Tempo di lettura: 3 minutiLa stanchezza o astenia, può avere diverse cause fisiologiche e psicofisiche. La sonnolenza tende ad aumentare nei mesi invernali a causa della ridotta esposizione alla luce solare, che comporta una diminuzione della produzione di serotonina, l’ormone che mantiene alto il tono dell’umore, e un aumento della produzione di melatonina, l’ormone che favorisce il sonno. Questi cambiamenti possono portare a una sensazione di stanchezza più accentuata durante l’inverno. Tuttavia, anche l’aumento repentino delle temperature dovuto al cambio di stagione può provocare stanchezza.
Alimentazione contro la stanchezza
L’alimentazione è uno degli alleati contro la stanchezza, ma è importante fare attenzione a non cadere nella trappola degli zuccheri e della caffeina. Questi danno una rapida sensazione di energia, ma a lungo termine possono aumentare la sensazione di fatica e la fame. I tre macronutrienti principali che contribuiscono all’energia del corpo sono carboidrati, proteine e grassi.
La dottoressa Michela Seniga, nutrizionista presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, sottolinea che le proteine sono essenziali per fornire energia di lunga durata, soprattutto se combinate con i carboidrati. Le fonti proteiche di origine vegetale includono legumi e tutti i suoi derivati ma anche la frutta secca, ottima per il contenuto di lipidi e fibra. Tra le fonti proteiche animali si trovano carne, pesce, latticini e uova.
Carboidrati e grassi come fonti di energia
I cereali, ricchi di carboidrati, sono importanti per una rapida ripresa delle energie, per questo la specialista suggerisce il consumo regolare di grano integrale, farina d’avena e riso bianco. Inoltre, sono sempre preferibili i prodotti di stagione, che hanno una maggiore concentrazione di nutrienti come sali minerali e vitamine.
Questi micronutrienti, pur non fornendo energia diretta, influenzano i processi biologici ed energetici del corpo. Frutta e verdura fresche sono le migliori fonti di vitamine e sali minerali. I frutti con più nutrienti includono: mela, banana, arancia, limone, pompelmo, kiwi, melagrana, fragole, mirtilli e bacche di goji. Tra le verdure suggerite, quelle a foglia verde, carote, zucca e asparagi.
Vitamine per l’energia
Le vitamine mantengono alti i livelli di energia nel corpo. Le vitamine A ed E hanno una funzione antiossidante, mentre le vitamine del gruppo B proteggono il sistema immunitario e nervoso. In particolare, le vitamine B5 e B7 sono direttamente coinvolte nel metabolismo energetico. La vitamina C aiuta nell’assorbimento del ferro, mentre la vitamina D sostiene l’apparato osseo e riduce l’affaticamento muscolare, proteggendo anche il sistema immunitario.
Alimenti ricchi di vitamina D includono il tuorlo d’uovo o il salmone. Tuttavia solo il 10-20 per cento circa del fabbisogno giornaliero di vitamina D proviene dall’alimentazione. Tutto il resto della vitamina D che si può trovare nel nostro organismo si forma nella pelle a partire da un grasso simile al colesterolo, il 7-deidrocolesterolo, che viene trasformato per effetto dell’esposizione ai raggi UVB.
Suddivisione dei pasti contro la stanchezza
Avere una buona qualità del sonno è fondamentale per mantenere alti livelli di energia durante il giorno. L’alimentazione gioca un ruolo chiave nel rispetto del ritmo sonno-veglia. Per questo, la specialista di Humanitas suggerisce di fare una colazione abbondante, un pranzo soddisfacente e una cena leggera, consumata con anticipo rispetto al momento di andare a dormire.
Per la colazione, consiglia una porzione di frutta fresca, yogurt, frutta secca (in particolare noci e mandorle, ricche di sali minerali) e pane integrale tostato con marmellata. Al posto del caffè, può essere utile bere tè o tisane. Per lo spuntino di metà mattina, frutta secca, cioccolato fondente e frutta fresca sono ottimi alleati. A pranzo e cena, zuppe e minestre con verdure, cereali e legumi forniscono un’assunzione completa di sali minerali e vitamine. Le proteine animali vanno inserite nella dieta a rotazione settimanale, a pranzo o a cena.
L’idratazione
Mantenersi idratati è essenziale per mantenere i livelli di energia ed evitare la dispersione dei sali minerali assunti. L’acqua va bevuta regolarmente nel corso della giornata, preferibilmente a temperatura ambiente, nella misura di 8-10 bicchieri al giorno.
Quando consultare il medico e usare integratori
Se la stanchezza persiste e non ci sono motivi apparenti, è consigliabile consultare il medico di medicina generale. Dopo aver indagato ed escluso eventuali patologie sottostanti, un nutrizionista può aiutare a regolare l’alimentazione per combattere la stanchezza. In alcuni casi, il medico potrebbe prescrivere integratori, come quelli di vitamina D per ossa e muscoli, vitamina C per rinforzare il sistema immunitario o vitamine del gruppo B, specialmente per chi segue diete vegetariane o vegane. Le persone che praticano molto sport potrebbero aver bisogno di integrazioni di sali minerali come potassio e magnesio. La raccomandazione degli specialisti è di chiedere consiglio al medico ed evitare l’assunzione autonoma di integratori alimentari.
