già essere nei regolamenti degli ospedali, nelle linee guida e nelle leggi regionali, ma spesso non vengono messi in pratica. Per sensibilizzare la popolazione, puntiamo non tanto ai sanitari, quanto alle persone che frequentano gli ospedali come pazienti, visitatori, fornitori o addetti ai lavori. Abbiamo messo in scena al teatro Sannazaro di Napoli la rappresentazione teatrale “As It Was: le Ultime Ore di Fulop Semmelweis”. Presentiamo il problema delle ICA agli adolescenti con un messaggio tra pari. Infine, abbiamo preparato un videogioco con finalità didattiche”.
Lo sport per ottimizzare la dieta chetogenica
Alimentazione, News PresaSeguire una dieta chetogenica può portare a una serie di benefici per la salute. Il primo, scontato, è la perdita di peso, ma si può ottenere anche un miglioramento dell’energia e una maggiore capacità di concentrazione. Attenzione però, mai affidarsi a questa dieta in modalità fai da te. Ciò detto chi segue una dieta chetogenica può avere grandi vantaggi sui risultati praticando lo sport giusto. Apply for an online loan. Sport e allenamenti possono infatti massimizzare i risultati. Proviamo allora a vedere quali sono a detta degli esperti le migliori opzioni di allenamento per chi segue una dieta chetogenica, insieme a consigli pratici su tempi e tipologie di esercizio.
Gli sport ideali
Consigli Pratici
Visto che la dieta chetogenica può influenzare i livelli di energia, è importante pianificare gli allenamenti nei momenti in cui ci si sente più energici. Il momento migliore sarebbe a metà mattinata, ma anche il pomeriggio si possono ottenere buoni risultati. Quanto devono durare gli allenamenti? Se si sperimenta un allenamento ad alta intensità (HIIT) bastano 20-30 minuti. Tuttavia, se si preferiscono allenamenti più lunghi, è fondamentale integrare delle pause e, sempre, ascoltare il corpo per evitare il sovrallenamento.
Minerali
La dieta chetogenica può aumentare la perdita di acqua e minerali, quindi è importante mantenere un’adeguata idratazione e integrare gli elettroliti, specialmente prima e dopo gli allenamenti. Il riposo è essenziale per consentire al corpo di recuperare e adattarsi agli allenamenti. Così come è essenziale assicurarsi di includere giorni di riposo nella programmazione e dormire a sufficienza per favorire il recupero muscolare.
Vaiolo dell’Alaska, primo caso mortale
News Presa, PrevenzioneDa meno di un decennio l’Alaska si confronta con una potenziale nuova minaccia. Si tratta del vaiolo dell’Alaska, detto anche Alaskapox. La morte di un uomo a causa del virus ha sollevato interrogativi sulla trasmissione della malattia. La notizia è stata diffusa dagli ufficiali sanitari dell’Alaska con un comunicato stampa.
Vaiolo dell’Alaska, origini
Il vaiolo dell’Alaska, identificato per la prima volta nel 2015 in una donna, è causato dal virus Alaskapox che appartiene al genere Orthopoxvirus. Si tratta dello stesso tipo del vaiolo delle scimmie (che ha causato di recente focolai anche in Italia) e al virus Variola (responsabile del vaiolo, ormai eradicato). I sintomi dell’infezione sono: lesioni cutanee, gonfiore ai linfonodi e disturbi simili all’influenza.
La malattia è endemica nei piccoli mammiferi dell’Alaska, con i toporagni e le arvicole come serbatoio principale. Secondo gli esperti, il vaiolo dell’Alaska potrebbe circolare nella regione da centinaia, se non migliaia di anni.
Nonostante solo sette casi confermati finora, secondo gli esperti molte persone potrebbero essersi rivolte al pronto soccorso negli anni, credendo di essere stati punti da insetti o morsi da ragni, quando in realtà potrebbero aver contratto il vaiolo dell’Alaska.
Sintomi
I sintomi del vaiolo dell’Alaska, simili a quelli del vaiolo delle scimmie, includono linfonodi ingrossati, lesioni cutanee, pustole, pelle arrossata e dolori articolari e muscolari. Nelle persone immunocompromesse, la malattia può evolvere in modo più grave, portando anche alla morte. La gestione della malattia coinvolge antivirali e farmaci immunoglobulinici.
