Tempo di lettura: 2 minutiSono oltre 10 milioni gli italiani che soffrono di allergie, gli specialisti che se ne occupano sono sempre meno. In Italia le strutture di allergologia, universitarie, ospedaliere e territoriali, sono già distribuite in modo disomogeneo sul territorio, come denuncia l’Associazione Italiana Allergologi Immunologi Territoriali e Ospedalieri (AAIITO); oggi stanno subendo un calo ulteriore. Uno studio recente ha calcolato che queste patologie e le loro complicazioni pesano circa 74 miliardi di euro, il 27 per cento per i costi indiretti (la perdita di produttività) e oltre il 72 per cento per quelli diretti (farmaci e ricoveri in ospedale).
AAIITO spiega che si tratta di una malattia in costante crescita e nel 2025 ne soffrirà una persona su due, rendendola la patologia cronica più diffusa del secolo. Se le allergie (tra cui rinite e asma) aumentano, insomma, gli specialisti che se ne occupano diminuiscono. Si riducono anche gli specialisti in regime di convenzione con le aziende sanitarie. Ciò è dovuto alla programmazione regionale carente e alla mancata sostituzione dei medici in via di pensionamento. Si è ben lontani, quindi, dagli standard previsti dai Livelli essenziali di assistenza, non solo massimi (due) ma anche minimi (una), di strutture complesse di allergologia per milione di abitanti.
Un problema, quello della carenza di allergologi, reso ancor più grave dalle lunghe liste d’attesa, intasate da richieste inappropriate: malattie non riconducibili a cause allergiche (come prurito cronico, pancia gonfia e dolori addominali). Una realtà che va a discapito di sindromi complesse e pericolose come le allergie alimentari, da farmaci e da punture di imenotteri (api, vespe, calabroni), per le quali è necessario un intervento tempestivo.
«L’attuale decreto ministeriale sull’appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale rende impossibile coniugare la possibilità di essere visitati da un allergologo con il numero di pazienti in attesa di un consulto – spiega Maria Beatrice Bilò, presidente dell’Associazione Italiana Allergologi Immunologi Territoriali e Ospedalieri -. Lottiamo quotidianamente con l’aumento delle malattie allergiche e il contestuale insufficiente numero di specialisti sul territorio». Bilò parla di un progetto che preveda un circuito di Reti Cliniche Integrate:
«Etica dell’uso delle risorse e appropriatezza, infatti, possono trovare effettiva espressione solo applicando specifici percorsi assistenziali e linee guida per i processi diagnostici e terapeutici da verificare con procedure di accreditamento indipendenti» – spiega Bilò.
Reti Cliniche Integrate, quindi, che comprendano ambulatori territoriali di allergologia di primo livello per l’inquadramento diagnostico e un filtro per l’eventuale invio alle strutture ospedaliere di secondo livello. Quest’ultime si farebbero carico delle prestazioni più complesse come asma grave, reazioni allergiche gravi, allergie da alimenti, farmaci e punture di imenotteri.
Allergie in crescita, eppure gli specialisti non trovano lavoro
Alimentazione, Economia sanitaria, Farmaceutica, News Presa, PrevenzioneSono oltre 10 milioni gli italiani che soffrono di allergie, gli specialisti che se ne occupano sono sempre meno. In Italia le strutture di allergologia, universitarie, ospedaliere e territoriali, sono già distribuite in modo disomogeneo sul territorio, come denuncia l’Associazione Italiana Allergologi Immunologi Territoriali e Ospedalieri (AAIITO); oggi stanno subendo un calo ulteriore. Uno studio recente ha calcolato che queste patologie e le loro complicazioni pesano circa 74 miliardi di euro, il 27 per cento per i costi indiretti (la perdita di produttività) e oltre il 72 per cento per quelli diretti (farmaci e ricoveri in ospedale).
