Tempo di lettura: 5 minutiIn Italia le persone che soffrono di patologie della tiroide sono più di 6 milioni. In occasione della Settimana Mondiale della Tiroide (SMT) le organizzazioni dei pazienti invitano la popolazione ad informarsi attivamente da fonti qualificate sui temi della salute. Inoltre chiedono, insieme alla comunità scientifica che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosca le malattie tiroidee quali malattie non trasmissibili, croniche.
Le malattie non trasmissibili sono la principale causa di morte e di disabilità nel mondo. Appartengono a questa categoria le malattie cardiovascolari, il cancro, le malattie respiratorie croniche, il diabete e anche l’obesità. L’interesse principale nel far riconoscere le malattie della tiroide nell’ambito delle malattie croniche risiede nel fatto che la ricerca biomedica in questo settore richiede finanziamenti cospicui. Riconoscerle come croniche consentirebbe l’accesso a maggiori finanziamenti per nuovi studi i cui risultati andrebbero a beneficio della popolazione, sottolineano le associazioni.
Settimana Mondiale della Tiroide 2024
«La Settimana Mondiale della Tiroide 2024 – ha spiegato in occasione della presentazione Rossella Elisei, Presidente Associazione Italiana Tiroide (AIT) e coordinatrice della SMT – è patrocinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali Associazione Italiana della Tiroide (AIT), Associazione Medici Endocrinologi (AME), Società Italiana di Endocrinologia (SIE), Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia (SIUEC), Associazione Italiana Medicina Nucleare (AIMN), European Thyroid Association (ETA), insieme a CAPE Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini e sostenuta con un contributo incondizionato da parte di Eisai, IBSA Farmaceutici e Merck Serono».
Maggior parte dei casi di natura “autoimmune”
«La maggior parte delle malattie della tiroide possono entrare di diritto nel gruppo delle malattie non trasmissibili, infatti, sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo sono patologie croniche, nella maggior parte dei casi di natura “autoimmune”, ovvero causate da una reazione immunitaria anomala che si rivolge contro le cellule della tiroide, causandone distruzione nel caso dell’ipotiroidismo o eccessiva stimolazione nel caso dell’ipertiroidismo.
In entrambi i casi si tratta di patologie che hanno necessità di essere periodicamente controllate, senza eccedere nel numero dei controlli e nel tipo di esami da eseguire ciclicamente. Ad esempio, il dosaggio degli autoantianticorpi, il cui valore numerico può variare indipendentemente dalla variazione clinica della malattia, non va ripetuto ad ogni controllo, ma solo in particolari momenti del percorso di cura identificati dallo specialista», afferma Gianluca Aimaretti, Presidente SIE.
Tiroide, monitorare anziani
«È importante tuttavia sottolineare che, se è vero che da un lato la frequente ripetizione di esami clinici e strumentali non strettamente necessari, rappresenta una delle voci più dispendiose, per quanto riguarda il bilancio del nostro SSN, dall’altro non deve essere dimenticata, come invece purtroppo spesso accade, la necessità del monitoraggio della funzione tiroidea nei pazienti anziani con nota patologia, soprattutto se in terapia con ormone tiroideo o farmaci antitiroidei», ha spiegato Fabio Monzani, Delegato SIGG.
«Proprio per la natura cronica della maggior parte delle patologie tiroidee», ha evidenziato Renato Cozzi, Presidente AME, «è indispensabile che l’endocrinologo avvicini con empatia questi pazienti, che spesso incontrano lo specialista dopo lunghi periodi di attesa, ascoltando con attenzione i sintomi che lamentano, visitandoli mettendo anche la mano sul collo e rassicurandoli, una volta visti gli esami, che i loro sintomi sono curabili in maniera efficace quando dipendenti da una reale patologia tiroidea».
Noduli della tiroide
«Anche la patologia nodulare tiroidea è una patologia cronica», ha proseguito Laura Fugazzola, Presidente ETA. «La presenza di noduli di ridotte dimensioni, a volte più piccoli di 1 cm, è molto comune nella popolazione generale adulta (50 per cento degli over 50) ma la loro rilevanza clinica è molto scarsa. Per tale motivo l’esecuzione di ecografie tiroidee su grandi segmenti di popolazione, eseguite senza una motivazione clinica, è oggi sconsigliata perché evidenzierà noduli che avranno una scarsissima importanza clinica, ma che provocheranno inutile preoccupazione nel soggetto in cui sono stati casualmente rilevati.
Diversamente, i noduli di dimensioni più grandi rispetto a quelli sopra descritti devono essere valutati per la possibilità di alterare la funzione tiroidea e per verificarne la loro natura. Noduli benigni che non alterano la funzione ghiandolare dovranno comunque essere controllati periodicamente e l’inserimento di questa condizione clinica tra le malattie croniche potrebbe contribuire a ridurre la spesa sanitaria attraverso una migliore programmazione dei controlli clinici, evitando quindi la ripetizione di esami inutili. Allo stesso tempo si potrebbe prevedere di inserire questa patologia, in quanto cronica, tra le esentabili dal pagamento del ticket», ha concluso Fugazzola.
Profilassi con sale iodato
È invece molto più importante, secondo Antonella Olivieri, ISS, Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, Endocrino-Metaboliche e dell’Invecchiamento, «fare prevenzione attraverso la profilassi con sale iodato: la patologia nodulare tiroidea è infatti fortemente condizionata dalla carenza di iodio. Sebbene in Italia, grazie alla campagna sull’uso del sale iodato iniziata nel 2005, la nutrizione iodica sia molto migliorata, occorre che la popolazione continui ad essere sensibilizzata ad utilizzare poco sale e solo iodato già a partire dall’età pediatrica, al fine di contrastare in maniera rilevante la formazione del “gozzo” e dei noduli tiroidei».
