Tempo di lettura: 3 minutiNel mondo, quasi il 25% della popolazione e in Italia una fetta stimata tra il 23 e il 26% ha sintomi da reflusso gastroesofageo, almeno due o più volte a settimana. Questa condizione provoca bruciore retrosternale o pirosi, rigurgito e percezione di dolore retrosternale. I sintomi sono dovuti al passaggio retrogrado di contenuto gastrico nell’esofago, o come dicono gli anglosassoni, “too acid in the wrong place”, cioè troppo acido nel posto sbagliato. Il tema è stato affrontato dalla Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), durante il 30° Congresso Nazionale delle Malattie Digestive a cura della Federazione italiana delle società delle malattie dell’apparato digerente (Fismad), appena concluso.
Cause del reflusso gastroesofageo
“I soggetti che ne soffrono non sono ipersecretori di acido ma hanno praticamente una perdita dei fisiologici meccanismi che impediscono il passaggio di contenuto gastrico nell’esofago”, spiega Nicola De Bortoli, professore di Gastroenterologia dell’Università di Pisa. “Tutti noi – continua – abbiamo una minima quantità di reflussi durante la giornata, che sono fisiologici e come tali non sono percepiti. Quando si sviluppano sintomi questi devono essere indagati per ottenere una diagnosi per quanto possibile precisa e corretta”. Fra i fattori di rischio della malattia da reflusso gastroesofageo si annoverano il sovrappeso, l’obesità e il fumo di tabacco.
Sono state illustrate le più recenti linee guida della Consensus di Lione (giunta alla versione 2.0), che coinvolge come italiani co-autori lo stesso De Bortoli e il professor Edoardo Savarino dell’Università degli Studi di Padova, che invitano a eseguire una diagnosi oggettiva della malattia da reflusso gastroesofageo e una terapia medica con inibitori di pompa protonica solo per i pazienti realmente affetti. Per questo, le stesse Linee guida parlano di “Actionable GERD”, ovvero eseguire una diagnosi corretta della malattia, basata su parametri oggettivi e quindi ritagliare al meglio la terapia per ogni singolo paziente.
Falsi miti sulla dieta
“Dal punto di vista alimentare – osserva il professor De Bortoli – diciamo che nel corso degli anni è stata consigliata l’eliminazione di alimenti definiti “trigger” in modo abbastanza opinabile. In passato è stato suggerito di non mangiare agrumi e pomodoro, non consumare caffè, menta, cioccolato, cipolla, aglio, etc. Oggi possiamo dire che tutto questo non è mai stato supportato da evidenza scientifica. Le recenti linee guida statunitensi dell’American College of Gastroenterology ci dicono che non ci sono degli alimenti trigger per definizione, piuttosto il soggetto deve individuare nella propria alimentazione quelli che sono i cibi che gli evocano più facilmente i sintomi e quindi eliminarli o ridurne il consumo”.
Italiani, dieta e reflusso gastroesofageo
In primo luogo, la dieta Mediterranea e le indicazioni alimentari dell’Oms sul consumo di frutta e verdura, diminuirebbero i tassi di prevalenza della malattia. Inoltre, sulla base dei dati scientifici, un ridotto apporto di proteine animali nella dieta (senza distinguere tra carne rossa e bianca) è consigliabile, come pure un uso moderato di vino (125 ml a pasto) non presenta controindicazioni. “Quel che è certo – osserva il docente – è che un elemento importante è il peso corporeo. Se un soggetto è affetto da sovrappeso come primo approccio deve necessariamente ridurre, anche solo del 10% in sei mesi, il peso corporeo per guadagnare un migliore controllo dei sintomi e una riduzione della necessità del consumo di farmaci”.
Diagnosi e terapia per il reflusso
Le Linee guida internazionali sottolineano che le persone con pirosi, rigurgito e dolore toracico possono essere potenzialmente affette da malattia da reflusso, dove però è determinante che il dolore toracico non sia di origine cardiaca, escludendo patologie cardiovascolari. Già il medico di medicina generale può suggerire una terapia cosiddetta di primo livello con inibitori di pompa protonica a dose standard per 4-8 settimane, se ha pirosi, rigurgito e dolore toracico. Terapia che va ridotta nel giro di un paio di mesi mediante un lento e progressivo tapering.
