Sanità, 5 pilastri per le cure universali del prossimo triennio
Sono cinque i pilastri della sanità individuati per portare le cure universali nel futuro. Sono racchiusi nel libro bianco “2024-2027 – il triennio che può cambiare la sanità”, presentato ieri alla Sala Stampa della Camera dei Deputati.
“Il libro bianco – spiega Enzo Chilelli co-autore e coordinatore scientifico della rete ‘Fare Sanità’ – rappresenta il contributo degli stakeholders a supporto delle Istituzioni e racchiude i loro auspici per la XIX legislatura. Il triennio che abbiamo di fronte può essere, infatti, uno spartiacque per il mondo della sanità in Italia: il giro di boa in cui il nostro Servizio Sanitario Nazionale riesce a cambiare per rimanere se stesso, risolvendo i nodi critici sui quali risorse, energie e innovazioni continuano a essere sprecate”.
“Sono 5 i pilastri che questo libro bianco identifica nella sanità italiana prossima a venire, dal tema della governance al tema delle professioni mediche, fino alle sfide che ci aspettano nel futuro, cioè tutta la tecnologia, l’innovazione, il fatto tecnologico che stiamo vivendo e che andremo a vivere – sottolinea in apertura dei lavori l’On.le Marta Schifone, FdI Capogruppo Comm. Lavoro, componente della Comm. Affari Sociali della Camera -. Ci sono dunque una serie di prospettive, di sfide e anche di opportunità che bisogna saper cogliere. Il senso di questo libro e della sua tesi di mettere insieme tutti gli stakeholders principali della sanità italiana è anche quello di raccontare che la sanità non si salva per compartimenti stagni, ma solo se si riesce a fare rete, se si riesce a fare sistema, se si riesce a mettere insieme davvero tutti gli anelli della filiera in modo da farli lavorare in sinergia. E, soprattutto, che si possa andare ad implementare nella razionalizzazione e nell’omogeneizzazione un sistema, un servizio sanitario nazionale che rimane il più virtuoso e il più bello del mondo, cioè il modello universalistico della sanità italiana. Alla base di tutto c’è il tema della programmazione. La programmazione è la parola chiave nella sanità italiana e devo dire con mio dispiacere, con nostro dispiacere, che purtroppo abbiamo ereditato una situazione che è sotto gli occhi di tutti, perché 10 anni fa non si è fatta la giusta e la corretta programmazione, perché c’è stato il blocco del turnover, perché ci sono stati i tagli nei posti letto, perché ci sono stati i reparti, gli ospedali chiusi e così via dicendo. Naturalmente ci sono una serie di interventi legislativi che in questi mesi di governo abbiamo fatto e che hanno consentito di migliorare tutta una serie di criticità che abbiamo ritrovato. La sanità non si può cambiare in un giorno, non si possono fare riforme in un solo giorno, ma noi siamo convinti, visti i risultati, di essere sulla buona strada”.
“Il messaggio fondamentale che portiamo – prosegue Chilelli – è che la sanità sta divenendo troppo complessa per essere gestita separatamente dai singoli attori e attrici che si posizionano ai diversi livelli della filiera. Governance pubblica, società scientifiche, professionisti sanitari, aziende tecnologiche e terzo settore possono governarla solo se mettono assieme le competenze fin dalla nascita dei nuovi processi. Questo concetto è stato non a caso tra i principali focus di riflessione della scorsa edizione di Welfair, la fiera del fare Sanità”.
“Il libro bianco presentato alla Camera dei Deputati vuol essere un contributo di proposta, non l’ennesimo cahier de doléance delle cose che non vanno ma delle cose che eventualmente si possono ancora fare. Perciò, abbiamo individuato 5 pilastri sui quali puntare per liberare il SSN dalla paralisi nella quale risorse, persone e servizi stanno diminuendo progressivamente – ribadisce Marinella D’Innocenzo, co-autrice del libro bianco e presidente “L’Altra Sanità” –. Sia la visione politica, che individui nella sanità un grande motore di sviluppo economico, che la cultura sanitaria della gestione del rischio sono ingredienti essenziali della sostenibilità finanziaria. La governance, per integrare in maniera coerente e armonica tutti i livelli delle sanità regionali che si stanno frammentando ed allontanando, è la conditio sine qua non per preservare un Servizio Sanitario Nazionale. Le persone, che oramai lasciano il SSN e i cui saperi insostituibili una volta perduti, sono un altro pilastro fondamentale a fianco dei pazienti, ai quali va restituita fiducia, informazione e voce in capitolo nei percorsi di cura. La misurazione delle prestazioni e l’uso analitico dei dati per basare le scelte sono elementi imprescindibili per ridurre gli sprechi e individuare le strategie che hanno un impatto positivo per lo sviluppo e l’innovazione del sistema. Solo per ultime vengono le tecnologie, la cui integrazione efficace e diffusa dipende in buona parte dal raggiungimento dei traguardi precedenti”.
