Tempo di lettura: 3 minutiLa regione italiana con il sistema sanitario più efficiente è il Piemonte, che quest’anno toglie la prima posizione al Trentino Alto Adige. La regione “più malata”, invece, si conferma la Calabria. Le realtà territoriali definite “sane” sono in tutto quattro, nove aree sono “influenzate” e ben sette “malate”. Il Lazio precipita di 10 posizioni rispetto alla precedente classifica, collocandosi nell’area delle regioni “influenzate”. Perdono posizioni, uscendo dall’area delle realtà sanitarie d’eccellenza, Umbria e Liguria. Al Sud la migliore perfomance spetta al Molise che guadagna sei posizioni lasciando l’area dei sistemi sanitari locali più sofferenti.
La fotografia scattata alla sanità italiana si basa sull’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il secondo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika. Sono sette gli indicatori con dati desunti da diverse fonti istituzionali: soddisfazione sui servizi sanitari, mobilità attiva, mobilità passiva, spesa sanitaria, famiglie impoverite a causa di spese sanitarie out of pocket, spese legali per liti da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, costi della politica.
A caratterizzare l’area dei sistemi sanitari più virtuosi ben quattro realtà del Nord. A guidare la graduatoria, in particolare, il Piemonte che con un punteggio pari a 492,1, conquista la vetta, spodestando il Trentino Alto Adige che, pur collocandosi nell’area delle regioni con un sistema sanitario “d’eccellenza” con 403,9 punti, ha registrato una retrocessione di tre posizioni rispetto all’anno precedente. La Lombardia, con 450,5 punti, mantiene saldamente la sua seconda posizione immediatamente seguita sul podio dall’Emilia Romagna con 438 punti.
Nel gruppo, ben più consistente, delle regioni “influenzate” si collocano ben nove realtà: oltre al Lazio che, con 318,1 punti, si posiziona in coda all’area perdendo ben 10 posizioni rispetto all’anno precedente, si piazzano Valle d’Aosta (375,4 punti), Toscana (370,7 punti), Marche (364,7 punti),
Umbria (351,8 punti), Molise (347,2 punti). E, ancora, Veneto (336,3 punti), Liguria (335,9 punti) e Friuli Venezia Giulia (319,6 punti).
Sono tutte del Sud, infine, le regioni che contraddistinguono l’area dell’inefficienza sanitaria: Sardegna (277,9 punti), Basilicata (272,1 punti), Abruzzo (269,1 punti) e Campania (259,3 punti). Nelle ultime tre postazioni delle realtà sanitarie più “malate” si posizionano Puglia (243,3 punti), Sicilia (234,5 punti) e Calabria (223,8 punti).
Circa un italiano su tre (34,2%) dichiara di essere soddisfatto dei servizi sanitari legati ai vari aspetti del ricovero: assistenza medica, assistenza infermieristica, vitto e servizi igienici. L’indicatore mostra un divario più che significativo tra le diverse realtà regionali. I più appagati vivono in Trentino Alto Adige che ha ottenuto il massimo del risultato (100 punti) immediatamente seguito dalla Valle d’Aosta (85,9 punti) e dall’Emilia Romagna (85,2 punti), realtà in cui il livello medio di soddisfazione per i servizi ospedalieri, rilevata dall’Istat tra coloro che hanno subito almeno un ricovero nei tre mesi precedenti l’intervista, oscilla tra il 60% ed il 50%. Anche il Piemonte si difende. Sul versante opposto, il minor livello di soddisfazione, pari mediamente al 16%, si registra in Molise (28,4 punti), Campania (27,7 punti) e Puglia (14,7 punti).
Per Molise e Sardegna confermati i primati positivo e negativo relativi alla mobilità sanitaria attiva in Italia. In particolare, analizzando gli ultimi dati disponibili (primo semestre 2015), è il Molise, con 100 punti, a mantenere la prima posizione della graduatoria parziale relativa alla mobilità attiva, l’indice di “attrazione” che indica la percentuale, in una determinata regione, dei ricoveri di pazienti residenti in altre regioni sul totale dei ricoveri registrati nella regione stessa, e che in Molise, per l’appunto, è pari al 27,9%. Sul versante opposto, si colloca la Sardegna (3,2 punti) con un rapporto tra i ricoveri in regione dei non residenti sul totale dei ricoveri erogati pari allo 0,9%.
