Tempo di lettura: 4 minutiFare sport per «nutrire» il corpo. Proprio come avviene con il cibo, il movimento allena le cellule a disattivare i geni pro-infiammatori e ad attivare quelli della longevità. Perché l’esercizio fisico, al pari dell’alimentazione, può modificare l’espressione dei nostri geni. Su tutti, quelli coinvolti nel controllo del metabolismo della cellula e del suo stato di infiammazione. Ecco perché l’attività fisica è uno dei quattro pilastri della Positive Nutrition, la nuova «formula» della longevità, che riprende l’omonimo titolo del nuovo di libro di Barry Sears, biochimico americano ideatore della dieta Zona, autore con Benvenuto Cestaro e Giovanni Scapagnini (Edito da Sperling & Kupfer, pagg. 264). Come calcolare quanto esercizio fisico svolgere è semplice: basta ricalcare la formula della dieta Zona (cioè 40-30-30) per un totale di 100 minuti la settimana di esercizio aerobico. Così suddivisi: 40 in un’unica seduta nel weekend. 60 in due mini blocchi da 30 minuti ciascuno in settimana. Più una seduta di forza muscolare e mobilità articolare da inserire sempre nell’arco dei sette giorni.
La strategia
In pratica 3+1: tre sedute aerobiche (per un totale di 100 minuti la settimana) e una seduta di forza a corpo libero. Gli impegni non lo consentono? Va bene la strategia 2+1: due allenamenti aerobici e quando c’è tempo, si aggiunge una seduta per la forza e il tono muscolare. L’importante è cominciare. Gli altri pilastri sono restrizione calorica, cibi positivi, attività fisica e tecniche anti-stress. Se ne è parlato oggi a Milano al 4th International Congress Science in Nutrition organizzato dalla Fondazione Paolo Sorbini per la scienza nell’alimentazione. Dunque movimento e alimentazione giocano in tandem perché l’attività fisica aiuta a controllare l’infiammazione ma il cibo giusto aiuta a migliorare la performance sportiva e a ridurre il rischio di infortuni. Dando vita a sette regole chiave che unite possono migliorare radicalmente la qualità di vita e la quantità di vita.
Le 7 regole
Regola 1. La «dose» giusta di movimento. In genere si decide di praticare un po’ di moto quando l’ago della bilancia svetta e non riusciamo più a entrare nei jeans di sempre. Ma questo non basta e non riesce a garantire risultati seri, afferma Elena Casiraghi, triatleta di livello internazionale, PhD, specialista in nutrizione e integrazione dello sport, dell’Equipe Enervit –. «Bisogna fare esercizio in maniera programmata e con moderazione, ogni giorno ed imparare come muoversi, con quale modalità, stabilendo qual è il momento ideale della giornata. Perché un’ora non vale l’altra. Una sola seduta di allenamento di forza la settimana non basta a mantenere il tono e la massa muscolare. Gli studi scientifici suggeriscono di praticarne 3 la settimana, una sessione ogni 48 ore circa. In pratica, un giorno sì e uno no».
Regola 2. L’Interval training ad alta intensità. Ma qual è il modo migliore di allenarsi? “Tra gli allenamenti considerati oggi più efficaci – prosegue la dottoressaa Casiraghi – c’è l’Interval training ad alta intensità (HIIT) che prevede, ad esempio, l’esecuzione di 4-5 serie ciascuna di esercizi aerobici della durata di 4 minuti all’80-90% della VO2max, ovvero la massima quantità di ossigeno che i muscoli consumano al minuto, seguiti da 3-4 minuti di recupero”.
Regola 3. L’allenamento a digiuno. Un’altra possibilità è l’allenamento a bassa intensità praticato al mattino a digiuno: «La mattina, appena svegli, abbiamo nel corpo una scarsa concentrazione di glicogeno, lo zucchero di riserva immagazzinato nel fegato e nei muscoli. L’allenamento svolto con una scarsa disponibilità di energia aziona l’enzima della vita: l’AMP chinasi che se attivato, sostiene la longevità dell’organismo». Questa molecola viene attivata proprio quando la cellula ha poca energia. Che è ciò che accade la mattina appena svegli. «Così – spiega la Casiraghi – si ha la possibilità di migliorare, per esempio, la sensibilità all’insulina, diminuire la sintesi del colesterolo nel fegato, incrementare l’ossidazione dei grassi (la lipolisi) negli adipociti, ovvero le cellule del tessuto adiposo. Non a caso l’allenamento a digiuno viene usato, spesso e volentieri, dagli atleti che praticano sport di endurance come la corsa, la marcia, il ciclismo o il triathlon. In tal modo, infatti, potranno insegnare al proprio organismo come potenziare il metabolismo lipidico».
