Tempo di lettura: 4 minutiStrappo muscolare, contrattura o stiramento? E come ci si deve comportare per non avere fastidi in futuro? È importante chiederselo, perché spesso lasciamo correre con troppa leggerezza gli infortuni muscolari. A causa di una corsa, o qualunque altra attività sportiva, può capitare di sentire un fastidio, segno di un incidente al muscolo che può essere più o meno grave. La cosa importante è non banalizzare e intervenire nel modo giusto. Proviamo allora a capire quali sono le differenze e come si può riconoscere la natura del problema.
I sintomi della contrattura muscolare
Dal punto di vista clinico, la contrattura muscolare è una contrazione che dura nel tempo delle fibre del muscolo. La sensazione che si ha è quella di una rigidità del muscolo che può arrivare fino al dolore vero e proprio. Sono questi i sintomi che dobbiamo riconoscere. Non tutti sanno che la contrattura è una sorta di difesa messa in atto dall’organismo che cerca di limitare il movimento quando un muscolo è eccessivamente sollecitato. Succede quando il corpo si rede conto che stiamo superando le nostre capacità e un’articolazione che non si muove nella maniera giusta.
Come intervenire per curare una contrattura
In linea di massima, quello che serve è il riposo. Solitamente una contrattura guarisce in modo spontaneo. Assolutamente da evitare è il tentativo di mettere a posto le cose intensificando lo sport, cosa che può solo far aumentare il fastidio e il dolore nella zona colpita dalla contrattura. In alcuni casi, però, la contrattura può essere più seria del previsto e può essere molto utile il trattamento manuale (massoterapia decontratturante, trattamenti manipolativi) eventualmente associato a terapie fisiche in grado di rilasciare calore (tecarterapia, laser, ecc), a giudizio del fisiatra.
Tempi di recupero dalle contratture
In genere, per guarire da una contrattura, basta una settimana di riposo. Il discorso cambia per le contratture muscolari recidivanti o croniche che sono la diretta conseguenza di problemi posturali. In questi casi, per una risoluzione definitiva, è necessario effettuare una visita fisiatrica (completa di una valutazione posturale) per individuare la causa precisa e programmare poi il trattamento più appropriato con il fisioterapista.
Lo stiramento muscolare
Diversa è la questione quando si parla di stiramento muscolare (o elongazione), che si verifica quando le fibre muscolari si allungano più del dovuto. Ma niente panico: non significa che ci sia una rottura. È solo un piccolo avviso dal nostro corpo per farci capire che stiamo esagerando un po’. Tra le principali ragioni per cui ci si ritrova con uno stiramento c’è la scarsa preparazione ad uno sforzo improvviso (mancato riscaldamento), ma può anche essere causato da movimenti troppo bruschi, squilibri posturali e muscolari o tempi di recupero insufficienti dopo uno sforzo o un infortunio. In poche parole, se chiediamo troppo al nostro corpo senza prepararlo adeguatamente, il rischio di stirarci un muscolo aumenta.
I sintomi da riconoscere
Il sintomo numero uno dello stiramento è il dolore. Si manifesta all’improvviso, magari durante un movimento specifico, e può tornare a farsi sentire se ripeti lo stesso gesto. Oltre al dolore, altri segnali da non sottovalutare sono:
- Rigidità muscolare
- Difficoltà a muovere la zona colpita
- Un fastidioso indolenzimento
Cosa fare in caso di stiramento?
Non c’è una soluzione magica, ma di solito il riposo per circa due settimane aiuta molto. Applicare del ghiaccio sulla zona dolente e, se necessario, assumere farmaci antidolorifici o antinfiammatori (sempre dopo aver consultato un medico) può alleviare il fastidio e accelerare la guarigione. Se il dolore persiste, o noti gonfiore o lividi, è il caso di rivolgersi a uno specialista per capire meglio la situazione.
Lo strappo muscolare: quando la situazione si fa più seria
Lo strappo muscolare è un po’ il fratello maggiore, e decisamente più antipatico, dello stiramento. Si tratta della rottura vera e propria di uno o più fasci di fibre muscolari, solitamente causata da uno stress eccessivo. In pratica, il muscolo viene tirato al di là del suo limite.
Le cause dello strappo muscolare
Tra le cause più comuni ci sono contrazioni brusche, movimenti scorretti (per esempio uno scatto improvviso) o traumi diretti. Il muscolo subisce una tensione così forte da non riuscire più a reggere, portando alla rottura delle fibre. Gli strappi muscolari non sono tutti uguali, si suddividono in base alla gravità:
- Lesione di primo grado: un fastidio, qualche crampo, ma il muscolo funziona ancora. Non ci sono grosse perdite di forza o movimento.
- Lesione di secondo grado: qui il dolore diventa più forte e accompagnato da gonfiore e lividi. Il muscolo perde forza e la libertà di movimento è ridotta.
- Lesione di terzo grado: il muscolo è completamente strappato. Il dolore è intenso, il gonfiore evidente e si formano ampi lividi a causa del sangue che fuoriesce. In questo caso, anche le azioni più semplici diventano difficili.
Cosa fare in caso di strappo muscolare?
Se si sospetta uno strappo muscolare, la prima cosa da fare è rivolgersi a un medico per una diagnosi accurata. Una volta stabilita la gravità, il trattamento potrebbe seguire il protocollo RICE (Riposo, Ghiaccio, Compressione, Elevazione), ma nei casi più gravi potrebbe essere necessario intervenire con la fisioterapia o, raramente, con un’operazione chirurgica.