In valori assoluti, sono principalmente le regioni del Nord a ricevere il maggior numero di pazienti non residenti. In questa direzione le realtà più attrattive sono la Lombardia (78 mila ricoveri extraregionali), l’Emilia Romagna (54 mila ricoveri extraregionali), il Lazio (38 mila ricoveri extraregionali), la Toscana (34 mila ricoveri extraregionali) ed il Veneto (28 mila ricoveri extraregionali).
Come per la mobilità attiva, anche per la mobilità passiva restano immutate le “posizioni estreme” della classifica parziale rispetto all’anno precedente. I lucani, infatti, confermano la loro diffidenza, in maniera più rilevante rispetto agli altri, scegliendo di ricoverarsi e curarsi in strutture sanitarie fuori dai confini regionali. In particolare, con un indice di “fuga”, pari al 24,1%, che misura, in una determinata regione, la percentuale dei residenti ricoverati presso strutture sanitarie di altre regioni sul totale dei ricoveri sia intra che extra regionali, la Basilicata ha totalizzato solo 16,6 punti nella graduatoria parziale di Demoskopika. Ciò significa che, nei soli primi sei mesi del 2015, la migrazione sanitaria può essere quantificabile in circa 10 mila ricoveri. Sul versante opposto, i più “fedeli” al loro sistema sanitario risultano i lombardi. Anche il Piemonte, regione “vincitrice”, registra una bassa migrazione. La Lombardia, con appena il 4%, registra il rapporto minore di ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri totalizzando il massimo del punteggio (100 punti).
Obesità infantile, la Campania sull’orlo del baratro
AlimentazioneOggi giorno quasi tutti hanno problemi di linea, il dramma è quando ad averse chili di troppo sono i bambini. Succede ovunque in Italia, ma in Campania si sta creando un vero e proprio allarme. La regione è infatti maglia nera per l’obesità infantile, con il record negativo di un bambino su 2 con problemi di peso. Il dato preciso registra un 28% di bimbi campani tra gli 8 e i 9 in sovrappeso, il 13,7 obeso e il 5,5% con un’obesità severa. E se è vero che la somma fa il totale, la drammatica verità è che in Campania il 47,8% dei ragazzini (dati diffusi da Okkio alla Salute) è in sovrappeso.
Come intervenire?
È possibile prevenire l’obesità infantile? Un aiuto lo offre la dieta mediterranea, che è considerata il miglior modello per la prevenzione di malattie cronico-degenerative come le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità e il cancro. Proprio il ruolo della dieta mediterranea nello svezzamento sarà al centro del dibattito pubblico (il terzo di nove appuntamenti della V edizione di Mondo Donna) dal titolo «Prevenire l’obesità infantile? Proviamoci con la dieta mediterranea», promosso a Napoli domani (18 gennaio 2017) alle 17 dalla Clinica Mediterranea al Punto Luce di Piazzetta San Vincenzo 21, nel quartiere Sanità. Interverranno Salvatore Auricchio, professore di pediatria dell’Università Federico II di Napoli, la pediatra Raffaella De Franchis e Francesca Romano Marta, di Save the Children Italia.
Medulloblastoma, presto una nuova terapia
Ricerca innovazioneMedulloblastoma. Nonostante il nome sia poco noto, si tratta della forma più diffusa di tumore cerebrale dell’infanzia. La notizia è che un gruppo di ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) di Roma ha sviluppato un trattamento che riesce a far regredire la neoplasia o farla scomparire del tutto, senza provocare danni cognitivi i neoplasie secondarie. Si tratta di un passo in avanti determinante, perché nonostante questa forma di tumore abbia un tasso di sopravvivenza accettabile, la tossicità dei trattamenti disponibili (in particolare della radioterapia) lasciano nei pazienti danni gravi. I ricercatori del Cnr, grazie all’esperienza maturata in un decennio di studi sullo sviluppo dei neuroni nel cervello e nel cervelletto (neurogenesi), ha dimostrato in vivo che dopo il trattamento con la proteina Cxcl3, anche se il tumore ha già iniziato a svilupparsi, il medulloblastoma non si forma più o scompare completamente. Lo studio è pubblicato su Frontiers in Pharmacology.