Regola 4. Il Concurrent Training. Non solo allenamento aerobico. Al corpo serve esercitare anche la forza muscolare. L’abbinamento dei due nell’arco della giornata o della settimana va sotto il nome di Concurrent training. «Se lo sforzo aerobico favorisce in maniera più efficace l’attivazione dell’AMP chinasi – aggiunge la Carisaghi – quello muscolare darà ulteriori benefici». A partire dai quarant’anni circa, negli uomini e nelle donne si verifica una significativa riduzione sia della massa muscolare, sia della capacità dei muscoli di esprimere forza. Verso i cinquanta la perdita della massa muscolare si aggira intorno al 3-5% e all’1-2% ogni anno. Intorno ai settantacinque il patrimonio muscolare è in pratica dimezzato. E a rimetterci di più pare che siano gli uomini. Ecco perché serve un allenamento di tipo aerobico che si alterni ad una sessione di esercizi per la forza muscolare.
Regola 5. L’importanza dell’idratazione. Che sia inverno oppure estate non conta: bisogna bere sempre e nelle giuste dosi, anche quando non si ha sete e soprattutto se si svolge attività fisica perché il corpo consuma acqua e minerali come sodio, cloro, potassio e magnesio, che vanno tassativamente recuperati per non mettere a repentaglio la salute, soprattutto del cuore. «Per capire se siamo abbastanza idratati è la valutazione del colore delle urine: se è di un giallo carico significa che c’è una carenza di idratazione. Quando invece il colore non è accentuato, allora non ci sono problemi. La regola dei due litri d’acqua al giorno vale mediamente per tutti ma se ci si allena il fabbisogno è leggermente più alto».
Regola 7. La giusta intensità. Il fiato è un buon metro di misura dell’intensità di un allenamento. Nella prima fase di riscaldamento la respirazione non deve essere mai affannata. Nella fase successiva, il ritmo accelera: prendete ossigeno rapidamente durante l’inspirazione e buttare fuori, sempre con gran velocità, l’anidride carbonica prodotta espirando.
Lo sport per nutrire il corpo e restare in salute
News Presa, SportFare sport per «nutrire» il corpo. Proprio come avviene con il cibo, il movimento allena le cellule a disattivare i geni pro-infiammatori e ad attivare quelli della longevità. Perché l’esercizio fisico, al pari dell’alimentazione, può modificare l’espressione dei nostri geni. Su tutti, quelli coinvolti nel controllo del metabolismo della cellula e del suo stato di infiammazione. Ecco perché l’attività fisica è uno dei quattro pilastri della Positive Nutrition, la nuova «formula» della longevità, che riprende l’omonimo titolo del nuovo di libro di Barry Sears, biochimico americano ideatore della dieta Zona, autore con Benvenuto Cestaro e Giovanni Scapagnini (Edito da Sperling & Kupfer, pagg. 264). Come calcolare quanto esercizio fisico svolgere è semplice: basta ricalcare la formula della dieta Zona (cioè 40-30-30) per un totale di 100 minuti la settimana di esercizio aerobico. Così suddivisi: 40 in un’unica seduta nel weekend. 60 in due mini blocchi da 30 minuti ciascuno in settimana. Più una seduta di forza muscolare e mobilità articolare da inserire sempre nell’arco dei sette giorni.
La strategia
In pratica 3+1: tre sedute aerobiche (per un totale di 100 minuti la settimana) e una seduta di forza a corpo libero. Gli impegni non lo consentono? Va bene la strategia 2+1: due allenamenti aerobici e quando c’è tempo, si aggiunge una seduta per la forza e il tono muscolare. L’importante è cominciare. Gli altri pilastri sono restrizione calorica, cibi positivi, attività fisica e tecniche anti-stress. Se ne è parlato oggi a Milano al 4th International Congress Science in Nutrition organizzato dalla Fondazione Paolo Sorbini per la scienza nell’alimentazione. Dunque movimento e alimentazione giocano in tandem perché l’attività fisica aiuta a controllare l’infiammazione ma il cibo giusto aiuta a migliorare la performance sportiva e a ridurre il rischio di infortuni. Dando vita a sette regole chiave che unite possono migliorare radicalmente la qualità di vita e la quantità di vita.
