Tempo di lettura: 3 minutiNel nostro Paese ci sono 643 imprese innovative di nuova costituzione che si dedicano alle lifescience. Rappresentano l’8,8%, punta avanzata delle 7.310 startup entrate nel Registroimprese.it da gennaio 2021 a giugno 2023. Di queste, 140 sono focalizzate sulla digital health e solo 6 sono impegnate nella ricerca e produzione di terapie digitali. Al momento la sanità digitale in Italia è carente di regole.
Il settore nelle sole terapie digitali (i farmaci somministrati via app, con smartphone e pc, con un software come principio attivo anziché una sostanza chimica) vale, a livello globale, 6,5 miliardi di dollari con la Germania trainante in Europa che può contare già oggi su 49 terapie disponibili. Questi sono alcuni dei numeri presentati dal primo DTx Monitoring Report, ieri al Senato in un incontro promosso dalla presidente dell’intergruppo parlamentare per la Sanità Digitale, onorevole Simona Loizzo, e organizzato da Indicon Società Benefit, con il supporto di Ladiesfirst.
I fondi a disposizione dello sviluppo della digital health in Italia sono: circa 27,5 miliardi di euro da fonte pubblica, a valere su fondi del PNRR attraverso i ministeri dell’Università e Ricerca, dalla Salute e delle Imprese e Made in Italy, a cui si aggiungono circa 4,2 miliardi attraverso il venture capital della Cassa Depositi e Prestiti e i fondi Enea Tech e Biomedical. Quindi gli apporti in venture capital di investitori privati e degli incubatori e acceleratori di startup, per altri circa 700 milioni”.
La sanità digitale e in particolare le DTx “hanno effetti migliorativi sulle condizioni cliniche dei pazienti”, ha detto l’onorevole Loizzo. “Consentono un migliore monitoraggio dei progressi da parte del medico e sono anche utili ai fini della ricerca – ha continuato – permettendo la raccolta dei dati dei pazienti praticamente in tempo reale. Portano anche a ridurre i costi per il SSN, ne accelerano la digitalizzazione con benefici per l’efficienza del sistema e anche per le competenze digitali dei pazienti stessi. Adesso l’introduzione di questi strumenti innovativi mette alla prova la politica”, ha ribadito Loizzo.
Terapie digitali e incertezze normative
L’Italia è tra i Paesi meno attivi sia nella definizione dei criteri di valutazione per i dispositivi medici digitali sia in termini di policy di accesso e rimborso. Ad oggi, i software che effettuano una terapia possono essere classificati come dispositivi medici, alcuni sono già disponibili per medici e pazienti spesso attraverso canali privati, altri sono in fase di ricerca e sviluppo. Nonostante le incertezze normative, numerose startup e aziende stanno lavorando per produrre dispositivi conformi alla definizione di terapie digitali. Oltre agli aspetti medici, scientifici e finanziari, i dati sono il lato più delicato della sanità digitale, oltre a essere il vero propellente del sistema, la cui gestione è il tema principale, sia dal punto di vista tecnologico sia legislativo.
Il sistema richiede la convergenza di più attori, tra cui le Istituzioni, fra cui oggi ancora vige una grande frammentazione di competenze nelle fasi di regolazione, autorizzazione e controllo; l’Università e la ricerca privata nello sviluppo; la finanza, sia pubblica sia privata per alimentare il sistema.
A livello globale
“In America 1,5 miliardi, in Germania 600 milioni, in Italia siamo appena in partenza: sono investimenti dalle straordinarie potenzialità – ha spiegato Elena Paola Lanati, CEO di Indicon SA – che ha presentato il ‘core’ del Report, i dati e la loro analisi – siamo di fronte ad attività tipiche da Venture Capital, che, avendo cicli di vita più brevi rispetto ai grandi investimenti industriali, possono garantire delle exit più rapide. In Italia, sono presenti 13 imprese coinvolte nella produzione e sviluppo di terapie digitali, tra cui 8 start up innovative, 1 start up, 1 PMI innovativa e 3 aziende consolidate. Su un totale di 28 DTx italiane, 21 sono in fase di sviluppo e 7 già riconosciute come dispositivo medico di classe I, presso il Ministero della Salute. Lo sviluppo e l’applicazione delle terapie digitali hanno il potenziale per attivare gli investitori privati per contribuire a rimodellare il panorama sanitario, fondendo farmaci, dispositivi e software innovativi. È un campo sfidante per la finanza e per le imprese, oltre che per gli operatori sanitari che per i pazienti”.
Accanto ai dati a livello globale, sono state avanzate delle proposte dal Digital Health Policy Lab che ha sviluppato il report. Le ha riportate la prof.ssa Paola Minghetti, ordinario di tecnologia, socioeconomia e normativa dei medicinali dell’Università di Milano. “Il gruppo di lavoro prevede la creazione di una nomenclatura specifica da includere nella Classificazione Nazionale dei Dispositivi Medici (CND) e nella European Medical Device Nomenclature (EMDN), per una regolamentazione coerente e una comprensione condivisa delle DTx. L’istituzione di una valutazione nazionale delle tecnologie sanitarie (HTA) per garantire che vengano messi a rimborso del Servizio Sanitario Nazionale prodotti sperimentati, convalidati e con un buon rapporto costo efficacia. La creazione di un fondo dedicato e una definizione chiara del canale di distribuzione per favorire l’accessibilità alle DTx. Inoltre, prendendo ispirazione dalle migliori pratiche internazionali, stiamo sviluppando una checklist che semplificherà il processo di approvazione e accesso”.