Un uovo approccio
La strada tracciata è totalmente diversa da quelle che si percorrono oggi. L’approccio attuale si basa infatti sul blocco della proliferazione dei precursori cerebellari neoplastici grazie all’impiego di sostanze tossiche. La ricerca del Cnr sfrutta invece la plasticità residua del precursore cerebellare neoplastico. «La proteina Cxcl3 – spiega Felice Tirone dell’Ibcn-Cnr, che ha guidato la ricerca in collaborazione con Manuela Ceccarelli e Laura Micheli – ne forza la migrazione al di fuori della zona proliferativa del cervelletto verso la parte interna, dove i precursori neoplastici differenziano, uscendo definitivamente dal programma di sviluppo del tumore. Già nel 2012 avevamo identificato la chemokina Cxcl3 quale possibile target terapeutico, dimostrando che la mancanza di questa proteina si lega a un notevole aumento della frequenza del medulloblastoma, poiché i precursori cerebellari, cioè le cellule giovani che poi diventano neuroni, non riescono più a migrare al di fuori della zona proliferativa alla superficie del cervelletto e tendono a diventare neoplastici. Una permanenza eccessiva nella zona proliferativa rende cioè i precursori più suscettibili alle mutazioni che inducono la proliferazione incontrollata».
La nascita di una terapia
Il prossimo passo è quello di studiare l’applicabilità nell’uomo di questo trattamento, che è stato brevettato dal Cnr. «Cxcl3 – dicono i ricercatori – sembra essere privo di tossicità anche ad alte dosi, ma resta da chiarire se la plasticità dei precursori cerebellari tumorali, cioè la capacità di differenziare dopo la migrazione, permane a stadi più avanzati del tumore». Un’applicazione possibile sarebbe nella sindrome di Gorlin, dove il medulloblastoma è trasmesso geneticamente, e quindi la sua insorgenza è più prevedibile e monitorabile sin dalle fasi iniziali di sviluppo.
Fumo: l’obiettivo è ridurre i dipendenti al 5% della popolazione
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneNel mondo i fumatori sono circa 650 milioni. Secondo l’OMS, il fumo è “la prima causa al mondo di morte evitabile”. Ogni anno 5 milioni di persone in tutto il mondo muoiono per cancro, malattie cardiovascolari e respiratorie. Un numero che potrebbe aumentare fino a 10 milioni entro il 2030. Nell’Unione europea si stima che fumino 4,5 milioni di persone e che ogni anno siano 650 mila i decessi correlati al fumo. La dipendenza dal fumo è stata inserita dal 1994 nella lista delle “dipendenze patologiche” da parte della società psichiatrica americana e classificata come malattia dall’OMS. Dati recenti dicono che il 20,6% degli Italiani fuma e si registra una riduzione inferiore al 2% sia negli uomini che nelle donne. Le morti dovute al fumo ogni anno in Italia sono circa 80 mila.
Un gruppo internazionale di ricercatori su temi di salute pubblica guidati da Robert Beaglehole e Ruth Bonita dell’Università di Auckland in Nuova Zelanda ha realizzato uno studio con l’obiettivo (raggiungibile entro il 2040) di arrivare ad un mondo dove meno del 5% della popolazione faccia uso del tabacco. Gli esperti hanno spiegato come è possibile, in uno speciale della rivista The Lancet. In occasione della “Conferenza Mondiale Tabacco o Salute (World Conference on Tobacco or Health)” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che avrà come tema “Tabacco e malattie non trasmissibili”, in programma ad Abu Dhabi dal 17 al 21 marzo prossimo, i ricercatori lanceranno un appello alle Nazioni Unite perché “mettano il turbo” alle azioni contro la vendita e il consumo di tabacco. In caso contrario, si calcola che un miliardo di persone morirà per il fumo e gli altri usi del tabacco entro fine secolo. Oltre l’80% avverrà in paesi a basso e medio reddito, le cui popolazioni saranno più colpite dal peso economico e sociale devastante delle malattie da tabacco.
Il professor Beaglehole spiega: «È giunto il momento per il mondo di riconoscere l’inaccettabilità del danno procurato dall’industria del tabacco e lavorare per un mondo praticamente privo di vendita legale e illegale dei prodotti del tabacco. Un mondo in cui il tabacco è lontano dagli occhi, lontano dal cuore, e fuori moda – ma non vietato – è realizzabile in meno di tre decenni da adesso, ma solo con il pieno impegno da parte dei governi, agenzie internazionali, come l’ONU e l’OMS, e la società civile». Un decennio dopo l’introduzione della Convenzione quadro sul controllo del tabacco (FCTC) – il trattato internazionale che ha appena festeggiato i dieci anni di vita, messo a punto dall’Organizzazione mondiale della sanità e sottoscritto da centinaia di paesi- solo il 15% della popolazione mondiale ha accesso adeguato ai programmi di disassuefazione dal fumo. Inoltre, meno di una persona su dieci nel mondo è coperta dalla tassazione del tabacco a livelli raccomandati dalla Convenzione, nonostante la ricerca mostri che l’aumento del costo del tabacco per il consumatore attraverso la tassazione è uno dei modi più efficaci per ridurre il consumo. Nello stesso periodo, 50 milioni di morti sono stati causati dal tabacco, indicando che la sola Convenzione non è sufficiente per conseguire riduzioni sostanziali nell’uso del tabacco nella popolazione.