“A me l’onore di commentare tre direttrici di proposte – ha spiegato nel suo intervento il professor Giovanni Gorgoni, già Direttore Generale AReSS Puglia – Una, il bilanciamento fra i diversi livelli della governance e del Government sanitario fra Stato, Regioni e Comuni ed io aggiungerei anche l’Unione Europea, che sulla sanità sta facendo molto. Un’altra è quella dell’assistenza sanitaria informale, o assistenza sanitaria di ecosistema cioè fuori dalle pareti dell’ambulatorio tradizionale. Infine, il tema del rapporto fra pubblico e privato. Sul rapporto fra Stato, Regioni e Comuni in sanità, si tratta di stabilire un bilanciamento di compiti e di ruoli fra macro, meso e microlivello. Sicuramente, al macro livello dell’Unione Europea e dello Stato si deve conservare la progettazione, il monitoraggio e la qualificazione delle reti patologiche. Perché le reti di patologia e dei percorsi assistenziali sono le due uniche entità trasversali a qualunque assetto organizzativo e giuridico che una Regione liberamente decide di darsi e lo fa ormai da anni. I 21 servizi sanitari regionali sono irreversibili. Inutile pensare che sia un male o quant’altro: è un dato di fatto e in tema di autonomia differenziata, sarà così. Anche il governo dei dati sanitari è una questione che deve rimanere a livello macro, a livello statale, così come i temi di alcune missioni speciali, in chiave europea, come il cancro, la salute mentale, la preparazione pandemica, la strategia farmaceutica, in particolare i farmaci innovativi e poi ancora i dati sanitari. Sul tema dell’assistenza informale e dell’assistenza di ecosistema, si tratta di essere semplicemente realistici perché il paziente, il cittadino, già fa l’integratore della sua esperienza assistenziale, unendo i puntini fra operatori sanitari tradizionali, operatori del benessere in senso lato, come la farmacia e l’associazione di volontariato, la parrocchia, la comunità fra pari, i centri anziani e via di seguito. Bisogna subentrare nei fatti in questo ruolo di integrazione al cittadino, cooptando, per esempio, quel quasi un milione di badanti che non si occupano solo del “nonnino” ma nei fatti fanno sanità, magari in maniera impreparata ma proprio per questo vanno formati. E’ evidentemente un costo da sostenere, ma costerà infinitamente di meno rispetto a quello che costa un cardiopatico anziano gestito male a domicilio per la patologia. L’ultimo tema è quello del rapporto fra sanità pubblica e privata dove si continua a parlare di concorrenza e competizione. In realtà bisogna passare dall’attuale approccio di accreditamento di competizione sui volumi – chi fa più DRG, chi fa più ricoveri fra pubblico e privato – alla partnership strategica sul risultato. D’altra parte, il piano nazionale esiti di AGENAS ormai da 10 anni dimostra che ci sono alcuni privati ed alcuni insospettabili pubblici che riescono a fare qualità, e in sanità fare qualità significa tassi di mortalità più bassi, tassi di recidiva più bassi e via di seguito. Quindi, sarebbe necessario rivedere il sistema di accreditamento e prevedere sistemi di tariffazione e di finanziamento che premino il risultato, oltre che semplicemente la prestazione comunque erogata. E poi c’è il tema del partenariato pubblico privato, con i contratti di concessione che tarda a decollare in Italia. In Europa lo si utilizza sui servizi ad altissima specializzazione di saperi e di tecnologia e di alta integrazione, in Italia abbiamo ancora resistenze, prevalentemente culturali, sia lato pubblico sia lato privato, in termini di proposte”.