Per gli strappi meno gravi, un paio di settimane di riposo (anche se relativo) sono sufficienti, accompagnati da terapie farmacologiche e riabilitative mirate. Il ghiaccio applicato 3 volte al giorno per 15-20 minuti aiuta a ridurre il dolore e il gonfiore. Se il problema è più serio, i tempi di recupero possono allungarsi fino a un mese o più. La fisioterapia, con esercizi graduali di stretching e rinforzo muscolare, gioca un ruolo cruciale per tornare in forma. Nei casi più gravi, invece, potrebbe essere necessario un percorso riabilitativo più lungo e strutturato.
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Ovociti, sarà possibile ringiovanirli
Ricerca innovazioneA breve sarà possibile riportare indietro l’orologio biologico per donne non più giovanissime che cercano una gravidanza. Questo significa che tantissime donne sopra i 40 anni che oggi non riescono ad avere un bambino potrebbero finalmente vivere l’emozione e la gioia della gravidanza ringiovanendo gli ovociti.
La procedura
Il primo passo verso questo importante traguardo è stato compiuto in un esperimento con ovociti anziani. I ricercatori del Mechanobiology Institute, National University of Singapore (coordinati dal dottor Rong LI) sono riusciti a ringiovanirli impiantandoli in un follicolo ovarico giovane. Qualcosa che non era mai stato fatto prima, tanto che i risultati sono pubblicati sulla rivista Nature Aging.
Il meccanismo riproduttivo
Il problema dell’età è legato al fatto che con l’andare degli anni il corpo produce un numero inferiore di ovociti e quelli prodotti sono di qualità inferiore rispetto a quelli generati in età più giovane. Il follicolo ovarico è una struttura che fa parte dell’ovaio e che contiene nella sua parete interna un ovocita destinato a maturare. Queste cellule, durante la fase ovulatoria, vengono rilasciate nelle tube di Falloppio e sono così pronte ad essere fecondate dagli spermatozoi.
La sperimentazione
In questo nuovo studio, i ricercatori hanno osservato che si verificavano anche altri cambiamenti nei follicoli. Per dimostrarlo hanno condotto esperimenti in cui rimuovevano ovociti dai follicoli di topi giovani, li sostituivano con ovociti di topi più anziani e lasciavano che questi ovociti maturassero in ovuli. Successivamente, hanno testato la qualità dell’ovulo e degli eventuali cuccioli.
Ringiovanire l’ovocita
Il team ha scoperto che la qualità degli ovociti migliorava dopo l’impianto in un follicolo più giovane: l’ovocita anziano ringiovaniva, con una riduzione delle anomalie nei cromosomi, insieme a miglioramenti nella funzione dei mitocondri (le centraline energetiche delle cellule) e nell’espressione genica. Con il miglioramento del metabolismo degli ovociti e dei successivi ovuli, le probabilità di una gravidanza aumentavano.
Nuove speranze
I cuccioli prodotti dagli ovuli ringiovaniti risultavano più sani rispetto a quelli nati da topi di controllo più anziani, sebbene non fossero sani quanto i cuccioli nati da ovociti giovani di topi giovani. Il team ha inoltre scoperto che, se invertivano la procedura, mettendo ovociti giovani in follicoli più anziani, gli ovociti mostravano segni di invecchiamento. In futuro questi esperimenti potrebbero suggerire nuove strategie per affrontare problemi di fertilità, concludono.
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Meyer, un retinografo all’avanguardia per l’Oculistica
Bambini, PediatriaL’Ospedale Pediatrico Meyer ha recentemente acquisito una sofisticata attrezzatura medica di ultima generazione che segna un passo avanti nella diagnosi e nel trattamento di gravi patologie oculistiche pediatriche. Si tratta di un retinografo di alta precisione, uno strumento che sarà determinante nella lotta contro la retinopatia del prematuro, una malattia che può colpire la retina dei neonati pretermine e portare, nei casi più gravi, alla cecità. Grazie alla generosa donazione della prestigiosa maison di moda Salvatore Ferragamo, oltre cento bambini potranno ricevere cure avanzate ogni anno.
Diagnosi precoce e monitoraggio oculare
Il retinografo rappresenta una svolta nella diagnosi precoce e nel monitoraggio delle patologie oculari nei neonati e nei bambini. Questo strumento è dotato di una telecamera collegata a un monitor che consente di visualizzare in tempo reale l’intero fondo oculare del piccolo paziente. L’esame, non invasivo, è semplice: una sonda viene appoggiata delicatamente sulla cornea, permettendo di acquisire immagini ad alta risoluzione, subito visibili sullo schermo.
Intervento tempestivo
Il retinografo è particolarmente prezioso nella diagnosi della retinopatia del prematuro, una patologia che colpisce i neonati di basso peso alla nascita. Nei bambini nati pretermine, i vasi sanguigni della retina non sono completamente sviluppati al momento della nascita e possono crescere in modo anomalo, creando tessuti cicatriziali che, se non diagnosticati e trattati in tempo, portano al distacco della retina e a una cecità irreversibile. Lo strumento permette una diagnosi precisa, consentendo l’eventuale intervento tempestivo.
Follow-up
Inoltre, il retinografo si dimostra fondamentale anche nel trattamento e follow-up di altre importanti patologie oculistiche pediatriche, sia tumorali, come il retinoblastoma, che malformative ed ereditarie. La possibilità di archiviare e condividere immagini e video, rende l’apparecchio essenziale per la telemedicina, facilitando consulenze a distanza senza la necessità di spostare il piccolo paziente.