“Nel caso il soggetto vada incontro ad una recidiva – continua –, è necessario fare una diagnosi oggettiva che prevede la prescrizione, previa visita gastroenterologica, di un’endoscopia digestiva superiore da eseguire dopo la sospensione di farmaci inibitori di pompa protonica per almeno 3-4 settimane. In caso di endoscopia negativa, dobbiamo approfondire il quadro mediante esami di fisiopatologia esofagea. Se invece il soggetto dopo l’endoscopia presenta una diagnosi di esofagite medio-severa (Classificazione di Los Angeles di grado B, grado C e D) allora si può confermare la diagnosi. In alternativa, il soggetto deve eseguire una manometria esofagea e una pH-impedenzometria delle 24 ore, al fine di evidenziare la presenza di una esposizione patologica all’acido”.
Opzioni chirurgiche
La terapia chirurgica ha un ruolo importante, soprattutto grazie a due tipologie d’intervento che hanno confermato la loro efficacia a distanza di più di cinque anni. La chirurgia ad oggi è sicuramente la prima opzione nei pazienti affetti dalla malattia da reflusso di tipo refrattario, ovvero in coloro che presentano sia i sintomi sia l’esposizione patologica all’acido, nonostante una ottimale terapia medica anti-reflusso.
Reflusso e co-morbidità
Nel corso degli anni è stata dimostrata da alcuni studi eseguiti mediante utilizzo di questionari sintomatologici – e poi vista nella realtà -, la sovrapposizione della malattia da reflusso gastroesofageo con la sindrome dell’intestino irritabile oppure con la dispepsia. “Infine – conclude il professor de Bortoli – quando i pazienti presentano una sintomatologia extra-esofagea (tosse, raucedine, globo faringeo, mal di gola, etc..) dovremo in prima istanza escludere altre cause e poi indagare l’eventuale presenza di una malattia da reflusso”.
Alcol, in Italia 500mila con cirrosi, molti senza diagnosi
NewsAnche un consumo moderato di alcol, compreso il vino, specie fra i giovani, impatta sulla salute del fegato. In particolare aumenta il rischio di epatopatie, sia acute che croniche. In occasione della Giornata della Prevenzione Alcolica, la Società Italiana di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva (SIGE) si è unita alle iniziative globali per aumentare la consapevolezza sui rischi legati all’alcol.
Alcol e rischi
L’alcol è tra i primi fattori di rischio per la salute a livello globale. “Anche quantità moderate di alcol possono danneggiare il fegato o accelerare la progressione di malattie epatiche già presenti come la steatosi epatica non alcolica fino alla cirrosi e al cancro del fegato”, afferma la Professoressa Carmelina Loguercio, Docente presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, recentemente insignita di un Premio alla carriera dalla SIGE.
“Riguardo all’alcol, l’unico strumento per i pazienti è l’astinenza dall’alcol – conferma il professor Domenico Alvaro, ordinario di Gastroenterologia e preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’Università di Roma La Sapienza – obiettivo che purtroppo è difficile da raggiungere”.
Sulle malattie epatiche avanzate da alcol, “ se fino a pochi anni fa, per i pazienti con consumo attivo il trapianto era un tabù, oggi si sta cambiando atteggiamento, anche se purtroppo in vari centri trapianti il paziente non completamente astinente non viene trapiantato. I dati attuali ci dicono che i famosi sei mesi di astinenza da alcol non sempre sono obbligatori per poter mettere un paziente con malattia avanzata di fegato in lista trapianto. Si è visto che in caso di malattia acuta subcronica da alcol, il trapianto può essere comunque consigliato perché i dati a lungo termine ci dicono che comunque si riduce in maniera significativa la mortalità”.