AAIITO spiega che si tratta di una malattia in costante crescita e nel 2025 ne soffrirà una persona su due, rendendola la patologia cronica più diffusa del secolo. Se le allergie (tra cui rinite e asma) aumentano, insomma, gli specialisti che se ne occupano diminuiscono. Si riducono anche gli specialisti in regime di convenzione con le aziende sanitarie. Ciò è dovuto alla programmazione regionale carente e alla mancata sostituzione dei medici in via di pensionamento. Si è ben lontani, quindi, dagli standard previsti dai Livelli essenziali di assistenza, non solo massimi (due) ma anche minimi (una), di strutture complesse di allergologia per milione di abitanti.
Un problema, quello della carenza di allergologi, reso ancor più grave dalle lunghe liste d’attesa, intasate da richieste inappropriate: malattie non riconducibili a cause allergiche (come prurito cronico, pancia gonfia e dolori addominali). Una realtà che va a discapito di sindromi complesse e pericolose come le allergie alimentari, da farmaci e da punture di imenotteri (api, vespe, calabroni), per le quali è necessario un intervento tempestivo.
«L’attuale decreto ministeriale sull’appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale rende impossibile coniugare la possibilità di essere visitati da un allergologo con il numero di pazienti in attesa di un consulto – spiega Maria Beatrice Bilò, presidente dell’Associazione Italiana Allergologi Immunologi Territoriali e Ospedalieri -. Lottiamo quotidianamente con l’aumento delle malattie allergiche e il contestuale insufficiente numero di specialisti sul territorio». Bilò parla di un progetto che preveda un circuito di Reti Cliniche Integrate:
«Etica dell’uso delle risorse e appropriatezza, infatti, possono trovare effettiva espressione solo applicando specifici percorsi assistenziali e linee guida per i processi diagnostici e terapeutici da verificare con procedure di accreditamento indipendenti» – spiega Bilò.
Reti Cliniche Integrate, quindi, che comprendano ambulatori territoriali di allergologia di primo livello per l’inquadramento diagnostico e un filtro per l’eventuale invio alle strutture ospedaliere di secondo livello. Quest’ultime si farebbero carico delle prestazioni più complesse come asma grave, reazioni allergiche gravi, allergie da alimenti, farmaci e punture di imenotteri.
Via lo stress con lo smartphone! Novità da una spin off dell’Università di Pisa
News BreviÈ ora disponibile un sistema originale per combattere lo stress, pratico ed economico, da portare sempre con sé. Si tratta di un Hear and Now, una app innovativa che aiuta a gestire l’ansia e a calmare l’agitazione mostrando come eseguire una respirazione profonda e come concentrarsi sul momento presente.
Questo nuovo anti-stress, realizzato da Biobeats, una spin off dell’Università di Pisa ormai nota a livello internazionale, si basa su pratiche di riduzione dello stress e di meditazione clinicamente validate. Oltre a ricordare agli utenti di respirare usando il diaframma e a guidarli attraverso appositi esercizi, l’applicazione consente di misurare il cambiamento fisiologico indotto dall’esercizio e di dimostrarne l’efficacia.
Come funziona l’anti-stress
Il funzionamento è molto semplice: è sufficiente installare l’applicazione sul proprio smartphone e iniziare a respirare. Mettendo un dito sopra la fotocamera e il flash si può facilmente visualizzare la frequenza cardiaca prima, durante e dopo le tecniche di respirazione guidate.
Gli sviluppatori hanno posto particolare attenzione alla cura dell’aspetto grafico e della musica: il software, infatti, permette di creare in tempo reale musica sincronizzata con il battito del cuore. In base al respiro, sullo schermo del dispositivo sono visualizzate immagini che appaiono nitide quando l’esercizio di respirazione è effettuato correttamente, mentre restano sfuocate se non si riesce ad usare il diaframma in maniera corretta. Attualmente l’app è disponibile solo su piattaforma IOS.
Ospedale di Rho: verso il Pronto Intervento Oncologico
News BreviAll’Ospedale di Rho, comune alla prima periferia di Milano, l’oncologia fa passi da gigante. Solo di qualche mese fa è il riconoscimento della Breast Unit da parte della Regione Lombardia, un centro di senologia specializzato dove verranno svolte le attività di screening e diagnostica clinico-strumentale dedicata alla mammella e dove saranno curate le patologie mammarie. Un vero e proprio reparto per la lotta e la cura del tumore al seno a cui faranno capo medici specialisti già in organico al nosocomio rhodense: dal senologo, al radiologo, allo psicologo fino al genetista e al dietologo.