Ictus cerebrale 1ª causa disabilità, segnali da riconoscere
News Presa, Prevenzione, Stili di vitaL’ictus cerebrale colpisce ogni anno circa 185mila italiani. Nel nostro Paese è il primo responsabile di disabilità ed è la terza causa di morte. In particolare, sono 150 mila i nuovi casi e 35mila quelli che seguono a un primo episodio. Il 29 ottobre si celebra la Giornata Mondiale contro l’Ictus, sostenuta dall’Associazione A.L.I.Ce. Italia Onlus. L’obiettivo è sensibilizzare sull’importanza della prevenzione e di un’azione tempestiva ai primi segnali di rischio. Il presupposto però è saperli riconoscere.
Ictus emorragico o ischemico
L’ictus colpisce soprattutto dopo i sessantacinque anni d’età, rappresentando il 75 per cento dei casi in Italia. Tuttavia, “può anche colpire una popolazione più giovane, di meno di quaranta-quarantacinque anni”. A fare luce sul tema è la dottoressa Simona Marcheselli, Responsabile dell’Unità autonoma di Neurologia d’urgenza e Stroke Unit di Humanitas Research Hospital. “L’ictus può essere di due tipi: emorragico o ischemico (più comunemente conosciuto come ischemia)”, spiega la specialista. L’emorragia è provocata dalla rottura di un’arteria a cui consegue una fuoriuscita di sangue che va a invadere i tessuti circostanti. L’ischemia, invece, provoca una riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello, causata da un coagulo di sangue (o trombo) che occlude l’arteria.
I fattori di rischio e come prevenire
L’alta pressione arteriosa può causare l’ictus emorragico ed è una problematica che riguarda anche pazienti giovani. L’ictus ischemico, invece, colpisce soprattutto pazienti anziani. Quest’ultimo dipende da disturbi del ritmo cardiaco o da placche aterosclerotiche a carico delle arterie che portano sangue al cervello, oppure da fattori di rischio vascolari come il diabete e l’ipertensione stessa. La specialista di Humanitas sottolinea l’importanza dei controlli periodici.
I principali fattori di rischio da tenere d’occhio sono: pressione arteriosa, livelli di glicemia, livelli di colesterolo ed eventuali problemi di aritmia. Oltre alle visite specialistiche, sottolinea Marcheselli, a fare la differenza, in un’ottica di prevenzione, è lo stile di vita. Deve essere sano e attivo, con una dieta povera di sale, grassi di origine animale e alcolici. Deve, invece, essere ricca di legumi, frutta, verdura e grassi polinsaturi. Un altro fattore di rischio determinante per queste patologie è il fumo.
Ictus, riconoscere i sintomi e intervenire
I farmaci utilizzati per trattare l’ictus ischemico vanno somministrati entro 4-5 ore dall’insorgenza, altrimenti risultano controproducenti. Per questo, riconoscere alcuni sintomi può fare la differenza, permettendo un intervento tempestivo appena l’ictus si manifesta. Alcuni campanelli d’allarme sono: difficoltà di movimento, formicolio agli arti, difficoltà alla vista (o per esempio un restringimento del campo visivo), difficoltà a parlare e a ricordare le parole. Anche un mal di testa improvviso e senza cause apparenti può essere un segnale. In presenza di questi sintomi è importante rivolgersi al medico o allertare il 112, ribadisce la specialista.
Retinopatia diabetica prima causa cecità. Algoritmo AI può salvare vista
Prevenzione, Ricerca innovazioneIn Italia, più di un milione di persone con diabete soffrono di retinopatia diabetica. Si tratta della principale complicanza ed è la prima causa di cecità in età lavorativa. Le linee guida, nazionali e internazionali, sia per il diabete tipo 1 sia tipo 2, raccomandano la valutazione precoce dello stato della retina. Infatti, se la diagnosi arriva in tempo e ci si sottopone alle cure, oggi è possibile salvare la vista . Il presupposto però è l’accesso allo screening precoce, fondamentale per mettere in atto terapie efficaci per gestirla. Al momento, l’accesso allo screening nei paesi sviluppati è basso. Oltre ai costi, in molti Paesi, Italia inclusa, l’esame viene effettuato dagli oculisti, gravando sulle liste di attesa.
Retinopatia diabetica, lo studio sull’AI
In uno studio appena pubblicato su Acta Diabetologica, un sistema di intelligenza artificiale per la valutazione automatizzata della retinopatia diabetica, ha dimostrato una sensibilità del 100 per cento nell’individuazione dei casi di grado moderato o severo. Si tratta di stadi della malattia che mettono a rischio la vista e richiedono l’intervento dell’oculista. Lo studio condotto in Italia: “Feasibility and accuracy of the screening for diabetic retinopathy using a fundus camera and an artificial intelligence pre‑evaluation”, ha arruolato 637 pazienti seguiti presso i centri diabetologici e oculistici della Asl Torino 5. Gli studiosi hanno valutato l’accuratezza e l’affidabilità dell’algoritmo di apprendimento automatico.