Le 7 regole
Regola 1. La «dose» giusta di movimento. In genere si decide di praticare un po’ di moto quando l’ago della bilancia svetta e non riusciamo più a entrare nei jeans di sempre. Ma questo non basta e non riesce a garantire risultati seri, afferma Elena Casiraghi, triatleta di livello internazionale, PhD, specialista in nutrizione e integrazione dello sport, dell’Equipe Enervit –. «Bisogna fare esercizio in maniera programmata e con moderazione, ogni giorno ed imparare come muoversi, con quale modalità, stabilendo qual è il momento ideale della giornata. Perché un’ora non vale l’altra. Una sola seduta di allenamento di forza la settimana non basta a mantenere il tono e la massa muscolare. Gli studi scientifici suggeriscono di praticarne 3 la settimana, una sessione ogni 48 ore circa. In pratica, un giorno sì e uno no».
Regola 2. L’Interval training ad alta intensità. Ma qual è il modo migliore di allenarsi? “Tra gli allenamenti considerati oggi più efficaci – prosegue la dottoressaa Casiraghi – c’è l’Interval training ad alta intensità (HIIT) che prevede, ad esempio, l’esecuzione di 4-5 serie ciascuna di esercizi aerobici della durata di 4 minuti all’80-90% della VO2max, ovvero la massima quantità di ossigeno che i muscoli consumano al minuto, seguiti da 3-4 minuti di recupero”.
Regola 3. L’allenamento a digiuno. Un’altra possibilità è l’allenamento a bassa intensità praticato al mattino a digiuno: «La mattina, appena svegli, abbiamo nel corpo una scarsa concentrazione di glicogeno, lo zucchero di riserva immagazzinato nel fegato e nei muscoli. L’allenamento svolto con una scarsa disponibilità di energia aziona l’enzima della vita: l’AMP chinasi che se attivato, sostiene la longevità dell’organismo». Questa molecola viene attivata proprio quando la cellula ha poca energia. Che è ciò che accade la mattina appena svegli. «Così – spiega la Casiraghi – si ha la possibilità di migliorare, per esempio, la sensibilità all’insulina, diminuire la sintesi del colesterolo nel fegato, incrementare l’ossidazione dei grassi (la lipolisi) negli adipociti, ovvero le cellule del tessuto adiposo. Non a caso l’allenamento a digiuno viene usato, spesso e volentieri, dagli atleti che praticano sport di endurance come la corsa, la marcia, il ciclismo o il triathlon. In tal modo, infatti, potranno insegnare al proprio organismo come potenziare il metabolismo lipidico».
Regola 4. Il Concurrent Training. Non solo allenamento aerobico. Al corpo serve esercitare anche la forza muscolare. L’abbinamento dei due nell’arco della giornata o della settimana va sotto il nome di Concurrent training. «Se lo sforzo aerobico favorisce in maniera più efficace l’attivazione dell’AMP chinasi – aggiunge la Carisaghi – quello muscolare darà ulteriori benefici». A partire dai quarant’anni circa, negli uomini e nelle donne si verifica una significativa riduzione sia della massa muscolare, sia della capacità dei muscoli di esprimere forza. Verso i cinquanta la perdita della massa muscolare si aggira intorno al 3-5% e all’1-2% ogni anno. Intorno ai settantacinque il patrimonio muscolare è in pratica dimezzato. E a rimetterci di più pare che siano gli uomini. Ecco perché serve un allenamento di tipo aerobico che si alterni ad una sessione di esercizi per la forza muscolare.
Regola 5. L’importanza dell’idratazione. Che sia inverno oppure estate non conta: bisogna bere sempre e nelle giuste dosi, anche quando non si ha sete e soprattutto se si svolge attività fisica perché il corpo consuma acqua e minerali come sodio, cloro, potassio e magnesio, che vanno tassativamente recuperati per non mettere a repentaglio la salute, soprattutto del cuore. «Per capire se siamo abbastanza idratati è la valutazione del colore delle urine: se è di un giallo carico significa che c’è una carenza di idratazione. Quando invece il colore non è accentuato, allora non ci sono problemi. La regola dei due litri d’acqua al giorno vale mediamente per tutti ma se ci si allena il fabbisogno è leggermente più alto».