Una malattia da diagnosticare in tempo
La retinopatia del prematuro è una condizione grave che colpisce i neonati nati prima del termine. Il problema principale è il mancato sviluppo dei vasi sanguigni retinici al momento della nascita. In molti casi, i vasi crescono in modo irregolare nelle prime settimane di vita, causando cicatrici che possono distaccare la retina e portare alla perdita della vista. La diagnosi precoce è cruciale per intervenire tempestivamente e prevenire danni irreversibili.
Grazie all’utilizzo del nuovo retinografo, l’equipe oculistica del Meyer, guidata dal dottor Roberto Caputo, sarà in grado di diagnosticare con precisione questa malattia e monitorare l’efficacia degli interventi terapeutici, tra cui anche trattamenti chirurgici.
Un impegno concreto per la salute dei bambini
Questa fondamentale acquisizione è stata resa possibile grazie al sostegno di Salvatore Ferragamo, storico marchio fiorentino, che continua a supportare l’Ospedale Meyer e la sua Fondazione. L’investimento nel retinografo è solo l’ultima delle numerose iniziative intraprese nell’ambito di una collaborazione che dura ormai da quattro anni. Nel corso degli anni, Salvatore Ferragamo ha finanziato diversi progetti cruciali per l’ospedale. Tra questi, spicca l’acquisto di uno spettrometro di massa per il Laboratorio di screening neonatale, utilizzato per trattare oltre 60.000 neonati in Toscana e Umbria, contribuendo alla diagnosi di malattie rare.
Un altro importante investimento è stato destinato alla Cardiologia pediatrica, con l’acquisto di un ecocardiografo di alta gamma e l’aggiornamento della risonanza magnetica. Questi strumenti hanno consentito al Meyer di migliorare la qualità delle diagnosi cardiologiche, con centinaia di esami eseguiti ogni anno. Anche l’Ortopedia ha beneficiato di tecnologie avanzate, con un macchinario capace di effettuare scansioni 2D e 3D durante gli interventi chirurgici ortopedici.
Un evento simbolico di solidarietà e innovazione
La cerimonia di consegna del retinografo si è svolta presso il Family Center dell’Ospedale Meyer alla presenza della Direzione dell’AOU Meyer IRCCS e di esponenti della Fondazione Meyer. Presenti all’evento Marco Carrai, presidente della Fondazione Meyer, Alessandro Benedetti, segretario generale della Fondazione, e per Salvatore Ferragamo, la vicepresidente del gruppo Angelica Visconti e James Ferragamo, Chief Transformation & Sustainability Officer. Durante l’evento, è stato sottolineato come la collaborazione tra il mondo della moda e l’ospedale pediatrico rappresenti un modello di impegno sociale volto al miglioramento della vita dei più piccoli.
Futuro di speranza per i piccoli pazienti
L’acquisizione di questa sofisticata attrezzatura rappresenta un salto di qualità per l’Ospedale Meyer e per i bambini che ogni anno necessitano di cure specializzate. Grazie alla partnership con Salvatore Ferragamo, l’ospedale potrà continuare a garantire diagnosi tempestive e trattamenti d’eccellenza, migliorando così le prospettive di cura e di vita dei suoi piccoli pazienti. Un’alleanza strategica tra mondo imprenditoriale e sanitario che punta a costruire un futuro migliore per i più vulnerabili: i bambini.
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Più alberi meno malattie, dimostrati benefici delle zone green
Associazioni pazienti, Benessere, One health, Prevenzione, Ricerca innovazioneUno studio condotto sugli abitanti di Louisville, in Kentucky, ha dimostrato che l’aumento del verde urbano, in particolare la presenza di alberi, riduce significativamente il rischio di malattie cardiovascolari, diabete e cancro. Gli alberi migliorano la qualità dell’aria, riducono lo stress e abbassano i livelli di infiammazione, contribuendo a prevenire patologie croniche. L’integrazione di politiche verdi nelle città potrebbe rappresentare un investimento per la salute pubblica, riducendo i costi sanitari e migliorando la qualità della vita dei cittadini. Da questa convinzione nasce l’iniziativa di ASSO.IMPRE.DI.A.
Più alberi per la prevenzione
“Stiamo girando il Paese da più di un anno per dimostrare che il Futuro e la Salute delle nostre città si realizza solo con politiche ambientali. Questo nostro impegno è apprezzato in Europa da ELCA | European Landscape Contractors Association che considera l’Italia anche un modello unico di Bellezza in cui concorrono da generazioni, – dichiara il Direttore Generale di ASSO.IMPRE.DI.A. Alberto Patruno – famiglie di custodi contadini e imprenditori capaci di coltivare, ma pure di manutentare il verde e il Paesaggio”.
“Assoimpredia è l’associazione, verticale di Confindustria Cisambiente, che raccoglie le aziende più rappresentative nel panorama della progettazione, realizzazione e manutenzione del verde urbano, extraurbano e storico, qualificante e imprescindibile elemento di arredo, del decoro urbano e del paesaggio”. Puntare sulla salute come scelta strategica, ribadisce. Gli studi di università americane sono stati raccolti attorno al progetto Green Heart Louisville Project, come sottolinea anche Massimo Lucidi responsabile Esteri dell’associazione, presente a Norimberga i giorni 11 e 12 settembre.
Lo studio
“La ricerca realizzata a Louisville in Kentucky ha dimostrato – dichiara Melissa Rava Presidente di ASSO.IMPRE.DI.A. – e evidenziato che coloro che vivono nelle aree rinverdite avevano livelli di un biomarcatore dell’infiammazione generale – una misura chiamata proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP) – inferiori del 13-20% rispetto a coloro che vivevano nelle aree che non avevano ricevuto nuovi alberi o arbusti. Più alberi e verde ha come effetto la riduzione dei rischi di infarto e di altre malattie cardiovascolari. Ma anche meno probabilità di sviluppare cancro e diabete”.