L’algoritmo AI non sostituisce oculista
L’algoritmo di intelligenza artificiale dà “la certezza che nessun paziente che necessita di un oculista venga erroneamente diagnosticato come negativo”, spiega Carlo Bruno Giorda, principale ricercatore dello studio. “Considerato il sempre crescente numero di persone con diabete e l’importanza di questo screening, che spesso non viene effettuato a causa delle lunghe liste di attesa, si è reso necessario l’utilizzo di sistemi di valutazione automatizzata delle immagini. Oltre a sveltire il percorso diagnostico, riducono l’onere per gli specialisti e il tempo di attesa per i pazienti. Ovviamente non si parla di sostituire la professionalità dell’oculista, ma di dargli un importante supporto nelle fasi più complesse. Inoltre, auspichiamo che le evidenze emerse dallo studio offrano alle società scientifiche diabetologiche spunti di riflessione circa la possibilità di applicare questa nuova metodica di screening nella pratica clinica quotidiana”, conclude. Il sistema preso in esame si chiama Dairet (Diabetes Artificial Intelligence for RETinopathy). Sebbene abbia mostrato anche nei soggetti con più di 70 anni un livello di sensibilità del 100 per cento per le forme moderate o severe, le patologie oculari senili fanno leggermente diminuire il numero di pazienti sottoponili al test.
Bambini, è influenza o covid?
Bambini, Genitorialità, News Presa, PediatriaSoprattutto nei bambini, distinguere i sintomi dell’influenza da quelli del Covid non è facile. Anche se i due virus hanno profonde differenze, entrambi hanno un’alta capacità di infettare e diffondersi attraverso quello che gli esperti definiscono droplets (vale a dire le goccioline del respiro) ed entrambe, chiaramente, colpiscono le vie respiratorie. Il problema, con il Covid, è che a differenza dell’influenza non ha una specifica stagionalità.
Aspetti simili
Guardando a ciò che influenza e Covid hanno in comune, possiamo dire che, in entrambi i casi, i sintomi principali coinvolgono le vie respiratorie. Non a caso i sintomi più noti sono il raffreddore, la tosse e la faringite. Si possono verificare situazioni in cui i sintomi sono lievi o del tutto assenti, e la gravità varia a seconda dell’età e delle condizioni di salute preesistenti. Inoltre, sia nell’infezione influenzale che in quella da SARS-CoV-2, possono manifestarsi sintomi sistemici come malessere generale e febbre elevata. È importante notare che, poiché si tratta di infezioni virali, gli antibiotici non sono efficaci nel loro trattamento. Un ulteriore elemento comune tra le due infezioni è la disponibilità di vaccini autorizzati che consentono la prevenzione sia dell’infezione influenzale che di quella da SARS-CoV-2.
Cosa fare
Se i sintomi non sono importanti non è mai il caso di allarmarsi, la cosa migliore è comunque consultare il proprio medico o pediatra di famiglia in caso di febbre e, comunque, monitorare la temperatura. Qualche cautela in più la si deve avere se ci sono sintomi come difficoltà respiratoria o affanno. In quel caso è importante sentire subito il pediatra di famiglia, poiché potrebbero essere necessari ulteriori esami e un eventuale ricovero in un ambiente protetto. Il tampone nasofaringeo in questi casi è essenziale, perché è il solo modo certo per distinguere tra un’influenza e il Covid.
Vaccinazione
Certo, la prevenzione resta sempre la migliore arma di difesa. Come? Con la vaccinazione antinfluenzale, che è raccomandata per i bambini a partire dai 6 mesi di vita con una formulazione intramuscolare. A partire dai 2 anni di vita, è possibile optare per la formulazione spray nasale. Anche il vaccino contro il SARS-CoV-2 è disponibile per i bambini a partire dai 6 mesi di età, con una raccomandazione particolare per i soggetti fragili. In generale, è raccomandato per tutte le persone a partire dai 5 anni di vita.
Dolore cronico: donne più sensibili per via del tessuto adiposo
News Presa, Ricerca innovazioneIl tessuto adiposo determinerebbe risposte metaboliche e infiammatorie diverse tra i due sessi a seguito di neuropatia e dolore cronico. Lo suggerisce uno studio congiunto del Cnr, Irccs Fondazione Santa Lucia, Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e Università Kore di Enna. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista iScience e aprono nuove prospettive per la medicina di genere.
Dolore cronico, donne più esposte
Molte ricerche indicano una maggiore sensibilità e suscettibilità dei soggetti di sesso femminile al dolore cronico. I dati rigardano soprattutto quello di origine nervosa (neuropatico), rispetto a quello maschile. Ora uno studio ne svela la possibile causa.
La ricerca mette per la prima volta in luce il ruolo chiave svolto dal tessuto adiposo nella regolazione delle risposte infiammatorie e metaboliche specifiche legate al sesso biologico. I risultati fanno luce su alcuni fattori determinanti che spiegano la maggiore suscettibilità del sesso femminile al dolore neuropatico.