Regola 7. La giusta intensità. Il fiato è un buon metro di misura dell’intensità di un allenamento. Nella prima fase di riscaldamento la respirazione non deve essere mai affannata. Nella fase successiva, il ritmo accelera: prendete ossigeno rapidamente durante l’inspirazione e buttare fuori, sempre con gran velocità, l’anidride carbonica prodotta espirando.
Alcool e giovani: intervista alla Prof.ssa Rossella Aurilio
PodcastLavorare a lungo danneggia le donne con troppi ruoli da ricoprire
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneMogli, madri e lavoratrici. Le donne assumono troppi ruoli e spesso mettono a rischio la propria salute. Secondo uno studio i molti ruoli ricoperti dalle donne fanno sì che lavorare per lunghe ore le porti col tempo ad avere maggiori probabilità di sviluppare malattie mortali.
È emerso da una ricerca durata 32 anni e basata sull’analisi di 7500 persone, dell’Ohio State University. I rischi incominciano quando si superano le 40 ore lavorative, la situazione diventa poi critica oltre le 50 e da 60 in poi vengono triplicate le possibilità di sviluppare diabete, cancro, problemi cardiaci e artrite.
I risultati registrati dagli uomini sono opposti, infatti nella gestione della vita familiare hanno spesso un ruolo più marginale e non devono quindi assumersi pressioni aggiuntive. Come racconta il Telegraph, per loro un orario d’ufficio prolungato avrebbe addirittura proprietà benefiche.
Dallo studio è emerso, infatti, che chi aveva lavorato più a lungo tra gli uomini aveva una maggiore incidenza di artrite, ma nessuna malattia cronica. Anzi, Il rischio di contrarre malattie cardiache, polmonari e depressione era minore per chi aveva lavorato tra 40 e 50 ore settimanali e maggiore per chi meno di 40.
Avere meno stress una volta usciti dall’ufficio permette loro di trarre solo i vantaggi di una vita attiva e stimolante. Questo anche perché per alcune donne la necessità di bilanciare esigenze lavorative e familiari costringe a ripiegare su un’attività meno soddisfacente.
La raccomandazione del dottor Dambe è di non sottovalutare i rischi. Un pensiero dovrebbe quindi essere sempre rivolto a come le scelte di oggi impatteranno sul nostro organismo domani.
Senza glutine? In molti casi, senza senso
Alimentazione, News PresaSenza glutine è stato prima di tutto un invito per centinaia di migliaia di persone. Nella giungla dell’alimentazione moltissimi si sono trovati a (e tutt’oggi si trovano) a soffrire di disturbi più o meno seri legati ad intolleranze o allergie. Per molti altri, invece, l’alimentazione è sinonimo di moda. In principio, direbbe qualcuno, è stato il biologico, poi il naturale, quindi il vegano e ora il no-glutine. E come tutte le mode anche questa ha un mercato, un mercato enorme e in ascesa negli ultimi anni, con crescita di fatturato e proseliti spinti dalle celebrities.
Scelta “social”
Gwyneth Paltrow, Victoria Beckham, Kim Kardashian, Lady Gaga con milioni di follower sui social, diversissime fra loro ma accomunate dal pallino del gluten-free. Non sono celiache ma non portano in tavola nulla che contenga glutine, convinte di guadagnare così in salute e restare in forma più facilmente. Un equivoco, come dimostrano i dati scientifici più recenti, che l’appeal delle celebrità contribuisce non poco ad alimentare. Dilaga così la moda gluten-free, di tendenza anche in Italia: nel nostro Paese ogni anno si spendono 320 milioni di euro per prodotti senza glutine, ma di questi solo 215 derivano dagli alimenti erogati per la terapia dei pazienti celiaci. Il 10% dei cittadini europei segue una dieta totalmente, parzialmente o occasionalmente gluten-free senza averne bisogno e sono circa 6 milioni gli italiani celiaci ‘per moda’ che sprecano ogni anno oltre 100 milioni di euro stando ai dati Nielsen diffusi dall’Associazione Italiana Celiachia (AIC) in occasione della Settimana Nazionale della Celiachia, dal 13 al 21 maggio, dedicata quest’anno alla nutrizione e all’educazione alimentare per vivere al meglio una dieta che per i celiaci non è una scelta alimentare ma l’unica terapia possibile.