Stile di vita
In Italia, il consumo di vino è spesso legato a momenti conviviali e a una tradizione culturale. Tuttavia, secondo gli studi, nessun livello di consumo alcolico è completamente sicuro per la salute. Studi recenti indicano che anche piccole quantità di alcol possono impattare a lungo termine, soprattutto se il consumo inizia in giovane età. I dati pubblicati in questi giorni da Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità (Ona-Iss) mostrano come nel 2022 circa 8 milioni di italiani di età superiore a 11 anni (pari al 21,2% degli uomini e al 9,1% delle donne) hanno bevuto una quantità di alcol tale da mettere la propria salute a rischio. Inoltre, sono 3milioni e 700 mila le persone che hanno bevuto per ubriacarsi e per 770mila italiani il consumo di alcol è stato così alto da provocare un danno a livello fisico o mentale.
Cirrosi epatica
In Italia il numero di pazienti affetti da cirrosi epatica non è noto con certezza. Nel 2022 una prima stima del numero di pazienti con diagnosi nota di cirrosi epatica ne valuta circa 180.000 – dati Associazione Epac.it. “Se parliamo della fase avanzata, cioè di cirrosi epatica, si stima che in Italia esistano in realtà circa 500.000 soggetti, diagnostici e non, con cirrosi, come dato di prevalenza. Una grossa parte di questi probabilmente rappresenta la parte nascosta dell’iceberg ma attualmente possiamo dire che su 500.000 circa la metà sono di eziologia alcolica e l’altra metà sono legate alla sindrome metabolica, ovviamente escludendo le cause virali che sono in netta discesa” – precisa il professor Domenico Alvaro.
Il rischio è particolarmente elevato tra i giovani, dove stili di vita scorretti possono promuovere comportamenti di consumo alcolico progressivamente dannoso per la salute globale. ” È fondamentale, pertanto, intervenire precocemente sulle abitudini del consumo alcolico fra i giovani, promuovendo stili di vita salutari e informando sulle potenziali conseguenze negative”, sottolinea la professoressa Loguercio.
“Ci sono due cause di malattia epatica che continuano a crearci grossi problemi. Il primo è l’alcol, l’altra è la sindrome metabolica, quest’ultima in progressivo aumento d’incidenza. Di fatto, non ci sono evidenze di una riduzione di consumo di alcol, soprattutto tra i giovani, cosa che rappresenta un problema sociale enormemente importante anche nelle fasce medie o alte di età, soprattutto nel Nord Italia – interviene il professor Domenico Alvaro. – L’alcol rappresenta ancora oggi una delle principali cause di malattie epatiche e la disassuefazione dall’alcol è un reale problema che richiede una gestione multidisciplinare del paziente”.
Gli specialisti della SIGE chiedono azioni preventive attraverso campagne informative e politiche pubbliche che sostengano l’educazione al rischio alcolico, in particolare tra i giovani e durante gli eventi sociali e culturali.
“La prevenzione è la nostra migliore alleata nella lotta contro le epatopatie, specie quelle legate all’alcol. Infatti, solo attraverso la consapevolezza e l’educazione possiamo sperare di ridurne l’incidenza”, conclude la prof.ssa Loguercio.
La sanità punta sulle nuove tecnologie
Ricerca innovazioneUna nuova tecnologia arricchisce le dotazioni dell’Azienda Ospedaliera dei Colli di Napoli. È stata installata, presso l’Unità Operativa Complessa di Radiologia dell’Ospedale Monaldi di Napoli, diretta da Tullio Valente, la nuova Cardio TC. Un’apparecchiatura di ultimissima generazione, acquistata con un finanziamento Por Fesr di oltre 2 milioni di euro, che consentirà di migliorare il già altissimo livello di prestazioni offerte agli utenti affetti da patologie cardiache, attraverso l’esecuzione di Tac ad altissima risoluzione utili a valutare patologie quali la miocardite acuta, cardiomiopatie ed infarto miocardico con coronarie normali.