Ma la vera novità, è l’avvio del Pronto Intervento Oncologico. Qui il paziente viene preso in carico dal personale a partire dalla diagnosi e seguito in tutto il percorso della malattia da un’equipe specialistica composta di chirurghi, oncologi, medici e personale in grado di offrire supporto psicologico ai pazienti e alle loro famiglie.
Il Dipartimento Oncologico oggi, con 14 posti letto, garantisce il ricovero in media di circa 300 pazienti l’anno con una degenza media di 10 giorni mentre sono oltre 22 mila gli accessi ambulatoriali e in day hospital.
Nell’ottica di rendere sempre più specialistico il servizio offerto, negli ultimi anni sono state intraprese anche alcune attività specifiche rivolte al paziente, come i trattamenti shiatzu, il Progetto Donna, un call center dedicato attraverso cui è possibile comunicare direttamente con un oncologo. Attualmente il servizio di oncologia, diretto da un unico direttore, è distribuito su due presidi ospedalieri, Rho e Garbagnate e comprende letti di degenza ordinaria, di day hospital e macro attività ambulatoriale ad alta complessità (Mac).
Residenza Gruber, a Bologna la villa per guarire dai disturbi alimentari
News BreviUna villa immersa nel verde, tra gli alberi e i fiori, sulle colline bolognesi. Un’oasi di tranquillità e bellezza che vuole essere un punto di partenza per una nuova vita. Residenza Gruber, nata dall’omonima Fondazione senza scopo di lucro, offre percorsi di riabilitazione psico-nutrizionale per sconfiggere i disturbi del comportamento alimentare nelle sue forme più gravi e problematiche.
“Ogni giorno ci impegniamo per individuare e intervenire su tutti gli aspetti della malattia, nel rispetto della persona e delle sue esigenze” si legge sul loro sito. I trattamenti sono personalizzati, grazie a un’équipe multidisciplinare- formata da medici, psichiatri, psicoterapeuti, infermieri, educatori, dietisti e operatori socio-sanitari- e a un ambiente in cui anche la bellezza estetica ha la sua ‘valenza terapeutica’.
La struttura può ospitare fino a venti persone in residenza, più altre otto in regime diurno, ed è convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale. Durante la permanenza il paziente non deve modificare completamente il proprio stile di vita: può continuare gli studi o il lavoro, oppure partecipare alle attività ricreative che vengono organizzate nel weekend, come gite turistiche o visite a musei. Ma anche tornare a casa il sabato e la domenica e ricevere visite da parte della famiglia, che continua ad avere un ruolo importante. C’è una gestione dei pasti particolarmente attenta e sono numerose le attività che vengono organizzate, sia individuali che di gruppo.
Nel suo primo anno di attività, la Residenza Gruber ha già avuto in cura circa sessanta ragazzi – per lo più di sesso femminile – con un’altissima percentuale di successo. Un progetto che riesce a guarire le ferite dell’anima, oltre che quelle fisiche.
Il vaccino per i cibi da fast food
Ricerca innovazioneSe non puoi cambiare le abitudini alimentari (scorrette) di mezzo mondo, allora cerca di capire se esiste un modo di rendere meno dannosi i cibi spazzatura. E’ una banalizzazione, ma è infondo il risultato al quale mira uno studio che sta molto facendo parlare in questi giorni. Più precisamente l’obiettivo era quello di arrivare ad un vaccino capace di immunizzare contro alcuni batteri intestinali, presenti in sovrannumero quando ci si alimenta con una dieta occidentale ricca di grassi. Questo può infatti ridurre gli stati infiammatori e prevenire malattie metaboliche come l’aterosclerosi e il diabete di tipo 2. Oggi la scoperta è arrivata grazie ad uno studio finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Ministero della Salute. A farla è stato un team di ricercatori del laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele, una delle 18 strutture d’eccellenza del gruppo ospedaliero San Donato, in collaborazione con l’Università degli Studi dell’Insubria, ed è stata appena pubblicata su Scientific Report, del gruppo Nature. A coordinare il lavoro, condotto su cavie ma che in futuro potrebbe avere importanti ricadute per la prevenzione di queste malattie nell’uomo, sono i professori dell’Università Vita-Salute San Raffaele Massimo Clementi e Roberto Burioni, e il dottor Filippo Canducci, ricercatore presso l’Università dell’Insubria.