Le iniziative
Molte le iniziative previste durante la Settimana della celiachia, che ha il patrocinio dell’Associazione Nazionale Dietisti (ANDID): attraverso il sito www.settimanadellaceliachia.it sarà possibile informarsi sulle 5 regole per una corretta alimentazione senza glutine e sugli eventi speciali organizzati dalle sezioni regionali di AIC; online sarà anche possibile rivolgere domande a medici e dietiste, a disposizione dei cittadini attraverso mail e chat. In occasione della settimana sarà anche pubblicata la guida “Sport&Celiachia” a cura del Comitato Scientifico di AIC e patrocinata dal CONI: scaricabile gratuitamente sul sito dell’Associazione, è uno strumento utile per capire come lo sport sia un importante strumento di benessere per i celiaci e anche per sfatare l’errata convinzione che una dieta senza glutine migliori le prestazioni degli atleti non celiaci, come purtroppo erroneamente sostengono anche alcuni campioni sportivi. «Oggi milioni di persone scelgono di eliminare il glutine dalla propria dieta per seguire la moda del momento, un’idea rafforzata dai sempre più numerosi personaggi noti, non celiaci, che seguono la dieta gluten-free e lo dichiarano pubblicamente nell’erronea convinzione che garantisca un maggior benessere o che faccia dimagrire – spiega Giuseppe Di Fabio, presidente AIC – Nessuna ricerca ha finora dimostrato qualsivoglia effetto benefico per i non celiaci nell’alimentarsi senza glutine, anzi. Gli studi scientifici stanno ampiamente dimostrando che in chi non è celiaco l’esclusione del glutine è inutile».
I numeri dell’influenza: +15% i morti over 65
Anziani, Associazioni pazienti, News PresaIn tutta Europa la stagione influenzale appena terminata è stata particolarmente aggressiva con gli anziani. Un bilancio triste che rivela come negli over 65 si sia avuto infatti un 15% in più di morti attribuibili all’influenza rispetto all’atteso. Un dato che pone il nostro Paese primo in Europa. La conferma arriva dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss), sulla base di quanto raccolto dai numeri del network europeo Euromomo. C’è stato un “incremento del numero di decessi attribuibili all’influenza nella Terza Età pari al 15% – commenta Caterina Rizzo, epidemiologa Iss – rispetto a quelli attesi”.
In particolare, osservando i dati, nella settimana del picco epidemico si è arrivati al 42%.
I numeri sono sconfortanti perchè quest’anno è circolato anche il virus H3N2, ”che colpisce soprattutto gli anziani. Se ci fosse stata una copertura vaccinale migliore, parte di queste morti si sarebbe potuta evitare”. Gli altri paesi in cui si è avuto un aumento di morti tra gli anziani sono Francia, Spagna e Portogallo. Complessivamente, secondo i medici sentinella dell’Iss, gli italiani colpiti da sindromi simil-influenzali sono stati 5.441.000, 34mila nella ultima settimana. Insomma, l’unico strumento capace di invertire la tendenza per gli anni futuri sarà un buon piano vaccinale. È proprio su questo punto che insistono maggiormente gli specialisti del settore sanitario, sia dal punto di vista di una corretta informazione che di una maggiore organizzazione strutturale e consapevolezza.
Incendio sito di stoccaggio: nessun rischio di avvelenamento
News Presa, PrevenzioneUn incidente che ha fatto sprigionare una nube tossica a Pomezia, vicino Roma. L’episodio è accaduto questa mattina, così l’esperto ha cercato di spiegare quali rischi si corrono in questi casi. La buona notizia è che la popolazione non corre nessun rischio di avvelenamento da fumi, ma potrebbero verificarsi soltanto eventuali problemi di irritazione delle vie respiratorie, ma solo se si dovesse sostare nelle vicinanze del rogo per un tempo prolungato. Sono questi i rischi per le persone legati all’incendio del sito di stoccaggio di rifiuti industriali sulla Pontina, vicino a Roma, che da stamani tiene impegnati i Vigili del fuoco. A sottolinearlo è appunto il tossicologo Paolo Soave, del Centro antiveleni del Policlinico Gemelli di Roma, intervistato dall’Ansa.
“Dalle notizie che si hanno, i materiali andati a fuoco sarebbero plastiche, carta e ferro. Per questo tipo di materiali non sussiste – afferma l’esperto – un rischio di avvelenamento”.