Ammodernamento
Questa nuovissima apparecchiatura, la prima ad essere installata in una struttura sanitaria pubblica della Campania, coniuga altissima definizione delle immagini, precisione e rapidità di esecuzione. Fattori determinanti in presenza soprattutto di pazienti non collaboranti o con problemi cardiovascolari, ai quali sarà possibile effettuare l’esame diagnostico senza dover somministrare farmaci per rallentare il battito cardiaco.
È bene sottolineare che la nuova Cardio TC è solo l’ultima delle acquisizioni volute dal direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, Anna Iervolino, nell’ambito di un ambizioso piano di rinnovamento tecnologico che prevede investimenti complessivi per oltre 8 milioni di euro a valere su fondi comunitari e PNRR.
«L’innovazione avanza a passi da gigante – sottolinea il direttore generale Anna Iervolino – per questo è imperativo che le strutture ospedaliere adottino un approccio proattivo nei confronti dell’ammodernamento tecnologico. L’Azienda Ospedaliera dei Colli ha una consolidata expertise in ambito cardiopolmonare e, con questa nuova acquisizione, potenziamo l’offerta assistenziale per i nostri pazienti, confermandoci un centro di riferimento nazionale per lo studio e la cura delle patologie cardiovascolari».
I fondi
Sempre per l’ammodernamento tecnologico dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, inoltre, è stato investito oltre un milione di euro per potenziare la diagnostica dei presidi ospedalieri Monaldi e CTO con l’installazione di sistemi radiografici di ultimissima generazione, che consentono di effettuare esami radiografici con e senza mezzo di contrasto, e altre apparecchiature RX interventistiche (Arco a C), indispensabili per eseguire indagini radiografiche durante gli interventi chirurgici e ortopedici. Altri 500mila euro sono stati investiti a valere su fondi PNRR per l’installazione di due angiografi fissi digitali di ultima generazione per il potenziamento della cardiologia interventistica. Importante anche l’investimento effettuato di circa 1 milione di euro, sempre a valere sui fondi POR-FESR, per l’acquisto di 20 sistemi di ultima generazione per la gestione anestesiologica dei pazienti che sono in fase di installazione in altrettante sale operatorie.
Povertà sanitaria, in troppi rinunciano alle cure
NewsAttraverso la lente dei social, il nostro è realmente il Bel Paese: una vita fatta cene eleganti, balletti in spiaggia e auto di lusso. Ma le storie sui social, si sa, spariscono in fretta, e quando l’obiettivo dello smartphone si spegne e il cellulare torna in tasca, o in borsa, emerge una realtà ben più dura. Compare allora, in quel preciso istante, un’Italia molto diversa, nella quale circa 4,5 milioni di cittadini sono costretti a rinunciare a visite mediche o accertamenti diagnostici per problemi economici, di lista di attesa o difficoltà di accesso.
Povertà sanitaria Istantanea di un dramma
Non è quindi una “storia”, bensì un’istantanea, a tracciare i contorni di un Paese nel quale sono sempre più i cittadini che vivono un vero e proprio dramma. A certificarlo è l’ultimo Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat. L’istantanea di questo dramma parla di un raddoppio della quota di chi ha rinunciato alle visite o agli esami per problemi di lista di attesa (da 2,8% nel 2019 a 4,5% nel 2023). Resta stabile la rinuncia per motivi economici (da 4,3% nel 2019 a 4,2% nel 2023), ma comunque in aumento rispetto al 2022: +1,3 punti percentuali in un solo anno.
Viaggi della speranza
Colpisce il flusso di quanti sono spinti a lasciare le regioni del Sud per trovare assistenza in quelle ben più ricche del Nord. L’emigrazione ospedaliera extra-regione torna insomma ai livelli pre-Covid: nel 2022 l’8,3% dei ricoveri in regime ordinario per acuti. Stando al rapporto: Basilicata, Calabria, Campania e Puglia sono le regioni con maggiori flussi in uscita non compensati da flussi in entrata; in Sicilia e Sardegna, sebbene l’indice di emigrazione ospedaliera sia contenuto, è molto superiore all’indice di immigrazione ospedaliera.