Vista, funghi e batteri causano 2.800 infezioni l’anno
Prevenzione, NewsFunghi e batteri possono mettere a repentaglio la vista. Infatti, ogni anno in Italia si registrano oltre 2.000 casi di infezioni corneali da funghi e circa 800 da Acanthamoeba, un patogeno presente nell’acqua che può contaminare le lenti a contatto e causare cheratite. In media, si contano quasi 10 nuovi casi al giorno di queste infezioni gravi, con un tasso di fallimento delle terapie mediche che spesso rende necessario il trapianto di cornea. Sulla scorta di questi dati, a lanciare l’allarme sono i massimi esperti del settore, durante il 22esimo congresso della Società Internazionale Cornea, Cellule Staminali e Superficie Oculare (SICSSO), tenutosi a Grosseto.
Crescita delle infezioni e sfide nelle terapie per la vista
Come sottolineato dagli esperti della SICSSO, il 50% dei casi di infezioni corneali da funghi o da Acanthamoeba non risponde alle terapie mediche tradizionali. Questo porta spesso alla necessità di un trapianto di cornea, il quale purtroppo fallisce in oltre la metà degli interventi, soprattutto a causa della dei tempi (eccessivamente lunghi) nei quali si riesce ad intervenire. Le infezioni non trattate adeguatamente possono penetrare in profondità nella cornea, rendendo i trattamenti più complessi e meno efficaci.
La speranza del trapianto di cornea lamellare anteriore (DALK)
Una tecnica che sta offrendo nuova speranza è il trapianto di cornea lamellare anteriore (DALK). Questo intervento mininvasivo prevede la sostituzione solo degli strati corneali compromessi, preservando quelli funzionalmente sani. L’Italia è riconosciuta come un’eccellenza mondiale in questa tecnica, con risultati che garantiscono un successo nel 99% dei pazienti se l’intervento viene eseguito precocemente nei casi in cui l’infezione è resistente ai farmaci.
Vantaggi del DALK
Il DALK risulta meno invasivo rispetto al trapianto di cornea a tutto spessore, comportando grandi vantaggi per i pazienti. Se eseguito tempestivamente, questo tipo di trapianto riesce quasi sempre a eradicare l’infezione e garantire la sopravvivenza dei tessuti trapiantati con un tasso di successo del 99%. Inoltre, i casi di rigetto sono rari e facilmente trattabili.
Il contributo degli esperti italiani
“L’Italia vanta i chirurghi più esperti al mondo in questa tecnica mininvasiva”, afferma Edward Holland, professore di Oftalmologia alla Cincinnati University. “Negli Stati Uniti, con solo 1.000 interventi DALK eseguiti all’anno, siamo ancora in ritardo rispetto ai 39.000 casi di patologie dello stroma corneale che potrebbero beneficiare di questa tecnica”.
Vincenzo Sarnicola, presidente della SICSSO, noto per aver ricostruito un occhio vedente da due occhi non vedenti, conferma l’importanza di questo intervento: “Il trapianto parziale di cornea, purché precoce, è oggi la vera soluzione alle infezioni gravi non rispondenti alla terapia medica.”
Statistiche preoccupanti e bisogno di interventi precoce
In Italia si stima che si verifichino circa 3.000 casi all’anno di cheratiti per infezioni da funghi o da Acanthamoeba. Le terapie mediche, purtroppo, non sempre riescono a eradicare le infezioni, dando ai microorganismi il tempo di penetrare nella cornea e danneggiarla gravemente. Quando si rende necessario un trapianto di cornea a tutto spessore, oltre la metà degli interventi fallisce, mentre nel 25% i risultati sono solo anatomici ma non funzionali e nel 5% dei casi si arriva all’enucleazione dell’occhio.
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Presa Weekly 28 Giugno 2024
PreSa WeeklyStanchezza: cosa mangiare e quando integrare
Alimentazione, News, News, Prevenzione, Stili di vitaLa stanchezza o astenia, può avere diverse cause fisiologiche e psicofisiche. La sonnolenza tende ad aumentare nei mesi invernali a causa della ridotta esposizione alla luce solare, che comporta una diminuzione della produzione di serotonina, l’ormone che mantiene alto il tono dell’umore, e un aumento della produzione di melatonina, l’ormone che favorisce il sonno. Questi cambiamenti possono portare a una sensazione di stanchezza più accentuata durante l’inverno. Tuttavia, anche l’aumento repentino delle temperature dovuto al cambio di stagione può provocare stanchezza.
Alimentazione contro la stanchezza
L’alimentazione è uno degli alleati contro la stanchezza, ma è importante fare attenzione a non cadere nella trappola degli zuccheri e della caffeina. Questi danno una rapida sensazione di energia, ma a lungo termine possono aumentare la sensazione di fatica e la fame. I tre macronutrienti principali che contribuiscono all’energia del corpo sono carboidrati, proteine e grassi.