Se esiste invece, un rischio, chiarisce, “è invece quello che possano verificarsi delle intossicazioni da fumo con problemi alle vie respiratorie, come tosse e asma soprattutto per i bambini e gli anziani. Ciò perchè il contatto del fumo con le prime vie respiratorie ha un effetto irritante”.
Tuttavia, tranquillizza il tossicologo, “in questo caso mi pare che i rischi siano minimi: il pericolo, infatti, è concreto nel momento in cui si sosti in prossimità dell’incendio e per molto tempo, respirando dunque direttamente e a distanza ravvicinata il fumo sprigionato. La popolazione, al contrario, è tenuta a distanza di sicurezza, è stato detto di tenere chiuse le finestre e le scuole nell’area sono state chiuse. I rischi – ribadisce – credo dunque siano contenuti”. Diverso sarebbe invece l’effetto se ad andare a fuoco fossero sostanze “più pericolose – rileva Soave – ma di altra tipologia.
In questo caso, tali sostanze potrebbero essere assorbite ed andare in circolo nell’organismo, con il rischio di determinare tachicardia e stati confusionali. Ciò accade, però, per sostanze molto tossiche, e non sembra essere questo il caso”.
In conclusione, il consiglio da dare alla popolazione, quindi, rileva il tossicologo, “è sicuramente quello di mantenersi a distanza dal rogo in atto e mettersi in una posizione controvento. Infatti – conclude – maggiore è la quantità di fumo che viene respirata, maggiore è il rischio di sviluppare irritazione e problemi respiratori”.
Trenta primari per il Cardarelli. Verdoliva: «Si volta pagina»
News PresaFirmate le delibere per far sì che al Cardarelli arrivino entro sei mesi al massimo ben 30 nuovi primari. La decisione è stata presa dal direttore generale Ciro Verdoliva, che assicura: «Faremo in modo che i tempi siano rispettati». E poi aggiunge: «Dopo aver ricevuto il via libera dalla Regione siamo ora pronti a voltare pagina anche su un tema tanto importante per l’assistenza ai cittadini». L’obiettivo è quello di «valorizzare il merito, dare spazio a chi ha i titoli per ambire alla direzione di un’Unità Operativa Complessa» per «rilanciare ancor più la nostra offerta sanitaria. Nessuna azienda ospedaliera, men che mai il Cardarelli, può proseguire in un cammino d’eccellenza mortificando la professionalità dei medici con ruoli provvisori. Ecco perché la nostra Azienda mira a definire i più alti profili che vi siano a livello nazionale, andando a potenziare così un organico che già oggi è di assoluto primo piano». Mettere in campo azioni concrete per voltare rapidamente pagina è del resto il mandato che il presidente della Giunta Regionale Vincenzo De Luca ha assegnato ai manager al momento delle nomine, così da fare in modo che i cittadini campani possano avere una sanità d’eccellenza. «Questo – conclude il direttore generale – è l’obiettivo che anima ogni giornata della grande famiglia dei cardarelliani».
Le delibere
In gioco, come detto, c’è la direzione di 30 unità operative complesse. Chirurgia d’urgenza, Medicina, Chirurgia epatobialiare e trapianto fegato, Rianimazione, Terapia intensiva, Grandi ustionati, Chirurgia toracica, Gastroenterologia, Pneumologia, Pneumologia e fisiopatologia respiratoria, Chirurgia 3, Epatologia, Nefrologia, Unità di medicina nucleare, Terapia intensiva fegato, Cardiologia riabilitativa, Patologia clinica, Terapia intensiva post operatoria, Farmacia, Anatomia patologica, Lungodegenza. E ancora, Appropriatezza ed epidemiologia clinica e valutativa, Radiologia vascolare e interventistica, Genetica medica e di laboratorio, neurofisiopatologia, ematologia con trapianto, Terapia intensiva neonatale, Immunologia e medicina trasfusionale, Servizio infermieristico tecnico riabilitativo (Sitr), Programmazione sanitaria e infine Formazione, ricerca e cooperazione internazionale.
Il tweet di De Luca
Il governatore della Campania in un tweet afferma «#Sanità: concorsi per 30 primari al Cardarelli. Bisogna scegliere i migliori professionisti d’Italia e d’Europa. E’ già questa una rivoluzione».E ovviamente il suo commento non è l’unico, sulla decisione del direttore generale si sono espressi i pezzi da novanta della sanità campana.