Contagio
La modalità di trasmissione della malattia agli esseri umani è ancora poco chiara. Si ipotizza che avvenga attraverso il contatto diretto con animali infetti o i loro fluidi corporei. L’uomo deceduto per il contagio si occupava di un gatto randagio e gli esperti ipotizzano la trasmissione anche attraverso gli artigli.
Nonostante il test negativo del gatto, il felino potrebbe aver veicolato il virus da altri roditori attraverso gli artigli. Attualmente, si sta indagando sul ruolo degli animali domestici nella trasmissione del vaiolo dell’Alaska.
Finora, non è stata confermata la trasmissione tra esseri umani, ma gli esperti avvertono che il virus potrebbe essere contagioso come il vaiolo delle scimmie, con la possibilità di diffondersi attraverso il contatto stretto, i fluidi corporei e le goccioline respiratorie.
Cancro 2ª causa di morte nell’OCSE. All.Can Italia: aumentare screening
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneIl cancro è la seconda causa di morte nei Paesi OCSE dopo le malattie circolatorie. Lo conferma l’ultimo Rapporto OCSE “Health at a glance 2023”. I tumori rappresentano il 21% di tutti i decessi nel 2021. Il cancro del polmone resta un big killer rappresentando la prima causa di morte sia per gli uomini che per le donne. Secondo il Report, l’Italia si colloca al di sotto della media OCSE sia per l’adesione allo screening per il tumore della cervice, sia per quello del colon-retto. Nel 20223, in Italia si è sottoposto a screening mammografico il 43% delle donne aventi diritto. Mentre i livelli di copertura degli screening cervicale e colorettale sono stati rispettivamente del 41% e del 27%, e con un evidente gradiente Nord-Sud, che penalizza le regioni del Meridione.
L’incontro
Partendo dai dati, nel corso di una tavola rotonda al Ministero della Salute sono state sollecitate le priorità di intervento. L’incontro “La Raccomandazione UE sugli screening oncologici come priorità sanitaria” è stato promosso da All.Can Italia, la coalizione multistakeholder di Pazienti, Clinici, Esperti sanitari e Industria. Tra le proposte degli esperti: introdurre la prevenzione come materia di insegnamento nelle scuole, digitalizzare i processi di invito allo screening, promuovere un’informazione costante e capillare ed estendere, fino a rendere strutturale, il programma sperimentale per la diagnosi precoce del tumore del polmone. L’incontro ha visto la partecipazione della comunità scientifica e delle associazioni pazienti di area oncologica – tra cui ACTO Italia, AIOM, Europa Donna Italia, Fondazione PRO, LILT, ROPI, WALCE.
Obiettivi
L’obiettivo è allineare l’Italia alla Raccomandazione europea sugli screening oncologici che esorta gli Stati membri dell’UE a estendere gli screening già attivi per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon-retto e a introdurne di nuovi per il carcinoma polmonare, prostatico e gastrico.
“È fondamentale fare dell’Italia un’apripista in Europa per quanto riguarda le politiche di prevenzione e diagnosi precoce”, afferma Paolo Bonaretti, portavoce di All.Can Italia. “Chiediamo con forza che i decisori pubblici si attivino per recepire la nuova Raccomandazione europea sugli screening oncologici ed ampliare i programmi di screening, partendo da progetti pilota sperimentali – come avvenuto per la Rete Italiana Screening Polmonare (RISP) – fino alla loro messa a regime. Per questo motivo oggi siamo qui, presso il Ministero della Salute, per cercare di individuare tutti insieme soluzioni concrete per migliorare i percorsi”.
Prevenzione cancro riduce mortalità e costi
Un recente studio pubblicato su Jama Network dimostra che un accesso più equo e capillare agli screening raccomandati per i tumori del polmone, del colon-retto, della mammella e della cervice uterina, potrebbe portare a un’importante riduzione delle morti per cancro. Infatti, il riconoscimento precoce della malattia permette cure più tempestive, personalizzate e, in molti casi, definitive.
“La prevenzione primaria e gli screening oncologici sono determinanti per vincere il cancro. Per questo ritengo strategico un coinvolgimento sempre più diretto e attivo di una task force composta dalla Scuola, dalla Famiglia e dai Media. La Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT), membro dell’European Cancer League (ECL), è prioritariamente impegnata da un lato a sensibilizzare costantemente il mondo scolastico, diffondendo la cultura della prevenzione come metodo di vita e, dall’altro, ad intensificare l‘operatività dei propri ambulatori diagnostici dedicati alla prevenzione secondaria”, dichiara Francesco Schittulli, presidente LILT.