La dottoressa Michela Seniga, nutrizionista presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, sottolinea che le proteine sono essenziali per fornire energia di lunga durata, soprattutto se combinate con i carboidrati. Le fonti proteiche di origine vegetale includono legumi e tutti i suoi derivati ma anche la frutta secca, ottima per il contenuto di lipidi e fibra. Tra le fonti proteiche animali si trovano carne, pesce, latticini e uova.
Carboidrati e grassi come fonti di energia
I cereali, ricchi di carboidrati, sono importanti per una rapida ripresa delle energie, per questo la specialista suggerisce il consumo regolare di grano integrale, farina d’avena e riso bianco. Inoltre, sono sempre preferibili i prodotti di stagione, che hanno una maggiore concentrazione di nutrienti come sali minerali e vitamine.
Questi micronutrienti, pur non fornendo energia diretta, influenzano i processi biologici ed energetici del corpo. Frutta e verdura fresche sono le migliori fonti di vitamine e sali minerali. I frutti con più nutrienti includono: mela, banana, arancia, limone, pompelmo, kiwi, melagrana, fragole, mirtilli e bacche di goji. Tra le verdure suggerite, quelle a foglia verde, carote, zucca e asparagi.
Vitamine per l’energia
Le vitamine mantengono alti i livelli di energia nel corpo. Le vitamine A ed E hanno una funzione antiossidante, mentre le vitamine del gruppo B proteggono il sistema immunitario e nervoso. In particolare, le vitamine B5 e B7 sono direttamente coinvolte nel metabolismo energetico. La vitamina C aiuta nell’assorbimento del ferro, mentre la vitamina D sostiene l’apparato osseo e riduce l’affaticamento muscolare, proteggendo anche il sistema immunitario.
Alimenti ricchi di vitamina D includono il tuorlo d’uovo o il salmone. Tuttavia solo il 10-20 per cento circa del fabbisogno giornaliero di vitamina D proviene dall’alimentazione. Tutto il resto della vitamina D che si può trovare nel nostro organismo si forma nella pelle a partire da un grasso simile al colesterolo, il 7-deidrocolesterolo, che viene trasformato per effetto dell’esposizione ai raggi UVB.
Suddivisione dei pasti contro la stanchezza
Avere una buona qualità del sonno è fondamentale per mantenere alti livelli di energia durante il giorno. L’alimentazione gioca un ruolo chiave nel rispetto del ritmo sonno-veglia. Per questo, la specialista di Humanitas suggerisce di fare una colazione abbondante, un pranzo soddisfacente e una cena leggera, consumata con anticipo rispetto al momento di andare a dormire.
Per la colazione, consiglia una porzione di frutta fresca, yogurt, frutta secca (in particolare noci e mandorle, ricche di sali minerali) e pane integrale tostato con marmellata. Al posto del caffè, può essere utile bere tè o tisane. Per lo spuntino di metà mattina, frutta secca, cioccolato fondente e frutta fresca sono ottimi alleati. A pranzo e cena, zuppe e minestre con verdure, cereali e legumi forniscono un’assunzione completa di sali minerali e vitamine. Le proteine animali vanno inserite nella dieta a rotazione settimanale, a pranzo o a cena.
L’idratazione
Mantenersi idratati è essenziale per mantenere i livelli di energia ed evitare la dispersione dei sali minerali assunti. L’acqua va bevuta regolarmente nel corso della giornata, preferibilmente a temperatura ambiente, nella misura di 8-10 bicchieri al giorno.
Quando consultare il medico e usare integratori
Se la stanchezza persiste e non ci sono motivi apparenti, è consigliabile consultare il medico di medicina generale. Dopo aver indagato ed escluso eventuali patologie sottostanti, un nutrizionista può aiutare a regolare l’alimentazione per combattere la stanchezza. In alcuni casi, il medico potrebbe prescrivere integratori, come quelli di vitamina D per ossa e muscoli, vitamina C per rinforzare il sistema immunitario o vitamine del gruppo B, specialmente per chi segue diete vegetariane o vegane. Le persone che praticano molto sport potrebbero aver bisogno di integrazioni di sali minerali come potassio e magnesio. La raccomandazione degli specialisti è di chiedere consiglio al medico ed evitare l’assunzione autonoma di integratori alimentari.
Planetary Health: equità e sostenibilità globale
One healthdi Marco Trabucco Aurilio
Il diritto alla salute è sancito dalla Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e da almeno 140 paesi. Ma nonostante ciò, ancora oggi, più della metà della popolazione mondiale non è coperta da servizi sanitari essenziali, risultando più vulnerabile a malattie e crisi globali, come è stato nel caso della pandemia da Covid-19. In un’era caratterizzata da rapidi cambiamenti climatici, crescente urbanizzazione e globalizzazione, e in un mondo sempre più interconnesso, la relazione tra la salute umana, animale e ambientale non è mai stata così evidente; al tempo stesso, non si può più ignorare l’interdipendenza tra il diritto alla salute e altri diritti fondamentali.