Il rapporto evidenzia anche come “il potere di mercato delle aziende produttrici di tabacco è aumentata negli ultimi anni, creando nuove sfide per gli sforzi di controllo del tabacco. A partire dal 2014, le 5 maggiori aziende produttrici di tabacco hanno rappresentato il 85% del mercato globale delle ‘bionde’.
“Questo rapporto – afferma Douglas Bettcher, direttore dell’OMS per la prevenzione delle malattie non trasmissibili – dimostra come le vite possono essere salvate e le economie possano prosperare quando i governi attuano politiche di costo-efficacia, e misure collaudate, come l’aumento in modo significativo delle tasse e dei prezzi sui prodotti del tabacco, e il divieto di commercializzazione del tabacco e il fumo in pubblico”.
Cardarelli, un intervento straordinario contro il cancro
Ricerca innovazioneIl Cardarelli di Napoli protagonista di un intervento che ha dell’incredibile. Sabato nell’ospedale del Vomero è stata portata a termine con successo una lobectomia polmonare per un tumore maligno, intervento delicatissimo realizzato grazie alla tecnologia robotica del “da Vinci” e all’esperienza acquisita in questi anni dal Gruppo Robotico InterOspedaliero (GRIO). Alla guida dell’equipe chirurgica robotica il dottor Gianluca Guggino, dell’Unità Operativa di Chirurgia Toracica del Cardarelli. E stato lui, con la collaborazione della professoressa Franca Melfi dell’Università di Pisa, a portare a termine un’operazione che è tra le prime mai eseguite in Italia.
Ridurre la migrazione sanitaria
«Un intervento – sottolinea il direttore generale dell’Ospedale Cardarelli Ciro Verdoliva –estremamente delicato e preciso, che permette una dissezione anatomica limitata al lobo polmonare effettivamente interessato dal cancro, su un paziente che presentava comorbidità come diabete e broncopneumopatia cronico ostruttiva, quindi candidato ideale per un intervento di chirurgia robotica finalizzata anche a ridurre le complicanze postoperatorie e un recupero funzionale più rapido. L’ennesima conferma dell’eccellenza della sanità campana. Una sanità che sempre più si va strutturando per offrire ai cittadini del meridione d’Italia nuovi riferimenti. Il nostro scopo, in linea con gli obiettivi posti dal presidente della Giunta Regionale, è infatti quello di valorizzare le eccellenze, così da evitare il fenomeno della “mobilità passiva” che tanto incide sulle casse regionali e sui costi sociali in generale.
Il GRIO e il post di De Luca
A rendere possibile questo nuovo traguardo è l’esperienza messa in campo dal Gruppo Robotico Inter-Ospedaliero (GRIO), coordinato dal dr. Guido De Sena, costituito dal Policlinico Federico II, dal Pascale, dal Monaldi e dal Cardarelli. I quattro Ospedali nell’insieme hanno eseguito circa 500 interventi. Con questa metodica al Cardarelli nel 2016 sono stati operati 153 pazienti nelle varie discipline: chirurgia generale, urologia, chirurgia toracica, ginecologia, chirurgia epatica.
Il post di Vincenzo De Luca sull’intervento tenutosi al Cardarelli
L’intervento è stato accolto con favore anche dal presidente della Giunta Regionale Vincenzo De Luca, che in un post su Facebook ha scritto: «Alta professionalità, lavoro d’equipe, tecnologie avanzatissime, sinergia con gli altri ospedali: dal #Cardarelli ancora un esempio di eccellenza per la sanità campana. Un intervento delicatissimo risolto con tecniche all’avanguardia e grande competenza. I nostri complimenti ai medici, al personale sanitario, ai vertici del Cardarelli».