Agire sul sistema immunitario
La ricerca esamina il complesso equilibrio tra la flora batterica intestinale e il sistema immunitario dell’organismo che la ospita. È noto da tempo che la dieta occidentale, ricca di grassi e povera di fibre, altera la flora batterica, favorendo la crescita di determinate popolazioni di batteri in sfavore di altre. Alcuni di questi batteri però, se presenti in sovrannumero, attivano il sistema immunitario dell’organismo, avviando così il processo di infiammazione e favorendo l’insorgenza di malattie metaboliche e cardiovascolari come l’aterosclerosi.
L’intuizione dei ricercatori del laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele e dell’Università dell’Insubria è stata quella di immunizzare l’organismo verso questi batteri in sovrannumero, aiutandolo a produrre quei globuli bianchi che si occupano di modulare la risposta immunitaria e riducendo così il processo infiammatorio. Rispetto ai murini che non avevano ricevuto il vaccino, quelli immunizzati mostravano infatti ridotti livelli di infiammazione, meno zucchero nel sangue e una progressione più lenta delle placche aterosclerotiche.
«Questo risultato – spiega Filippo Canducci – apre una via di studio veramente nuova e rappresenta il primo passo verso la messa a punto di vaccini volti a ridurre le conseguenze nocive di una cattiva alimentazione».
Zika, il “virus olimpico” sta piegando Rio
PrevenzioneZica, la zanzara killer sta terrorizzando un’intera nazione. Tra poco più di due settimane a Rio prenderanno il via i giochi olimpici, ma il timore del virus rischia di trasformarsi in una vera e propria fobia di massa. Anche perché al momento non esiste alcun vaccino, è quindi l’unico modo per prevenire l’infezione è evitare di essere punti dalla zanzare. Ma come si diffonde il virus Zika? Esiste un modo per mettersi al riparo dal contagio? Proviamo a fare luce grazie alle informazioni diffuse dal nostro Ministero della Salute.
ECDC, la mappa dei paesi a rischio trasmissione
Quanto al contagio, il virus si diffonde prevalentemente attraverso la puntura di una zanzara infetta. Le zanzare che trasmettono il virus sono del genere “Aedes”, quindi la stessa che trasmette il virus della febbre gialla, della dengue e della chikungunya. Quello che molti non sanno è però che il virus può trasmettersi anche per via sessuale, da una persona infetta al suo partner. In Italia al momento non sembrano esserci particolari allarmi, ma la zanzara tigre “Aedes albopictus” potrebbe essere un veicolo di contagio.
Le caratteristiche del virus
Il Ministero della Salute (che sul suo sito ha pubblicato una lunga serie di domande e risposte sul tema) spiega che «è molto simile a quelli della dengue, della febbre gialla, dell’encefalite giapponese e del Nilo occidentale. Dal 2015 un’epidemia di virus Zika si sta diffondendo nelle Americhe, Africa (Capo Verde) e Estremo oriente. In Italia il maggior numero di casi importati proviene dalla Repubblica Domenicana (Santo Domingo) e dal Brasile (30 giugno 2016). Le manifestazioni cliniche della malattia sono in genere simili a quelle di dengue e chikungunya». Questo significa una lieve febbricola, malessere, eruzioni. Ma nella maggior parte dei casi l’infezione è asintomatica.