Presa in carico
Risulta in continuo aumento la quota di anziani assistiti in Assistenza domiciliare integrata (Adi), dal 2,9% nel 2019 al 3,3% nel 2022, ma resta una forte variabilità territoriale: dal 3,8% nel Nord-est al 2,6% al Sud. Se si considera anche l’assistenza residenziale, rimane il Nord-est l’area con la maggiore presa in carico di anziani fragili (6,2% nel 2021) e il Sud con quella più bassa (2,8% nel 2021). Dati che dovrebbero far riflettere sul progetto di dar vita ad una autonomia differenziata, che in sanità rischia di avere conseguenze molto serie.
Cervicite, un’infezione da non sottovalutare
NewsCervicite Cos’è
Semplificando un po’ si può dire che cervicite è l’infiammazione della cervice uterina (più nota come collo dell’utero) che è poi la parte inferiore dell’utero. La cervice ha una forma che ricorda quella di un cono ed è percorsa da un canale, il canale cervicale, che mette in comunicazione questa cavità con la vagina. Il problema di questa malattia, che ha una natura infettiva, è che i suoi sintomi non sono specifici e quindi non è smepre facile ricondurli all’infezione.
Cervicite Le cause
Cervicite Sintomi
La cervicite può manifestarsi con sintomi quali:
• sanguinamenti vaginali successivi a rapporti sessuali
• sanguinamenti vaginali tra cicli mestruali
• secrezioni vaginali di tonalità chiara
• dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali)
• dolore vaginale
Cosa fare?
Se la causa dell’infiammazione è identificata, il trattamento mirato può favorire la risoluzione dell’infiammazione della cervice uterina. La terapia antibiotica si utilizza in caso di clamidia, gonorrea e infezioni da micoplasma, la tricomoniasi risponde al metronidazolo e le infezioni da herpes virus richiedono l’uso di antivirali.
Prevenzione
Per quanto riguarda la prevenzione della cervicite, come è facile intuire, l’unica strada è quella di avere rapporti sessuali protetti dall’uso del preservativo ed evitare il contatto con sostanze irritanti che potrebbero alterare l’equilibrio della flora batterica vaginale, favorendo le infezioni.
Metodi contraccettivi
Quello che spesso si ignora è che anche l’uso del diaframma o di altri metodi contraccettivi può essere associato all’insorgenza dell’infiammazione cervicale. Le reazioni allergiche ai spermicidi o al lattice dei preservativi possono sicuramente provocare situazioni di cervicovaginite. Inoltre, l’impiego del diaframma, del pessario e l’eccessivo utilizzo di lavande vaginali, detergenti intimi o terapie locali prolungate possono altrettanto contribuire all’insorgenza dell’infiammazione. Nella cura di questa malattia è essenziale coinvolgere anche il partner per evitare che l’infezione poi ritorni.
Cos’è e come si può affrontare la poliposi nasale
News Presa, PodcastComunemente viene definita poliposi nasale e non di rado il suo esordio può essere confuso con una semplice allergia o con un raffreddore insistente. Non è così. Si tratta infatti di una patologia molto complessa, legata ad un’infiammazione di Tipo 2 e può portare addirittura alla perdita dell’olfatto. Per fare chiarezza su questa condizione e spiegare qual è il modo migliore di affrontare il problema, il network editoriale PreSa ha scelto di far intervenire ai microfoni di Radio Kiss Kiss il professor Ignazio La Mantia, Direttore dell’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria dell’Azienda Policlinico di Catania. L’appuntamento è per sabato 27 aprile (in onda nella fascia oraria tra le 08.00 e le 09.00). Stay Tuned!
“Contenuto realizzato da Radio KissKiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Cos’è e come si può affrontare la poliposi nasale
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“Contenuto realizzato da Radio KissKiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Come risolvere l’allergia agli animali domestici
PrevenzionePer chi soffre di allergia anche la compagnia di un cane o di un gatto può essere un problema. Le allergie agli animali domestici sono sempre più comuni, sia nei bambini che negli adulti e possono essere scatenate da una varietà di allergeni presenti nella saliva, nella forfora e persino nelle feci degli animali. Proviamo però ad esplorare le cause, i sintomi e soprattutto i trattamenti che possono aiutare a gestire efficacemente le allergie agli animali domestici.