“Fino a oggi le ricerche si erano focalizzate su quelli che sembravano essere gli attori principali coinvolti nelle neuropatie e sul dolore a esse associato, che si pensavano essere all’origine di questa differenza, ossia il sistema immunitario, le cellule non neuronali (neuroglia) e gli ormoni sessuali, scoprendo effettivamente divergenze tra maschi e femmine nella risposta al danno nervoso. Ma cosa effettivamente innescasse le diverse risposte di questi attori dopo una lesione nervosa era finora ignoto”, spiega Sara Marinelli ricercatrice del Cnr-Ibbc, alla guida del team di ricerca. “Il tessuto adiposo, organo fino a non molto tempo fa considerato amorfo, è in realtà particolarmente dinamico nella comunicazione inter-organo, ed è capace di regolare, influenzare e modificare numerosi processi fisiologici e patologici, non soltanto di natura metabolica. Oggi, abbiamo aggiunto un importante tassello alla comprensione di questo divario, scoprendo che questo organo partecipa attivamente alla riparazione di un danno neurologico in modo sesso-dipendente”.
Tessuto adiposo facilita processi infiammatori
In disordini metabolici, come ad esempio il diabete e l’obesità, il tessuto adiposo sarebbe in grado di facilitare processi infiammatori o causare neuropatie. L’ipotesi che esso possa svolgere un ruolo diverso in base al sesso nel modulare la risposta metabolica a una lesione nervosa – in assenza di concomitanti patologie metaboliche – non era però mai stata presa in considerazione.
Le osservazioni del team si sono concentrate sulle lesioni a un nervo periferico, arrivando a superare molte precedenti aspettative. “A seguito di tale tipo di lesione, abbiamo osservato che il tessuto adiposo maschile promuove la glicolisi – ossia la scissione della molecola di glucosio al fine di generare molecole a più alta energia – e riduce la spesa energetica e i livelli di acidi grassi insaturi. Inoltre, nel sesso maschile, il tessuto adiposo favorisce il rilascio di molecole rigenerative, protegge contro lo stress ossidativo, stimola sue proteine tipiche come l’adiponectina, creando un ambiente favorevole alla rigenerazione e alla guarigione dalla neuropatia”, aggiunge Roberto Coccurello ricercatore Cnr-Isc e Fondazione Santa Lucia IRCCS, supervisore dello studio.
Diversa, invece, la risposta nell’altro sesso. “Il tessuto adiposo femminile mostra una lipolisi e un’ossidazione degli acidi grassi alterate, un aumento della spesa energetica e un’elevata secrezione di ormoni steroidei che influisce sul metabolismo del glucosio e dell’insulina. In sostanza, il tessuto adiposo femminile non solo risponde al danno con un metabolismo alterato simile a quello dei soggetti che sviluppano neuropatie diabetiche, ma rilascia anche altri ormoni coinvolti nella generazione e nel mantenimento del dolore neuropatico”, prosegue Claudia Rossi, docente di Biochimica dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara.
Dolore cronico e approccio di genere
“Tutto ciò ha chiare implicazioni nella comprensione delle divergenze di risposta tra i sessi al danno nervoso, soprattutto alla luce del fatto che il sistema immunitario, i neuroni e la neuroglia sono altamente suscettibili ai cambiamenti metabolici e ormonali, soprattutto quelli legati al glucosio, all’insulina e a estrogeni.”, conclude Sara Marinelli.
Queste scoperte aprono una prospettiva terapeutica nuova per affrontare i danni nervosi periferici, anche se saranno necessarie ulteriori ricerche per identificare bersagli più precisi e mettere a punto terapie diversificate a seconda del genere.
Diabete, innovazione tecnologica accessibile per superare barriere
Anziani, Eventi d'interesse, News PresaIl diabete è una malattia cronica con un forte impatto sulla qualità della vita dei pazienti. In Italia, secondo i dati del rapporto dell’Italian Barometer Diabetes Observatory 2022, si stima una prevalenza del 6,8 per cento. Si tratta di 4 milioni di pazienti, con un trend in costante aumento, poiché strettamente legato all’invecchiamento della popolazione. A questi dati andrebbero aggiunti circa un milione e mezzo di casi non diagnosticati. Proprio per questi numeri e per la tendenza al progressivo aumento, il diabete è una delle sfide più impegnative con cui è chiamato a misurarsi il Servizio Sanitario Nazionale.
Negli ultimi anni si sono fatti grandi progressi in ambito scientifico, tecnologico e normativo, ma c’è ancora molto da fare. Se n’è parlato ieri all’evento “Oltre la cura: la persona e la tecnologia al centro della gestione del diabete”, nella seconda edizione del Forum “Tutto nella norma”, promosso da Fondazione Roche e Formiche.
Diabete e innovazione tecnologica nella cura
«Il diabete è una malattia che richiede un approccio olistico, mirato e personalizzato per cui “sintonizzarsi” con la persona nella sua unicità diventa fondamentale. L’innovazione tecnologica riveste un ruolo centrale nella gestione della patologia e nella prevenzione delle complicanze. La disponibilità dei dati permette di facilitare il dialogo medico-paziente, la collaborazione tra medici di medicina generale e strutture diabetologiche e lo sviluppo di servizi di teleconsulto”, commenta Nicola Napoli, Professore Ordinario di Endocrinologia Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e Presidente SID Lazio.