Estendere i programmi
“In Italia ci sono ampi margini di miglioramento per estendere i programmi di screening offerti dal servizio sanitario ma soprattutto per aumentare la partecipazione dei cittadini”, spiega Rossana Berardi, Tesoriere AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) e direttrice della Clinica Oncologica dell’AOU delle Marche – Università Politecnica delle Marche. “Il punto di partenza non può che essere un cambio di paradigma in favore di maggiori investimenti e di una maggiore attenzione sulla prevenzione, sin da giovanissimi, introducendola come materia di insegnamento nelle scuole. Parallelamente, è necessaria un’azione più capillare e incisiva, anche prendendo spunto dalle buone pratiche introdotte in alcune realtà con successo e pubblicate in letteratura. La digitalizzazione dei processi di invito e prenotazione degli screening, in sostituzione della lettera cartacea, e l’utilizzo di reminder tramite contatto telefonico o telematico (WhatsApp, Mail, App) hanno, infatti, dimostrato di essere efficaci nel migliorare la fruizione degli screening. Fattori decisivi sono anche le iniziative di sensibilizzazione rivolte alla popolazione e l’azione degli operatori sanitari, in particolare dei medici di medicina generale, per informare sulle opportunità di prevenzione, intercettare i soggetti ad alto rischio, come nel caso dei forti fumatori, e incoraggiare la partecipazione volontaria ai programmi di screening attivi”.
Numeri del cancro
In Italia, nel 2023 si stimano 395 mila nuove diagnosi di tumore3. La neoplasia più frequentemente diagnosticata continua ad essere il tumore del seno (55.900 casi), seguito dal tumore del colon-retto (50.500 casi) e dal tumore del polmone (44.000 casi), neoplasia ad alta incidenza e a prognosi spesso infausta.
“Studi scientifici hanno dimostrato come lo screening con l’impiego della TAC del torace a basse dosi nei forti fumatori possa ridurre del 20% la mortalità per tumore del polmone. Ne deriva l’opportunità di ampliare i programmi nazionali di prevenzione oncologica anche verso questa neoplasia, così come indicato dalla Raccomandazione europea”, spiega Silvia Novello, presidente WALCE (Women Against Lung Cancer). “La Rete Italiana Screening Polmonare (RISP), nata nel 2021 con l’obiettivo di reclutare 10mila volontari eleggibili, dei quali oltre 8mila sono già stati sottoposti alla prima TAC, dimostra la fattibilità dell’iniziativa sul territorio nazionale e la buona aderenza da parte dei cittadini. Il programma ha un valore aggiunto in quanto coniuga prevenzione secondaria (con l’impiego della TAC) a prevenzione primaria (con programmi di disassuefazione tabagica). L’ulteriore estensione di questo programma ministeriale al momento attivo in 18 centri e 15 regioni italiane, fino a renderlo strutturale, potrà realmente consentire un cambio di paradigma nella lotta al tumore del polmone “.
A ciò si aggiunga l’opportunità di istituire programmi pilota di screening basati sulla ricerca di eredo-familiarità documentata, in particolar modo legata i geni BRCA1 e BRCA2 che, oltre al tumore della mammella e dell’ovaio, possono essere collegati ad altri tipi di neoplasie, tra cui il tumore della prostata.
Cancro pediatrico, nell’80% dei casi si può guarire
News PresaCancro pediatrico. Oggi (15 febbraio) è la Giornata Mondiale contro il cancro pediatrico. Una data che ci deve far riflettere sulla sofferenza che tante famiglie affrontano, ma anche incoraggiarci per i risultati che oggi la ricerca consente. Se è vero che in Italia, ogni anno, circa 1.500 bambini e 900 adolescenti ricevono una diagnosi di malattia oncologica, altrettanto vero è che grazie agli ultimi progressi scientifici l’80% di questi bambini può sperare nella guarigione. I dati sono quelli resi noti dal presidente della Federazione Italiana Associazioni Genitori e Guariti Oncoematologia Pediatrica (Fiagop), Paolo Viti.
Cancro pediatrico. Una sola sanità
Viti sottolinea l’urgente necessità di fornire cure adeguate su tutto il territorio nazionale, evidenziando come molte aree non dispongano delle necessarie strutture per la cura dei tumori pediatrici. La creazione di una Rete Nazionale dei Tumori Rari potrebbe garantire la qualità delle cure e migliorare la vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Radici alla speranza
La Fiagop ha organizzato diverse iniziative di sensibilizzazione in tutto il Paese fino al 18 febbraio. Tra queste, “Diamo radici alla speranza, piantiamo melograni”, che prevede la messa a dimora di centinaia di piante di melograno come simbolo di vita e solidarietà, e “Ti Voglio una sacca di bene”, per promuovere la donazione di sangue e piastrine.