Aumentano ipertesi nel mondo: 10mila casi in più ogni 100mila persone
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneAumentano gli ipertesi nel mondo: arrivando, in 25 anni, a 10 mila casi in più ogni 100 mila persone. Di conseguenza aumentano anche le patologie e le disabilità correlate. La pressione alta, infatti, può portare a complicazioni di salute e a eventi fatali quando supera i 110 mmHg. La notizia dell’aumento arriva da un’analisi internazionale con dati provenienti da tutto il mondo, condotta da Gregory Roth, della University of Washington di Seattle, pubblicata da JAMA e ripresa da Reuters Health. Roth e colleghi hanno analizzato i dati del Global Burden of Disease, Injuries and Risk Factor del 2015, uno studio internazionale su ipertesi con pressione sanguigna sistolica compresa tra 110 e 115 mmHg o superiore a 140 mmHg. La prevalenza di sistolica tra 110 e 115 mmHg è passata da 73.119 casi per 100.000 persone nel 1990 a 81.373 casi ogni 100.000 persone nel 2015. Allo stesso modo, la sistolica di 140 mmHg o superiore è aumentata da 17.307 a 20.526 casi per 100.000 persone nello stesso periodo di tempo. In particolare hanno anche scoperto che le morti a causa di pressione sistolica tra 110 e 115 mmHg sono aumentate di circa il 10 per 100.000 nell’ultimo quarto di secolo, mentre i decessi dovuti a pressione sistolica di 140 mmHg o superiore sono aumentati di circa l’otto per 100.000. La maggior parte dei decessi correlati all’elevata pressione sistolica sono stati dovuti a malattie cardiache e a ictus.
“I nuovi risultati suggeriscono che l’ipertensione rappresenta il principale fattore di rischio cardiaco modificabile”, afferma John Bisognano, cardiologo alla Universityof Rochester Medical Center di New York e presidente della American Society of Hypertension. Secondo il National Institutes of Health degli Stati Uniti, può esserci una predisposizione genetica tra le cause dell’ipertensione, oltre a un’alimentazione ad alto contenuto di sale, un uso eccessivo di alcol, stili di vita sedentari, infine il sovrappeso e l’obesità. “Se è consigliato loro un trattamento, dovrebbero capire che è per una buona ragione e che ci si aspetta che cali il rischio di ictus e malattie renali”, dice il clinico statunitense.
Bimba cerebrolesa: madre disperata scrive un “romanzo fiore”. La storia
Associazioni pazienti, News Presa, PsicologiaLa bambina-fiore è un romanzo scritto a quattro mani dall’autrice Rossella Calabrò e dalla counsellor sistemico relazionale Elena Malagoli, madre di Ilaria, una bimba affetta da grave cerebrolesione.
Il romanzo racconta il viaggio di una madre disperata alla ricerca di sua figlia e del valore della sua stessa maternità. Nella Bambina-fiore Rossella Calabrò parla al posto della piccola Ilaria, dando voce a una bimba che voce non ha e restituendo a Elena Malagoli l’amore unico e insostituibile di sua figlia.
«Questo romanzo punta l’attenzione sulle difficoltà delle famiglie che affrontano la disabilità.»
«La Bambina-fiore è uno di quei libri che ti entrano dentro e non ti abbandonano più; una narrazione delicata e piena di pathos, commovente e coinvolgente, ci conduce nel percorso di accettazione di Elena di questa figlia così diversa e verso la sua rinascita, come donna e mamma.»
Ilaria non parla, non si muove, non vede, non comprende. Però una carezza può farla sbocciare in un sorriso di rugiada. Il canto di un uccellino sa germogliare nel suo cuore e farsi mondo. Ilaria è affetta da grave cerebrolesione. Ilaria è la principessa del Regno Vegetale. Ilaria è una bambina-fiore, ha radici profonde e tenaci, eppure un colpo di vento può dilaniare i suoi petali, strapparla dal suo silenzioso regno e far gridare i cuori.
Questo libro è la storia vera, profonda, di una madre e della sua bambina-fiore. “Degli anni del loro amore lento a germogliare, difficile da coltivare ma rapido a trasformarsi in puro sgomento. In rifiuto, senso di colpa, smarrimento, in una disperazione che ha il colore del buio e l’odore del gelo. Ma il sole accarezza piano, col suo calore, la bambina-fiore e sua madre. Splende sulla loro forza e soprattutto sulla loro fragilità. Una fragilità preziosa e fertile. Perché forse è proprio da lì che occorre ricominciare a seminare. E il miglior nutrimento è il sorriso”.