“Oggi però – continua – in Italia abbiamo ancora numerose problematiche legate alla digitalizzazione e alla condivisione del dato in ambito sanitario. La diabetologia italiana si è in gran parte dotata di strumenti elettronici per la gestione dei dati clinici, ma la condivisione di questi con altri specialisti che concorrono nella cura del diabete e delle sue complicanze, e con la rete della medicina generale, è ancora estremamente limitata”.
Disparità territoriali
“Queste difficoltà nella gestione della persona con diabete si declinano a livello regionale, dove l‘assistenza è diversa da regione a regione, spesso anche tra una ASL e l’altra della stessa regione”, afferma Raffaella Sommacal, Consigliere delegato AGD Italia e membro del Consiglio Direttivo Diabete Italia.
“Occorre implementare su tutto il territorio nazionale – prosegue –un’assistenza integrata, continua e focalizzata sugli outcome di cura sin dagli esordi della patologia. E in quest’ottica, la digitalizzazione sanitaria risulta fondamentale per promuovere l’uso di registri e la raccolta dati, integrandoli nel sistema di cura del diabete. Utilizzandoli quali strumenti essenziali per migliorare la qualità della cura della malattia. I dati permetterebbero al paziente di migliorare l’aderenza terapeutica, ai clinici di collaborare e comunicare tra loro offrendo così una cura interdisciplinare, alle istituzioni di tenere monitorato l’andamento della malattia e delle sue complicanze”.
“Quindi, oggi l’innovazione tecnologica rappresenta l’elemento utile a colmare il divario tra bisogni e risorse, e può portare a un rinnovamento organizzativo e tecnologico nel diabete, volto a un’assistenza completa – continua Vincenzo Fiore, Direttore U.O.S.D. Diabetologia-Endocrinologia, Asl Roma 5-sede P.O. Tivoli e Presidente AMD Lazio. – Una corretta implementazione di questa innovazione e un accesso esteso a livello nazionale sono condizioni necessarie per promuovere la collaborazione tra tutti gli interlocutori che cooperano nella cura del diabete e per far sì che pazienti e caregiver possano sfruttare appieno il potenziale delle risorse tecnologiche oggi a disposizione”.
Infezioni, semplici procedure risparmierebbero migliaia di vite
News Presa, PrevenzioneIn Europa, ogni anno, le Infezioni Correlate all’Assistenza provocano direttamente 37mila decessi e sono concausa di altri 110mila. Eppure, alcune procedure potrebbero evitare migliaia di morti, giorni in più di ricovero e di conseguenza costi per il sistema sanitario. I dati sono riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS che ha lanciato da tempo l’allarme per quella che è una vera e propria emergenza di sanità pubblica. Oltre ai morti, sempre in Europa, le infezioni ospedaliere provocano ogni anno 16 milioni di giornate aggiuntive di degenza. I costi diretti, invece, ammontano a circa 7 miliardi di euro all’anno, secondo le stime.
Come evitare le infezioni ospedaliere
Secondo i dati, lavarsi le mani nel modo corretto può ridurre tra il 30 e il 40 per cento delle infezioni legate alle pratiche assistenziali. In altre parole, basterebbero semplici accortezze, come l’igiene delle mani o la sanificazione degli ambienti per risparmiare migliaia di vite umane.
Oltre alla mancanza di procedure per limitarne la trasmissione, l’uso eccessivo degli antibiotici e la presenza di germi multiresistenti negli ospedali, sono tra le principali cause delle infezioni ospedaliere. Inoltre, oggi ci sono sempre più pazienti fragili, spesso arrivano in ospedale già colonizzati da germi multiresistenti, spiegano gli specialisti. Per questo è necessario che tutti i pazienti siano monitorati dal loro ingresso in ospedale.
Il modello in Abruzzo
In Abruzzo viene usata una procedura che ha riportato una riduzione dei casi nell’ultimo decennio, con un monitoraggio già all’ingresso in ospedale. Ora aggiungerà un corso per formare gli specialisti, in cui l’infettivologo mantiene un ruolo di regista, con il coinvolgimento di tutti i reparti degli ospedali. Il modello è stato preso come esempio, nell’incontro “Microbiology & Infections Pescara 2023”, patrocinato dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT e dall’Associazione Microbiologi Clinici Italiani – AMCLI.
Intercettare i germi con l’intelligenza artificiale
“Nel monitoraggio delle resistenze agli antibiotici, con il supporto dell’Istituto Zooprofilattico, stiamo realizzando una app con cui conoscere i germi che circolano in ciascun ospedale e contestualmente individuare gli strumenti per intervenire”, sottolinea Giustino Parruti, Direttore UOC Malattie Infettive Asl Pescara e Presidente SIMIT Abruzzo e Molise.
“Stiamo definendo una stretta sull’infection control tramite l’uso della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale – racconta. “Serve però il supporto dell’azienda ospedaliera per sviluppare modelli capillari che cambino l’organizzazione, eliminino il sovraffollamento, garantiscano cicli di pulizia sufficiente, monitorino tutti gli interventi, favoriscano l’informatizzazione”.