Il concetto di Planetary Health, che riconosce la complessità, l’interdipendenza e la permeabilità delle interazioni tra la salute degli esseri umani e quella dell’ecosistema, diventa quella lente essenziale attraverso cui guardare alla sostenibilità futura e all’equità globale. Un cambio di paradigma che invita a riconoscere la salute planetaria come prioritaria in tutte le politiche pubbliche. E questo non può che richiedere un approccio integrato e interdisciplinare, che coinvolga non solo scienziati e medici, ma anche economisti, ingegneri, urbanisti, decisori politici, fino ad arrivare ai divulgatori e agli educatori, che più di tutti possono trasmettere conoscenze e consapevolezze, in particolare ai più giovani. Senza dimenticare, infine, il ruolo fondamentale che ciascuno di noi, attraverso le proprie azioni quotidiane, può avere nella promozione della salute globale.
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Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 21 aprile 2024 con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
Più servizi per curare fegato e stomaco
Alimentazione, PrevenzioneIn Campania si sono moltiplicate nell’ultimo decennio le diagnosi di patologie a carico del fegato e dell’apparato digerente. Una vera e propria emergenza che richiede una risposta basata su competenze, tecnologie e professionalità. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli, attraverso l’Unità Operativa Complessa di Epatogastroenterologia, ha scelto di unire le competenze assistenziali maturate da una lunga tradizione di Scuola Gastroenterologica ed Epatologica all’innovazione derivante dalla ricerca e ha così ampliato la gamma di servizi a disposizione dei pazienti. «L’offerta assistenziale – spiega il professor Alessandro Federico – si estrinseca attraverso una rete professionale capillare, che consente l’individualizzazione dei percorsi diagnostici e la personalizzazione dei protocolli terapeutici».
Attività assistenziali
Una programmazione fortemente voluta dal Direttore Generale Ferdinando Russo e del Direttore Sanitario Pasquale Di Girolamo Faraone, che hanno inteso fare dell’Epatogastroenterologia il fulcro delle attività assistenziali, con diverse tipologie di ambulatori, servizio di day hospital, day service e di ricovero ordinario. L’attività ambulatoriale, coordinata dal professor Alessandro Federico, è affidata all’esperienza dei dottori Marco Niosi e Marcello Dallio per le competenze epatologiche e delle dottoresse Antonietta Gravina e Paola Ciamarra per la gestione delle patologie del tubo digerente. L’ambulatorio dedicato alla gestione delle malattie croniche di fegato ad eziologia virale, dalle quali storicamente la Campania risulta tristemente flagellata, garantisce la prescrizione di farmaci innovativi in grado di “controllare” il virus dell’epatite B ed eradicare quello dell’epatite C.
Medicina personalizzata per fegato e intestino
«Per i soggetti con problematiche metaboliche del fegato (steatosi epatica) – spiega il professor Federico – è attivo un ambulatorio dedicato nel quale, nell’ottica di un inquadramento completo, viene eseguita anche una valutazione dello stato nutrizionale (con l’ausilio di una biologa nutrizionista) attraverso impedenziometria, V-Scan, bracciale metabolico e indagine nutrizionale computerizzata, oltre ad una valutazione psicologica (con l’ausilio di una psicologa del comportamento alimentare). Esami finalizzati a garantire al paziente una corretta indicazione dietetico-comportamentale-farmacologica».
Procedure endoscopiche
Per ciò che attiene l’endoscopia digestiva, presso la U.O.C. di Epatogastroenterologia si effettuano esofagogastroduodenoscopie e pancolonscopie con ileoscopia retrograda diagnostiche ed operative in regime ambulatoriale e di ricovero ordinario, day hospital e day service per tutte le Unità Operative dell’Azienda Ospedaliera e per utenti esterni previa prenotazione CUP. In particolare, si effettuano polipectomie, legatura di varici, trattamento con argon plasma coagulation, dilatazione di stenosi esofagea e/o colica, posizionamento di protesi, posizionamento di PEG-j per pazienti con malattia di Parkinson, elettroporazione di tumori.
Tutte le procedure diagnostiche ed operative vengono eseguite con assistenza anestesiologica continua, sotto la direzione della professoressa Caterina Pace, in sala endoscopica. L’U.O.C. di Epatogastroenterologia è centro di riferimento regionale per le malattie rare abilitato al trattamento, gestione e certificazione ed il professor Alessandro Federico è, inoltre, referente unico per l’Azienda Ospedaliera per la prescrizione di nuovi farmaci per la colestasi intraepatica familiare progressiva.