In gravidanza
L’infezione da virus Zika, contratta durante la gravidanza, è stata associata all’insorgenza di gravi complicanze e malformazioni neurologiche congenite (Microcefalia). Non a caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che i casi di microcefalia e altri disordini neurologici potenzialmente associati al virus Zika riportati dal Brasile e dalla Polinesia francese sono un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Tutto questo sta creando seri dubbi a moltissimi turisti che vorrebbero spostarsi in Brasile per unire vacanze e passione per lo sport, timori che assieme alle tante ombre già esistenti per altre ragioni potrebbero avere ricadute pesantissime sulla riuscita dei giochi.
A Genova arriva l’energia degli atleti paraolimpici
News BreviAtleti paraolimpici
La precedente edizione è stata disputata nel 2015 a Varazdine , in Croazia; nel 2017 sarà invece la volta di Genova: il capoluogo ligure è ufficialmente la sede ufficiale dei Giochi Europei Giovanili Paralimpici.
Da tutta l’Europa, sono attesi oltre 600 atleti paralimpici tra i 14 e i 21 anni, accompagnati dai loro team sportivi e dalle proprie famiglie (circa un migliaio di persone in totale) per sei giorni occuperanno pacificamente Genova all’insegna dello sport.
Un grande successo per la città, non solo perché questa è la prima volta che i Giochi Europei Giovanili Paralimpici si disputano in Italia, ma anche perché con questa occasione Genova ha dimostrato di avere le potenzialità adeguate, sia a livello turistico che strutturale, per accogliere un evento di tali dimensioni.
I Giochi rappresenteranno per molti giovani atleti una tappa decisiva verso le prossime paralimpiadi che verranno disputate nel 2020, mentre per il capoluogo ligure diventeranno un’occasione per mostrare il proprio volto di città solidale e attenta alle problematiche sociali. Nel corso della manifestazione il Comitato paralimpico, che ha fortemente voluto la candidatura di Genova, ha in programma di organizzare infatti, campagne di sensibilizzazione eventi e progetti rivolti al mondo del sociale.
“Questo evento – ha sottolineato l’assessore allo Sport di Regione Liguria Ilaria Cavo – è importantissimo dal punto di vista agonistico ma soprattutto perché attraverso questi giochi trasmetteremo ai giovani campioni e a quanti devono confrontarsi ogni giorno con la disabilità, un messaggio di speranza e di possibilità di riappropriarsi del proprio futuro”.
Dieta mediterranea e sesso: Intervista alla Dott.ssa Caterina Esposito
PodcastDieta mediterranea e sesso: Intervista alla Dott.ssa Caterina Esposito
Medicina estetica, mai una scelta low cost
Medicina esteticaLa prima cosa che mostriamo di noi è il viso, è il nostro biglietto da visita. Dal volto capiamo subito se qualcuno ci piace e spesso ne intuiamo anche l’età. Combattere l’invecchiamento è il sogno di ogni donna, ma anche di moltissimi uomini. Una lotta continua, quella con i segni del tempo, che ha dato vita negli anni ad un industria molto florida e in continua evoluzione. Quello che molti non sanno è che l’invecchiamento è legato solo in parte a cause di natura genetica, per la precisione per l’un terzo, gli altri due terzi sono invece da attribuirsi a stili di vita e fattori di carattere ambientale. Lo stess, il fumo di sigaretta e una scorretta alimentazione sono nemici della nostra salute e spingono il nostro corpo ad un invecchiamento precoce. Al di là di questo, esistono oggi armi particolarmente efficaci nella cura della nostra bellezza. Armi che fanno parte della medicina estetica. Le nuove tecnologie e la ricerca hanno dato vita a tecnologie e tecniche d’avanguardia quali il botox, i filler, i fili di sospensione, i minilifting o i lipofilling. Il ché non significa non non invecchiare, ma farlo in maniera più lenta e soprattutto nel migliore dei modi. Il consiglio è quello di seguire uno stile di vita corretto e sano e di stare lontani da trattamenti “low cost”, forse più alla portata di tutti, ma spesso deludenti e molto pericolosi. Meglio scegliere trattamenti efficaci e sicuri. Quali? Ce ne sono almeno tre universalmente riconosciuti: biostimolazione, filler a base di acido ialuronico e botulino.