Tumori della tiroide
Parlando dei tumori della tiroide, in particolare la forma papillare, Rossella Elisei ha aggiunto: «sono senz’altro da considerare tra le malattie croniche non trasmissibili in quanto spessissimo, e fortunatamente, guariscono o cronicizzano con una bassa probabilità di recidivare ma, essendo comunque i pazienti tiroidectomizzati e sottoposti a terapia con ormone tiroideo, devono essere seguiti per lungo tempo. Anche per questa patologia vi sono dei fattori di rischio che possono essere positivamente modificati, ad esempio evitando o minimizzando l’esposizione della regione del collo alle radiazioni ionizzanti.
L’identificazione della malignità del nodulo avviene con l’agoaspirazione e l’esame citologico che però oggi vengono riservati solo a noduli di dimensioni maggiori di un centimetro e con caratteristiche ecografiche sospette. È importante ricordare che solo il 5% dei noduli tiroidei è di natura maligna e raramente si presenta in forma avanzata con lesioni a distanza. La terapia chirurgica e, quando opportuno la terapia radiometabolica, possono risolvere completamente la malattia. Viste le caratteristiche di queste malattie molto diffuse, ma spesso, non gravi e curabili con successo, è particolarmente importante promuovere un’informazione esauriente ma non allarmistica, evitando approfondimenti diagnostici non motivati».
Ruolo della medicina nucleare
«Nella gestione delle patologie croniche della tiroide anche la medicina nucleare svolge un ruolo importante, in particolare, due procedure comuni utilizzate sono la scintigrafia tiroidea e la terapia con iodio radioattivo (RAI). Queste procedure richiedono la valutazione accurata del paziente, la scelta appropriata della procedura, dosaggi precisi, monitoraggio attento e gestione responsabile dei rifiuti radioattivi. Queste pratiche contribuiscono a garantire risultati efficaci e sicuri per i pazienti affetti da patologie tiroidee croniche», ha evidenziato Marco Maccauro, delegato AIMN.
«È quindi importante che giungano a valutazione chirurgica, sia per patologia benigna che tumorale, i soggetti che trovino effettiva indicazione e che al paziente venga proposto il percorso e l’eventuale opzione chirurgica più idonea. Non esiste un trattamento standard per tutti ma numerose opzioni terapeutiche da verificare caso per caso in cui, dopo una attenta valutazione di tutti fattori di rischio, il colloquio tra l’endocrinologo, il chirurgo ed ovviamente l’interessato riveste un ruolo fondamentale nel proporre il trattamento più adeguato», ha ribadito Giovanni Docimo, Presidente SIUEC.
Screening disponibili
«Ricordiamo che l’unico screening di massa necessario per le patologie tiroidee (in atto, per legge, da molto tempo nel nostro paese) è lo screening per l’ipotiroidismo congenito, che ancora oggi rappresenta la più frequente endocrinopatia dell’infanzia e che grazie allo screening consente di identificare i neonati affetti, e iniziare subito la terapia che risolverà il quadro clinico, ma che dovrà essere portata avanti per tutta la vita. Lo screening per l’ipotiroidismo congenito, durante i suoi 50 anni di storia, ha permesso, grazie all’intervento tempestivo, di prevenire il ritardo psico-motorio e mentale nei soggetti affetti dalla citata patologia», aggiunge Malgorzata Wasniewska, presidente eletto SIEDP.
«Siamo impegnati a portare e facilitare, attraverso tutte le nostre iniziative sul territorio, un’adeguata e corretta informazione che pensiamo possa aiutare il paziente a “convivere” con queste patologie croniche. Il loro eventuale riconoscimento all’interno delle malattie croniche non trasmissibili comporterà un beneficio sia clinico che economico per i pazienti che ne sono portatori», spiega Anna Maria Biancifiori, Presidente CAPE
Terapie avanzate: entro 2030 fino a 60 nuovi farmaci
Economia sanitaria, News, Ricerca innovazioneLe terapie avanzate, come quelle geniche e cellulari, cambiano il percorso di cura e guarigione per malattie un tempo inguaribili. Il loro costo molto elevato pone un problema di sostenibilità economica per il Servizio sanitario nazionale, da qui l’esigenza di nuovi modelli organizzativi. Se n’è parlato ieri a Roma all’Istituto Superiore di Sanità (Iss), durante il convegno organizzato dall’Iss e Assobiotec-Federchimica. Il tema era come preparare i sistemi sanitari per l’arrivo delle terapie avanzate, inizialmente destinate a pochi pazienti, ma che presto diventeranno standard di cura per un numero crescente di persone.
I dati sui Trials Clinici
L’ultimo report di Alliance Regenerative Medicines mostra più di 1.900 studi clinici sulle Terapie avanzate nel mondo. Di questi, 112 sono già in fase 3. Tra questi, 99 sono portati avanti dall’industria bio-farmaceutica e 13 da accademia, governi o altre istituzioni. In Europa ci sono 360 studi clinici, con circa 50 nella fase pre-autorizzativa.
Ruolo dell’Italia nella ricerca
L’Italia ha sempre avuto un ruolo chiave nella ricerca e sviluppo delle Terapie Avanzate. Tra le prime terapie avanzate approvate dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), 4 sono frutto della ricerca italiana. Nel 2022, l’Italia ha investito significativamente, con 23 studi clinici in corso in aree con bisogni clinici insoddisfatti come malattie rare, neurodegenerative e tumori. Il presidente dell’Iss, Rocco Bellantone, ha sottolineato l’importanza del trasferimento delle cure dal laboratorio al letto del paziente.
Impatto economico
Fabrizio Greco, presidente di Assobiotec, ha parlato dei benefici clinici e terapeutici delle terapie avanzate. Entro il 2030, potrebbero essere lanciate fino a 60 nuove terapie geniche e cellulari a livello globale, riguardando complessivamente 350 mila pazienti. In Italia, la spesa per queste terapie nel 2023 è stimata tra i 132 e 264 milioni di euro, con una proiezione che arriva a 905-1.810 milioni di euro per il 2027. Greco ha sottolineato la necessità di preparare i sistemi sanitari per questa innovazione. Serve un tavolo di confronto permanente tra tutti gli attori del Sistema Salute per costruire un nuovo modello organizzativo capace di garantire equità di accesso e cura, ha ribadito.