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Sanità digitale e accesso ai farmaci in Italia: ritardi, disuguaglianze e soluzioni
Associazioni pazienti, Benessere, Economia sanitaria, Farmaceutica, News, News, Ricerca innovazioneSecondo i dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), l’Italia impiega in media 14 mesi per autorizzare un nuovo trattamento dopo l’approvazione dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMA). Inoltre, le approvazioni regionali variano da 129 giorni in Piemonte a 279 giorni in Basilicata, con una media nazionale di 429 giorni. Questo ritardo del nostro Paese compromette l’accesso tempestivo a terapie innovative per molti pazienti italiani. L’Italia, così, si colloca al 14° posto in Europa per i tempi di approvazione delle domande di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC).
Liste d’attesa e rinuncia alle cure
L’accesso alle cure è ulteriormente ostacolato dai lunghi tempi delle liste d’attesa per le visite specialistiche e gli esami diagnostici nel SSN. Un’indagine del 2024, condotta da BHAVE, indica che il 39% degli italiani considera i servizi pubblici meno efficienti di quelli privati. Il 46% degli intervistati attende mesi per una visita specialistica, mentre il 16% aspetta almeno un anno. Inoltre, il 36,5% delle famiglie a basso reddito e il 44,2% di quelle a reddito medio-basso rinunciano alle cure.
Problematiche del Servizio Sanitario Nazionale
Il tema è stato analizzato durante l’evento “Patient Access Journey,” su iniziativa della Sen. Daniela Sbrollini a Roma. Durante l’incontro è stato presentato il “Patient Access Report 2024“. Le principali problematiche del SSN, identificate dal Patient Access Think Tank, includono l’uso inappropriato dei servizi sanitari, come il ricorso frequente al pronto soccorso per problemi non urgenti e l’uso improprio di farmaci. La comunicazione inefficace con i cittadini, la carenza di personale sanitario, le risorse economiche insufficienti e un’organizzazione ospedaliera migliorabile sono altri fattori critici.
“Il quadro generale mostra un sistema sanitario sotto pressione, dove i ritardi nelle approvazioni, le lunghe attese per le prestazioni sanitarie e le crescenti disuguaglianze nell’accesso alle cure stanno compromettendo gravemente la salute pubblica in Italia – afferma Sbrollini. Nonostante tutti gli sforzi introdotti dal governo, è sempre più urgente un intervento strutturale sui comportamenti di cittadini ed operatori sanitari per migliorare l’efficienza del SSN e garantire un accesso equo e tempestivo alle cure per tutti i cittadini”.
Accesso all’innovazione. Market Access e Patient Access
Il Prof. Guido Rasi, consulente del Ministero della Salute, distingue tra Market Access e Patient Access. Il Market Access si concentra sull’introduzione commerciale dei prodotti, mentre il Patient Access si focalizza sull’effettiva fruibilità dei trattamenti da parte dei pazienti.
“Market Access e Patient Access sono concetti strettamente collegati, presentano differenze significative in termini di obiettivi, strategie e implicazioni – ha affermato. Entrambi sono essenziali per garantire che le innovazioni nel settore sanitario raggiungano e beneficino i pazienti in modo efficace e sostenibile. La collaborazione tra tutti gli stakeholders è cruciale per superare le barriere e migliorare l’accesso ai trattamenti per tutti i pazienti”, conclude Rasi
Il Patient Access Think Tank .
Il Patient Access Think Tank (PATT) è un’iniziativa senza scopo di lucro supportata da BHAVE, con il patrocinio di diversi intergruppi parlamentari e istituzioni accademiche. L’obiettivo è proporre soluzioni strategiche per il sistema sanitario sotto pressione. Tra gli obiettivi: sollecitare soluzioni per migliorare l’accesso alla salute dei cittadini, promuovere coalizioni e consenso tra pubblico e privato e instaurare un dialogo aperto tra istituzioni, aziende private, associazioni e società scientifiche.
Proposte e invito all’azione politica
Il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione Italiana, è un principio fondamentale che deve essere garantito a tutti i cittadini. Tuttavia, sembra essersi trasformato in un “diritto ausiliario”, subordinato ai vincoli di bilancio e alle politiche economiche, osserva Annalisa Scopinaro, Presidente di Uniamo. “Il Patient Access indica la possibilità e la capacità effettiva per un soggetto di prendersi cura di se stesso o di qualcun altro rivolgendosi alla sanità pubblica”, ribadisce.
Per migliorare la gestione delle liste d’attesa, il report propone sistemi di prenotazione con un numero unico nazionale, integrazione delle banche dati regionali per evitare doppie prenotazioni e mancate visite e l’utilizzo della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale per migliorare l’efficienza e la trasparenza delle liste d’attesa.
Inoltre le proposte includono l’adozione di standard uniformi per la gestione dei dati sanitari, investimenti nelle infrastrutture tecnologiche per migliorare la connettività e la capacità di elaborazione dei dati e l’implementazione di cartelle cliniche elettroniche accessibili in tutto il territorio nazionale.
Telemedicina e assistenza domiciliare
Il repost sottolinea la necessità di sviluppare linee guida nazionali per l’espansione dei servizi di telemedicina. Inoltre propone l’estensione del servizio alle farmacie territoriali e ai laboratori di analisi cliniche accreditati, oltre allo sviluppo di protocolli standardizzati per l’assistenza domiciliare integrata.
