Tempo di lettura: 2 minutiTra il 30 e il 40% dei giovanissimi maschi tra i 16 e i 18 anni convive con una malattia andrologica che potrebbe compromettere la salute riproduttiva. Disturbi reversibili, se riconosciuti e trattati. Per uno su 10 ad esempio un piccolo intervento chirurgico basterebbe a scongiurare il rischio di veder svanire il desiderio di paternità. “C’è molto da fare nei giovanissimi – spiega il Professor Salvatore Sansalone, Ricercatore all’Università di Tor Vergata – “orfani della visita di leva che era una formidabile ed efficace forma di screening della popolazione maschile. Inoltre la cultura della prevenzione non è appannaggio del sesso maschile, più preoccupato della sessualità che della fertilità. Eppure la fertilità maschile è in crisi: secondo alcuni studi dell’1,4% l’anno, ma non è tutto perché negli ultimi 40 anni (dal 1973 al 2011) il numero di spermatozoi medi presenti nel liquido seminale è diminuito del 52,4%”. Diminuiscono, quindi, le possibilità di concepire.
Prevenzione maschile grande assente
L’OMS ha dichiarato l’infertilità una malattia sociale: solo in Italia 1 coppia su 5 in età fertile ha difficoltà a concepire. I maschi in particolare sono poco consapevoli delle conseguenze delle malattie sessualmente trasmesse. Non sanno che l’infezione da Papilloma virus (HPV) è uno dei principali fattori di rischio di cancro genitale e secondo i dati del Ministero della Salute solo il 33% dei diciottenni usa regolarmente il profilattico. Il che rende forse conto dell’incidenza dei tumori genitali maschili più che raddoppiata dal 1975 al 2018 con una diagnosi tardiva in circa il 75% dei casi. Insomma, la scarsa prevenzione porta una serie di altri rischi potenzialmente letali.
“La prevenzione sembra quindi la grande assente della salute riproduttiva maschile” sottolinea Marco Fabio Pulsoni, Presidente della Casa di Cura Sanatrix: che integra “specialisti ad un laboratorio analisi specialistico diretto dalla Dottoressa Ilaria Ortensi Dottore di Ricerca in Biotecnologie della Riproduzione Umana all’Università La Sapienza di Roma “l’approccio nei soggetti affetti da azoospermia – spiega – ossia la totale assenza di spermatozoi nel liquido sminale prevede una serie di indagini andrologiche (ormonali, genetiche, biologiche ed ecografiche) per individuare se la causa del problema sia funzionale o meccanica. Nel caso in cui la disfunzione sia dovuta ad una ostruzione si può tentare la ricostruzione delle vie seminali con un approccio microchirurgico, il che permette agli spermatozoi di ritrovare la strada verso l’esterno. Nel corso dell’intervento inoltre si prelevano spermatozoi da avviare alla crioconservazione nel caso sia necessario un successivo intervento di inseminazione artificiale. Ma la microchirurgia viene incontro ai pazienti anche nei casi non ostruttivi: con l’uso di un mezzo ottico di ingrandimento chiamato Micro-TESE il medico può prelevare i tubuli seminiferi e i preziosi gameti”.
Obesità fa rima con infertilità maschile
Dell’epidemia di obesità si è occupato anche uno studio pubblicato quest’anno su Frontiers in Physiology ha riportato come il grave aumento di peso sia correlato ad un aumento dei livelli di proteine infiammatorie nel liquido seminale, peggiore qualità degli spermatozoi e ridotti livelli di testosterone in maniera direttamente proporzionale all’aumento del BMI. In altre parole: difficoltà a concepire.
In sostanza, la capacità di procreare è minacciata da moltissimi fattori: endocrini, genetici, patologie autoimmuni, infezioni, malattie sessualmente trasmesse, obesità a cui si aggiungono fattori ambientali come fumo, alcol, uso di droghe, esposizione a sostanze chimiche in ambiente lavorativo. La valutazione della fertilità maschile tiene conto, oltre che della storia familiare e riproduttiva, anche dell’esistenza di patologie croniche o genetiche, di malattie o interventi chirurgici dell’apparato uro-genitale; così come degli stili di vita, abitudini sessuali e rischi legati all’attività professionale.