Prevenire le infezioni
“Interveniamo già nelle fasi di colonizzazione dei batteri – spiega Parruti – che precedono le infezioni. L’obbligo è di segnalare i batteri Alert, i più pericolosi per la salute dei pazienti, anticipando così l’infezione con un intervento preventivo in fase preclinica. In secondo luogo, vi sono i buoni risultati ottenuti in Rianimazione, sia nei confronti di infection control e antimicrobial stewardship, che per l’uso corretto degli antibiotici. Inoltre, vi è stata un’efficace risposta alla pandemia con il distanziamento dei pazienti, grazie alla disposizione di spazi e personale per assistere i pazienti con Covid senza dover ricorrere alla conversione delle aree di degenza. Tuttavia, serve un impegno costante e si devono fronteggiare periodiche situazioni di affollamento degli ospedali in cui si verifica una crescita notevole anche delle infezioni. Vogliamo difendere questi risultati: il paziente ha bisogno di spazi, risorse e di un numero adeguato di sanitari per essere assistito efficientemente”.
Ludopatia e calcioscommesse, cosa c’è da sapere
News Presa, PsicologiaIl caso calcioscommesse ha diviso nettamente l’opinione pubblica tra chi punta il dito e chi invece crede fermamente alla testi della ludopatia. Al di là delle polemiche e dei risvolti dell’inchiesta, di certo c’è che la ludopatia è una vera e propria patologia e colpisce sempre più persone in tutto il mondo. Questa dipendenza comportamentale, spesso chiamata gioco d’azzardo patologico, colpisce individui di tutte le età e condizioni socio-economiche, calciatori compresi.
Cos’è la ludopatia
Come detto, si tratta di una forma di dipendenza comportamentale in cui un individuo è incapace di resistere all’impulso di giocare d’azzardo nonostante le conseguenze negative che questo comporta nella vita quotidiana. Le persone affette da ludopatia spesso sperimentano una crescente perdita di controllo, una preoccupazione costante per il gioco d’azzardo, e un bisogno crescente di scommettere somme sempre più grandi per raggiungere lo stesso livello di eccitazione.
Il meccanismo di sviluppo della ludopatia
La ludopatia ha radici complesse e può svilupparsi in risposta a vari fattori. Alcuni dei principali meccanismi che la innescano includono:
Come superarla
La buona notizia è che la ludopatia è una condizione trattabile e molte persone sono riuscite a superarla. Ecco alcune strategie chiave per affrontare la ludopatia:
Supporto e terapia
La ludopatia è una dipendenza che può avere gravi conseguenze sulla vita di un individuo e delle persone a lui care. Tuttavia, con l’approccio giusto e il sostegno necessario, è possibile superare questa dipendenza distruttiva. L’importante è riconoscere il problema, cercare aiuto professionale e impegnarsi in un percorso di recupero. La consapevolezza e la comprensione del meccanismo di sviluppo della ludopatia sono passi fondamentali per combatterla con successo.
Diabete 1, anticorpo monoclonale efficace nel tempo
Bambini, News PresaIl diabete di tipo 1 è la seconda malattia cronica più comune dell’infanzia (al primo posto c’è l’asma). La patologia impatta sulla qualità della vita. Inoltre, secondo alcuni studi su pazienti con diagnosi prima dei 10 anni, riduce l’aspettativa di vita (14 anni negli uomini e più di 17 anni nelle donne).
La malattia mostra nel 10% dei casi una ricorrenza nelle famiglie. Di conseguenza nei casi in cui viene diagnosticata aumenta il rischio anche per i familiari del paziente. In particolare, possono esserci delle fasi asintomatiche prima di mostrare la comparsa di autoanticorpi (tipica dello stadio 1) e alterazione dei livelli di glicemia (stadio 2). In questo stadio, le risposte metaboliche al carico di glucosio sono alterate mentre i livelli di emoglobina glicata (uno dei principali marcatori della malattia) rimangono normali.
Il 27 settembre, sulla Gazzetta Ufficiale n. 226, è stato pubblicato il testo della legge che istituisce un programma di screening per la diagnosi precoce di diabete di tipo 1 e celiachia nella fascia di età tra 1 e 17 anni. Questa iniziativa in cui l’Italia è pioniera, vuole identificare i soggetti a rischio e prevenire complicanze potenzialmente fatali, attraverso una diagnosi tempestiva.
Diabete 1, nuova cura
La produzione di insulina è fondamentale per evitare complicanze micro e macroangiopatiche del diabete tipo 1. Lo dimostrano i risultati degli studi internazionali del Diabetes Control Complication Trial. Un anticorpo monoclonale ha dimostrato di preservare la produzione di insulina sino al termine del trial (un anno e mezzo). I dati della fase III dello studio Protect sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale (Teplizumab) in bambini e ragazzi dagli 8 ai 17 anni con neo-diagnosi di diabete di Tipo 1 sono stati presentati al 49mo Congresso ISPAD (International Society for Pediatric and Adolescent Diabetes) di Rotterdam. Lo studio, appena pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine (NEJM) ha promosso la molecola come capace di mantenere la produzione di insulina per tutta la durata dello studio (esattamente 78 settimane) rispetto a coloro che non hanno ricevuto il farmaco.
Inoltre lo studio ha dimostrato che la proporzione di individui trattati che raggiunge entrambi gli obiettivi ovvero emoglobina glicata inferiore/uguale a 6.5% e una dose di insulina inferiore a 0.25 unità per kg di peso corporeo è significativamente superiore rispetto ai soggetti trattati con placebo al termine dello studio.