Collaborazione tra Stato e Regioni
Un altro punto riguarda la necessità di rafforzare la collaborazione tra Stato e Regioni per ridurre le diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari. Le Regioni e le aziende sanitarie devono rendicontare pubblicamente i loro risultati, fornendo dati omogenei e continuativi per permettere agli analisti di valutare l’impatto delle scelte politiche e organizzative, si legge nel report.
Infine viene proposta l’istituzione di Behavioral Intervention Units (BIUs) a livello nazionale e regionale, come suggerito dall’OMS. Queste unità aiuterebbero ad affrontare le barriere comportamentali e a promuovere cambiamenti positivi nei comportamenti di salute.
Infatti, un cambiamento comportamentale dei cittadini e degli operatori è essenziale per migliorare l’efficienza del SSN e garantire un accesso equo alle cure, ottimizzando gli investimenti.
Intelligenza artificiale predice Alzheimer dal modo di parlare
Anziani, Economia sanitaria, Farmaceutica, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneUn nuovo programma di intelligenza artificiale può diagnosticare l’Alzheimer sei anni prima dell’esordio dei sintomi. Si tratta di uno strumento che analizza il modo di parlare delle persone. Il risultato è stato pubblicato sulla rivista Alzheimer’s & Dementia e proviene da ricercatori della Boston University.
Modello di Intelligenza Artificiale preciso e abbatte i costi
Il modello sviluppato dai ricercatori ha un tasso di precisione del 78,5%. Può prevedere se una persona con lieve deterioramento cognitivo rimarrà stabile nei sei anni successivi o svilupperà la demenza. Questo lavoro potrebbe automatizzare lo screening del deterioramento cognitivo, rendendolo più accessibile.
In futuro, il programma potrebbe eliminare la necessità di costosi test di laboratorio, esami di imaging o visite mediche. Automatizzando parte del processo, lo screening diventa più semplice e accessibile.
Il nuovo modello
Per costruire e addestrare il modello, i ricercatori hanno utilizzato i dati del Framingham Heart Study. Questo è uno degli studi più antichi e di lunga durata nel Paese. I partecipanti con segni di declino cognitivo sono stati sottoposti a regolari test neuropsicologici e interviste.
All’inizio dello studio, gli esperti hanno ottenuto registrazioni audio di 166 interviste con persone tra i 63 e i 97 anni con lieve deterioramento cognitivo. Di queste, 76 persone sono rimaste stabili nei successivi sei anni, mentre 90 sono peggiorate progressivamente.
I ricercatori hanno utilizzato strumenti di riconoscimento vocale e intelligenza artificiale per addestrare il modello. Hanno individuato connessioni tra discorso, dati demografici, diagnosi e progressione della malattia. Dopo l’addestramento, hanno testato la capacità predittiva del programma sul resto dei partecipanti.
Un’App per Smartphone predice Alzheimer
Il modello funziona basandosi solo sul contenuto delle interviste e sulle parole pronunciate. Analizza come sono strutturate le frasi per fare le sue previsioni. Ora il team mira a sviluppare un’app per smartphone per predire l’Alzheimer. Inoltre, i ricercatori vogliono espandere lo studio oltre l’analisi del discorso.
Per aumentare la precisione predittiva del modello, gli esperti vogliono usare anche i disegni dei pazienti. Gli autori dichiarano che il digitale è il nuovo sangue. Può essere raccolto, analizzato per ciò che è noto oggi e conservato per rianalizzarlo domani. Questa visione enfatizza l’importanza dei dati digitali nella diagnosi e nel trattamento delle malattie.
Scenari futuri
Con un’accuratezza del 78,5%, questo strumento potrebbe rivoluzionare lo screening del deterioramento cognitivo. Automatizzando il processo e rendendolo accessibile tramite un’app per smartphone, si apre la strada a diagnosi più rapide e meno costose.
La malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease) è una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo. Si tratta della causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi sviluppati. Attualmente si stima ne sia colpita circa il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni e circa il 20% degli ultra-85enni. tuttavia, può manifestarsi anche un esordio precoce intorno ai 50 anni di vita.
L’intelligenza artificiale è in sala operatoria
RubricheLa chirurgia digitale ha guadagnato popolarità negli ultimi anni, parallelamente al diffondersi di nuove tecnologie. Convinto sostenitore dell’innovazione è il chirurgo Francesco Selvaggi, direttore dell’U.O.C. di Chirurgia colorettale alla Vanvitelli di Napoli. «L’intelligenza artificiale è ormai applicata a diverse aree della chirurgia – spiega – a livello preoperatorio, intraoperatorio e postoperatorio. Nel preoperatorio, può aiutare a diagnosticare e classificare clinicamente i pazienti nel modo più accurato possibile e offrire un piano di trattamento personalizzato.
