Tempo di lettura: 2 minutiQuattro giorni per un’impresa straordinaria: salvare cinque vite grazie alla generosità di due famiglie che, nonostante il dolore della perdita, hanno scelto di donare gli organi. È successo all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dove si è svolta una vera e propria maratona nel campo della trapiantologia.
Senza respiro
La corsa contro il tempo ha preso il via il 28 febbraio, quando gli organi provenienti da un donatore deceduto di età pediatrica hanno permesso di effettuare i primi tre trapianti. Una bambina di 5 anni, affetta da cirrosi biliare secondaria ad atresia delle vie biliari, ha ricevuto una nuova speranza con la parte sinistra del fegato. In attesa da quattro mesi, la sua vita è stata trasformata grazie alla generosità di chi ha consentito all’espianto di procedere.
Libera dalla dialisi
Ma non era finita qui. I reni prelevati da questo stesso donatore hanno raggiunto due ragazze in attesa disperata di una nuova possibilità di vita. Una di 18 anni, affetta da nefronoftisi, e un’altra di 17 anni, con una storia di rene policistico e idronefrosi ostruttiva, sono state libere dalla dialisi, rispettivamente, dopo 37 e 28 lunghi mesi di attesa. La sequenza trapiantologica è stata un tour de force che ha impegnato l’equipe medica per 34 ore, iniziando alle 4:30 del mattino del 28 febbraio e concludendosi alle 14:30 del giorno successivo.
Split liver
Ma la maratona non si è fermata qui. Il 1° marzo, un fegato prelevato da un donatore deceduto adulto ha permesso la realizzazione di due ulteriori trapianti. Un procedimento innovativo di split liver ha consentito di suddividere l’organo in due parti, trapiantate in contemporanea a una bambina di otto anni e a una ragazza di 14 anni. La bambina, afflitta da epatite fulminante, è stata messa in lista solo due giorni prima del trapianto, mentre la ragazza di 14 anni, con la malattia di Wilson, ha aspettato per ben 50 giorni il suo turno.
Senza precedenti
Questa procedura, tanto complessa quanto innovativa, ha richiesto un’opera di coordinamento senza precedenti. Chirurghi, anestesisti, rianimatori, radiologi, epatologi, nefrologi, infermieri e molti altri professionisti hanno collaborato sinergicamente per portare a termine questa straordinaria impresa. Marco Spada, responsabile di Chirurgia Epato-Bilio Pancreatica e dei Trapianti di Fegato e Rene al Bambino Gesù, ha sottolineato l’importanza del contributo di tutti coloro che hanno reso possibile questo risultato, compresi i donatori e le loro famiglie, cui va un ringraziamento speciale per il loro gesto di altruismo senza pari.
Lavoro di squadra
Un grande lavoro di coordinamento e dedizione professionale, ha commentato Sergio Giuseppe Piccardo, responsabile Anestesia, Rianimazione e Comparti Operatori del Bambino Gesù di Roma, che non sarebbe stato possibile senza la generosità dei donatori e delle loro famiglie. È loro che dobbiamo ringraziare per un gesto di grande altruismo che ha donato una nuova vita a 5 giovani pazienti. La maratona trapiantologica all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù non solo ha portato sollievo a cinque vite in pericolo, ma ha anche dimostrato il potere dell’altruismo e della dedizione nel salvare vite umane. Un successo che rimarrà inciso nei ricordi di tutti coloro che vi hanno preso parte e che continuerà a ispirare speranza nelle persone in attesa di un trapianto.
Cocaina a lungo, effetti sulle reti reurali. Dilaga droga rosa
Adolescenti, News Presa, Nuove tendenze, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneIl consumo prolungato di cocaina è stato al centro di uno studio condotto dall’Università della Carolina del Nord, pubblicato a febbraio sulla rivista The Journal of Neuroscience. Gli scienziati, utilizzando modelli murini e avanzate tecniche di neuroimaging, hanno esaminato gli effetti dell’auto somministrazione di cocaina per 10 giorni su topi.
Cocaina agisce sulle connessioni neurali
Le scansioni cerebrali hanno rivelato alterazioni significative nella comunicazione tra le reti neurali. Erano riscontrabili soprattutto in aree cruciali per la concentrazione, il controllo degli impulsi e la motivazione senza l’uso della droga. Tali cambiamenti sono risultati più evidenti con l’incremento dell’assunzione di cocaina nei 10 giorni di auto somministrazione.