Terapie avanzate, rivoluzione nella cura di molte malattie
Le terapie avanzate comprendono terapie cellulari, geniche, l’ingegneria dei tessuti e i prodotti combinati. In Europa, sono denominate ATMP (Advanced Therapy Medicinal Products). Queste terapie rappresentano una rivoluzione. Per la prima volta, è possibile sviluppare farmaci a base di materiale biologico, personalizzati e che aspirano a guarire il paziente con una sola somministrazione.
Differenze rispetto ai farmaci tradizionali
Le ATMP sono diverse dalle piccole molecole di sintesi chimica e dalle macromolecole biotecnologiche come anticorpi monoclonali e proteine ricombinanti. Sono costituite da cellule o tessuti, eventualmente ingegnerizzati, o da acidi nucleici. Questi farmaci non curano solo i sintomi, ma intervengono direttamente sulle cause della malattia.
Costi elevati e un’unica somministrazione
Le ATMP trasformano la storia clinica dei pazienti con malattie senza alternative terapeutiche. Sono sviluppate per avere un beneficio clinico in aree ad elevato bisogno medico. Queste terapie sono “one-shot”, somministrate in un unico trattamento, con costi concentrati nel breve periodo e benefici a lungo termine.
Le ATMP hanno costi d’investimento elevati, ma con benefici futuri in termini clinici, terapeutici, sociali ed economici. Vengono somministrate solo in centri qualificati e specializzati, nascendo da piattaforme innovative e complesse.
Terapie avanzate approvate in Europa
In Europa, sono state approvate 25 Terapie Avanzate, di cui 18 attualmente in commercio. L’Italia ha concesso la rimborsabilità a 8 di queste, con differenze significative a livello europeo. La sfida per il futuro è preparare i sistemi sanitari per accogliere queste innovazioni, garantendo equità e sostenibilità per tutti i pazienti.
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Pazienti formati per sedere ai tavoli decisionali
Associazioni pazienti, News, Ricerca innovazioneUn corso per formare le Associazioni dei pazienti affinché possano sedere ai tavoli decisionali per tutelare i diritti delle persone con tumore. Project management, public speaking e lobbying, il cuore delle lezioni del quinto modulo che ha chiuso il corso di perfezionamento “Patient Advocacy per le Associazioni dei pazienti oncologici e onco-ematologici”. Le Associazioni coinvolte erano aderenti al Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”.
Il primo corso per formare i pazienti
Il Corso di Perfezionamento, il primo in Italia, guidato dalla Professoressa Laura Deborah Locati insieme ad Annamaria Mancuso, Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, ha l’obiettivo di formare le Associazioni di pazienti e permettere loro di assumere un ruolo attivo e propositivo nei processi decisionali pubblici. L’iniziativa vede l’alleanza tra il Gruppo e l’Università degli Studi di Pavia, Ateneo rinomato per la Ricerca scientifica.
«Siamo arrivati al termine di questo Corso di Perfezionamento con la trattazione di tematiche fondamentali per le Associazioni dei pazienti, che oltre ad essere aggiornati su argomenti di carattere regolatorio, devono essere in grado di gestire progetti, comunicare con il pubblico e le istituzioni e fare azione di lobbying per incidere sulle decisioni politiche a favore dei malati – dichiara la Coordinatrice del Gruppo, Annamaria Mancuso. «Questo corso – conclude – sancisce l’inizio di un nuovo capitolo, in cui metteremo in pratica ciò che abbiamo imparato per un Sistema Sanitario più “umano”, equo ed empatico, grazie ovviamente alla forza del nostro Gruppo».
«L’intento del Corso è stata quella di essere sempre più vicini ai pazienti oncologici e onco-ematologici – sottolinea Laura Deborah Locati, Direttrice del Corso – e questo è possibile solo se i servizi sanitari, la diagnostica, le terapie farmacologiche e l’assistenza saranno sempre più accessibili e fruibili».
Collaborazione con l’Università
Alla chiusura del Corso di perfezionamento hanno portato i saluti istituzionali l’On. Alessandro Cattaneo, Membro Intergruppo Parlamentare “Insieme per un impegno contro il cancro” Camera dei deputati e già Sindaco di Pavia, e l’On. Vanessa Cattoi, Coordinatrice Intergruppo Parlamentare “Insieme per un impegno contro il cancro” Camera dei deputati.
«È un grande orgoglio che questo Corso di perfezionamento, che affronta tematiche avanzate con la presa in carico a 360° del paziente oncologico, si sia svolto proprio nella nostra Università, prima in Regione Lombardia – dichiara l’On. Cattaneo – Il Campus della Salute, dove si sono svolte tutte le lezioni, sul territorio del Policlinico San Matteo, è nato proprio per dare uno spazio comune in cui gli studenti di medicina possano stare di fianco ai professionisti che fanno ricerca e che si occupano di assistenza sanitaria. Queste strutture acquisiscono il proprio valore in occasioni come questa, dove si riempiono di capacità d’innovazione».
Cattoi: Associazioni pazienti nei tavoli istituzionali
«Insieme ad Annamaria Mancuso abbiamo già portato all’attenzione del Ministro della Salute la necessità di istituzionalizzare il coinvolgimento delle Associazioni pazienti nei tavoli istituzionali – conclude l’On. Cattoi – poiché ritengo che in ambito sanitario sia fondamentale avere figure competenti e con un alto livello di responsabilità».
Se l’esofago si restringe e s’infiamma
News, RubricheL’esofagite eosinofila è una malattia dell’esofago che sino a qualche tempo fa si considerava rara, oggi sappiamo invece che le diagnosi sono in costante crescita, anche se molto spesso la malattia resta “nascosta” a lungo prima che si riesca ad individuarla. Proviamo a conoscerla meglio avvalendoci dell’esperienza della professoressa Caterina Strisciuglio (dipartimento della Donna e del Bambino – Università della Campania Luigi Vanvitelli di Napoli).