A sua volta, il direttore generale di ASL Roma2, Giorgio Casati ha puntualizzato che “con il processo di regionalizzazione, si è voluto demandare alle Regioni l’organizzazione dei servizi sanitari e la garanzia di riequilibrio economico finanziario. Le Regioni possono quindi garantire livelli di servizio in base alle risorse che hanno a disposizione, o meglio, in base a come li utilizzano. Ci sono Regioni che riescono a fare di più e meglio, e Regioni che riescono a fare un pò meno e peggio. Cosa fare per ridurre il divario? Innanzitutto, è importante avere un parametro di riferimento rispetto al quale tutte le Regioni devono tendere e che non può essere rappresentato solo dalle prestazioni – i cosiddetti LEA o futuri LEPS, i DRG, oppure le prestazioni ambulatoriali specialistiche con tanto di tariffario e nomenclatore. In realtà, il servizio sanitario nazionale non produce prestazioni: il risultato finale di un servizio sanitario è quello di modificare in meglio lo stato di salute dei cittadini. Piuttosto che le prestazioni, il numero di prestazioni, sarebbe meglio definire un sistema di indicatori che misurino la capacità di migliorare la qualità della salute dei cittadini. Questo deve diventare il parametro di riferimento per far sì che ogni Regione si attesti su un livello di servizio sanitario migliore rispetto a quello attuale. Perché finché si rimane sulla prestazione come parametro di riferimento, si rischia che in sanità costi meno acquistare prestazioni che produrne. Lo stesso piano esiti di AGENAS, in questa chiave, risulta parziale. Faccio un esempio: se io vado a vedere un paziente che ha la frattura del femore, se è stata operata entro le 24 ore o le 48 ore così come chiede il piano nazionale esiti, e però, vivaddio, non faccio la riabilitazione, rischio di creare un disabile o una persona non autosufficiente. Allora il problema non è solo di vedere se quella prestazione è stata eseguita a regola d’arte oppure nei tempi, ma in realtà manca il collegamento con tutto il resto della filiera. Facendo così, io non ho modificato lo stato di salute della popolazione, ho semplicemente erogato una prestazione nei tempi previsti dal servizio sanitario nazionale. E questo non è sufficiente, francamente. Quindi per ridurre il divario tra le Regioni non è una questione di finanziamento dei servizi ma di organizzazione, di tempi di accesso e rispetto del percorso di cura concordato col medico di famiglia, di strumenti, di leve che noi usiamo. Una migliore organizzazione, al centro dei servizi sanitari, potrebbe andare a vantaggio anche di ridurre le liste d’attesa perché la strategia non può essere quella di mettere tutto a Cup, quando è proprio il Cup che crea le liste d’attesa, non quello che le risolve. In sintesi, è urgente mettere in campo in sanità, un pensiero nuovo e diverso, perché finché io percorro strade vecchie già percorse e rivelatesi inefficaci, non potrò fare altro che andare incontro ad una sconfitta. Soprattutto, per la salute dei cittadini”.
“Siamo felici che il libro bianco – commenta l’Amministratore unico di Fiera Roma Fabio Casasoli, Amministratore Unico Fiera Roma – abbia preso forma sulla scia dei contenuti e spunti emersi nel corso di Welfair, la fiera del fare sanità, a ottobre 2023, appuntamento che vedrà la sua prossima edizione dal 5 al 7 novembre di quest’anno. Siamo molto convinti dell’utilità di una manifestazione fieristica che aiuti i protagonisti della filiera sanitaria e del Sistema Salute italiano a fare rete”.
“Il nostro messaggio fondamentale – conclude Chilelli – è il cambiamento: la sanità può adattarsi al presente per portare le cure universali nel futuro ma ha bisogno di introdurre innovazione nella sua gestione organizzativa, soprattutto per recuperare il tempo di cura degli operatori sanitari, oggi imbrigliati in una burocrazia tentacolare e, non di rado, ancora cartacea. È fondamentale che tutti e tutte i decisori ad ogni livello dell’ecosistema sanitario contribuiscano con le loro competenze alla sostenibilità del SSN. È ora di pensare ad una 4ª riforma del SSN: la sanità del futuro sarà e dovrà essere un progetto di intelligenza collettiva”.