Svelare le sfide
Anche l’Associazione Italiana Ematologia ed Oncologia Pediatrica (Aieop) si impegna con la campagna triennale “Accesso equo alle cure: svelare le sfide”. L’obiettivo è garantire un trattamento equo per tutti i piccoli pazienti affetti da cancro, invitando famiglie, medici, infermieri e ricercatori a condividere esperienze e proposte attraverso una piattaforma interattiva.
Nuove terapie
Il presidente dell’Aieop, Arcangelo Prete, sottolinea il ruolo cruciale dell’associazione nella lotta al cancro pediatrico, evidenziando i progressi compiuti nella ricerca clinica italiana. Tra questi, spiccano le terapie cellulari avanzate e le terapie geniche, con particolare riferimento al trattamento di pazienti affetti da neuroblastomi recidivi o refrattari mediante l’utilizzo di cellule CAR T dirette contro l’antigene GD2.
Il ruolo dell’Italia
Un lavoro pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine dimostra l’importanza della farmaceutica italiana nella generazione di terapie cellulari e geniche, non solo per i bambini italiani, ma anche per quelli provenienti da altri Paesi dove tali strutture non sono disponibili. Obiettivo di tutti dev’essere quello di unire gli sforzi per garantire un accesso equo alle cure e promuovere ulteriori avanzamenti nella ricerca e nella cura del cancro pediatrico.
Virus e polmoniti anche tra i giovani, il punto dello specialista
PrevenzioneQuest’anno i virus influenzali, tra cui H1N1, parainfluenzali, virus respiratorio sinciziale e Sars Cov 2, hanno raggiunto livelli critici. Secondo i dati, la crescita dei casi è dovuta alla minore adesione alla campagna vaccinale. Inoltre è aumentata l’incidenza di complicanze, come la polmonite. Nonostante sia rara e curabile, mette a rischio le fasce più fragili e gli over sessanta. Per questo il vaccino resta il mezzo migliore di prevenzione, secondo gli specialisti.
Tipologie di virus
“Quest’inverno la diffusione dei virus influenzali, come: H1N1, parainfluenzali, virus respiratorio sinciziale e Sars Cov 2, responsabili anche di polmoniti, ha raggiunto picchi elevatissimi, colpendo in molti casi anche i più giovani”. A fare il punto è il Dottor Marco Brunori, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia Cardio-Respiratoria e Fisiopatologo Respiratorio a Villa Margherita. “Un fenomeno ampiamente previsto data la scarsa adesione alla campagna vaccinale rispetto agli anni precedenti”.
“Per questo – ha continuato – si è verificato un aumento dei contagi, anche tra persone più giovani, con una crescita dell’incidenza di complicanze maggiori, quali la polmonite. Il picco, che si pensava superato dopo le feste di fine anno, è persistito nelle prime settimane di gennaio e solo negli ultimi giorni sembra in lieve flessione. Fortunatamente oggi sappiamo come intervenire. Se presa in tempo un’eventuale polmonite, che è una complicanza comunque infrequente, può essere curata. Ciò non toglie l’importanza del vaccino che è fortemente raccomandato ai soggetti over sessanta e fragili, ovvero a persone con patologie cardiovascolari, respiratorie, endocrinologiche, oncologiche, ematologiche.”
Vaccini in autunno
“A proposito dell’aumento di incidenza di complicanze tra i giovani – ha sottolineato il medico – va precisato, che si tratta di un dato statistico legato all’aumento generale dei contagi e non a una maggior virulenza e pericolosità del virus. Perciò, non rappresenta un fenomeno allarmante, tale da modificare le linee guida della campagna vaccinale. Per i soggetti precedentemente menzionati e per quelli più giovani a maggior rischio, è bene tener presente che la vaccinazione, così come l’influenza, segue un picco stagionale, che va da ottobre a fine gennaio. Quindi, la cosa migliore è vaccinarsi subito, già da ottobre, prima dell’arrivo del grande freddo e, dunque, della larga diffusione della malattia.”