Corto circuito
“L’esofagite eosinofila – ci spiega – è un’infiammazione immunomediata, una malattia infiammatoria cronica e progressiva dell’esofago, caratterizzata dall’infiltrazione di quelle cellule che, appunto, si chiamano eosinofili“. Semplificando, la malattia è legata ad una sorta di “corto circuito” del sistema immunitario (un’infiammazione definita di tipo 2) che causa fibrosi e restringimento dell’esofago. “A lungo andare l’esofago perde la sua naturale elasticità rendendo molto difficile, a volte impossibile, la deglutizione”. Purtroppo, ancora oggi c’è un ritardo diagnostico che in molti casi arriva anche ad un anno dalla comparsa dei primi sintomi. “Non è facile individuare l’esofagite eosinofila – prosegue la specialista – perché è comunque, ancora oggi, una malattia emergente, che spesso ha manifestazioni sintomatologiche molto generiche e subdole”.
Comportamenti adattivi
Contribuiscono a ritardare il sospetto diagnostico anche i comportamenti adattivi che, quasi istintivamente, i pazienti adottano. “Accade spesso che i bambini e gli adolescenti che soffrono di questa malattia tendono a bere molto durante i pasti, a masticare a lungo e mangiare lentamente. Così i mesi passano, fino a quando non si arriva ad al punto limite. Non di rado la prima diagnosi avviene in pronto soccorso, quando i medici sono costretti ad intervenire in emergenza per rimuovere il bolo alimentare dall’esofago”. Facile comprendere perché una diagnosi precoce possa fare la differenza. Ma a che età si ha il picco di incidenza? “Comunemente – chiarisce la professoressa Strisciuglio -nella seconda decade, ma osserviamo sempre più spesso casi di bambini che non hanno ancora compiuto 10 anni. Parlo di bambini, e non di bambine, perché la malattia è decisamente più frequente nel sesso maschile”.
Danni all’esofago e sintomi
Esistono dei campanelli d’allarme che un genitore possa cercare di cogliere? “Sì, ma parliamo sempre di sintomi che possono essere attribuiti ad altre patologie. Di certo il vomito dopo i 18 mesi, se frequente, o un ostinato rifiuto del cibo deve mettere in allarme”. Così, ancora una volta, torna centrale il tema della diagnosi. “Oltre a riconoscere i sintomi, cosa che non è sempre facile, è essenziale eseguire un esame endoscopico “esofago-gastro-duodenoscopia” nel corso del quale devono essere eseguite alcune biopsie dell’esofago che consentono di individuare la presenza degli eosinofili; benché si tratti di un esame invasivo è decisivo per evitare di diagnosticare la malattia in una fase avanzata”. Come molte malattie con un’infiammazione di tipo 2 alla base, l’esofagite eosinofila richiede un controllo prolungato e a lungo termine della patologia, non limitato al controllo dei sintomi.
Terapie
Quanto alle terapie, “nonostante la disponibilità di opzioni, una quota di pazienti continua – ad oggi – ad avere un forte bisogno insoddisfatto di nuovi approcci di gestione della malattia. Le persone affette da esofagite eosinofila spesso devono seguire diete alimentari rigide e restrittive e nei casi più gravi possono essere necessari un tubo per l’alimentazione o un’operazione di dilatazione dell’esofago per fronteggiarne il restringimento”. L’innovazione nella gestione del paziente con esofagite eosinofila arriva con lo sviluppo di nuovi farmaci biologici che ad oggi sono disponibili e approvati anche nell’Unione Europea per il trattamento di pazienti di almeno 12 anni nei quali i trattamenti “convenzionali” non abbiano dato i risultati sperati. “La malattia – conclude Caterina Strisciuglio – ha certamente un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti, ecco perché è essenziale che fare il massimo per affrontarla quanto prima e nel miglior modo possibile”.
Cos’è e come si affronta l’esofagite eosinofila
RubricheL’Esofagite eosinofila è una malattia recente, nel senso che solo da poco se ne parla. Noi clinici la definiamo “immuno-allergo-mediata”, vale a dire che è legata ad una causa immunologica e allergica. Si tratta di una malattia che in maniera progressiva porta il nostro esofago a non funzionare più». Ai microfoni di Radio Kiss Kiss, per le pillole di Salute realizzate dal Network Editoriale PreSa, la professoressa Paola Iovino (ordinario di Gastroenterologia) ha chiarito alcuni aspetti poco noti dell’esofagite eosinofila.
Cosa comporta l’esofagite eosinofila
La professoressa Iovino ha spiegato che nell’esofago non ci sono, di norma, queste cellule che si definiscono eosinofili; cellule che sono invece presenti nei pazienti affetti da questa malattia. Con l’andar del tempo, l’accumulo degli eosinofili può creare dei problemi, perché compaiono lesioni, l’esofago si restringe e comincia a non funzionare più come dovrebbe. Negli adulti è tipica la difficoltà a deglutire, talvolta il bolo alimentare si blocca ed è necessario correre in pronto soccorso. Nei bambini è tutto molto sfumato e più vago. Alcuni bambini iniziano a rifiutare il cibo, ci sono dei ritardi di crescita, hanno sintomi quali nausea e vomito. Da qui la difficoltà a diagnosticare questa patologia, che potrebbe sembrare simile ad altre più diffuse, come il reflusso gastroesofageo.
Campanelli d’allarme
Cercare dei campanelli d’allarme non è facile. La specialista chiarisce che i ricercatori stanno studiando per comprendere quali siano i segnali più importanti da cogliere. Di certo, in presenza di sintomi generici come il rifiuto del cibo, la nausea o il vomito, il compito del clinico è quello di accertare se per caso esiste una comorbilità con altre patologie, che si definiscono TH2 mediate, ovvero causate da un’infiammazione di tipo 2. Malattie come l’asma, la dermatite atopica, la rinite allergica si potrebbe dire che “vanno a braccetto” con l’esofagite eosinofila. Questo aiuta quindi nella diagnosi, è importante almeno sospettare un’eventuale correlazione.