La biostimolazione
Si considera un trattamento curativo, migliora il tono, l’idratazione e l’elasticità della pelle.
I filler
Si usano dagli zigomi in giù e servono per dare volume, visto che hanno azione riempitiva.
Il botulino
Si usa nella zona degli occhi, ad esempio per far sparire le zampe di gallina.
Pokemon Go: rischio Ludopatia e incidenti gravi
News Presa, Psicologia, Ricerca innovazioneVagano distratti per le strade delle città alla ricerca di Pokémon: un occhio alla mappa interattiva e l’altro alla strada, cercando di non essere investiti o di inciampare da qualche parte. È la nuova mania globale: il videogame più popolare e discusso del momento. Si tratta di un’Applicazione per Smartphone, ma può comportare una serie di rischi concreti per la salute (dei grandi). C’è chi infatti guida guardando la mappa dello schermo del telefono e non la strada, chi si impervia per rupi e strapiombi in cerca di Pikachu o Charmander, chi non riesce a passeggiare senza controllare che non ci siano Pokémon in giro; c’è anche chi trascura il lavoro e la propria salute per completare la collezione dei personaggi fantastici. Se una ricerca basata sui tweet postati dagli utilizzatori (sul sito specializzato psychcentral.com.) evidenzia gli effetti antidepressivi per chi ha i sintomi, perché invita a uscire fuori casa, molti esperti avvertono sul rischio Ludopatia e incidenti gravi.
La cattura dei pokemon sarà pure virtuale, ma i rischi associati all’utilizzo compulsivo dell’applicazione sono difatti reali, tanto da spingere gli sviluppatori a invitare i giocatori alla prudenza, con una schermata di avvertimento, prima di ogni sessione di gioco.
Il gioco, però, è di grande aiuto per i piccoli pazienti, grazie all’idea partita dall’ospedale pediatrico Mott nel Michigan , dove il videogame viene utilizzato a fini terapeutici per incoraggiare le i piccoli degenti del reparto di oncologia ad alzarsi dal letto e muovere alcuni passi. Nel reparto sono presenti addirittura dei Pokespots fisici dove i bambini possono giocare insieme e scattare delle foto con i propri beniamini.
La novità più grande introdotta da Pokemon Go riguarda senza dubbio il capovolgimento dell’assioma che vuole il videogiocatore pigro e sedentario. Il gioco, infatti, sfrutta le opportunità offerte da fotocamera, connessione dati e satelliti GPS e invoglia a camminare per catturare i pokemon, a volte anche per svariati chilometri.
I casi di cronaca sono all’ordine del giorno, tra risse e incidenti stradali tra persone che vagano distratte per le città in cerca di pokemon. A questo si unisce anche il rischio di incorrere nella cosiddetta alienazione tecnologica e di sviluppare vere e proprie patologie psicologiche, già associate ad un uso poco sano dello smartphone. Nonostante, infatti, gli utenti siano spinti ad uscire fuori casa, il gioco non prevede interazioni fisiche con altri giocatori e può comportare problemi come la perdita della cognizione del tempo, stati di ansia e aggressività, cali di rendimento nello studio o nel lavoro, difficoltà a socializzare e persino insonnia. Ad oggi si trascorrono fino a 18 ore su 24 dinanzi agli schermi di smartphone, pc e altri device tecnologici (contro le 2 normalmente raccomandate) e da tempo sono nate cliniche specializzate nella disintossicazione da sovraesposizione alla tecnologia. Pokemon Go dunque, come alcool e fumo, può creare dipendenza, è importante dunque farne un uso responsabile.
Il gioco è stato lanciato poco più di una settimana fa e solo in un numero limitato di paesi, ma conta già milioni di utenti singoli e ha fatto balzare verso l’alto le azioni della casa produttrice Nintendo, che supera per capitalizzazione il titolo del colosso Sony e centra un primato assoluto: venerdì 15 luglio le azioni Nintendo sono state le più scambiate in un solo giorno nella storia della Borsa di Tokyo.