Virus influenzali e polmonite
“La raccomandazione – ha proseguito – è di rivolgersi al medico al manifestarsi di una patologia che si differenzia da una normale influenza o para influenza per la persistenza o peggioramento di alcuni sintomi. Si tratta di febbre insolitamente alta, brividi, dolori muscolari, e persistenza o peggioramento di almeno un sintomo respiratorio, come: naso chiuso; tosse secca o grassa; dolore toracico persistente; eventuale affanno o senso di fatica respiratoria nel compiere le azioni svolte abitualmente. In questi casi il medico prescriverà immediatamente degli esami diagnostici, in particolari radiologici e ematochimici”.
“In base alla natura della malattia – ha proseguito – polmonite virale, da super infezione batterica oppure da infezione di virus Sars-Cov 2 e da Covid, il decorso cambierà e quindi la terapia si avvarrà oltre che di antinfiammatori e farmaci sintomatici anche di altri medicinali. In ogni caso, il primo passo è comprendere l’origine della malattia, attraverso i tamponi estesi in grado di testare contemporaneamente Cov, H1N1 e VRS che, ovviamente unitamente ad altri esami diagnostici sono molto importanti per accelerare il percorso di cura e guarigione.”
“Infine – ha concluso – voglio ricordare che i consigli per prevenire il contagio sono sempre quelli appresi durante la pandemia e poi, purtroppo, dai più dimenticati. Includono il frequente lavaggio delle mani; la costante areazione e pulizia degli ambienti, soprattutto in presenza di pazienti fragili; l’uso della mascherina se affetti da una sindrome febbrile.”
Dengue, disposti controlli alle frontiere
News PresaControlli alle frontiere per arginare un’epidemia di febbre dengue che dilaga in diversi paesi del mondo. La situazione è sotto controllo in Europa, e ancora più in Italia, ma è essenziale evitare che i vettori di questo virus (alcune specie di zanzare) arrivino e si diffondano.
I casi
Dall’inizio del 2024 il virus infettivo ha provocato 500mila contagi e 300 morti in Brasile e Rio de Janeiro ha istituito lo stato di emergenza a gennaio, mentre in Argentina il ministero della Salute ha dichiarato l’emergenza sanitaria a fine dicembre 2023. Gravissima situazione anche in Bangladesh, dove nel 2023 i morti da dengue sono stati più di 1.700. Sempre lo scorso anno, in Italia sono stati registrati 82 casi e in Francia 43. Numeri che hanno sollecitato le autorità sanitarie a maggiore attenzione.
Cos’è
La dengue è causata da quattro virus distinti (Den-1, Den-2, Den-3 e Den-4) trasmessi agli esseri umani attraverso le punture di zanzare infette. Sebbene non avvenga un contagio diretto tra esseri umani, l’uomo è il principale ospite del virus. Il vettore principale, nell’emisfero occidentale, è la zanzara aedes aegypti. La malattia è particolarmente diffusa durante e dopo la stagione delle piogge nelle aree tropicali e subtropicali di diverse regioni, tra cui Africa, Sud est asiatico, Cina, India, Medioriente, America latina e centrale, Australia e alcune zone del Pacifico.
Sintomi
Febbre alta, mal di testa acuti, dolori muscolari e articolari, nausea, vomito e irritazioni cutanee sono i sintomi tipici della dengue. Possono non essere presenti nei bambini, e la diagnosi viene solitamente effettuata in base ai sintomi, supportata dalla ricerca del virus o di anticorpi specifici nel sangue. Sebbene la dengue abbia un tasso di mortalità basso, che si attesta intorno all’1%, può aumentare fino al 40% nei casi in cui si sviluppi la forma emorragica.
Consigli
La prevenzione è fondamentale per contrastare la diffusione della dengue. È importante evitare il contatto con le zanzare, che ormai in Italia si vedono anche nei mesi “freddi”. Data l’attività più intensa delle zanzare nelle prime ore del mattino, è importante adottare precauzioni in questo periodo della giornata. Tuttavia, non esiste un trattamento specifico per la dengue, e nella maggior parte dei casi la guarigione avviene con riposo, farmaci antipiretici e idratazione.
Vaccino
Recentemente, in Italia, è stato approvato un vaccino per la prevenzione della dengue. Questo vaccino sarà disponibile presso l’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma a partire dalla prossima settimana. L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha autorizzato l’uso del vaccino anche per coloro che non hanno avuto una precedente esposizione al virus, rendendo disponibili due dosi per l’immunizzazione senza la necessità di un test pre-vaccinale.