I comportamenti adattativi
Uno dei temi centrali, quando si affronta l’esofagite eosinofila, è quello dei “comportamenti adattativi”, vale a dire quei comportamenti che intuitivamente vengono posti in essere dai pazienti. In altre parole, chi ha un fastidio cerca in modo spontaneo di superarlo, non senza privazioni. Nel caso dei pazienti affetti da esofagite eosinofila questo si traduce, ad esempio, nell’evitare di mangiare alcuni cibi, bere molta acqua, masticare molto e molto lentamente. Questi sono comportamenti che nell’immediato aiutano, ma incidono molto sulla qualità di vita e ritardano la diagnosi.
Scenari attuali e futuri per la gestione della patologia
La professoressa Iovino chiarisce che al momento l’esofagite eosinofila si avvale del trattamento definito 3D. La prima D sta per drugs, quindi i farmaci. La seconda indica la dieta, che può aiutare molto ma non è risolutiva né consigliabile per un tempo prolungato. Si può procedere con l’esclusione di uno o due cibi, fino a salire anche a sei cibi se necessario. L’ultima D riguarda la dilatazione endoscopica, la più invasiva per il paziente. La speranza è che le nuove terapie, che sono targettizzate sui meccanismi della patologia, evitino sempre più queste procedure.
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Editoria: Speciale Salute e Prevenzione di Maggio
SpecialiIn edicola con Il Mattino lo Speciale che il network editoriale PreSa dedica ai temi della Salute e alla Prevenzione intervistando i maggiori esperti nazionali. In questo numero, occhi puntati su una patologia molto invalidante: l’esofagite eosinofila.
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Varici, come eliminarle
Prevenzione, Medicina esteticaLe varici, o vene varicose, sono vene dilatate e tortuose che si sviluppano prevalentemente sulle gambe. Questo fenomeno avviene quando le valvole venose, che impediscono al sangue di fluire all’indietro, non funzionano correttamente. Di conseguenza, il sangue tende a ristagnare nelle vene, aumentando la pressione e causando l’allargamento delle vene. Le varici possono apparire bluastre o violacee e sono spesso visibili attraverso la pelle. Quasi del tutto inutile sottolinearlo, sono molto antiestetiche; ma oltre all’aspetto, possono provocare sintomi come dolore, gonfiore, pesantezza e crampi notturni.
Perché si formano le varici
Le varici si formano a causa di una combinazione di fattori genetici e ambientali. Tra i principali fattori di rischio troviamo:
Come si possono curare le varici
Il trattamento delle varici varia a seconda della gravità della condizione e può comprendere sia misure conservative che interventi medici. Le opzioni conservative includono:
Le migliori tecniche per risolvere il problema
Oltre ai trattamenti conservativi, esistono diverse tecniche moderne per il trattamento delle varici, alcune delle quali sono minimamente invasive. Una delle più efficaci è la scleroterapia. In sostanza, si inietta una soluzione chimica direttamente nelle vene varicose, causandone la chiusura e il successivo riassorbimento. Questo metodo, che non è per nulla doloroso, è efficace per le vene di piccole e medie dimensioni. Altra tecnica è la terapia laser, che è perfetta per le vene più piccole e superficiali. La luce laser chiude le vene varicose, che si dissolvono nel tempo.
Ablazione e chirurgia
L’ablazione endovenosa (con radiofrequenza o laser) si adopera per trattare le vene varicose più grandi. Una fibra viene inserita nella vena interessata e l’energia termica la chiude, favorendo il riassorbimento naturale del vaso sanguigno. C’è poi una tecnica mininvasiva per i casi che lo richiedono ed è la microflebectomia: questa procedura chirurgica minimamente invasiva prevede l’asportazione delle vene varicose attraverso piccole incisioni. È spesso utilizzata per le vene più grandi che non possono essere trattate con altre tecniche. In casi gravi, la legatura e lo stripping delle vene varicose può essere necessario. Questa operazione prevede la legatura della vena principale prima che si unisca a una vena profonda e la rimozione della vena stessa attraverso piccole incisioni.
L’importanza di una diagnosi
Insomma, è bene ricordare che le varici sono una condizione comune che può avere un impatto significativo sulla qualità della vita, ma fortunatamente esistono diverse opzioni di trattamento efficaci. Dalla gestione conservativa alle tecniche moderne e minimamente invasive, i pazienti hanno a disposizione una vasta gamma di soluzioni per alleviare i sintomi e migliorare l’aspetto delle loro gambe. La cosa fondamentale è adottare stili di vita sani e consultare uno specialista vascolare per avere una diagnosi. E questo il primo passo per determinare il trattamento più appropriato, personalizzato in base alla gravità della condizione e alle esigenze individuali e, quindi, per liberarsi del problema.
Herpes Zoster: 90 % adulti a rischio di svilupparlo
Anziani, News, PrevenzionePrevenzione, sani stili di vita, importanza della vaccinazione, sono le parole chiave per un invecchiamento in buona salute. Fondazione Longevitas ha promosso una campagna per migliorare la qualità della vita e per ottimizzare e ridurre, attraverso una sana longevità, la spesa sanitaria, al fine di reinvestire in salute. La campagna si rivolge in particolare agli over 65, con un focus sulla prevenzione vaccinale. La prima tappa si è svolta oggi a Milano presso la Regione Lombardia, con il convegno “Mantenersi in salute grazie alla prevenzione vaccinale dell’adulto: l’esempio del vaccino contro l’Herpes Zoster”.
Invecchiamento, herpes Zoster e prevenzione
L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno globale con cui si confrontano oggi le comunità e i sistemi sanitari. La vaccinazione è un mezzo di prevenzione, contro virus come l’Herpes Zoster, per ridurre il rischio di complicanze.
Nel convegno si è parlato del rapporto tra Healthy Ageing e prevenzione vaccinale dell’Herpes Zoster, delle politiche di prevenzione nella Regione Lombardia e della centralità del ruolo dei medici di medicina generale.