In sostanza, questi cambiamenti guidati dalla dipendenza possono compromettere la risposta alle situazioni quotidiane. Ciò rende più arduo il recupero e la resistenza alle droghe. Un aspetto rilevante dello studio riguarda la corteccia insulare anteriore (AI) e la corteccia retrospleniale (RSC). Sono coinvolte rispettivamente nell’elaborazione emotiva e sociale e nel controllo della memoria episodica.
La disfunzione di questo circuito cerebrale potrebbe essere un potenziale bersaglio per modulare i cambiamenti comportamentali legati all’uso prolungato di cocaina. Come un’orchestra in cui ogni strumentista ha un ruolo cruciale, il cervello richiede la cooperazione di parti specifiche per compiti quotidiani.
Nuove droghe sempre più potenti
Mentre il consumo di cocaina continua a influenzare le reti neurali, emergono sfide aggiuntive nel panorama delle sostanze stupefacenti. Il traffico si concentra soprattutto nei locali notturni, con nuove droghe in costante evoluzione per eludere la sorveglianza.
In questo contesto, la nuova cocaina rosa rappresenta una minaccia crescente. La sua diffusione nei quartieri della movida è accompagnata da un prezzo che supera spesso i 70/80 euro al grammo. Questa sostanza è un mix chimico di ketamina e Mdma. La sua tossicità e gli effetti prolungati non sono ancora completamente compresi, ma la domanda da parte dei giovani clienti è in aumento, con gli spacciatori che intensificano lo spaccio nelle città italiane.
Il mercato delle sostanze stupefacenti è in costante evoluzione. La cocaina rosa, proveniente dalla Colombia e dai Paesi Bassi, sta rapidamente guadagnando terreno, alimentando preoccupazioni per la sicurezza e la salute pubblica. La ricerca scientifica sulle connessioni cerebrali e gli effetti delle nuove sostanze sottolinea l’importanza di affrontare le sfide legate all’uso di droghe e proteggere la salute mentale delle generazioni future.
Vulvodinia: nasce il primo Centro campano riconosciuto AIV
News PresaNasce presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli il primo Centro di riferimento pubblico regionale riconosciuto dall’Associazione Italiana Vulvodinia (AIV) per il trattamento e la cura della vulvodinia, una condizione caratterizzata da un dolore vulvare persistente e invalidante che compromette la qualità di vita delle pazienti sotto vari aspetti: fisico, psicologico, sessuale, relazionale e sociale.
Qualità di vita
Il Centro, coordinato dalla dottoressa Maria Teresa Schettino – afferisce all’ U.O.C. di Ginecologia, Ostetricia e Fisiopatologia della Riproduzione diretta dal professor Pasquale De Franciscis e mira a prendere in carico le pazienti costrette a convivere con una patologia della quale si parla poco, ma che ha gravi ripercussioni sulla qualità di vita. Il Centro offre un approccio multidisciplinare e integrato, basato su una valutazione accurata e personalizzata di ogni caso, e su un percorso terapeutico che combina diverse modalità di intervento: farmacologico, fisioterapico, psicologico e riabilitativo.
Team multidisciplinare
Il Centro si avvale di un team di specialisti qualificati e aggiornati, provenienti da diverse discipline: ginecologia, uroginecologia, anestesia, psicologia, fisioterapia e sessuologia. Il Centro dell’A.O.U. L. Vanvitelli si propone come un modello di riferimento per la Campania, dove la vulvodinia colpisce 1 donna su 7, ma spesso non viene diagnosticata o trattata adeguatamente. «Il Centro intende collaborare con le altre realtà sanitarie del territorio – spiega la dottoressa Schettino – per garantire alle pazienti un accesso tempestivo e qualificato alle cure, e per contrastare il fenomeno dell’allodinia, ovvero la percezione del dolore anche in assenza di stimoli nocivi». Importante anche l’attività d’informazione e prevenzione, rivolte alle donne e alla popolazione in generale, per diffondere una maggiore consapevolezza sulla vulvodinia e sui suoi effetti devastanti.