Cause e sintomi
Le reazioni allergiche agli animali domestici sono principalmente scatenate dalle proteine presenti nella saliva, nella forfora e nelle secrezioni corporee degli animali come cani, gatti o altri animali da compagnia. Questi allergeni possono scatenare una risposta eccessiva del sistema immunitario, che porta a sintomi che vanno dalla semplice rinite allergica all’asma. I sintomi più comuni sono: naso chiuso o che cola, starnuti, prurito agli occhi e alla gola e, nei casi più gravi, attacchi di asma. Le persone allergiche ai gatti tendono a sperimentare reazioni più immediate e intense, mentre le reazioni allergiche ai cani e ad altri animali possono variare nella gravità.
Trattamenti e gestione
Se c’è il sospetto di un’allergia ad un animale domestico è importante consultare un allergologo per una valutazione accurata. Due dei test più comuni per confermare l’allergia sono il prick test e la ricerca di IgE specifiche nel sangue. La conferma di un’allergia non significa dover rinviare ad un cane o ad un gatto. Certo, è importante adottare misure per gestire i sintomi e ridurre l’esposizione agli allergeni degli animali. Come? in primis con la pulizia regolare dell’ambiente domestico, il lavaggio frequente dell’animale e l’uso di sistemi di purificazione dell’aria.
Colliri o spray
Per alleviare i sintomi allergici, possono essere prescritti antistaminici orali, colliri o spray nasali a base di cortisonici. Inoltre, l’immunoterapia allergene specifica, comunemente conosciuta come “vaccino”, può essere raccomandata per allenare il sistema immunitario a tollerare gli allergeni degli animali. Quindi, anche se le allergie agli animali domestici possono essere fastidiose e debilitanti, con la giusta gestione e trattamento, è possibile vivere in armonia con i propri amici a quattro zampe. L’importante è affidarsi ad un bravo allergologo e adottare tutte le misure preventive che possono aiutarci a ridurre il contatto con gli allergeni.
Malattia di Chagas, l’allerta dello Spallanzani
PrevenzioneTenere alta l’attenzione sulla malattia di Chagas, malattia tropicale che può avere importanti ripercussioni sulla salute. A chiederlo è l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani. La Chagas rientra infatti tra quelle dimenticate per l’assenza di farmaci pediatrici, l’assenza di farmaci approvati in Europa, la difficoltà di reperire test diagnostici e la progressiva riduzione dei fondi di ricerca in Italia e a livello globale.
Cos’è
La malattia di Chagas, detta anche tripanosomiasi americana, è una malattia infettiva causata da un parassita trasmesso all’uomo principalmente dalla puntura di una cimice che vive nelle zone rurali dei paesi endemici dell’America Latina, che in alcuni soggetti può causare gravi complicanze a livello intestinale e cardiaco anche a distanza di decine di anni.
Screening
Il test di screening consiste in un semplice prelievo di sangue che viene analizzato per la ricerca degli anticorpi specifici contro questa patologia. Può essere eseguito senza necessità di prenotazione prorpio presso il Padiglione Di Raimondo dell’Inmi Spallanzani dal lunedì al sabato dalle 7.30 alle 11.00 presentando prescrizione del medico di famiglia.
Gravidanza
Il test è rivolto a persone originarie dell’America Latina ed è particolarmente raccomandato nelle donne in età fertile per poter impedire il passaggio dell’infezione dalla mamma al neonato, possibilità di trasmissione presente anche in Italia. Possono accedere al test anche persone che, per vari motivi, hanno soggiornato a lungo in un paese dell’America Latina. L’esecuzione del test permetterà di accedere alle cure, qualora vi fosse necessità.