“Il teplizumab aveva già dimostrato di ritardare il declino della funzione delle cellule beta, che producono insulina, di circa 2 anni nei familiari a rischio ovvero che avessero positività per almeno due autoanticorpi del diabete e una condizione di alterazione dei livelli di glicemia (stadio 2) (NEJM, 2019). Tanto che la Food and Drug Administration ne aveva approvato l’utilizzo a novembre del 2022 per bambini ed adolescenti che avessero positività per almeno due autoanticorpi del diabete e una condizione di disglicemia. Oggi agli ottimi risultati in termini di prevenzione si aggiungono ora risultati assai significativi in termini di ‘mantenimento della produzione di insulina dalla diagnosi sino al termine dello studio, effetto assai importante per il dilazionamento nel tempo dell’insorgenza delle complicanze del diabete.” Lo ha sottolineato la Professoressa Raffaella Buzzetti, Presidente Eletto della SID “In particolare – ha continuato – agisce sulle cellule immunitarie ritenute responsabili della distruzione delle beta-cellule del pancreas permettendo il mantenimento della produzione di insulina in risposta all’introito di zuccheri nell’organismo”.
L’anticorpo monoclonale è stato approvato dall’FDA americana nel novembre 2022 e prima che sia disponibile in Italia si dovrà attendere l’approvazione da parte dell’ente regolatorio europeo EMA e italiano AIFA. Potranno beneficiare i soggetti con più di 8 anni con predisposizione al diabete tipo 1 nei quali quindi lo screening abbia evidenziato due o più autoanticorpi e che abbiano una condizione di “disglicemia”.
Terapie digitali, Italia carente di regole. Il DTx Monitoring Report
Economia sanitaria, News Presa, Ricerca innovazioneNel nostro Paese ci sono 643 imprese innovative di nuova costituzione che si dedicano alle lifescience. Rappresentano l’8,8%, punta avanzata delle 7.310 startup entrate nel Registroimprese.it da gennaio 2021 a giugno 2023. Di queste, 140 sono focalizzate sulla digital health e solo 6 sono impegnate nella ricerca e produzione di terapie digitali. Al momento la sanità digitale in Italia è carente di regole.
Il settore nelle sole terapie digitali (i farmaci somministrati via app, con smartphone e pc, con un software come principio attivo anziché una sostanza chimica) vale, a livello globale, 6,5 miliardi di dollari con la Germania trainante in Europa che può contare già oggi su 49 terapie disponibili. Questi sono alcuni dei numeri presentati dal primo DTx Monitoring Report, ieri al Senato in un incontro promosso dalla presidente dell’intergruppo parlamentare per la Sanità Digitale, onorevole Simona Loizzo, e organizzato da Indicon Società Benefit, con il supporto di Ladiesfirst.
I fondi a disposizione dello sviluppo della digital health in Italia sono: circa 27,5 miliardi di euro da fonte pubblica, a valere su fondi del PNRR attraverso i ministeri dell’Università e Ricerca, dalla Salute e delle Imprese e Made in Italy, a cui si aggiungono circa 4,2 miliardi attraverso il venture capital della Cassa Depositi e Prestiti e i fondi Enea Tech e Biomedical. Quindi gli apporti in venture capital di investitori privati e degli incubatori e acceleratori di startup, per altri circa 700 milioni”.
La sanità digitale e in particolare le DTx “hanno effetti migliorativi sulle condizioni cliniche dei pazienti”, ha detto l’onorevole Loizzo. “Consentono un migliore monitoraggio dei progressi da parte del medico e sono anche utili ai fini della ricerca – ha continuato – permettendo la raccolta dei dati dei pazienti praticamente in tempo reale. Portano anche a ridurre i costi per il SSN, ne accelerano la digitalizzazione con benefici per l’efficienza del sistema e anche per le competenze digitali dei pazienti stessi. Adesso l’introduzione di questi strumenti innovativi mette alla prova la politica”, ha ribadito Loizzo.
Terapie digitali e incertezze normative
L’Italia è tra i Paesi meno attivi sia nella definizione dei criteri di valutazione per i dispositivi medici digitali sia in termini di policy di accesso e rimborso. Ad oggi, i software che effettuano una terapia possono essere classificati come dispositivi medici, alcuni sono già disponibili per medici e pazienti spesso attraverso canali privati, altri sono in fase di ricerca e sviluppo. Nonostante le incertezze normative, numerose startup e aziende stanno lavorando per produrre dispositivi conformi alla definizione di terapie digitali. Oltre agli aspetti medici, scientifici e finanziari, i dati sono il lato più delicato della sanità digitale, oltre a essere il vero propellente del sistema, la cui gestione è il tema principale, sia dal punto di vista tecnologico sia legislativo.
Il sistema richiede la convergenza di più attori, tra cui le Istituzioni, fra cui oggi ancora vige una grande frammentazione di competenze nelle fasi di regolazione, autorizzazione e controllo; l’Università e la ricerca privata nello sviluppo; la finanza, sia pubblica sia privata per alimentare il sistema.