La malattia
«La vulvodinia è una malattia ad alto impatto – chiarisce il professor De Franciscis – che può portare alla disperazione. La vulvodinia è una sfida che si può vincere, con l’aiuto di una rete di professionisti competenti e sensibili, e con il sostegno di una comunità solidale e informata. Il nostro Centro punta ad essere parte attiva di questa rete e di questa comunità, ed a contribuire a migliorare la vita di migliaia di tantissime donne che soffrono in silenzio».
Contatti
Per maggiori informazioni sul Centro e sulle sue attività, si può contattare il numero 081/5665614 ed il centro unico di prenotazione: 800177780. Alla presentazione dell’attività del centro, che avrà luogo oggi (venerdì 8 marzo) alle 15.00 nell’Aula degli Affreschi del Complesso didattico di Sant’Andrea delle Dame (via L. De Crecchio, 7 Napoli) hanno partecipato, tra gli altri, Gianfranco Nicoletti (Magnifico Rettore Università della Campania L. Vanvitelli), Ferdinando Russo (Direttore Generale A.O.U. L. Vanvitelli), Pasquale Di Girolamo Faraone (Direttore Sanitario A.O.U. L. Vanvitelli), Pietro Buono (Direzione generale Tutela della Salute e coordinamento SSR – Regione Campania) e i responsabili del Centro.
Cancro alla mammella, nasce la biobanca di nuova generazione
News Presa, Ricerca innovazioneIl cancro alla mammella è ancora oggi una delle principali cause di mortalità tra le donne, con circa 50.000 nuovi casi di carcinoma diagnosticati ogni anno solo negli Stati Uniti. Tuttavia, una nuova luce di speranza si accende grazie al lancio del progetto “Breast Cancer Tissues and Organoids BioBank” da parte dell’Unità di Senologia Chirurgica dell’Azienda Ospedaliera dei Colli – Monaldi di Napoli e l’Unità di Anatomia Patologica, in collaborazione con il Centro di risorse biologiche (Crb) dell’Istituto di genetica e biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (CNR-Igb).
Organoidi
Il progetto si propone di creare una biobanca di nuova generazione dedicata alla raccolta, conservazione e processazione di tessuti e organoidi specifici per la ricerca sul tumore mammario. Gli organoidi, mini-tumori cresciuti in laboratorio da tessuti prelevati da pazienti affetti da tumore alla mammella, permetteranno lo studio e lo sviluppo di terapie personalizzate e innovative. Questa metodologia innovativa mira non solo a migliorare l’efficacia dei trattamenti ma anche a ridurre l’uso di modelli animali, in linea con le direttive europee per la ricerca scientifica.
La rete
Il progetto si basa sull’impiego di tecnologie all’avanguardia, inclusa la tecnologia green Organ-on-Chip, che consente lo sviluppo di sistemi alternativi per la ricerca, riducendo la dipendenza dagli studi su animali. Ciò non solo accelera il processo di ricerca, ma anche risponde alle esigenze di sostenibilità ambientale. Inoltre, i campioni di organoidi conservati nella biobanca saranno messi a disposizione della comunità scientifica per studi biomedici e traslazionali, ampliando le conoscenze e favorendo una maggiore collaborazione nel campo della ricerca sul cancro alla mammella.
Ricerca e clinica
Emilia Caputo, responsabile della biobanca presso il CNR-Igb, sottolinea l’importanza di questa iniziativa che coniuga ricerca e clinica, coinvolgendo attivamente i pazienti nel processo. Anna Iervolino, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, evidenzia il contributo essenziale dell’Ospedale Monaldi alla ricerca traslazionale sul cancro alla mammella, puntando a migliorare direttamente la qualità della vita delle pazienti.
Storia di Claudia: prima sterile poi mamma
Genitorialità, News Presa, Ricerca innovazioneGrazie ad un reimpianto del tessuto ovarico Claudia (nome di fantasia) è riuscita ad avere una gravidanza nonostante da giovanissima fosse stata colpita da una malattia che, come conseguenza delle cure, l’aveva resa sterile. Oggi Claudia non solo sta bene, ma può stringere al petto la sua bimba. Una storia incredibile che arriva da Verona e che si lega indissolubilmente all’attività assistenziale dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona.
La storia
Questa felice nascita, un parto naturale a termine, è stata la miglior conclusione possibile di una storia iniziata molti anni prima. Negli anni dell’adolescenza, infatti, Claudia si era ammalata di Sarcoma di Ewing e per effetto delle chemioterapie ha perso la capacità riproduttiva. I medici le proposero di prelevare del tessuto ovarico e crioconservarlo per poi reimpiantarlo al momento opportuno.