In aumento gli ematomi subdurali cronici
PrevenzioneSi chiamano ematomi subdurali cronici e l’allarme degli specialisti è che sono in aumento. Con un’incidenza di circa 15 casi su 100.000 persone, colpiscono ogni anno circa 9.000 italiani. Una malattia neurologica che è evidentemente alimentata dall’invecchiamento della popolazione e dall’uso diffuso di farmaci anticoagulanti ed antiaggreganti.
L’incontro
Il tema è stato discusso ai messimi livelli in occasione di un incontro evento internazionale, organizzato dai dottori Mario Muto – Direttore della Neuroradiologia del Cardarelli – e Giuseppe Catapano – neurochirurgo presso l’Ospedale del Mare. Evento che ha riunito a Napoli i migliori esperti multidisciplinari nazionali e internazionali per discutere le più recenti strategie di trattamento di questa condizione medica complessa.
Gli esami
La diagnosi precoce è cruciale e attualmente si basa sull’esecuzione di una TAC cerebrale, che non solo identifica la presenza dell’ematoma subdurale, ma ne valuta anche l’entità, guidando così la scelta della migliore strategia terapeutica. Per molti anni, il trattamento chirurgico è stato l’opzione principale, nonostante il suo tasso di recidiva fino al 30% e le elevate controindicazioni chirurgiche, soprattutto nei pazienti anziani con comorbilità.
Soluzioni innovative
Tuttavia, negli ultimi 6 anni è emersa una promettente alternativa nella forma della tecnica endovascolare di embolizzazione dell’arteria Meningea Media. Questa tecnica non si propone come sostituto, ma come complemento al trattamento chirurgico, con l’obiettivo di migliorare gli esiti a lungo termine e talvolta offrendo l’unica opzione terapeutica. L’evento di Napoli è servito anche per fornire un aggiornamento completo su questa complessa patologia e sulle strategie di trattamento più recenti, offrendo una piattaforma di discussione e condivisione di conoscenze tra esperti nazionali e internazionali.
Reflusso, Sige: sfatati miti sui cibi tabù
Alimentazione, Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, Stili di vitaNel mondo, quasi il 25% della popolazione e in Italia una fetta stimata tra il 23 e il 26% ha sintomi da reflusso gastroesofageo, almeno due o più volte a settimana. Questa condizione provoca bruciore retrosternale o pirosi, rigurgito e percezione di dolore retrosternale. I sintomi sono dovuti al passaggio retrogrado di contenuto gastrico nell’esofago, o come dicono gli anglosassoni, “too acid in the wrong place”, cioè troppo acido nel posto sbagliato. Il tema è stato affrontato dalla Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), durante il 30° Congresso Nazionale delle Malattie Digestive a cura della Federazione italiana delle società delle malattie dell’apparato digerente (Fismad), appena concluso.
Cause del reflusso gastroesofageo
“I soggetti che ne soffrono non sono ipersecretori di acido ma hanno praticamente una perdita dei fisiologici meccanismi che impediscono il passaggio di contenuto gastrico nell’esofago”, spiega Nicola De Bortoli, professore di Gastroenterologia dell’Università di Pisa. “Tutti noi – continua – abbiamo una minima quantità di reflussi durante la giornata, che sono fisiologici e come tali non sono percepiti. Quando si sviluppano sintomi questi devono essere indagati per ottenere una diagnosi per quanto possibile precisa e corretta”. Fra i fattori di rischio della malattia da reflusso gastroesofageo si annoverano il sovrappeso, l’obesità e il fumo di tabacco.
Sono state illustrate le più recenti linee guida della Consensus di Lione (giunta alla versione 2.0), che coinvolge come italiani co-autori lo stesso De Bortoli e il professor Edoardo Savarino dell’Università degli Studi di Padova, che invitano a eseguire una diagnosi oggettiva della malattia da reflusso gastroesofageo e una terapia medica con inibitori di pompa protonica solo per i pazienti realmente affetti. Per questo, le stesse Linee guida parlano di “Actionable GERD”, ovvero eseguire una diagnosi corretta della malattia, basata su parametri oggettivi e quindi ritagliare al meglio la terapia per ogni singolo paziente.