«Regione Lombardia offre gratuitamente il vaccino per quelle fasce di popolazione particolarmente sensibili a questo tipo di virus come diabetici, cardiopatici e immunodepressi, solo per fare qualche esempio, ed è gratuito per tutti i soggetti nel sessantacinquesimo anno di età. – dichiara Emanuele Monti, membro Cda di Aifa, Presidente IX Commissione Sostenibilità sociale, casa e famiglia di Regione Lombardia e già Presidente della Commissione Sanità, Consigliere regionale Regione Lombardia – Può essere offerto in co-somministrazione con il vaccino antinfluenzale anche se, a differenza di quest’ultimo, può essere effettuato in qualsiasi momento dell’anno. Per allargare la copertura del vaccino anti-Herpes Zoster è fondamentale una campagna vaccinale dove i tanti stakeholders collaborano con gli enti del territorio, i medici di medicina generale e la rete di farmacie. Fare comunicazione è fondamentale, per questo iniziative come quella di oggi con momenti formativi sono fondamentali così da raggiungere sempre più persone. Grazie alla prevenzione vaccinale possiamo alleggerire la pressione sugli ospedali, sulle visite e, chiaramente, evitare le dolorosissime eruzioni cutanee e infiammazioni che il Fuoco di Sant’Antonio comporta nei pazienti».
Anziani più a rischio
«Le persone anziane sono particolarmente suscettibili alle malattie infettive, anche di tipo virale, per un indebolimento del sistema immunitario legato alla presenza di malattie croniche e/o fragilità – dichiara il Prof. Giuseppe Bellelli, Professore Ordinario di Geriatria all’Università Milano-Bicocca e Direttore UOC Geriatria dell’IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza – Le complicanze da ’herpes zoster” possono essere estremamente invalidanti queste persone. Si pensi ad esempio alla nevralgia post-erpetica ma si consideri anche che lo zoster può provocare perdita di autonomia, problemi cognitivi, ansia, depressione, insonnia e isolamento sociale. La prevenzione tramite vaccino è dunque cruciale soprattutto per le persone anziane, specie se fragili e con malattie croniche. I dati di letteratura ci dicono che i vaccini contro herpes zoster sono efficaci e sicuri anche nelle persone anziane, e che l’efficacia si mantiene nel tempo. È necessaria una campagna di sensibilizzazione della popolazione anziana che miri a migliorare i tassi di copertura vaccinale, purtroppo ancora subottimali».
Riorganizzazione dei sistemi
«L’invecchiamento della popolazione richiede una risposta attiva e mirata da parte dei sistemi sanitari – dichiara la Presidente della Fondazione Longevitas Eleonora Selvi – La prevenzione vaccinale ha un ruolo cruciale poiché protegge gli adulti da patologie che possono avere gravi conseguenze sulla loro salute e qualità di vita, specialmente per i più fragili. Nel caso specifico dell’Herpes Zoster, il 90 per cento degli adulti ha già contratto il virus della varicella e potrebbe sviluppare il Fuoco di Sant’Antonio, che è possibile prevenire attraverso la vaccinazione: quest’ultima può ridurre i ricoveri ospedalieri e le visite mediche, prevenire le complicazioni a lungo termine, e di conseguenza alleggerire i costi per l’SSN migliorando l’efficienza delle risorse sanitarie. Promuovere la pratica vaccinale tra gli adulti, in conclusione, è essenziale per garantire una popolazione più sana e attiva, ed è un investimento nel futuro sostenibile della nostra società sempre più longeva».
Vaccino contro l’Herpes Zoster dal medico di famiglia
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«Finalmente i pazienti hanno la possibilità di essere vaccinati contro l’Herpes Zoster dal loro medico di famiglia – dichiara Paola Pedrini, segretario generale Fimmg Lombardia – È importante valorizzare il ruolo del medico di medicina generale nella gestione complessiva della strategia vaccinale: proprio il particolare rapporto di fiducia con i suoi assistiti lo rendono determinante per la promozione, l’organizzazione e la facilitazione della prevenzione di patologie con significative ripercussioni sulla salute della comunità e conseguentemente sulla sostenibilità del sistema».
Tiroide, oltre 6 milioni di italiani con patologie
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News, PrevenzioneIn Italia le persone che soffrono di patologie della tiroide sono più di 6 milioni. In occasione della Settimana Mondiale della Tiroide (SMT) le organizzazioni dei pazienti invitano la popolazione ad informarsi attivamente da fonti qualificate sui temi della salute. Inoltre chiedono, insieme alla comunità scientifica che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosca le malattie tiroidee quali malattie non trasmissibili, croniche.
Le malattie non trasmissibili sono la principale causa di morte e di disabilità nel mondo. Appartengono a questa categoria le malattie cardiovascolari, il cancro, le malattie respiratorie croniche, il diabete e anche l’obesità. L’interesse principale nel far riconoscere le malattie della tiroide nell’ambito delle malattie croniche risiede nel fatto che la ricerca biomedica in questo settore richiede finanziamenti cospicui. Riconoscerle come croniche consentirebbe l’accesso a maggiori finanziamenti per nuovi studi i cui risultati andrebbero a beneficio della popolazione, sottolineano le associazioni.
Settimana Mondiale della Tiroide 2024
«La Settimana Mondiale della Tiroide 2024 – ha spiegato in occasione della presentazione Rossella Elisei, Presidente Associazione Italiana Tiroide (AIT) e coordinatrice della SMT – è patrocinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali Associazione Italiana della Tiroide (AIT), Associazione Medici Endocrinologi (AME), Società Italiana di Endocrinologia (SIE), Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia (SIUEC), Associazione Italiana Medicina Nucleare (AIMN), European Thyroid Association (ETA), insieme a CAPE Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini e sostenuta con un contributo incondizionato da parte di Eisai, IBSA Farmaceutici e Merck Serono».
Maggior parte dei casi di natura “autoimmune”
«La maggior parte delle malattie della tiroide possono entrare di diritto nel gruppo delle malattie non trasmissibili, infatti, sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo sono patologie croniche, nella maggior parte dei casi di natura “autoimmune”, ovvero causate da una reazione immunitaria anomala che si rivolge contro le cellule della tiroide, causandone distruzione nel caso dell’ipotiroidismo o eccessiva stimolazione nel caso dell’ipertiroidismo.
In entrambi i casi si tratta di patologie che hanno necessità di essere periodicamente controllate, senza eccedere nel numero dei controlli e nel tipo di esami da eseguire ciclicamente. Ad esempio, il dosaggio degli autoantianticorpi, il cui valore numerico può variare indipendentemente dalla variazione clinica della malattia, non va ripetuto ad ogni controllo, ma solo in particolari momenti del percorso di cura identificati dallo specialista», afferma Gianluca Aimaretti, Presidente SIE.
Tiroide, monitorare anziani
«È importante tuttavia sottolineare che, se è vero che da un lato la frequente ripetizione di esami clinici e strumentali non strettamente necessari, rappresenta una delle voci più dispendiose, per quanto riguarda il bilancio del nostro SSN, dall’altro non deve essere dimenticata, come invece purtroppo spesso accade, la necessità del monitoraggio della funzione tiroidea nei pazienti anziani con nota patologia, soprattutto se in terapia con ormone tiroideo o farmaci antitiroidei», ha spiegato Fabio Monzani, Delegato SIGG.
«Proprio per la natura cronica della maggior parte delle patologie tiroidee», ha evidenziato Renato Cozzi, Presidente AME, «è indispensabile che l’endocrinologo avvicini con empatia questi pazienti, che spesso incontrano lo specialista dopo lunghi periodi di attesa, ascoltando con attenzione i sintomi che lamentano, visitandoli mettendo anche la mano sul collo e rassicurandoli, una volta visti gli esami, che i loro sintomi sono curabili in maniera efficace quando dipendenti da una reale patologia tiroidea».
Noduli della tiroide
«Anche la patologia nodulare tiroidea è una patologia cronica», ha proseguito Laura Fugazzola, Presidente ETA. «La presenza di noduli di ridotte dimensioni, a volte più piccoli di 1 cm, è molto comune nella popolazione generale adulta (50 per cento degli over 50) ma la loro rilevanza clinica è molto scarsa. Per tale motivo l’esecuzione di ecografie tiroidee su grandi segmenti di popolazione, eseguite senza una motivazione clinica, è oggi sconsigliata perché evidenzierà noduli che avranno una scarsissima importanza clinica, ma che provocheranno inutile preoccupazione nel soggetto in cui sono stati casualmente rilevati.
Diversamente, i noduli di dimensioni più grandi rispetto a quelli sopra descritti devono essere valutati per la possibilità di alterare la funzione tiroidea e per verificarne la loro natura. Noduli benigni che non alterano la funzione ghiandolare dovranno comunque essere controllati periodicamente e l’inserimento di questa condizione clinica tra le malattie croniche potrebbe contribuire a ridurre la spesa sanitaria attraverso una migliore programmazione dei controlli clinici, evitando quindi la ripetizione di esami inutili. Allo stesso tempo si potrebbe prevedere di inserire questa patologia, in quanto cronica, tra le esentabili dal pagamento del ticket», ha concluso Fugazzola.
Profilassi con sale iodato
È invece molto più importante, secondo Antonella Olivieri, ISS, Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, Endocrino-Metaboliche e dell’Invecchiamento, «fare prevenzione attraverso la profilassi con sale iodato: la patologia nodulare tiroidea è infatti fortemente condizionata dalla carenza di iodio. Sebbene in Italia, grazie alla campagna sull’uso del sale iodato iniziata nel 2005, la nutrizione iodica sia molto migliorata, occorre che la popolazione continui ad essere sensibilizzata ad utilizzare poco sale e solo iodato già a partire dall’età pediatrica, al fine di contrastare in maniera rilevante la formazione del “gozzo” e dei noduli tiroidei».
Tumori della tiroide
Parlando dei tumori della tiroide, in particolare la forma papillare, Rossella Elisei ha aggiunto: «sono senz’altro da considerare tra le malattie croniche non trasmissibili in quanto spessissimo, e fortunatamente, guariscono o cronicizzano con una bassa probabilità di recidivare ma, essendo comunque i pazienti tiroidectomizzati e sottoposti a terapia con ormone tiroideo, devono essere seguiti per lungo tempo. Anche per questa patologia vi sono dei fattori di rischio che possono essere positivamente modificati, ad esempio evitando o minimizzando l’esposizione della regione del collo alle radiazioni ionizzanti.
L’identificazione della malignità del nodulo avviene con l’agoaspirazione e l’esame citologico che però oggi vengono riservati solo a noduli di dimensioni maggiori di un centimetro e con caratteristiche ecografiche sospette. È importante ricordare che solo il 5% dei noduli tiroidei è di natura maligna e raramente si presenta in forma avanzata con lesioni a distanza. La terapia chirurgica e, quando opportuno la terapia radiometabolica, possono risolvere completamente la malattia. Viste le caratteristiche di queste malattie molto diffuse, ma spesso, non gravi e curabili con successo, è particolarmente importante promuovere un’informazione esauriente ma non allarmistica, evitando approfondimenti diagnostici non motivati».
Ruolo della medicina nucleare
«Nella gestione delle patologie croniche della tiroide anche la medicina nucleare svolge un ruolo importante, in particolare, due procedure comuni utilizzate sono la scintigrafia tiroidea e la terapia con iodio radioattivo (RAI). Queste procedure richiedono la valutazione accurata del paziente, la scelta appropriata della procedura, dosaggi precisi, monitoraggio attento e gestione responsabile dei rifiuti radioattivi. Queste pratiche contribuiscono a garantire risultati efficaci e sicuri per i pazienti affetti da patologie tiroidee croniche», ha evidenziato Marco Maccauro, delegato AIMN.
«È quindi importante che giungano a valutazione chirurgica, sia per patologia benigna che tumorale, i soggetti che trovino effettiva indicazione e che al paziente venga proposto il percorso e l’eventuale opzione chirurgica più idonea. Non esiste un trattamento standard per tutti ma numerose opzioni terapeutiche da verificare caso per caso in cui, dopo una attenta valutazione di tutti fattori di rischio, il colloquio tra l’endocrinologo, il chirurgo ed ovviamente l’interessato riveste un ruolo fondamentale nel proporre il trattamento più adeguato», ha ribadito Giovanni Docimo, Presidente SIUEC.
Screening disponibili
«Ricordiamo che l’unico screening di massa necessario per le patologie tiroidee (in atto, per legge, da molto tempo nel nostro paese) è lo screening per l’ipotiroidismo congenito, che ancora oggi rappresenta la più frequente endocrinopatia dell’infanzia e che grazie allo screening consente di identificare i neonati affetti, e iniziare subito la terapia che risolverà il quadro clinico, ma che dovrà essere portata avanti per tutta la vita. Lo screening per l’ipotiroidismo congenito, durante i suoi 50 anni di storia, ha permesso, grazie all’intervento tempestivo, di prevenire il ritardo psico-motorio e mentale nei soggetti affetti dalla citata patologia», aggiunge Malgorzata Wasniewska, presidente eletto SIEDP.
«Siamo impegnati a portare e facilitare, attraverso tutte le nostre iniziative sul territorio, un’adeguata e corretta informazione che pensiamo possa aiutare il paziente a “convivere” con queste patologie croniche. Il loro eventuale riconoscimento all’interno delle malattie croniche non trasmissibili comporterà un beneficio sia clinico che economico per i pazienti che ne sono portatori», spiega Anna Maria Biancifiori, Presidente CAPE
Presa Weekly 17 Maggio 2024
PreSa WeeklyVegano è meglio, ecco perché
Alimentazione, NewsVegano è meglio? Domanda per nulla semplice e motivo di discussione tra i sostenitori delle proteine animali e i puristi del veg a tutti i costi. Se non una risposta definitiva, ma almeno un’indicazione molto chiara arriva da uno studio di revisione tutto italiano, pubblicato sulla rivista Plos One. È stato necessario analizzare vent’anni di studi sull’alimentazione per poter affermare che sì, lo stile alimentare vegano o vegetariano fa bene, non a caso sono generalmente associate a uno stato migliore rispetto a vari fattori medici e a un minor rischio di malattie cardiovascolari, cancro e morte, ma non possono essere adottate da tutti e a prescindere da tutto.
Vegano sì, ma serve equilibrio
Insomma, secondo gli esperti queste diete devono essere equilibrate ed è importante che vengano associate a un corretto stile di vita. Davide Gori (Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie, Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) e Federica Guaraldi (Irccs Istituto delle Scienze neurologiche di Bologna) mettono in guardia da raccomandazioni su larga scala di diete a base vegetale, in primo luogo perché alcune diete a base vegetale possono introdurre carenze di vitamine e minerali in persone che hanno una specifica predisposizione. Per esempio, evidenzia Guaraldi, bisogna evitare magari quei regimi green troppo stringenti in alcuni periodi della vita, come per esempio la gravidanza.
Maggior rischio oncologico
La decisione di rivedere vent’anni di studi sull’alimentazione nasce dalla volontà di comprendere meglio alcuni aspetti emersi sulle diete. Studi precedenti avevano collegato alcuni regimi alimentari con un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e cancro, osservano gli autori. Una dieta povera di prodotti vegetali e ricca di carne, cereali raffinati, zucchero e sale è associata a un rischio maggiore di morte. Ed è stato suggerito che ridurre il consumo di prodotti di origine animale a favore di prodotti di origine vegetale possa ridurre questi rischi.
Lo studio
Tuttavia, ragionano gli scienziati, i benefici complessivi di tali diete rimangono poco chiari. Per approfondire, Angelo Capodici (Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie, Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) e colleghi hanno esaminato poco meno di 50 articoli pubblicati tra gennaio 2000 e giugno 2023, che raccoglievano prove da molteplici studi precedenti. Seguendo un approccio di revisione “a ombrello”, hanno estratto e analizzato i dati sui collegamenti tra diete a base vegetale, salute cardiovascolare e rischio di cancro.
Benefici evidenti
L’analisi rivela che le diete vegetariane e vegane sono strettamente collegate a una migliore salute, riducendo fattori di rischio legati a malattie cardiometaboliche, cancro e mortalità. Queste diete mostrano un impatto positivo su pressione sanguigna, gestione della glicemia e indice di massa corporea. I benefici includono un minore rischio di cardiopatia ischemica, cancro gastrointestinale e prostatico, e mortalità per malattie cardiovascolari. Tuttavia, tra le donne incinte, le vegetariane non presentano differenze significative nel rischio di diabete gestazionale e ipertensione rispetto a quelle che seguono una dieta non vegetariana.
Serve cautela
Gli autori sottolineano che le diete a base vegetale offrono notevoli benefici per la salute, in particolare per la salute cardiovascolare e la prevenzione del cancro. Tuttavia, le differenze tra gli studi in termini di regimi dietetici, dati demografici e durata dello studio limitano la forza di questa associazione. Pertanto, è importante interpretare i risultati con cautela. È essenziale anche garantire che una stile vegano sia equilibrato, evitando l’eccesso di succhi di frutta e frutta e mantenendo la moderazione.
Il peso dell’alimentazione
Gori aggiunge che lo studio ha raggiunto un elevato livello di evidenza aggregando le migliori ricerche disponibili, dimostrando che la dieta è un fattore chiave nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e di alcuni tipi di cancro. Sebbene le ricerche provengano da diverse parti del mondo, il messaggio principale è che consumare meno carne e più verdura può avere un effetto protettivo, un fattore cruciale dato che l’alimentazione ci espone a rischi almeno tre volte al giorno, mentre una dieta corretta può funzionare come una terapia.