Preservare la fertilità
Quel momento è arrivato 15 anni dopo, quando ormai era considerata una ex paziente oncologica. Claudia a quel punto si è rivolta al Centro di Procreazione medicalmente assistita dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, diretto dal dottor Gugliemo Ragusa, per essere presa in carico con la fecondazione in vitro e essere seguita nella stimolazione del tessuto ovarico reimpiantato. Il lieto fine della storia è stata una vicenda clinica che ha coinvolto molti professionisti dell’Azienda Ospedaliera.
La tecnica
Come avviene la procedura? Il tessuto, di una o di entrambe le ovaia, viene asportato mediante una biopsia eseguita in via laparoscopica, e deve essere crioconservato in azoto liquido. Al momento opportuno, poi, tale tessuto può essere scongelato e reimpiantato nella paziente nell’ovaia dove è stato effettuato il prelievo (reimpianto ortotopico) o in siti corporei molto vascolarizzati, come ad esempio il sottocute dell’addome (reimpianto eterotipico). Nel primo caso è possibile recuperare sia la funzione ormonale che quella riproduttiva, ripristinando anche il ciclo mestruale, mentre nel secondo si ripristina solamente la funzione ormonale ovarica
Pochi casi al mondo
Al mondo, finora, sono state registrate più di 130 nascite avvenute grazie a questa procedura. Le probabilità di concludere con successo una gravidanza dopo il reimpianto di tessuto ovarico crioconservato arrivano al 40%. Si stima che una donna su 49 svilupperà un cancro tra la nascita e i 39 anni per questo la preservazione della fertilità è un fattore importante.
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Europa in Salute, sfide per attrarre investimenti in ricerca e innovazione
News PresaL’avvicinarsi delle elezioni europee porta riflessioni sulla direzione futura dell’Unione Europea, in particolare nei settori chiave, come l’economia e la salute. Eli Lilly ha promosso un dibattito a Roma, con il patrocinio di Parlamento e Commissione Europea, Regione Lazio, Farmindustria e SIF – Società Italiana di Farmacologia, riunendo istituzioni, società scientifiche e associazioni pazienti. L’evento si svolto presso Spazio Europa a Roma, sede della rappresentanza in Italia della Commissione europea e del Parlamento europeo.
Tra i punti emersi dal dibattito, l’accesso tempestivo ai farmaci innovativi, la difesa della proprietà intellettuale, piani integrati per il contrasto delle malattie croniche non trasmissibili e regole chiare nella legislazione farmaceutica. La discussione, ha evidenziato l’importanza di un’Europa attrattiva per nuovi investimenti in ricerca, sviluppo e produzione farmaceutica.
La Strategia farmaceutica per l’Europa, riforma adottata nel 2020 dalla Commissione Europea e attualmente in esame al Parlamento e al Consiglio europeo, è stata al centro dell’attenzione. L’obiettivo di semplificare la normativa per favorire un’innovazione accessibile e tempestiva è stato discusso durante la mattinata.
Europa, due sfide regolatorie
Due principali sfide regolatorie sono emerse nel dibattito: il Regolamento per istituire lo spazio europeo dei dati sanitari presentato nel 2022 e la regolamentazione dell’Health Technology Assessment (HTA) del 2021. Quest’ultimo supera il paradigma del costo e stabilisce criteri comuni di valutazione (saranno applicabili dal 2025). Entrambi mirano a migliorare l’erogazione dell’assistenza sanitaria, la ricerca e l’innovazione, affrontando le sfide sanitarie a lungo termine.
L’approccio comunitario contro le diseguaglianze sanitarie si realizza nel piano europeo di lotta contro il cancro del 2021 e nell’iniziativa “Healthier Together”. L’obiettivo è ridurre l’onere delle malattie non trasmissibili, migliorando diagnosi, terapie e la qualità di vita dei pazienti.
Sebbene siano stati riconosciuti i benefici della riforma proposta dalla Commissione Europea, sono emersi aspetti critici. Se non migliorati, potrebbero gravare sulla competitività industriale e sull’autonomia strategica dell’Unione Europea e dell’Italia. Uno di questi aspetti riguarda il processo di approvazione dei farmaci da parte dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).
Secondo i dati del CIRS, attualmente l’EMA richiede circa 430 giorni per l’approvazione di un nuovo principio attivo. In questo modo si posiziona come la regione con i tempi di approvazione più lunghi tra le autorità regolatorie dei Paesi avanzati. Eli Lilly propone una riforma sostanziale per allineare le tempistiche dell’EMA a quelle della Food and Drug Administration statunitense, garantendo un accesso tempestivo.
Infine, è stato sottolineato che l’Italia è terzo paese in Europa per il tempo medio di accesso ai farmaci dopo Germania e Inghilterra. Tuttavia le ulteriori valutazioni a livello regionale rallentano la disponibilità delle cure per i pazienti. Per questo necessita di riforme sostanziali per accelerare le procedure di accesso all’innovazione.
Covid-19 e funzione cognitiva, studio rivela danno duraturo
News Presa, Ricerca innovazioneUn nuovo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine mette in luce le conseguenze durevoli del Covid-19 sulla funzione cognitiva. La ricerca, condotta da Adam Hampshire e il suo team presso il dipartimento di Salute Pubblica dell’Imperial College di Londra, ha coinvolto 800mila adulti in Inghilterra.
Lo studio
La metodologia ha richiesto ai partecipanti di svolgere valutazioni cognitive online. L’indagine si è focalizzata sulla quantificazione di eventuali deficit globali e specifici legati alla memoria ed esecuzione. Dei 141.583 iniziali partecipanti, 112.964 hanno completato l’analisi. I risultati hanno rivelato deficit cognitivi lievi ma misurabili in coloro che avevano sperimentato sintomi di Covid-19 per almeno 12 settimane.
Deficit da covid-19, i risultati
“Deficit cognitivi oggettivamente misurabili possono persistere per un anno o più dopo il Covid-19”, sottolinea Hampshire. I partecipanti con sintomi persistenti risolti mostravano piccoli deficit nei punteggi cognitivi, simili a quelli nei partecipanti con malattia di breve durata, ma significativamente maggiori rispetto al gruppo senza Covid-19.
Le fasi iniziali della pandemia, la durata prolungata della malattia e il ricovero ospedaliero erano fortemente associati ai deficit cognitivi globali. Tuttavia, le implicazioni a lungo termine di tali deficit e la loro rilevanza clinica rimangono poco chiare, richiedendo un monitoraggio continuo, come sottolineato dagli autori dello studio.
Questi risultati evidenziano la necessità di approfondire la comprensione delle conseguenze cognitive a lungo termine del Covid-19. Infine, indicano la rilevanza di strategie di monitoraggio e gestione per coloro che hanno sperimentato la malattia.
Trapianti: 5 vite salvate in 4 giorni
News PresaQuattro giorni per un’impresa straordinaria: salvare cinque vite grazie alla generosità di due famiglie che, nonostante il dolore della perdita, hanno scelto di donare gli organi. È successo all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dove si è svolta una vera e propria maratona nel campo della trapiantologia.
Senza respiro
La corsa contro il tempo ha preso il via il 28 febbraio, quando gli organi provenienti da un donatore deceduto di età pediatrica hanno permesso di effettuare i primi tre trapianti. Una bambina di 5 anni, affetta da cirrosi biliare secondaria ad atresia delle vie biliari, ha ricevuto una nuova speranza con la parte sinistra del fegato. In attesa da quattro mesi, la sua vita è stata trasformata grazie alla generosità di chi ha consentito all’espianto di procedere.
Libera dalla dialisi
Ma non era finita qui. I reni prelevati da questo stesso donatore hanno raggiunto due ragazze in attesa disperata di una nuova possibilità di vita. Una di 18 anni, affetta da nefronoftisi, e un’altra di 17 anni, con una storia di rene policistico e idronefrosi ostruttiva, sono state libere dalla dialisi, rispettivamente, dopo 37 e 28 lunghi mesi di attesa. La sequenza trapiantologica è stata un tour de force che ha impegnato l’equipe medica per 34 ore, iniziando alle 4:30 del mattino del 28 febbraio e concludendosi alle 14:30 del giorno successivo.
Split liver
Ma la maratona non si è fermata qui. Il 1° marzo, un fegato prelevato da un donatore deceduto adulto ha permesso la realizzazione di due ulteriori trapianti. Un procedimento innovativo di split liver ha consentito di suddividere l’organo in due parti, trapiantate in contemporanea a una bambina di otto anni e a una ragazza di 14 anni. La bambina, afflitta da epatite fulminante, è stata messa in lista solo due giorni prima del trapianto, mentre la ragazza di 14 anni, con la malattia di Wilson, ha aspettato per ben 50 giorni il suo turno.
Senza precedenti
Questa procedura, tanto complessa quanto innovativa, ha richiesto un’opera di coordinamento senza precedenti. Chirurghi, anestesisti, rianimatori, radiologi, epatologi, nefrologi, infermieri e molti altri professionisti hanno collaborato sinergicamente per portare a termine questa straordinaria impresa. Marco Spada, responsabile di Chirurgia Epato-Bilio Pancreatica e dei Trapianti di Fegato e Rene al Bambino Gesù, ha sottolineato l’importanza del contributo di tutti coloro che hanno reso possibile questo risultato, compresi i donatori e le loro famiglie, cui va un ringraziamento speciale per il loro gesto di altruismo senza pari.
Lavoro di squadra
Un grande lavoro di coordinamento e dedizione professionale, ha commentato Sergio Giuseppe Piccardo, responsabile Anestesia, Rianimazione e Comparti Operatori del Bambino Gesù di Roma, che non sarebbe stato possibile senza la generosità dei donatori e delle loro famiglie. È loro che dobbiamo ringraziare per un gesto di grande altruismo che ha donato una nuova vita a 5 giovani pazienti. La maratona trapiantologica all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù non solo ha portato sollievo a cinque vite in pericolo, ma ha anche dimostrato il potere dell’altruismo e della dedizione nel salvare vite umane. Un successo che rimarrà inciso nei ricordi di tutti coloro che vi hanno preso parte e che continuerà a ispirare speranza nelle persone in attesa di un trapianto.
Allergie di primavera: meccanismi e rimedi
Benessere, News PresaMeccanismi delle allergie di primavera
Effetti delle allergie
Rimedi per il Benessere
Alimentazione
Hpv: condilomi in calo in Italia grazie al vaccino
News Presa, PrevenzioneIl papilloma virus (HPV) è una malattia pericolosa e diffusissima che ha addirittura 400 ceppi. Una decina di questi possono degenerare e portare alla morte.
Gli specialisti sottolineano l’importanza di lavorare sulla diffusione del vaccino, non soltanto femminile, ma anche e soprattutto maschile.
Hpv e condilomi
L’infezione da HPV (Human Papillomavirus) è quella sessualmente trasmessa di natura virale più diffusa al mondo. L’infezione è causa di varie patologie tumorali ma anche di patologie benigne come i condilomi ano-genitali. Proprio quest’ultima malattia, che a differenza dei tumori si manifesta a breve distanza dall’infezione, è in diminuzione nel nostro paese negli ultimi anni grazie alle campagne vaccinali. Lo affermano i dati della Sorveglianza sentinella delle infezioni sessualmente trasmesse coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità.
In Italia i condilomi sono la patologia a trasmissione sessuale più frequentemente diagnosticata. Secondo i dati raccolti dal Centro Operativo Aids (CoA) diretto da Barbara Suligoi: nel 2021 sono stati 3-4 volte più numerosi dei casi segnalati di gonorrea e sifilide. Tra il 2004 e il 2013 le diagnosi di condilomatosi sono aumentate costantemente, con un numero di casi quasi triplicato. Ma dopo il 2013 il numero si è stabilizzato, e tra il 2018 e il 2021 si è osservata una riduzione del 30%, che arriva al 50% nei giovani di 15-24 anni.
Vaccino
“In considerazione del fatto che nel 2008 è iniziata la campagna di vaccinazione anti-HPV delle dodicenni – hanno spiegato gli esperti durante un incontro nella giornata di sensibilizzazione -, appare plausibile ritenere che la diminuzione osservata tra i giovani 15-24 anni a partire dal 2013 possa essere attribuibile a tale campagna vaccinale. Infatti, le ragazze che avevano 12 anni nel 2008 arrivano ad avere 17 anni nel 2013, età media dell’inizio dell’attività sessuale nel nostro Paese. Quindi, le coorti di ragazze e ragazzi (il vaccino viene raccomandato anche ai maschi a partire dal 2013-2016) vaccinati per HPV sono stati protetti anche dai condilomi ano-genitali. Infatti, sebbene il vaccino abbia come obiettivo primario la prevenzione del tumore del collo dell’utero, protegge anche dai tipi di HPV che causano i condilomi”.
Iniziative per la prevenzione
Durante l’evento, che è stato dedicato al professor Massimo Tommasino, uno scienziato che ha contribuito in modo fondamentale alle conoscenze sugli HPV, sono state illustrate le misure di salute pubblica in atto nel nostro paese per contrastare l’infezione e ridurre il cancro. Le iniziative comprendono oltre alla vaccinazione anche gli screening, e sono stati riportati e discussi i recenti progressi della ricerca. “La sensibilizzazione, l’educazione e la riduzione dello stigma sulla malattia sono le prime azioni per fermare l’HPV – ha ricordato Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento -. I Papillomavirus infettano 4 persone su 5 nel corso della vita. Sebbene la maggior parte di noi non manifesti mai i sintomi, il virus può causare il cancro. Quasi mezzo milione di persone muoiono nel mondo ogni anno a causa dell’HPV, molte di queste morti possono essere evitate”.
Adolescenti e sesso online, minaccia per la parità
Ricerca innovazioneL’esposizione precoce alla pornografia online degli adolescenti è un fenomeno nuovo. Tuttavia gioca un ruolo importante nella cronicizzazione degli stereotipi di genere, come si evince dalle indagini del gruppo di ricerca Mutamenti Sociali, Valutazione e Metodi dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps). I risultati sono pubblicati nel Rapporto sullo Stato dell’Adolescenza 2023 e poi approfonditi nell’articolo ‘The (Un)Equal Effect of Binary Socialisation on Adolescents Exposure to Pornography: Girls Empowerment and Boys Sexism from a New Representative National Surve’ sulla rivista internazionale ‘Societies’.
“La ricerca ha identificato i predittori dell’uso precoce e intensivo di pornografia online, che coinvolge il 46% dei ragazzi e l’8% delle ragazze. I dati dimostrano che tale consumo produce effetti almeno in parte diversificati per sesso. Negativi sui maschi, per via di una accentuazione del sessismo, ed emancipativi sulle femmine” spiega Antonio Tintori del Cnr-Irpps e coordinatore del progetto.
Il fenomeno, che si è allargato a partire dal 2020, non favorisce il superamento degli stereotipi che vengono assorbiti fin dall’infanzia e riproposti in età adulta. Infatti già nel Rapporto sullo Stato dell’Infanzia del 2021 i dati raccolti su un campione di 410 bambine e bambini delle scuole primarie dei Municipi VI e VIII di Roma, mostravano un’adesione medio-alta al ruolo stereotipato sia maschile (58,6%) sia femminile (52,9%). La successiva indagine campionaria sugli adolescenti, terminata nel 2022 e condotta a livello nazionale, coinvolgendo 4288 studentesse e studenti di scuole pubbliche secondarie di secondo grado, ha confermato queste tendenze rivelando tuttavia solo l’indebolimento delle idee sessiste al crescere dell’età, ovvero la presenza nella fascia adolescenziale di livelli medio-alti di adesione al ruolo stereotipato maschile (28,3%) e femminile (30,8%), inferiori a quelli registrati nella scuola primaria, con un’importante prevalenza maschile”.
La crescita del consumo di pornografia on line non aiuta al superamento di preconcetti negli adolescenti. Da una parte, sono stati riscontrati effetti comuni a entrambi i sessi, quali il deterioramento dell’autostima, l’amplificazione di emozioni negative (rabbia, paura, tristezza e angoscia) e alti livelli di ansia e depressione. Dall’altra la pornografia tradizionale, attraverso immagini di ipermascolinità, favorisce l’oggettivizzazione e la subalternità femminile rafforzando l’adesione ai ruoli di genere.
“La riflessione che scaturisce dagli studi è l’importanza di agire urgentemente a livello educativo e scolastico, per arginare il germe della trasmissione degli stereotipi ai più piccoli, coinvolgendo il mondo genitoriale, fornendo formazione specifica ai docenti e introducendo l’educazione sessuale ed emotiva nelle scuole per superare il tabù e le distorsioni in tema di sessualità, e ancor prima promuovere il rispetto interpersonale”, conclude il ricercatore.