Falsi miti sulla dieta
“Dal punto di vista alimentare – osserva il professor De Bortoli – diciamo che nel corso degli anni è stata consigliata l’eliminazione di alimenti definiti “trigger” in modo abbastanza opinabile. In passato è stato suggerito di non mangiare agrumi e pomodoro, non consumare caffè, menta, cioccolato, cipolla, aglio, etc. Oggi possiamo dire che tutto questo non è mai stato supportato da evidenza scientifica. Le recenti linee guida statunitensi dell’American College of Gastroenterology ci dicono che non ci sono degli alimenti trigger per definizione, piuttosto il soggetto deve individuare nella propria alimentazione quelli che sono i cibi che gli evocano più facilmente i sintomi e quindi eliminarli o ridurne il consumo”.
Italiani, dieta e reflusso gastroesofageo
In primo luogo, la dieta Mediterranea e le indicazioni alimentari dell’Oms sul consumo di frutta e verdura, diminuirebbero i tassi di prevalenza della malattia. Inoltre, sulla base dei dati scientifici, un ridotto apporto di proteine animali nella dieta (senza distinguere tra carne rossa e bianca) è consigliabile, come pure un uso moderato di vino (125 ml a pasto) non presenta controindicazioni. “Quel che è certo – osserva il docente – è che un elemento importante è il peso corporeo. Se un soggetto è affetto da sovrappeso come primo approccio deve necessariamente ridurre, anche solo del 10% in sei mesi, il peso corporeo per guadagnare un migliore controllo dei sintomi e una riduzione della necessità del consumo di farmaci”.
Diagnosi e terapia per il reflusso
Le Linee guida internazionali sottolineano che le persone con pirosi, rigurgito e dolore toracico possono essere potenzialmente affette da malattia da reflusso, dove però è determinante che il dolore toracico non sia di origine cardiaca, escludendo patologie cardiovascolari. Già il medico di medicina generale può suggerire una terapia cosiddetta di primo livello con inibitori di pompa protonica a dose standard per 4-8 settimane, se ha pirosi, rigurgito e dolore toracico. Terapia che va ridotta nel giro di un paio di mesi mediante un lento e progressivo tapering.
“Nel caso il soggetto vada incontro ad una recidiva – continua –, è necessario fare una diagnosi oggettiva che prevede la prescrizione, previa visita gastroenterologica, di un’endoscopia digestiva superiore da eseguire dopo la sospensione di farmaci inibitori di pompa protonica per almeno 3-4 settimane. In caso di endoscopia negativa, dobbiamo approfondire il quadro mediante esami di fisiopatologia esofagea. Se invece il soggetto dopo l’endoscopia presenta una diagnosi di esofagite medio-severa (Classificazione di Los Angeles di grado B, grado C e D) allora si può confermare la diagnosi. In alternativa, il soggetto deve eseguire una manometria esofagea e una pH-impedenzometria delle 24 ore, al fine di evidenziare la presenza di una esposizione patologica all’acido”.
Opzioni chirurgiche
La terapia chirurgica ha un ruolo importante, soprattutto grazie a due tipologie d’intervento che hanno confermato la loro efficacia a distanza di più di cinque anni. La chirurgia ad oggi è sicuramente la prima opzione nei pazienti affetti dalla malattia da reflusso di tipo refrattario, ovvero in coloro che presentano sia i sintomi sia l’esposizione patologica all’acido, nonostante una ottimale terapia medica anti-reflusso.
Reflusso e co-morbidità
Nel corso degli anni è stata dimostrata da alcuni studi eseguiti mediante utilizzo di questionari sintomatologici – e poi vista nella realtà -, la sovrapposizione della malattia da reflusso gastroesofageo con la sindrome dell’intestino irritabile oppure con la dispepsia. “Infine – conclude il professor de Bortoli – quando i pazienti presentano una sintomatologia extra-esofagea (tosse, raucedine, globo faringeo, mal di gola, etc..) dovremo in prima istanza escludere altre cause e poi indagare l’eventuale presenza di una malattia da reflusso”.