L’Ordine dei Medici
Silvestro Scotti, leader dei camici bianchi di Napoli e provincia ha parlato di «buona notizia», «un segnale positivo per tutti i medici. Sia per quelli che da tempo sono al servizio dei pazienti, spesso dovendo sopportare condizioni di lavoro estremamente penalizzanti e senza il dovuto riconoscimento, sia per i giovani che ambiscono ad indossare il camice». «Una volta tanto – dice Scotti – arriva dalla nostra sanità un soffio di aria nuova. Lo è certamente per i più di 400 giovani medici che lunedì presteranno il Giuramento di Ippocrate. Sono certo che questa notizia darà speranza e forza anche a loro, che di strada da fare ne hanno ancora tanta».
Il presidente della V commissione Sanità
Raffaele Topo, parla di «scelta giusta e anche obbligatoria. Servirà a garantire una sanità di eccellenza, valorizzando il merito». «La procedura concorsuale – aggiunge – servirà a passare definitivamente dallo stato di provvisorietà a quello di stabilità per quanto riguarda i primari. È una scelta finalizzata al superamento degli incarichi temporanei (ex art. 18), e soprattutto necessaria dopo lo sblocco di più di 2000 assunzioni nella sanità campana. Si tratta di un importante passo in avanti fondamentale per migliorare la qualità dell’assistenza soprattutto nelle aziende ospedaliere campane. Una scelta – conclude il presidente – auspicata da tempo da tutte le forze politiche».
Morbillo, situazione critica da Nord a Sud
News PresaEpidemia di morbillo, da Nord a Sud è allarme rosso.A Roma in 4 mesi, vale a dire dal primo gennaio al primo maggio 2017, all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma i ricoveri di bambini colpiti dal morbillo si sono più che decuplicati rispetto allo stesso periodo del 2016. Sono infatti passati da 4 nel 2016 a 47. A sottolineare all’Ansa la gravità del fenomeno è il presidente della Società italiana di pediatria (Sip), nonché responsabile del reparto Pediatria generale e malattie infettive dell’ospedale Bambino Gesù, Alberto Villani.
Aumentano i casi
«Il calo della copertura vaccinale per il morbillo – ha affermato Villani – sta portando, come previsto, ad un aumento dei casi. La malattia si diffonde ma è da tempo che le società scientifiche hanno messo in guardia: l’aumento dei casi è un dato atteso e frutto di una disattenzione collettiva». Dei 47 ricoveri registrati al primo maggio, precisa Villani, «18 presentavano complicanze e oltre la metà, pari a 25, hanno riguardato bambini molto piccoli sotto l’anno di età e che, quindi, non potevano essere già vaccinati». In particolare, rileva, «4 ricoveri hanno riguardato bimbi sotto il mese di vita».
Campania maglia nera
Grave in tutto il paese, la situazione sembra particolarmente critica in Campania. A lanciare l’allarme sono stati di recente i medici della Fimmg Napoli. «Le coperture per molte malattie sono sotto la soglia di sicurezza – avevano avvertito i leader provinciali Corrado Calamaro e Luigi Sparano -, se non si programma adesso il prossimo anno potremmo rischiare un’epidemia». Servono azioni che «non possono non riconoscere la centralità dei medici di famiglia». Il tema dei vaccini torna di grande attualità anche perché a breve andrà fatta la ricognizione sul fabbisogno della prossima campagna vaccinale. «Sbagliare adesso – dicono Calamaro e Sparano – significherebbe trovarsi domani con un grosso problema da affrontare».
Il ruolo dell’informazione
In fatto di vaccini malattie come il morbillo stanno assumendo contorni critici a causa della scarsa informazione e delle «false notizie». «Sono molti i nostri assistiti – concludono i leader provinciali della Fimmg – che temono effetti collaterali in realtà inesistenti e che per questo tendono a non vaccinarsi. Un grosso problema è legato all’effetto del passaparola sui social, dove le fonti sono del tutto inaffidabili e il sentito dire rischia di essere considerato come una verità assoluta».
Vaccini, polemica infinita. E il New York Times attacca Grillo
News PresaIl tema dei vaccini è tornato prepotentemente alla ribalta con il caso dell’infermiera trevigiana accusata di aver solo finto la somministrazione di vaccini a bimbi del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. La donna, come riportato dall’Ansa, in un intervista su Il Gazzettino si è detta sorpresa, ma la task force messa in campo dalle Istituzioni ha convocato 7.000 famiglie per un richiamo.