A livello globale
“In America 1,5 miliardi, in Germania 600 milioni, in Italia siamo appena in partenza: sono investimenti dalle straordinarie potenzialità – ha spiegato Elena Paola Lanati, CEO di Indicon SA – che ha presentato il ‘core’ del Report, i dati e la loro analisi – siamo di fronte ad attività tipiche da Venture Capital, che, avendo cicli di vita più brevi rispetto ai grandi investimenti industriali, possono garantire delle exit più rapide. In Italia, sono presenti 13 imprese coinvolte nella produzione e sviluppo di terapie digitali, tra cui 8 start up innovative, 1 start up, 1 PMI innovativa e 3 aziende consolidate. Su un totale di 28 DTx italiane, 21 sono in fase di sviluppo e 7 già riconosciute come dispositivo medico di classe I, presso il Ministero della Salute. Lo sviluppo e l’applicazione delle terapie digitali hanno il potenziale per attivare gli investitori privati per contribuire a rimodellare il panorama sanitario, fondendo farmaci, dispositivi e software innovativi. È un campo sfidante per la finanza e per le imprese, oltre che per gli operatori sanitari che per i pazienti”.
Accanto ai dati a livello globale, sono state avanzate delle proposte dal Digital Health Policy Lab che ha sviluppato il report. Le ha riportate la prof.ssa Paola Minghetti, ordinario di tecnologia, socioeconomia e normativa dei medicinali dell’Università di Milano. “Il gruppo di lavoro prevede la creazione di una nomenclatura specifica da includere nella Classificazione Nazionale dei Dispositivi Medici (CND) e nella European Medical Device Nomenclature (EMDN), per una regolamentazione coerente e una comprensione condivisa delle DTx. L’istituzione di una valutazione nazionale delle tecnologie sanitarie (HTA) per garantire che vengano messi a rimborso del Servizio Sanitario Nazionale prodotti sperimentati, convalidati e con un buon rapporto costo efficacia. La creazione di un fondo dedicato e una definizione chiara del canale di distribuzione per favorire l’accessibilità alle DTx. Inoltre, prendendo ispirazione dalle migliori pratiche internazionali, stiamo sviluppando una checklist che semplificherà il processo di approvazione e accesso”.
Carcinoma mammario, arriva l’Ottobre Rosa
News PresaIl 28 ottobre è una data da segnare con cura nel calendario, perché prende vita l’iniziativa Ottobre Rosa, organizzata dal Ministero della Salute in occasione del mese della sensibilizzazione sul carcinoma mammario. A Napoli l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli è pronta a svolgere un ruolo chiave per la prevenzione di questo tumore. Il direttore generale Ferdinando Russo sottolinea l’importanza della prevenzione nel rilevare un tumore al seno nelle sue prime fasi, aprendo la porta a un’ampia possibilità di guarigione. Russo afferma: “Oggi registriamo il 90% di casi in cui l’intervento tempestivo conduce a una diagnosi precoce.”
Strategie diagnostiche
Questa iniziativa offre alle donne l’opportunità di ricevere visite gratuite ed esami strumentali da parte degli specialisti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria, un modo efficace per individuare potenziali problemi in anticipo e sensibilizzare l’utenza sulle strategie diagnostiche, terapeutiche e sui comportamenti da adottare per prevenire o affrontare il carcinoma mammario. L’obiettivo è ridurre la mortalità, e Ferdinando Russo sottolinea: “La presa in carico del tumore della mammella in Centri di Senologia multidisciplinari riduce sensibilmente la mortalità.”
Team multidisciplinare
La giornata dedicata alla prevenzione del carcinoma mammario mette al centro le donne, con il supporto di un team di specialisti composto da chirurghi, oncologi, radiologi, genetisti, psico-oncologi, radioterapisti, ginecologi e case manager. Questi professionisti sono pronti ad illustrare alle partecipanti il percorso assistenziale offerto dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli. Questo percorso è parte integrante del progetto “One-Stop Mammella”, che si traduce in un unico luogo, il Policlinico Vanvitelli, in cui le donne possono essere seguite dalla diagnosi di un carcinoma mammario fino alla terapia e alla possibile riabilitazione. Questa iniziativa fornisce alle donne una visione chiara e una gestione completa del percorso di cura, tutto sotto lo stesso tetto, garantendo una maggiore comodità e un supporto continuo durante il loro viaggio verso la guarigione.
Sintomi del Carcinoma Mammario
È fondamentale essere consapevoli dei sintomi del carcinoma mammario per una diagnosi tempestiva e una cura efficace. Anche se è importante sottolineare che la presenza di questi sintomi non conferma necessariamente la presenza di un tumore al seno, è comunque importante consultare un professionista medico se si notano cambiamenti o segni sospetti. I sintomi comuni del carcinoma mammario includono:
Questi sono solo alcuni dei possibili sintomi del carcinoma mammario. La consapevolezza di questi segnali e la partecipazione a programmi di screening come il progetto Ottobre Rosa sono fondamentali per una diagnosi precoce e una migliore prognosi. La prevenzione e la sensibilizzazione svolgono un ruolo cruciale nella lotta contro il carcinoma mammario, e il supporto di Azienda Ospedaliere come il Policlinico Luigi Vanvitelli di Napoli rappresentano un importante passo avanti nella promozione della salute delle donne.