Carenza di sangue in nove regioni. Cns e Iss: appello a donare
Associazioni pazienti, News Presa, PrevenzioneC’è carenza di sangue in alcune regioni italiane, con oltre 2600 unità di globuli rossi mancanti negli ospedali. Un’emergenza causata da più fattori, tra cui il picco influenzale e il maltempo di questi giorni. A dirlo sono i dati del Centro Nazionale Sangue (CNS), che ha inviato alle Strutture regionali per i coordinamento delle attività trasfusionali (SRC) l’invito a coordinarsi con le associazioni di donatori per far fronte all’emergenza.
La regione con le maggiori carenze è il Lazio ma situazioni critiche si registrano, secondo i dati aggiornati ad oggi, anche in Abruzzo, Toscana, Campania, Basilicata, Liguria, Umbria, Marche e Puglia. “Le cause della carenza sono multifattoriali – afferma Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue –, ma sicuramente può aver inciso l’epidemia influenzale che, complice il calo delle vaccinazioni, ha già colpito molte più persone rispetto allo scorso anno, e si può ipotizzare che anche il maltempo stia tenendo a casa i donatori. La mobilitazione deve riguardare però, sotto il coordinamento e la programmazione, anche in urgenza, delle SRC e del CNS, tutte le regioni, non solo quelle che hanno carenze; l’autosufficienza per quanto riguarda il sangue, infatti, è sovraziendale e sovraregionale e in questi casi diventa vitale la compensazione coordinata tra regioni”.
La carenza di sangue, sottolineano le associazioni di donatori, “può mettere a rischio l’esecuzione di interventi chirurgici e di terapie per pazienti con malattie come la talassemia che necessitano di continue trasfusioni”. L’invito per tutti i donatori è contattare l’associazione di appartenenza o il Servizio Trasfusionale di riferimento per programmare una donazione. “Le Associazioni e Federazioni dei donatori di sangue – sottolinea Aldo Ozino Caligaris, portavoce protempore del CIVIS (Coordinamento Interassociativo dei Volontari Italiani del Sangue) – devono intensificare la chiamata dei donatori periodici e associati sulla base di quanto concordato con le Strutture Regionali di Coordinamento attraverso una programmazione straordinaria per cercare di sopperire alle necessità contingenti. È inoltre fondamentale il coinvolgimento di nuovi volontari che possano garantire in maniera costante la disponibilità di emocomponenti, al fine di assicurare la necessaria terapia trasfusionale ai cittadini che ne hanno bisogno”.
Sanità: 10 milioni i italiani rinunciano a curarsi. Anche per sfiducia
Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneNel 2016 ben 10 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per le lunghe liste di attesa o perché non si fidano del sistema sanitario della loro regione di residenza. Cresce l’area dell’inefficienza rispetto al 2015. La “democrazia sanitaria” è costata oltre 310 milioni di euro mentre le spese legali hanno superato la soglia dei 190 milioni di euro. É quanto emerge dall’IPS, l’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il secondo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika.
Un altro dato significativo del 2016, inoltre, mostra che circa 10 milioni di italiani, pari al 17,6%, hanno rinunciato a curarsi per le lunghe liste di attesa o perché, non fidandosi del sistema sanitario della regione di residenza, non hanno potuto affrontare i costi della migrazione sanitaria ritenuti troppo esosi. Si tratta di poco meno di una famiglia su due (47,1%) in Italia che ha rinunciato a curarsi nel 2016. Il dato è riferito a un sondaggio realizzato dallo stesso Istituto Demoskopika su un campione rappresentativo di cittadini. Tra i fattori principali figurano i “motivi economici” e le lunghe liste di attesa rispettivamente nel 17,4% e nel 12,8% dei casi. E, ancora, il 6,7% del campione intervistato ha dichiarato di non curarsi “in attesa di una risoluzione spontanea del problema” o, addirittura, per “paura delle cure” come nell’1,5% dei comportamenti rilevati. L’”impossibilità di assentarsi dal luogo di lavoro”, inoltre, ha rappresentato un valido deterrente per il 4,8% dei cittadini.
In particolare, il federalismo sanitario non sembra un elemento a favore a giudicare dalle interviste, il 3,9%, infatti, pari a circa 2,4 milioni di italiani, ha dichiarato l’impossibilità ad occuparsi della propria salute o di quella di qualche suo familiare perché “curarsi fuori costa troppo, non fidandosi del sistema sanitario della regione in cui vive”. Un dato accentuato al sud, si rileva infatti un divario tra le due parti del Paese, al nord si trovano le regioni percepite come più efficienti.