“Il futuro è davvero nella Salute delle nostre città verdi – aggiunge Alberto Patruno – che conferma che la nostra intuizione sul tema che stiamo portando in giro con la “Passeggiata per l’Italia” dal titolo: “Il verde è la salute sono il futuro delle nostre città”. Dopo le tappe di Napoli, di Milano, di Roma e Torino, Vi aspettiamo a Livorno venerdì 27 settembre, a Bari venerdì 25 ottobre e a Catania venerdì 28 novembre 2024”.
Cervello degli adolescenti invecchiato durante la pandemia: nelle ragazze di 4,2 anni
Adolescenti, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneIl cervello degli adolescenti, durante la pandemia, è invecchiato più rapidamente. La maturazione cerebrale ha subito un’accelerazione anomala, come dimostrato da uno studio dell’Università di Washington. Secondo la ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, l’impatto è stato più forte nelle ragazze. Si stima che lo sviluppo cerebrale delle adolescenti sia avanzato di circa 4,2 anni, una cifra superiore di 1,4 anni rispetto ai coetanei maschi.
La corteccia cerebrale e l’accelerazione della maturazione
Gli studiosi hanno posto l’attenzione sull’assottigliamento della corteccia cerebrale, un fenomeno che si verifica naturalmente con l’avanzare dell’età. La corteccia cerebrale, responsabile di molte funzioni cognitive, tende ad assottigliarsi gradualmente nel tempo, ma in condizioni di stress cronico e avversità, questo processo si intensifica. La pandemia, e in particolare il lockdown, ha agito da catalizzatore per questo assottigliamento, accelerando il processo e portando con sé un aumento del rischio di sviluppare disturbi neuropsichiatrici come ansia e depressione, fenomeni spesso osservati proprio durante l’adolescenza.
Secondo diversi studi, lo stress e la mancanza di interazioni sociali durante la pandemia hanno giocato un ruolo chiave. Tra il 2018 e il 2021, i ricercatori hanno monitorato un campione di 160 adolescenti di età compresa tra 9 e 17 anni, confrontando i loro dati cerebrali pre-pandemia con quelli raccolti nel periodo successivo. Quello che inizialmente doveva essere un normale studio sulla crescita adolescenziale si è trasformato in una ricerca sugli effetti del lockdown sul cervello dei giovani.
Lockdown e cambiamenti strutturali nel cervello
I dati sono chiari: gli adolescenti esaminati hanno mostrato segni di assottigliamento corticale accelerato. Il confronto con un modello di sviluppo cerebrale normale ha evidenziato che, rispetto a quanto atteso per la loro età, il loro cervello aveva subito un’accelerazione nella maturazione. Tuttavia, l’impatto non è stato uniforme. Le ragazze hanno registrato un’accelerazione molto più marcata, specialmente nelle aree del cervello legate alle emozioni e alla regolazione dello stress.
Nei maschi, invece, l’effetto è stato meno pronunciato, limitandosi in gran parte alla corteccia visiva. Gli studiosi ritengono che questa differenza possa essere dovuta al diverso ruolo che le interazioni sociali giocano nel benessere psicologico delle ragazze rispetto ai ragazzi.
Differenze di genere e impatto sociale della pandemia
Le differenze tra ragazzi e ragazze durante la pandemia hanno attirato l’attenzione degli esperti. Le adolescenti, spiega lo studio, hanno sofferto maggiormente l’isolamento sociale. L’impossibilità di mantenere i normali canali di comunicazione e supporto, tipici dell’età adolescenziale, ha avuto conseguenze dirette sulla struttura del loro cervello. L’isolamento forzato ha interrotto routine fondamentali per il loro sviluppo emotivo e cognitivo. Le ragazze, spiega lo studio, sono più inclini a sviluppare ansia e depressione durante l’adolescenza, perché subiscono maggiori pressioni. L’accelerazione del processo di maturazione cerebrale potrebbe essere collegata a questi fattori, con un impatto diretto sull’aumento dei rischi di disturbi neuropsichiatrici.
I ricercatori dell’Università di Washington hanno messo in evidenza come i risultati siano coerenti con altri studi condotti durante la pandemia. L’interruzione improvvisa della socialità e delle attività quotidiane ha rappresentato uno shock per il cervello in via di sviluppo. Gli adolescenti, che già attraversano una fase di trasformazioni profonde a livello fisico e psicologico, si sono trovati di fronte a un trauma collettivo che ha impattato direttamente sulla loro crescita neurologica.
La sfida del post-pandemia
La ricerca solleva interrogativi per il futuro. La velocità con cui il cervello si è modificato potrebbe avere conseguenze a lungo termine, che i ricercatori devono ancora esplorare.
Sarà necessario un monitoraggio continuo per comprendere fino a che punto questi cambiamenti influenzeranno lo sviluppo neuropsichico dei giovani adulti. Gli esperti suggeriscono che potrebbero essere necessarie misure di intervento specifiche per supportare gli adolescenti, in particolare le ragazze, nel gestire le conseguenze emotive e cognitive della pandemia.
L’accelerazione dello sviluppo cerebrale non si traduce solo in cambiamenti strutturali, ma può influenzare anche il comportamento e le capacità cognitive future.