In sala operatoria
Nel post-operatorio, può integrare il percorso per un migliore recupero dopo l’intervento, automatizzare la valutazione della patologia e supportare la ricerca. Tutti questi elementi contribuiscono a migliorare gli esiti dei pazienti e forniscono risultati promettenti.
Francesco Selvaggi
A livello intraoperatorio, potrebbe contribuire a migliorare le capacità del chirurgo durante le procedure laparoscopiche e robotiche. Lo sviluppo di sistemi basati sull’intelligenza artificiale potrebbe supportare il rilevamento dell’anatomia e attivare allarmi, fornendo una guida chirurgica sulle manovre rischiose e nelle fasi cruciali dell’intervento».
Il contributo dell’intelligenza artificiale
Selvaggi ricorda anche che oggi gli algoritmi di intelligenza artificiale vengono usati per identificare gli strumenti chirurgici quando entrano nel campo operatorio e per identificare i punti di riferimento anatomici, come le strutture vascolari e nervose e gli organi. «Un contribuito importante è uno studio di Kolbinger e colleghi pubblicato nel 2023. Basandosi su video di resezioni rettali assistite da robot, si sono concentrati sullo sviluppo di un algoritmo per il rilevamento automatico delle fasi chirurgiche e l’identificazione delle strutture anatomiche.
In particolare, l’algoritmo ha ottenuto i migliori risultati nel rilevamento del mesocolon, del mesoretto, della fascia di Gerota, della parete addominale e dei piani di dissezione durante l’escissione mesorettale. Sulla scia di questo lavoro altri autori hanno sviluppato un algoritmo capace di rilevare automaticamente il tessuto mesorettale utilizzando un software. Garantendo che la rimozione del retto per cancro possa essere eseguita in modo sicuro ed efficace».
Mai adagiarsi
Ma è lo stesso Selvaggi a ricordare che l’intelligenza artificiale è, e deve sempre continuare ad essere, un ausilio per il chirurgo. «Il rischio è quello di appiattirsi e perdere lo stimolo ad aggiornarsi. Invece, il progresso tecnologico deve spingere tutti noi ad aumentare le nostre conoscenze per governare il cambiamento e non subirlo».
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Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 21 aprile 2024 a Firma di Renato Bellotti con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
Solitudine aumenta il rischio di ictus
Anziani, News, News, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazione, Stili di vitaLa solitudine è un fattore di rischio per molte malattie ed è sempre più considerata un problema di salute pubblica. Le conseguenze impattano, non solo sul benessere dei cittadini, ma anche sull’economia. Uno studio recente della Harvard T.H. Chan School of Public Health, pubblicato sulla rivista eClinicalMedicine, evidenzia come la solitudine cronica, quindi vissuta per diversi anni consecutivi, possa aumentare significativamente il rischio di ictus negli adulti e negli anziani.
Solitudine e rischio di ictus
L’ictus è una delle principali cause di disabilità a lungo termine e mortalità a livello mondiale. Secondo l’autrice principale dello studio, Yenee Soh, sentirsi soli svolge un ruolo rilevante nell’incidenza dell’ictus. Ricerche precedenti avevano già collegato questo stato d’animo a un maggiore rischio di malattie cardiovascolari.
Lo studio della Harvard T.H. Chan School of Public Health
I ricercatori hanno valutato l’associazione tra la solitudine percepita e l’incidenza di ictus in un campione iniziale di 12.161 individui, tutti di età pari o superiore a 50 anni. Tra il 2006 e il 2008, il livello di solitudine dei partecipanti è stato misurato utilizzando la Revised UCLA Loneliness Scale. Questa valutazione è stata ripetuta quattro anni dopo (2010-2012) su una parte del campione iniziale, composta da 8.936 individui.
I partecipanti sono stati suddivisi in quattro gruppi in base ai loro punteggi di questa sensazione nel tempo. Coloro che hanno mostrato lo stato d’animo solo alla prima misurazione avevano un rischio di ictus del 25% più alto rispetto a coloro che non erano risultati soli. Invece, i partecipanti che hanno mostrato solitudine in entrambi i momenti temporali avevano un rischio di ictus superiore del 56% rispetto a quelli che non hanno mostrato questa condizione per tutto il periodo dello studio.
Implicazioni a lungo termine
I risultati dello studio indicano che l’impatto di questo stato d’animo sul rischio di ictus si manifesta soprattutto nel lungo termine. La solitudine cronica è quindi un fattore di rischio significativo per l’ictus, con effetti che si accumulano nel tempo.
I ricercatori suggeriscono che il sentirsi soli possa aumentare il rischio di ictus attraverso vari meccanismi. La condizione emotiva è associata a una minore aderenza alle terapie in corso e a stili di vita non salutari, come il fumo, il consumo di alcol e una scarsa qualità del sonno. Inoltre, questo stato d’animo può influenzare condizioni organiche come l’infiammazione cronica e la pressione alta, che causano danni vascolari, metabolici e immunitari.