Dieta? Ecco come dimagrire con gli alimenti di stagione
AlimentazioneDieta e calendario, in questo binomio si nasconde la ricetta della salute. Se è vero che solo pochi sanno realmente quali sono i benefici degli alimenti di stagione, lo è ancor di più che quasi nessuno sa fare le scelte giuste. Per capirlo basta provare a rispondere a poche domande. Quando è meglio acquistare gli agrumi e le verdure a foglie, fonti di antiossidanti utili per prevenire i sintomi del raffreddore? Qual è il mese in cui possiamo gustare le prime nespole e le fave fresche? E’ vero che scegliere il pesce di stagione aiuta l’equilibrio del mare, garantendo risparmio e qualità? Se rispondere non è stato facile, allora è il momento di mettere «Le stagioni nel piatto».
Il calendario
L’iniziativa della Federico II di Napoli è quella di creare un salutare viaggio in dodici tappe, una bussola per orientarsi tra frutta, verdura e pesce di stagione e i cui punti cardinali sono gusto, sicurezza, risparmio e sostenibilità. Il calendario è alla sua XII edizione, realizzato dall’Ufficio Formazione dell’UOC Gestione Risorse Umane dell’Azienda, e si può scaricare gratis dal sito del Policlinico Federico II CLICCA QUI
Consapevolezza
«L’obiettivo – dice Salvatore Panico, componente del gruppo scientifico che ha curato la realizzazione del Calendario – è attirare l’attenzione delle persone verso quello che si mangia». Dietro la leggerezza comunicativa del Calendario si cela, infatti, un complesso lavoro di una equipe multidisciplinare che ha messo a sistema il ricco patrimonio informativo sulla stagionalità degli alimenti. La vastissima e spesso costante offerta di prodotti ha determinato nella stragrande maggioranza delle persone la non riconoscibilità del legame tra alimenti e stagioni. Una confusione che regna sovrana soprattutto tra i bambini e le giovani generazioni. Il Calendario 2017 della Federico II di Napoli restituisce semplicità e chiarezza per favorire un approccio sereno e consapevole alla scelta e al consumo degli alimenti.
I vantaggi per la salute
«Scegliere alimenti di stagione – sottolinea Gabriele Riccardi, direttore della UOC di Diabetologia dell’Azienda -significa privilegiare prodotti ottenuti ottimizzando le risorse naturali e umane, con meno spreco di energia, necessaria per la produzione in serra o per il trasporto da altri continenti, e con un minore ricorso a fitofarmaci e conservanti, indispensabili per evitare gli attacchi dai parassiti quando la coltivazione prescinde dai ritmi naturali e il tempo che intercorre tra il campo e la tavola è lungo. Gli alimenti stagionali sono anche più ricchi in micronutrienti, in particolare di polifenoli, la cui presenza determina il caratteristico colore vivo e deciso dei prodotti freschi e di stagione, che aiutano a prevenire le più comuni malattie croniche quali il diabete, le malattie cardiovascolari e i tumori».
Sanità: al Piemonte il record italiano dell’efficienza. Superato il Trentino
Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneLa regione italiana con il sistema sanitario più efficiente è il Piemonte, che quest’anno toglie la prima posizione al Trentino Alto Adige. La regione “più malata”, invece, si conferma la Calabria. Le realtà territoriali definite “sane” sono in tutto quattro, nove aree sono “influenzate” e ben sette “malate”. Il Lazio precipita di 10 posizioni rispetto alla precedente classifica, collocandosi nell’area delle regioni “influenzate”. Perdono posizioni, uscendo dall’area delle realtà sanitarie d’eccellenza, Umbria e Liguria. Al Sud la migliore perfomance spetta al Molise che guadagna sei posizioni lasciando l’area dei sistemi sanitari locali più sofferenti.
La fotografia scattata alla sanità italiana si basa sull’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il secondo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika. Sono sette gli indicatori con dati desunti da diverse fonti istituzionali: soddisfazione sui servizi sanitari, mobilità attiva, mobilità passiva, spesa sanitaria, famiglie impoverite a causa di spese sanitarie out of pocket, spese legali per liti da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, costi della politica.
A caratterizzare l’area dei sistemi sanitari più virtuosi ben quattro realtà del Nord. A guidare la graduatoria, in particolare, il Piemonte che con un punteggio pari a 492,1, conquista la vetta, spodestando il Trentino Alto Adige che, pur collocandosi nell’area delle regioni con un sistema sanitario “d’eccellenza” con 403,9 punti, ha registrato una retrocessione di tre posizioni rispetto all’anno precedente. La Lombardia, con 450,5 punti, mantiene saldamente la sua seconda posizione immediatamente seguita sul podio dall’Emilia Romagna con 438 punti.