Cancro, così si uccidono le cellule malate
Ricerca innovazione, NewsL’impegno contro il cancro non è qualcosa di statico e “definitivo”. Si fanno passi in avanti, si individuano nuove terapie, ma anche il tumore impara a difendersi e a sopravvivere. Se si volesse semplificare un po’ lo sforzo dei ricercatori di tutto il mondo nella lotta al cancro, si potrebbe parlare di un combattimento continuo tra chi cerca di trovare sempre nuovi metodi per colpire le cellule malate e il tumore stesso, capace di individuare sempre nuovi modi di sfuggire alle terapie.
Una nuova strada contro il cancro
Ecco perché fanno parlare e danno molta speranza i risultati di una recente ricerca sui tumori della mammella resistenti alle terapie ormonali, appena pubblicati da ricercatori delle Università di Salerno e “Federico II” di Napoli, sulla prestigiosa rivista Molecular Cancer. Risultati che hanno rivelato che la proteina codificata dal gene BRPF1 svolge un ruolo chiave per la sopravvivenza delle cellule tumorali. I ricercatori hanno scoperto che la stessa proteina in effetti agisce da mediatore degli effetti degli ormoni estrogeni, un fattore determinante per la crescita e propagazione di questi tumori.
Tra i tumori più frequenti
Il cancro della mammella colpisce circa una donna su otto ed è una delle patologie neoplastiche più frequenti nel genere femminile. Tra gli obiettivi prioritari della ricerca sul cancro, oltre a identificare metodi di prevenzione dell’insorgenza della malattia e di diagnosi sempre più precoce, c’è lo studio di terapie più efficaci e mirate contro il tumore, una volta che questo viene diagnosticato. A oggi molti sforzi sono indirizzati in via prioritaria a capire come aiutare il sistema immunitario dei pazienti a combattere le cellule malate, per esempio con l’immunoterapia. Altri tentativi vanno alla ricerca delle vulnerabilità delle cellule cancerose, che possono diventare bersagli specifici di farmaci mirati.
La capacità di resistere
Negli ultimi anni, fra le terapie a bersaglio molecolare più utilizzate contro il tumore del seno, quella a base di antagonisti degli estrogeni ha dimostrato di essere piuttosto efficace nella maggior parte dei casi in cui il tumore è positivo per i recettori ormonali (ERalfa e PGR). In una frazione significativa delle pazienti, però, dopo un intervallo di tempo più o meno lungo la malattia sviluppa resistenza a questi trattamenti e il tumore ricompare.
Bersaglio molecolare
Nel corso dello studio si è scoperto che è possibile inibire la proteina con farmaci specifici, in particolare con GSK5959 e GSK6853. In laboratorio questi farmaci bloccano la proliferazione e inducono la morte delle cellule, in particolare di quelle dei tumori resistenti alla terapia ormonale. Gli effetti sono specifici: il blocco indotto dal farmaco sull’attività di BRPF1 a sua volta influisce sulle funzioni di geni che controllano la crescita cellulare. In particolare, viene inibito il meccanismo intracellulare di risposta agli ormoni estrogeni sul genoma cellulare tramite il recettore nucleare ERalfa. Si è così scoperto un efficace bersaglio molecolare per una possibile terapia di precisione di queste gravi forme di tumore resistenti ai trattamenti utilizzati sinora per curarlo.
Il gruppo di ricerca
A portare avanti lo studio, sostenuto dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e dal Ministero dell’Università e della Ricerca (Progetti di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale), è stato un team coordinato dai professori Alessandro Weisz e Giovanni Nassa del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria Scuola Medica Salernitana dell’Università di Salerno e del Centro di Ricerca Genomica per la Salute – CRGS, in collaborazione con ricercatori e ricercatrici dell’Università di Napoli ‘Federico II’. Grazie a queste nuove scoperte, molto presto nuove cure potrebbero arricchire l’arsenale che i medici di tutto il mondo hanno per affrontare la malattia e, si spera, salvare centinaia di migliaia di vite.
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Diabete 2, il legame con la carne rossa
Alimentazione, News, PrevenzioneIl diabete 2 è legato al consumo di carne, in modo particolare quella lavorata e quella rossa (anche se non lavorata). A stabilire il nesso tra il consumo di carne e l’insorgere della patologia sono stati i ricercatori dell’University of Cambridge School of Clinical Medicine, che hanno realizzato un imponente studio di revisione pubblicato poi sulla rivista scientifica Lancet Diabetes and Endocrinology.
I dati sul diabete 2
Tanto per comprendere la portata di questo lavoro, si pensi che i dati analizzati riguardano quasi due milioni di adulti in 20 Paesi. I ricercatori hanno quindi eseguito una meta-analisi di dati dei singoli partecipanti ottenuti da 31 coorti distribuite in tutti i continenti all’interno del progetto globale Inter Connect. I dati – clinici e relativi alle abitudini alimentari – sono stati ottenuti da un totale di 1.966.444 individui, donne e uomini. Tra loro sono stati identificati 107.271 casi di diabete di tipo 2 durante un periodo di follow-up di 10 anni.
Il metodo di revisione
Si tratta di una meta-analisi, vale a dire della revisione di un numero enorme di dati raccolti da precedenti studi che si erano focalizzati sull’aumento del rischio di diabete associato al consumo di carne lavorata e carne rossa non lavorata. Tuttavia, le differenze negli approcci di valutazione delle prove e nell’interpretazione dei dati, oltre a una distribuzione delle coorti di studio incentrata su Europa e Stati Uniti, impedivano di trarre conclusioni definitive su questa associazione.