L’intervista
La stima di metà bambini scoperti dalla profilassi in FVG, per la donna «è sicuramente un’anomalia che non so spiegarmi. So però per certo che può bastare uno sbalzo di temperatura per far perdere efficacia a un vaccino». Sottolinea inoltre che a Udine, a differenza di Treviso «non c’è un confronto con i dati delle mie colleghe. Se anche per loro le percentuali fossero simili alle mie non ci sarebbe più un’anomalia». L’assistente ribadisce quindi di essere «sempre stata favorevole, e lo sono ancora, alle vaccinazioni. Dovrebbero poi spiegarmi perché e con quali criteri avrei scelto i bambini da vaccinare rispetto a quelli da non vaccinare», e di avere «la coscienza a posto. So di aver fattos empre il mio dovere durante le vaccinazioni. Ho seguito i protocolli con scrupolo, eseguendo le operazioni con professionalità perché le ritenevo giuste».
Polemica internazionale
Ad occuparsi della vicenda vaccini scoppiata in Italia è addirittura il New York Times che titola su «Populismo, politica e morbillo» in un editoriale che punta il dito contro il Movimento 5 stelle ed ammonisce sul pericolo delle «bugie, le teorie cospirative e le illusioni diffuse dai social media e dai politici populisti’». Tra gli esempi citati, l’opposizione ai vaccini che ha portato a una grave diffusione di morbillo in Italia e in alcuni altri Paesi europei. Il giornale ricorda che anche il presidente americano Donald Trump ha alimentato lo scetticismo sui vaccini, assecondando spesso l’ipotesi – infondata secondo la scienza – di un legame tra le vaccinazioni e l’autismo.
Tumore del pancreas, nasce il network campano
News Presa, Ricerca innovazioneIl tumore del pancreas è il secondo più diffuso e purtroppo il più delle volte è fatale. Spesso le diagnosi arrivano infatti in ritardo e le possibilità di cura sono limitate. Per questa neoplasia in Campania si registrano il 10% circa di tutti i casi italiani e a tutt’oggi è una delle maggiori cause di migrazione sanitaria. Ora però all’ombra del Vesuvio nasce una Piattaforma Regionale per lo Studio e la cura delle neoplasie pancreatiche, grazie alla collaborazione tra l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e la relativa Azienda Ospedaliera Universitaria, la Società Italiana di Patologia dell’Apparato Digerente – SIPAD e la Società Italiana di Chirurgia Oncologica – SICO. Piattaforma che sarà presentata 12 maggio durante il convegno dal titolo «I Tumori pancreatici: Stato dell’Arte e Prospettive in Regione Campania».
Il network
L’obiettivo è quello di arrivare in breve ad un sistema che consenta l’analisi epidemiologica dei dati mediante l’impiego di questa piattaforma elettronica, la condivisione delle competenze dei Centri afferenti, il tentativo di rendere omogenei i protocolli di diagnosi e cura, la facilità di accesso ai PDTA ed infine un’attività scientifica di ricerca e pubblicazione dei dati stessi. «Ci auguriamo una sensibilizzazione sociale, delle forze politiche ed amministrative sanitarie – spiega Giovanni Conzo, docente della Scuola di Medicina dell’Università Vanvitelli – per favorire la collaborazione delle strutture assistenziali campane. Sarà così possibile valorizzare le risorse professionali ponendo al centro di un lavoro di equipe multidisciplinare il paziente e fornire la migliore risoluzione in tempi brevi nel tentativo di arginare il fenomeno migratorio».
Un nemico silenzioso
Il pancreas è una ghiandola che produce l’insulina e altri ormoni che, dopo essere entrati in circolo, raggiungono tutto l’organismo e servono per usare o immagazzinare l’energia derivante dagli alimenti; l’insulina, ad esempio, contribuisce al controllo del glucosio nel sangue. Nelle fasi iniziali, un tumore nel pancreas di solito non causa alcun sintomo, ed è proprio per questo motivo che spesso la diagnosi è tardiva. I primi sintomi evidenti di cancro del pancreas sono spesso: dolore alla schiena o all’altezza dello stomaco, che possono andare e venire, peggiorando quando ci si sdraia e dopo mangiato, inspiegabile perdita di peso, ittero (ingiallimento della pelle e del bianco degli occhi), urine di colore giallo scuro o arancione scuro e le feci di colore chiaro.