Nel gruppo, ben più consistente, delle regioni “influenzate” si collocano ben nove realtà: oltre al Lazio che, con 318,1 punti, si posiziona in coda all’area perdendo ben 10 posizioni rispetto all’anno precedente, si piazzano Valle d’Aosta (375,4 punti), Toscana (370,7 punti), Marche (364,7 punti),
Umbria (351,8 punti), Molise (347,2 punti). E, ancora, Veneto (336,3 punti), Liguria (335,9 punti) e Friuli Venezia Giulia (319,6 punti).
Sono tutte del Sud, infine, le regioni che contraddistinguono l’area dell’inefficienza sanitaria: Sardegna (277,9 punti), Basilicata (272,1 punti), Abruzzo (269,1 punti) e Campania (259,3 punti). Nelle ultime tre postazioni delle realtà sanitarie più “malate” si posizionano Puglia (243,3 punti), Sicilia (234,5 punti) e Calabria (223,8 punti).
Circa un italiano su tre (34,2%) dichiara di essere soddisfatto dei servizi sanitari legati ai vari aspetti del ricovero: assistenza medica, assistenza infermieristica, vitto e servizi igienici. L’indicatore mostra un divario più che significativo tra le diverse realtà regionali. I più appagati vivono in Trentino Alto Adige che ha ottenuto il massimo del risultato (100 punti) immediatamente seguito dalla Valle d’Aosta (85,9 punti) e dall’Emilia Romagna (85,2 punti), realtà in cui il livello medio di soddisfazione per i servizi ospedalieri, rilevata dall’Istat tra coloro che hanno subito almeno un ricovero nei tre mesi precedenti l’intervista, oscilla tra il 60% ed il 50%. Anche il Piemonte si difende. Sul versante opposto, il minor livello di soddisfazione, pari mediamente al 16%, si registra in Molise (28,4 punti), Campania (27,7 punti) e Puglia (14,7 punti).
Per Molise e Sardegna confermati i primati positivo e negativo relativi alla mobilità sanitaria attiva in Italia. In particolare, analizzando gli ultimi dati disponibili (primo semestre 2015), è il Molise, con 100 punti, a mantenere la prima posizione della graduatoria parziale relativa alla mobilità attiva, l’indice di “attrazione” che indica la percentuale, in una determinata regione, dei ricoveri di pazienti residenti in altre regioni sul totale dei ricoveri registrati nella regione stessa, e che in Molise, per l’appunto, è pari al 27,9%. Sul versante opposto, si colloca la Sardegna (3,2 punti) con un rapporto tra i ricoveri in regione dei non residenti sul totale dei ricoveri erogati pari allo 0,9%.
In valori assoluti, sono principalmente le regioni del Nord a ricevere il maggior numero di pazienti non residenti. In questa direzione le realtà più attrattive sono la Lombardia (78 mila ricoveri extraregionali), l’Emilia Romagna (54 mila ricoveri extraregionali), il Lazio (38 mila ricoveri extraregionali), la Toscana (34 mila ricoveri extraregionali) ed il Veneto (28 mila ricoveri extraregionali).
Come per la mobilità attiva, anche per la mobilità passiva restano immutate le “posizioni estreme” della classifica parziale rispetto all’anno precedente. I lucani, infatti, confermano la loro diffidenza, in maniera più rilevante rispetto agli altri, scegliendo di ricoverarsi e curarsi in strutture sanitarie fuori dai confini regionali. In particolare, con un indice di “fuga”, pari al 24,1%, che misura, in una determinata regione, la percentuale dei residenti ricoverati presso strutture sanitarie di altre regioni sul totale dei ricoveri sia intra che extra regionali, la Basilicata ha totalizzato solo 16,6 punti nella graduatoria parziale di Demoskopika. Ciò significa che, nei soli primi sei mesi del 2015, la migrazione sanitaria può essere quantificabile in circa 10 mila ricoveri. Sul versante opposto, i più “fedeli” al loro sistema sanitario risultano i lombardi. Anche il Piemonte, regione “vincitrice”, registra una bassa migrazione. La Lombardia, con appena il 4%, registra il rapporto minore di ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri totalizzando il massimo del punteggio (100 punti).