Una marea di dati viene prodotta ogni giorno da strumenti diagnostici. Migliaia di articoli scientifici vengono pubblicati sulle riviste accreditate. Nel frattempo il mondo invecchia e l’aumento dell’aspettativa di vita alla nascita fa sì che siano sempre di più le persone affette da più patologie, per sconfiggere le quali devono assumere le terapie. Sono solo alcune delle sfide che attendono la medicina moderna. La loro complessità si scontra con l’inadeguatezza della mente umana nell’affrontare problemi di portata sempre più grande.
Ne è convinto Mario Melazzini, Direttore di AIFA, che in un editoriale riprende l‘articolo apparso sul New England Journal of Medicine, di Ziad Obermeyer e Thomas Lee, rispettivamente del Brigham Women’s Hospital e della Harvard Medical School del Massachussets, i quali affermano che il medico di oggi appare “perso nel pensiero”.
Per gli autori c’è una disparità tra le abilità della mente umana e la complessità della medicina moderna. Lo stesso motivo per cui si è arrivati a concepire strumenti diagnostici come microscopi, stetoscopi, elettrocardiogrammi e radiografi, nati per sopperire ai limiti dell’apparato sensoriale umano. Ogni paziente si è trasformato in una piccola centrale di produzione di “big data” che devono essere analizzati, contestualizzati e infine interpretati. Un compito non risolvibile con i vecchi metodi – come il semplice confronto fra più dottori sulla situazione clinica e la soluzione da adottare – spiegano Obermeyer e Lee.
Il paziente produrrà sempre maggiori quantità di dati sulla sua salute, quantificabili in petabyte, attraverso dispositivi, spesso mobili, e applicazioni dedicate. Internet diventa sempre più fluido e aumenta l’interattività grazie alla spinta del cosiddetto“Internet delle cose”. Attraverso l’uso degli algoritmi i medici possono analizzare un flusso di informazioni costante e di notevoli dimensioni, come – suggeriscono gli autori sul NEJM – ogni singolo battito del cuore di un paziente, mettendo in luce variazioni microscopiche che sfuggirebbero all’occhio e alla mente del miglior cardiologo, permettendo forse la prevenzione di eventi cardiaci potenzialmente letali. Gli algoritmi e la capacità di apprendimento delle macchine sono oggi al centro degli sforzi dei ricercatori nei centri accademici di tutto il mondo, domani saranno le fondamenta della nuova medicina.
Insomma, per gli autori è necessario rivedere le priorità e le linee guida a livello formativo, per permettere ai nuovi professionisti del mondo della medicina di concepire e guidare lo sviluppo di algoritmi ad hoc. Per gli autori, i medici dovrebbero porsi alla testa della rivoluzione che interesserà il loro settore, decidendo le priorità per la ricerca e controllandone l’evoluzione giorno dopo giorno, perché lasciare queste prerogative a ricercatori informatici o di altre discipline indebolirebbe lo sviluppo dei nuovi strumenti.
Alla base della miriade di dati conservati nei record elettronici o nella cartella clinica tradizionale vi sono sempre e comunque decisioni umane. La scelta del paziente di cercare una cura, quella del medico di prescrivere un test o una terapia. Nell’interpretazione dei dati sistematizzati e organizzati dalla macchina in base a un algoritmo c’è sempre l’occhio del medico che tiene conto delle variabili che conducono a una decisione clinica. Le macchine e gli algoritmi affiancano, ma non sostituiscono, i medici nella loro attività quotidiana. Dall’altra parte medici, invece, diventano ancora più formati, specializzati in analisi dei dati e biostatistica, fluenti anche nei linguaggi di programmazione. Strumenti per orientarsi nella complessità del ventunesimo secolo e continuare a offrire valore aggiunto.
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