Ridurre il consumo
Il dato emerso al termine del lavoro è stato incofutabile: i risultati dello studio dimostrano che il consumo di carne lavorata, carne rossa non lavorata e pollame ha aumentato il rischio di diabete di tipo 2 in varie regioni del mondo (del Nord America, Europa e Pacifico occidentale). Mentre l’associazione tra consumo di pollame e diabete di tipo 2, pur se presente era più debole. Questi risultati dimostrano insomma l’importanza di ridurre il consumo di carne per la salute pubblica e dovrebbero servire ora, almeno questo è l’auspicio, ad aggiornare le linee guida sull’alimentazione.
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Caffè e pressione arteriosa, nuovo studio sfata falso mito
Alimentazione, Benessere, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneUna nuova indagine decennale svela l’effetto del caffè sulla pressione. Lo studio pubblicato su Hypertension ha indagato l’impatto del consumo quotidiano sulla pressione arteriosa, sfatando alcuni timori diffusi. Il team di ricercatori ha osservato un campione di 1.400 persone, seguiti nell’arco di 10 anni, monitorando regolarmente i loro valori pressori. L’obiettivo era chiarire se la bevanda, noto stimolatore vasocostrittore, potesse rappresentare un fattore di rischio per l’ipertensione o per altre complicazioni legate alla pressione alta.
I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: chi non consumava caffè, chi ne beveva da una a due tazze al giorno e chi ne consumava tre o più. La pressione arteriosa è stata misurata in più modalità: in ambulatorio, a casa e con un monitoraggio costante di 24 ore (Holter). Questo approccio ha permesso di ottenere dati accurati e completi sull’andamento della pressione nel tempo.
I risultati dello studio: il caffè non altera la pressione a lungo termine
I dati raccolti nel corso dello studio hanno rivelato risultati significativi. Il primo riguarda la pressione sistolica, la cosiddetta “massima”. I soggetti che consumavano caffè mostravano valori leggermente più bassi rispetto a chi non ne beveva affatto, senza però una variazione significativa della pressione diastolica, ossia la “minima”.
Inoltre, dopo 10 anni di monitoraggio, non sono emerse differenze rilevanti nell’insorgenza di nuovi casi di ipertensione tra i consumatori e i non consumatori. Questo dato indica che, nel lungo periodo, la bevanda a base di caffeina non sembra contribuire all’aumento del rischio di sviluppare ipertensione.
Un altro dato riguarda la variabilità della pressione arteriosa nelle 24 ore. Anche in questo caso, non sono state riscontrate differenze rilevanti tra chi beveva caffè e chi no, sia all’inizio che alla fine dello studio. Ciò suggerisce che il consumo regolare non provoca significative oscillazioni della pressione arteriosa nel corso della giornata.
Il consumo moderato di caffè può essere sicuro per la pressione
Uno degli aspetti più interessanti emersi dallo studio è che il consumo moderato di caffeina, anche nei soggetti ipertesi, non sembra rappresentare un rischio significativo per la salute cardiovascolare. Questo si allinea con le raccomandazioni dell’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare), che considera sicuro un consumo fino a 400 mg al giorno per un adulto sano, equivalente a circa cinque tazze di espresso.
La bevanda tanto amata dagli italiani può far aumentare temporaneamente la pressione, soprattutto in chi non la consuma abitualmente. Tuttavia, gli studi suggeriscono che chi assume caffeina regolarmente sviluppa una tolleranza, che riduce l’effetto a lungo termine sulla pressione sanguigna.
Caffeina e pressione: una questione di tolleranza
L’effetto della caffeina sulla pressione arteriosa sembra dipendere in gran parte dalla tolleranza sviluppata nel tempo. Nei consumatori abituali, l’organismo si abitua alla stimolazione provocata dalla caffeina, attenuando l’aumento temporaneo della pressione che può verificarsi nei soggetti non abituati.
Nel breve termine, la caffeina può provocare un leggero aumento della pressione attraverso la vasocostrizione o stimolando la produzione di adrenalina da parte delle ghiandole surrenali. Questo effetto, però, si riduce progressivamente nei consumatori abituali, che non presentano variazioni rilevanti a lungo termine.
Conclusioni: la caffeina è compatibile con una buona salute cardiovascolare
Questo studio, insieme ad altre ricerche recenti, sembra sfatare l’idea che l’assunzione di caffeina possa aumentare il rischio di ipertensione o peggiorare la salute cardiovascolare. Al contrario, i dati suggeriscono che bere caffè con moderazione può essere compatibile con uno stile di vita sano, anche per chi ha problemi di pressione arteriosa.
La ricerca conferma che il consumo quotidiano, entro i limiti suggeriti dalle linee guida, non comporta rischi per la pressione arteriosa, nemmeno nei soggetti ipertesi. L’aumento temporaneo della pressione si osserva solo in chi non è abituato a consumare caffeina e non si traduce in un aumento a lungo termine.
Prevenzione vaccinale, da Federcentri al via campagna nei centri anziani d’Italia
Anziani, PrevenzioneParte ufficialmente dal mese di settembre la campagna di comunicazione nazionale “Più Informati, Più Protetti”. L’iniziativa, promossa da Federcentri APS, con il contributo non condizionato di Pfizer, nasce per sensibilizzare le persone con più di 65 anni sull’importanza della prevenzione vaccinale e di uno stile di vita sano.
Più della metà delle persone tra i 65 e i 75 anni convive con una o più malattie croniche
In Italia oltre 14 milioni di persone sono affette da malattie croniche. Tra queste, 8,4 milioni hanno più di 65 anni. Più della metà delle persone tra i 65 e i 75 anni convive con una o più malattie croniche. L’educazione ai corretti stili di vita e alla cultura della prevenzione svolge un ruolo cruciale nell’empowerment degli adulti anziani per prendere decisioni informate sulla propria salute. La campagna si svilupperà attraverso un ciclo di 30 convegni presso i centri sociali aderenti di tutto il territorio nazionale.
Coinvolgerà medici specialisti all’interno dei luoghi di socializzazione senior per informare sulle comuni malattie respiratorie trasmissibili come influenza, virus sinciziale, pneumococco, covid, sulle relative complicanze e sulla prevenzione.
Tutti gli eventi in programma saranno consultabili sul sito dell’associazione e la campagna si estenderà anche ai canali social. Attraverso contenuti dedicati, la campagna digitale punta non solo al coinvolgimento degli over 65 sempre più presenti in rete, ma anche a quello di figli, famiglie e caregiver.
L’iniziativa per sensibilizzare sulla prevenzione
«Gli anziani rappresentano una delle categorie più vulnerabili alle infezioni respiratorie, con un tasso di mortalità significativamente più elevato rispetto alle fasce di età più giovani. La prevenzione attraverso la vaccinazione si è dimostrata uno degli strumenti più efficaci per ridurre l’incidenza di queste malattie e le loro complicazioni, migliorando così la qualità della vita e la longevità – dichiara la Presidente Nazionale Federcentri, Elvia Raia – Vogliamo fornire informazioni chiare e accessibili, coinvolgendo i medici sul territorio per garantire un supporto completo e competente».
In questo percorso Federcentri si avvale della collaborazione di un Comitato Scientifico che include la Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (FIMMG), il Sindacato Unico della Medicina Ambulatoriale Italiana e delle Professionalità dell’Area Sanitaria (Sumai Assoprof), la Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), la Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) e la Società di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SITI).
Cos’ha Totò Schillaci
Prevenzione, NewsC’è tanta apprensione per le condizioni di salute dell’ex azzurro Totò Schillaci, ricoverato nel reparto di Pneumologia dell’ospedale Civico di Palermo. Le sue condizioni sarebbero serie ma stabili, stando a quanto riportato dall’Ansa che cita la direzione sanitaria dell’ospedale. A mettere a rischio la salute del campione delle “notti magiche” è stato un tumore al colon contro il quale lotta ormai da tempo.
Tumore del colon: incidenza, prevenzione e nuove prospettive di cura
Proprio la storia di Totò Schillaci ha acceso un riflettore sul tumore del colon che, è bene sottolinearlo, è una delle neoplasie più diffuse in Italia. Si stima che sia la terza neoplasia per incidenza dopo i tumori alla mammella e alla prostata. Non meraviglia che ogni anno in Italia si registrano circa 50mila nuove diagnosi, con una distribuzione di 27mila casi negli uomini e 23mila nelle donne.
La prognosi: l’importanza della diagnosi precoce
Ma è possibile guarire da un tumore del colon? Gli esperti ci dicono di sì, ma «è fondamentale arrivare ad una diagnosi prima che la situazione sia compromessa», spiega il professor Francesco Selvaggi, ordinario di Chirurgia e primario del reparto di Chirurgia colorettale presso l’Università Vanvitelli di Napoli, un punto di riferimento in Italia per la gestione di queste neoplasie.
Chirurgia personalizzata
Uno dei principali cambiamenti nel trattamento dei tumori colorettali è rappresentato dall’utilizzo della terapia neoadiuvante, una combinazione di chemio e radioterapia che permette di ridurre il volume del tumore prima dell’intervento chirurgico. Questo approccio, noto come Total Neoadjuvant Therapy (TNT), ha rivoluzionato la pratica chirurgica consentendo interventi sempre meno invasivi e più conservativi.
Il prof. Francesco Selvaggi
«Grazie alla terapia neoadiuvante – spiega Selvaggi – possiamo intervenire in modo mirato, con operazioni meno demolitrici e più rispettose della conservazione dell’organo». Questo consente ai chirurghi di ridurre drasticamente le complicazioni post-operatorie e preservare la qualità della vita dei pazienti. Il risultato è una chirurgia sempre più tarata sulle caratteristiche del paziente, cucita su misura per le specifiche condizioni di ciascun paziente.
Prevenzione e diagnosi precoce
Tuttavia, l’efficacia della chirurgia e delle terapie oncologiche dipende in gran parte dalla diagnosi precoce. Selvaggi sottolinea l’importanza della prevenzione, che può fare la differenza tra un intervento complesso e uno più semplice e risolutivo. La visita specialistica è oggi considerata la prima linea di difesa, seguita da esami più approfonditi in caso di sospetti.
Lo screening di massa, che include la ricerca di sangue occulto nelle feci e, in caso di positività, una colonscopia, è fondamentale per identificare la presenza di polipi, spesso asintomatici, che possono evolversi in tumori maligni. I polipi, infatti, non causano sintomi evidenti, e questo rappresenta uno dei principali ostacoli a una diagnosi tempestiva. Solo in presenza di sanguinamento o di sintomi specifici come anemia, perdita di peso, stanchezza, stitichezza ostinata o diarrea alternata, si può sospettare la presenza di un tumore. Sullo screening di massa, Selvaggi ricorda che in Italia è consigliato dai 50anni, ma andrebbe anticipato a 45 anni vista l’insorgenza sempre più precoce della malattia.
Immunoterapia neoadiuvante e approcci mininvasivi
Una delle innovazioni più promettenti riguarda l’immunoterapia neoadiuvante, che ha mostrato risultati straordinari per pazienti con specifiche predisposizioni genetiche, come la dMMR (deficit del mismatch repair). Recenti studi presentati all’European Society Medical Oncology (ESMO) di Parigi hanno evidenziato i benefici di questo trattamento per migliorare le probabilità di successo chirurgico e ridurre la necessità di interventi altamente invasivi. Per alcuni pazienti, inoltre, l’accesso chirurgico avviene per via transrettale, una procedura mininvasiva che riduce il trauma operatorio e accelera il recupero post-intervento. Questa tecnica permette di intervenire sul tumore senza compromettere la funzione dell’organo e limita significativamente le complicazioni post-operatorie, favorendo una ripresa più rapida e una migliore qualità della vita.
Un approccio multidisciplinare
La complessità del trattamento del tumore colorettale richiede un approccio integrato e multidisciplinare, come quello adottato presso il reparto di Selvaggi alla Vanvitelli di Napoli. Qui, i pazienti sono seguiti dai Gruppi Oncologici Multidisciplinari (GOM), che includono non solo chirurghi, ma anche oncologi, radiologi, radioterapisti, anatomopatologi, gastroenterologi e psicologi. Questo approccio coordinato garantisce una gestione ottimale della malattia in tutte le sue fasi, dal momento della diagnosi fino alla completa guarigione o al controllo delle recidive.
Il futuro della chirurgia colorettale
La chirurgia per il tumore del colon e del retto è un campo in continua evoluzione, con tecniche sempre più avanzate che offrono prospettive di cura sempre migliori. «Grazie al supporto della direzione generale guidata dal dottor Ferdinando Russo – conclude Selvaggi – abbiamo realizzato un’offerta assistenziale di altissimo livello, rendendo il nostro reparto un polo di attrazione anche per pazienti provenienti da altre regioni».
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Perché uno strappo muscolare è diverso da uno stiramento
SportI sintomi della contrattura muscolare
Dal punto di vista clinico, la contrattura muscolare è una contrazione che dura nel tempo delle fibre del muscolo. La sensazione che si ha è quella di una rigidità del muscolo che può arrivare fino al dolore vero e proprio. Sono questi i sintomi che dobbiamo riconoscere. Non tutti sanno che la contrattura è una sorta di difesa messa in atto dall’organismo che cerca di limitare il movimento quando un muscolo è eccessivamente sollecitato. Succede quando il corpo si rede conto che stiamo superando le nostre capacità e un’articolazione che non si muove nella maniera giusta.
Come intervenire per curare una contrattura
In linea di massima, quello che serve è il riposo. Solitamente una contrattura guarisce in modo spontaneo. Assolutamente da evitare è il tentativo di mettere a posto le cose intensificando lo sport, cosa che può solo far aumentare il fastidio e il dolore nella zona colpita dalla contrattura. In alcuni casi, però, la contrattura può essere più seria del previsto e può essere molto utile il trattamento manuale (massoterapia decontratturante, trattamenti manipolativi) eventualmente associato a terapie fisiche in grado di rilasciare calore (tecarterapia, laser, ecc), a giudizio del fisiatra.
Tempi di recupero dalle contratture
In genere, per guarire da una contrattura, basta una settimana di riposo. Il discorso cambia per le contratture muscolari recidivanti o croniche che sono la diretta conseguenza di problemi posturali. In questi casi, per una risoluzione definitiva, è necessario effettuare una visita fisiatrica (completa di una valutazione posturale) per individuare la causa precisa e programmare poi il trattamento più appropriato con il fisioterapista.
Lo stiramento muscolare
Diversa è la questione quando si parla di stiramento muscolare (o elongazione), che si verifica quando le fibre muscolari si allungano più del dovuto. Ma niente panico: non significa che ci sia una rottura. È solo un piccolo avviso dal nostro corpo per farci capire che stiamo esagerando un po’. Tra le principali ragioni per cui ci si ritrova con uno stiramento c’è la scarsa preparazione ad uno sforzo improvviso (mancato riscaldamento), ma può anche essere causato da movimenti troppo bruschi, squilibri posturali e muscolari o tempi di recupero insufficienti dopo uno sforzo o un infortunio. In poche parole, se chiediamo troppo al nostro corpo senza prepararlo adeguatamente, il rischio di stirarci un muscolo aumenta.
I sintomi da riconoscere
Cosa fare in caso di stiramento?
Lo strappo muscolare: quando la situazione si fa più seria
Lo strappo muscolare è un po’ il fratello maggiore, e decisamente più antipatico, dello stiramento. Si tratta della rottura vera e propria di uno o più fasci di fibre muscolari, solitamente causata da uno stress eccessivo. In pratica, il muscolo viene tirato al di là del suo limite.
Le cause dello strappo muscolare
Tra le cause più comuni ci sono contrazioni brusche, movimenti scorretti (per esempio uno scatto improvviso) o traumi diretti. Il muscolo subisce una tensione così forte da non riuscire più a reggere, portando alla rottura delle fibre. Gli strappi muscolari non sono tutti uguali, si suddividono in base alla gravità:
Cosa fare in caso di strappo muscolare?
Se si sospetta uno strappo muscolare, la prima cosa da fare è rivolgersi a un medico per una diagnosi accurata. Una volta stabilita la gravità, il trattamento potrebbe seguire il protocollo RICE (Riposo, Ghiaccio, Compressione, Elevazione), ma nei casi più gravi potrebbe essere necessario intervenire con la fisioterapia o, raramente, con un’operazione chirurgica.