Scenari futuri
La solitudine cronica è un significativo fattore di rischio per l’ictus. Gli anziani sono la fascia maggiormente a rischio. Nei prossimi vent’anni, dieci milioni di italiani vivranno da soli, quasi una persona su cinque, che per gli over 65 significa passare dagli attuali 4,2 milioni a circa 6 milioni nel 2040.
Le scoperte di questo studio potrebbero influenzare le politiche sanitarie, incoraggiando l’implementazione di programmi di sostegno sociale e interventi mirati per mitigare la sensazione di essere soli a lungo. La prevenzione e il benessere emotivo, soprattutto tra gli anziani, potrebbero ridurre l’incidenza dell’ictus a livello globale.
Maculopatia, cure più veloci con i nuovi farmaci
News, RubricheOltre i 60 anni è bene guardarsi dalla degenerazione maculare legata all’età (DMLE), più conosciuta come maculopatia. La macula è la zona centrale della retina, la più nobile e delicata perché coinvolta nella percezione dettagliata delle immagini. È importante comprendere che la macula stessa può essere coinvolta in tantissime malattie della retina, diverse dalla DMLE, come diagnosi, terapia e soprattutto prognosi.
Abbiamo parlato delle possibili implicazioni e delle terapie oggi disponibili per trattare la maculopatia legata all’età con il con dottor Mario Sbordone, direttore dell’U.O.C. di Oculistica all’Ospedale di Pozzuoli e tra i maggiori esperti del campo. «Si tratta di un fenomeno degenerativo legato all’involuzione dei tessuti nel tempo, non causato da un elemento specifico ma favorito da una serie di fattori di rischio come l’obesità, il fumo, le patologie cardiovascolari e dismetaboliche. E le più colpite sono le donne».
Due diverse forme di maculopatia
Il dottor Sbordone spiega poi che si distinguono due forme principali di maculopatia legata all’età: una umida e una secca. La prima consiste nello sviluppo di un gomitolo di capillari cresciuti in modo anomalo proprio al centro della retina, con accumulo di siero e sangue che deforma la macula e innesca dei meccanismi tossici per il tessuto stesso: le due cose insieme provocano perdita progressiva della visione centrale.
«L’esordio della malattia è spesso brusco, con sintomi molto evidenti per il paziente, a volte bilaterale, però questa forma trova oggi per fortuna una terapia in grado di contrastarne in qualche modo l’evoluzione: da anni infatti sottoponiamo questi pazienti a dei cicli di iniezioni intravitreali di farmaci nell’occhio del paziente in grado di inibire quei fenomeni che sono alla base della crescita di quei capillari “cattivi” e delle sue conseguenze». Una lotta spesso lunga e sfibrante per il paziente, ma grazie a queste terapie si riesce oggi a lasciare a molti una visione sufficiente per essere più o meno autonomi, laddove prima non potevamo fare altro che constatare la malattia.
Nuovo trattamento
La novità, dice poi il dottor Sbordone, è che «dopo molti anni, sono finalmente disponibili nelle nostre strutture farmaci nuovi, dai quali per il momento possiamo aspettarci una riduzione della frequenza del numero di iniezioni, con minori disagi per i pazienti e minore aggravio per le strutture sanitarie». Altra forma di DMLE è quella che viene chiamata “secca”, perché non si assiste alla crescita di capillari con perdita di siero e sangue, ma semplicemente ad una lenta e progressiva perdita di quelle cellule che costituiscono la struttura vedente della macula, che si assottiglia piano piano ed evolve verso un calo della vista non brusco, al quale i pazienti inizialmente si adattano senza grandi limitazioni.
Se il fenomeno raggiunge livelli più gravi il paziente si accorge del suo handicap e si rivolga allo specialista. Qui il discorso delle cure è diverso: è scientificamente provato che la somministrazione per bocca di integratori a base di luteina ed altri oligoelementi è utile a rallentare la progressione della patologia.
Iniezione intraoculare
«Nell’immediato si è reso disponibile un modo diverso di somministrazione di questi prodotti che è la iontoforesi retinica, un procedimento che sfrutta le correnti galvaniche per far penetrare nell’occhio una quantità di prodotto, applicato in gocce sulla superficie oculare nel corso di una breve seduta ambulatoriale di terapia, pari ad una somministrazione per bocca di sei mesi. Gli studi clinici hanno avvalorato la validità di questo nuovo metodo di somministrazione, ma come sempre sarà la sua applicazione su vasta scala a rispondere ai quesiti che riguardano il rapporto costi-benefici, la tollerabilità e il gradimento da parte dell’utenza.
Possiamo anticipare che negli USA è stata recentemente approvata una nuova terapia con una nuova iniezione intraoculare che può rallentare la progressione della DMLE secca avanzata. Siamo dunque in attesa che le autorità europee e italiane possano mettersi al passo per questo importante aggiornamento e che infine la ricerca che intanto prosegue sull’impiego delle cellule staminali in questo settore possa un domani fornire un contributo utile e soprattutto accessibile per i nostri pazienti con maculopatia senile».
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Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 21 aprile 2024 a Firma di Renato Bellotti con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute