Tempo di lettura: 5 minutiTrentadue città italiane nel 2016 hanno superato la soglia di polveri sottili consentita per legge. Torino, Frosinone e Milano sono in testa alla classifica dei capoluoghi di provincia presentata da Legambiente ed elaborata su dati Arpa.
Subito dopo ci sono Venezia, Vicenza, Padova e Treviso. I dati sono stati presentati da Legambiente ed elaborati dalla Agenzia regionali per la protezione ambientale (Arpa).
Da anni, il particolato atmosferico è considerato tra gli inquinanti più dannosi per la salute umana per via delle sue caratteristiche che lo rendono facilmente inalabile dall’apparato respiratorio. Le polveri sottili possono avere vari diametri. Se quelle dal diametro di 10 micron sono inalabili e si accumulano nei polmoni, quelle da un diametro da 2,5 sono addirittura respirabili: ciò significa che possono penetrare nei polmoni, fino ad accumularsi nel sangue e raggiungere varie parti dell’organismo. I danni legati alle polveri sottili, quindi, possono interessare sia il sistema respiratorio, sia altri tessuti.
Il numero di superamenti denunciato da Legambuente si riferisce al valore registrato dalla centralina urbana peggiore. A fronte di un numero massimo di 35 giorni all’anno previsti dalla legge con concentrazioni superiori ai 50 microgrammi al metro cubo. Andando avanti con la classifica, Torino si attesta su 86 giorni, Frosinone su 85, Milano e Venezia su 73, Vicenza su 71, Padova e Treviso su 68. All’ottavo posto c’è Pavia (67 giorni), seguita da Asti(66), Mantova, Brescia e Alessandria (65), e poi Cremona (64), Monza (61), Como (60), Terni (59), Napoli (57), Bergamo (53), Lodi e Verona (51), Rimini e Vercelli (50), Benevento (45), Palermo (44), Avellino (43), Piacenza (42), Roma (41), Reggio Emilia e Rovigo (40), Modena e Novara (39) e Trieste (38). “Molte città italiane sono costantemente in allarme smog sia per le ricorrenti condizioni climatiche che favoriscono l’accumulo, giorno dopo giorno, degli inquinanti, che per la mancanza di misure adeguate a risolvere il problema” ha commentato Rossella Muroni, Presidente di Legambiente, secondo cui sono necessari “interventi strutturali, di lunga programmazione, i cui tempi di messa in opera superano quelli del mandato elettorale di un sindaco”.
Serve un piano nazionale che aiuti i primi cittadini a prendere e sostenere le decisioni giuste: misure strutturali e permanenti, anche radicali e a volte impopolari, per la cui realizzazione occorrono, per altro, investimenti largamente al di sopra della portata dei Comuni, stretti dal patto di stabilità.
Per questo Legambiente ha preparato un elenco di proposte sugli interventi necessari a migliorare davvero la qualità dell’aria. Secondo Legambiente, bisogna, da un lato, trasformare strutturalmente le città, le modalità di trasporto e di spostamento, i suoi servizi e le infrastrutture, dall’altro riqualificare il patrimonio edilizio pubblico e privato rendendolo energeticamente sostenibile.
Queste le proposte di Legambiente che ha stilato un piano in 10 mosse:
1. Ridisegnare strade, piazze e spazi pubblici delle città per favorire sicuri spostamenti a piedi e in bicicletta
Oggi l’80% dello spazio pubblico è destinato alla carreggiata e al parcheggio: ribaltare progressivamente questo rapporto favorendo lo spazio pedonale, della relazione (con panchine e tavolini), del mercato e dello scambio, in cui far convivere tram e mezzi di locomozione diversi (dalle tavolette alle bici, quadricicli leggeri e city car). Il ridisegno degli spazi urbani deve essere accompagnato dalla creazione di zone 30, in cui imporre il limite di velocità massimo di 30 km/h.
2. Una rete che attraversa la città per spingere la ciclabilità
L’esperienza delle città europee dimostra che si può arrivare ad avere numeri significativi di spostamenti ciclabili se si passa da una visione di piste ciclabili ad una di “rete” che attraversa, nelle diverse direttrici, la città. Per far questo Comuni e Regioni devono prevedere piani e programmi specifici e per le risorse economiche serve un’azione da parte del Governo che co-finanzi insieme a Comuni e Regioni gli interventi.
3. Una mobilità verso “emissioni zero”
Oggi è possibile muoversi ad emissioni (quasi) zero: non solo a piedi o in bici, ma anche con la trazione elettrica (e-bike, moto, auto, bus), almeno per il 90% degli spostamenti quotidiani degli italiani (al di sotto dei 100 Km al giorno). Per far questo lo stato deve cessare tutte le agevolazioni e gli incentivi (vedi autotrasporto) alle vecchie tecnologie “fossili” e concentrare politiche, incentivi e agevolazioni esclusivamente sulle tecnologie a zero emissioni.
4. Bus più rapidi, affidabili ed efficienti
L’aumento di velocità del trasporto pubblico si ottiene attraverso strade dedicate e corsie preferenziali. Questo intervento è a basso costo per le amministrazioni comunali e velocemente realizzabile. Per capire l’importanza della sfida vale la pena citare il dato (fonte Legambiente, Ecosistema Urbano) di Roma: oggi la città ha solo 112 km di percorsi di bus in sede dedicata/protetta su un totale di 3636 (appena il 5%).
5. 1000 treni pendolari, metropolitane, tram e 10 mila bus elettrici o a bio-metano per il trasporto pubblico nelle aree urbane
Occorre potenziare il trasporto pubblico, oggi inadeguato, e intervenire con un ricambio del parco pubblico circolante, oggi spesso troppo vecchio, per diminuire l’utilizzo dell’auto e ridurre gli impatti rispetto al parco esistente. Per far questo il governo e il parlamento devono stanziare le risorse attraverso una programmazione pluriennale per treni, metro, tram, autobus in un fondo che coinvolga le regioni e i comuni.
6. Fuori i diesel e i veicoli più inquinanti dalle città
Fissare standard ambientali sempre più alti per l’utilizzo dei veicoli privati circolanti nelle città, crescenti negli anni, con limiti nei periodi di picco in modo da avere un quadro chiaro delle prestazioni che si vogliono raggiungere nel parco circolante e stimolare l’innovazione e gli investimenti delle imprese.
7. Solo uno spostamento su tre in macchina entro 5 anni
Tutte le città con più di 50 mila abitanti e i comuni capoluogo devono promuovere gli spostamenti con mezzi pubblici, in bicicletta, bici a pedalata assistita, con personal movers elettrici leggeri, sharing mobility, car pooling e soprattutto a piedi, con l’obiettivo (crono programma ben definito) di limitare la circolazione dei mezzi privati a motore non più di un terzo dei chilometri percorsi in città.
Su questo deve intervenire il governo, con un decreto legge e linee guida rivolte ai piani comunali, prevedendo obiettivi, premiabilità e disincentivi, e imponendo alle regioni nuovi Piani risanamento dell’aria e di trasporto.
8. Road pricing e ticket pricing
Per limitare l’ingresso nei centri abitati di veicoli inquinanti e per favorire la mobilità dolce e l’uso di veicoli più efficienti e a zero emissioni, bisogna istituire zone a pedaggio urbano (sul modello dell’AreaC milanese) e implementare una differente politica tariffaria sulla sosta. I ricavi ottenuti devono essere interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale e di forme sostenibili di mobilità.
9. Riqualificazione degli edifici pubblici e privati, per ridurre i consumi energetici e le emissioni inquinanti
Avviare concretamente la riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e privato per renderlo davvero sicuro (dal rischio sismico e idrogeologico) e ad energia “quasi zero”, con l’obiettivo di riqualificare in 30 anni tutti gli edifici pubblici e privati, ovvero il 3% all’anno. Per fare questo si stimano oltre 400 mila interventi all’anno tra ristrutturazioni radicali e ricostruzioni.
10. Riscaldarsi senza inquinare
Vietando l’uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici e incentivare, a partire dalle aree urbane, l’utilizzo delle moderne tecnologie che migliorano l’efficienza e riducono le emissioni. Facendo rispettare l’obbligo di applicazione della contabilizzazione di calore nei condomini per ridurre i consumi da subito e attenzionare coloro i quali non l’anno fatto (compresa l’edilizia pubblica) e attuando in modo sistematico i controlli sulle caldaie (come previsto dalla legge) e sulle emissioni prevedendo un sistema sanzionatorio efficace.
Carenza di sangue in nove regioni. Cns e Iss: appello a donare
Associazioni pazienti, News Presa, PrevenzioneC’è carenza di sangue in alcune regioni italiane, con oltre 2600 unità di globuli rossi mancanti negli ospedali. Un’emergenza causata da più fattori, tra cui il picco influenzale e il maltempo di questi giorni. A dirlo sono i dati del Centro Nazionale Sangue (CNS), che ha inviato alle Strutture regionali per i coordinamento delle attività trasfusionali (SRC) l’invito a coordinarsi con le associazioni di donatori per far fronte all’emergenza.
La regione con le maggiori carenze è il Lazio ma situazioni critiche si registrano, secondo i dati aggiornati ad oggi, anche in Abruzzo, Toscana, Campania, Basilicata, Liguria, Umbria, Marche e Puglia. “Le cause della carenza sono multifattoriali – afferma Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue –, ma sicuramente può aver inciso l’epidemia influenzale che, complice il calo delle vaccinazioni, ha già colpito molte più persone rispetto allo scorso anno, e si può ipotizzare che anche il maltempo stia tenendo a casa i donatori. La mobilitazione deve riguardare però, sotto il coordinamento e la programmazione, anche in urgenza, delle SRC e del CNS, tutte le regioni, non solo quelle che hanno carenze; l’autosufficienza per quanto riguarda il sangue, infatti, è sovraziendale e sovraregionale e in questi casi diventa vitale la compensazione coordinata tra regioni”.
La carenza di sangue, sottolineano le associazioni di donatori, “può mettere a rischio l’esecuzione di interventi chirurgici e di terapie per pazienti con malattie come la talassemia che necessitano di continue trasfusioni”. L’invito per tutti i donatori è contattare l’associazione di appartenenza o il Servizio Trasfusionale di riferimento per programmare una donazione. “Le Associazioni e Federazioni dei donatori di sangue – sottolinea Aldo Ozino Caligaris, portavoce protempore del CIVIS (Coordinamento Interassociativo dei Volontari Italiani del Sangue) – devono intensificare la chiamata dei donatori periodici e associati sulla base di quanto concordato con le Strutture Regionali di Coordinamento attraverso una programmazione straordinaria per cercare di sopperire alle necessità contingenti. È inoltre fondamentale il coinvolgimento di nuovi volontari che possano garantire in maniera costante la disponibilità di emocomponenti, al fine di assicurare la necessaria terapia trasfusionale ai cittadini che ne hanno bisogno”.
Sanità: 10 milioni i italiani rinunciano a curarsi. Anche per sfiducia
Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneNel 2016 ben 10 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi per le lunghe liste di attesa o perché non si fidano del sistema sanitario della loro regione di residenza. Cresce l’area dell’inefficienza rispetto al 2015. La “democrazia sanitaria” è costata oltre 310 milioni di euro mentre le spese legali hanno superato la soglia dei 190 milioni di euro. É quanto emerge dall’IPS, l’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il secondo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika.
Un altro dato significativo del 2016, inoltre, mostra che circa 10 milioni di italiani, pari al 17,6%, hanno rinunciato a curarsi per le lunghe liste di attesa o perché, non fidandosi del sistema sanitario della regione di residenza, non hanno potuto affrontare i costi della migrazione sanitaria ritenuti troppo esosi. Si tratta di poco meno di una famiglia su due (47,1%) in Italia che ha rinunciato a curarsi nel 2016. Il dato è riferito a un sondaggio realizzato dallo stesso Istituto Demoskopika su un campione rappresentativo di cittadini. Tra i fattori principali figurano i “motivi economici” e le lunghe liste di attesa rispettivamente nel 17,4% e nel 12,8% dei casi. E, ancora, il 6,7% del campione intervistato ha dichiarato di non curarsi “in attesa di una risoluzione spontanea del problema” o, addirittura, per “paura delle cure” come nell’1,5% dei comportamenti rilevati. L’”impossibilità di assentarsi dal luogo di lavoro”, inoltre, ha rappresentato un valido deterrente per il 4,8% dei cittadini.
In particolare, il federalismo sanitario non sembra un elemento a favore a giudicare dalle interviste, il 3,9%, infatti, pari a circa 2,4 milioni di italiani, ha dichiarato l’impossibilità ad occuparsi della propria salute o di quella di qualche suo familiare perché “curarsi fuori costa troppo, non fidandosi del sistema sanitario della regione in cui vive”. Un dato accentuato al sud, si rileva infatti un divario tra le due parti del Paese, al nord si trovano le regioni percepite come più efficienti.
Dieta? Ecco come dimagrire con gli alimenti di stagione
AlimentazioneDieta e calendario, in questo binomio si nasconde la ricetta della salute. Se è vero che solo pochi sanno realmente quali sono i benefici degli alimenti di stagione, lo è ancor di più che quasi nessuno sa fare le scelte giuste. Per capirlo basta provare a rispondere a poche domande. Quando è meglio acquistare gli agrumi e le verdure a foglie, fonti di antiossidanti utili per prevenire i sintomi del raffreddore? Qual è il mese in cui possiamo gustare le prime nespole e le fave fresche? E’ vero che scegliere il pesce di stagione aiuta l’equilibrio del mare, garantendo risparmio e qualità? Se rispondere non è stato facile, allora è il momento di mettere «Le stagioni nel piatto».
Il calendario
L’iniziativa della Federico II di Napoli è quella di creare un salutare viaggio in dodici tappe, una bussola per orientarsi tra frutta, verdura e pesce di stagione e i cui punti cardinali sono gusto, sicurezza, risparmio e sostenibilità. Il calendario è alla sua XII edizione, realizzato dall’Ufficio Formazione dell’UOC Gestione Risorse Umane dell’Azienda, e si può scaricare gratis dal sito del Policlinico Federico II CLICCA QUI
Consapevolezza
«L’obiettivo – dice Salvatore Panico, componente del gruppo scientifico che ha curato la realizzazione del Calendario – è attirare l’attenzione delle persone verso quello che si mangia». Dietro la leggerezza comunicativa del Calendario si cela, infatti, un complesso lavoro di una equipe multidisciplinare che ha messo a sistema il ricco patrimonio informativo sulla stagionalità degli alimenti. La vastissima e spesso costante offerta di prodotti ha determinato nella stragrande maggioranza delle persone la non riconoscibilità del legame tra alimenti e stagioni. Una confusione che regna sovrana soprattutto tra i bambini e le giovani generazioni. Il Calendario 2017 della Federico II di Napoli restituisce semplicità e chiarezza per favorire un approccio sereno e consapevole alla scelta e al consumo degli alimenti.
I vantaggi per la salute
«Scegliere alimenti di stagione – sottolinea Gabriele Riccardi, direttore della UOC di Diabetologia dell’Azienda -significa privilegiare prodotti ottenuti ottimizzando le risorse naturali e umane, con meno spreco di energia, necessaria per la produzione in serra o per il trasporto da altri continenti, e con un minore ricorso a fitofarmaci e conservanti, indispensabili per evitare gli attacchi dai parassiti quando la coltivazione prescinde dai ritmi naturali e il tempo che intercorre tra il campo e la tavola è lungo. Gli alimenti stagionali sono anche più ricchi in micronutrienti, in particolare di polifenoli, la cui presenza determina il caratteristico colore vivo e deciso dei prodotti freschi e di stagione, che aiutano a prevenire le più comuni malattie croniche quali il diabete, le malattie cardiovascolari e i tumori».
Sanità: al Piemonte il record italiano dell’efficienza. Superato il Trentino
Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneLa regione italiana con il sistema sanitario più efficiente è il Piemonte, che quest’anno toglie la prima posizione al Trentino Alto Adige. La regione “più malata”, invece, si conferma la Calabria. Le realtà territoriali definite “sane” sono in tutto quattro, nove aree sono “influenzate” e ben sette “malate”. Il Lazio precipita di 10 posizioni rispetto alla precedente classifica, collocandosi nell’area delle regioni “influenzate”. Perdono posizioni, uscendo dall’area delle realtà sanitarie d’eccellenza, Umbria e Liguria. Al Sud la migliore perfomance spetta al Molise che guadagna sei posizioni lasciando l’area dei sistemi sanitari locali più sofferenti.
La fotografia scattata alla sanità italiana si basa sull’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il secondo anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika. Sono sette gli indicatori con dati desunti da diverse fonti istituzionali: soddisfazione sui servizi sanitari, mobilità attiva, mobilità passiva, spesa sanitaria, famiglie impoverite a causa di spese sanitarie out of pocket, spese legali per liti da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, costi della politica.
A caratterizzare l’area dei sistemi sanitari più virtuosi ben quattro realtà del Nord. A guidare la graduatoria, in particolare, il Piemonte che con un punteggio pari a 492,1, conquista la vetta, spodestando il Trentino Alto Adige che, pur collocandosi nell’area delle regioni con un sistema sanitario “d’eccellenza” con 403,9 punti, ha registrato una retrocessione di tre posizioni rispetto all’anno precedente. La Lombardia, con 450,5 punti, mantiene saldamente la sua seconda posizione immediatamente seguita sul podio dall’Emilia Romagna con 438 punti.
Nel gruppo, ben più consistente, delle regioni “influenzate” si collocano ben nove realtà: oltre al Lazio che, con 318,1 punti, si posiziona in coda all’area perdendo ben 10 posizioni rispetto all’anno precedente, si piazzano Valle d’Aosta (375,4 punti), Toscana (370,7 punti), Marche (364,7 punti),
Umbria (351,8 punti), Molise (347,2 punti). E, ancora, Veneto (336,3 punti), Liguria (335,9 punti) e Friuli Venezia Giulia (319,6 punti).
Sono tutte del Sud, infine, le regioni che contraddistinguono l’area dell’inefficienza sanitaria: Sardegna (277,9 punti), Basilicata (272,1 punti), Abruzzo (269,1 punti) e Campania (259,3 punti). Nelle ultime tre postazioni delle realtà sanitarie più “malate” si posizionano Puglia (243,3 punti), Sicilia (234,5 punti) e Calabria (223,8 punti).
Circa un italiano su tre (34,2%) dichiara di essere soddisfatto dei servizi sanitari legati ai vari aspetti del ricovero: assistenza medica, assistenza infermieristica, vitto e servizi igienici. L’indicatore mostra un divario più che significativo tra le diverse realtà regionali. I più appagati vivono in Trentino Alto Adige che ha ottenuto il massimo del risultato (100 punti) immediatamente seguito dalla Valle d’Aosta (85,9 punti) e dall’Emilia Romagna (85,2 punti), realtà in cui il livello medio di soddisfazione per i servizi ospedalieri, rilevata dall’Istat tra coloro che hanno subito almeno un ricovero nei tre mesi precedenti l’intervista, oscilla tra il 60% ed il 50%. Anche il Piemonte si difende. Sul versante opposto, il minor livello di soddisfazione, pari mediamente al 16%, si registra in Molise (28,4 punti), Campania (27,7 punti) e Puglia (14,7 punti).
Per Molise e Sardegna confermati i primati positivo e negativo relativi alla mobilità sanitaria attiva in Italia. In particolare, analizzando gli ultimi dati disponibili (primo semestre 2015), è il Molise, con 100 punti, a mantenere la prima posizione della graduatoria parziale relativa alla mobilità attiva, l’indice di “attrazione” che indica la percentuale, in una determinata regione, dei ricoveri di pazienti residenti in altre regioni sul totale dei ricoveri registrati nella regione stessa, e che in Molise, per l’appunto, è pari al 27,9%. Sul versante opposto, si colloca la Sardegna (3,2 punti) con un rapporto tra i ricoveri in regione dei non residenti sul totale dei ricoveri erogati pari allo 0,9%.
In valori assoluti, sono principalmente le regioni del Nord a ricevere il maggior numero di pazienti non residenti. In questa direzione le realtà più attrattive sono la Lombardia (78 mila ricoveri extraregionali), l’Emilia Romagna (54 mila ricoveri extraregionali), il Lazio (38 mila ricoveri extraregionali), la Toscana (34 mila ricoveri extraregionali) ed il Veneto (28 mila ricoveri extraregionali).
Come per la mobilità attiva, anche per la mobilità passiva restano immutate le “posizioni estreme” della classifica parziale rispetto all’anno precedente. I lucani, infatti, confermano la loro diffidenza, in maniera più rilevante rispetto agli altri, scegliendo di ricoverarsi e curarsi in strutture sanitarie fuori dai confini regionali. In particolare, con un indice di “fuga”, pari al 24,1%, che misura, in una determinata regione, la percentuale dei residenti ricoverati presso strutture sanitarie di altre regioni sul totale dei ricoveri sia intra che extra regionali, la Basilicata ha totalizzato solo 16,6 punti nella graduatoria parziale di Demoskopika. Ciò significa che, nei soli primi sei mesi del 2015, la migrazione sanitaria può essere quantificabile in circa 10 mila ricoveri. Sul versante opposto, i più “fedeli” al loro sistema sanitario risultano i lombardi. Anche il Piemonte, regione “vincitrice”, registra una bassa migrazione. La Lombardia, con appena il 4%, registra il rapporto minore di ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri totalizzando il massimo del punteggio (100 punti).
Nola, pazienti curati a terra. Dal caso al caos
News PresaDa un piccolo comune quale Nola (in provincia di Napoli) sta venendo fuori uno degli scandali più clamorosi degli ultimi tempi. E’ triste a dirsi ma è solo la forza delle immagini a determinare tutto questo clamore, perché è noto a tutti che la Campania è ormai stremata da un insensato blocco del turnover che dura da anni. Il caso di Nola è la dimostrazione che i tagli lineari non servono a nulla, non ha senso curare il paziente con una medicina tanto forte da ucciderlo. Le immagini di Nola fanno vedere alcune persone stese a terra per poter essere assistite. Stese a terra perché anche le ultime barelle e le sedie erano ormai terminate. Scandalo.
Dal caso al caos
Sono arrivati i Nas e la Procura della Repubblica ha aperto un’indagine. La politica ha mostrato il pugno duro avviando le procedure di licenziamento per il direttore sanitario dell’ospedale e per il responsabile del pronto soccorso. Non più morbida la mano del direttore generale dell’Asl che ha sospeso dal servizio i vertici del presidio e il responsabile della medicina d’urgenza. La reazione è stata una levata di scudi da parte della classe medica, che si è sentita indistintamente sotto accusa. In tutto questo caos si rischia di far passare un messaggio sbagliato, si rischia che i cittadini della campani perdano fiducia in un sistema sanitario che nonostante le difficoltà resta di altissimo livello, ma soprattutto nei confronti di medici che hanno uno spiccato senso di responsabilità e certo nulla da invidiare a colleghi di regioni più “fortunate”.
Governare il problema e fare squadra
Va detto che la reazione del presidente De Luca andrebbe letta diversamente da come l’hanno interpretata i più. Ad essere sanzionata, probabilmente, non è stata la scelta di curare i pazienti a terra, bensì la gestione della crisi. Per comprendere quest’ultimo passaggio si può prendere ad esempio il Cardarelli di Napoli, un colosso dal primo gennaio ad oggi è già a più di 2.100 accessi di pronto soccorso. Una foto del Cardarelli, per intendersi, sino a qualche tempo fa la si sarebbe potuta usare nel dizionario alla voce “barelle”. Come si è data la svolta lì? Governando il problema. Non lo si subisce più, lo si gestisce. Questo è compito del manager e della sua squadra. Non si può pretendere che il problema non si verifichi, ma si deve esigere che chi ne ha la responsabilità faccia tutto il possibile per prevedere e tamponare. Questo significa governare il problema. Solo questo modo di pensare e di agire può evitare che situazioni come quelle di Nola si ripetano.
Meningite: è psicosi collettiva: il pericolo vero è il “Pneumococco”
Associazioni pazienti, Farmaceutica, News Presa, PrevenzioneMeningite: la psicosi collettiva che si sta verificando in Italia in questi giorni, con crescente preoccupazione e conseguente corsa impulsiva alle vaccinazioni, riguarda soprattutto la meningite da meningococco ma a confronto, la meningite da pneumococco colpisce un numero più elevato di persone, soprattutto nella popolazione anziana. A sottolinearlo è HappyAgeing, l’alleanza italiana per l’invecchiamento attivo che fa un appello alle regioni per la piena attuazione del Piano Vaccinale previsto nei nuovi LEA (Livelli essenziali di assistenza).
“Anche se in nessun caso parliamo di epidemia, è bene ricordare che i casi annui di meningite da meningococco, secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore della Sanità, sono più o meno stabili e inferiori a quelli della meningite da pneumococco, la cui incidenza colpisce soprattutto gli over 64 e che, unitamente alle altre forme di malattia invasiva da pneumococco, sono oltre mille all’anno.” – afferma Michele Conversano, presidente HappyAgeing, che aggiunge: “La risposta c’è ed è nei nuovi Lea che prevedono la vaccinazione gratuita per gli anziani e per tutte le persone con malattie croniche. Come Alleanza, facciamo un appello alle Regioni perché attuino pienamente, con una chiamata attiva, quanto previsto nelle disposizioni ministeriali”.
Nel 2015 sono stati segnalati 1256 casi di malattia invasiva da pneumococco, il numero assoluto di casi si è quindi incrementato rispetto al 2013 (977 casi) e al 2014 (957 casi). Osservando l’incidenza per gruppo di età, questa è maggiore negli anziani dopo i 64 anni, fascia di età nella quale si verifica anche il maggior numero di casi e nei bambini nel primo anno di vita.
A livello regionale, la regione in cui si è verificato un aumento consistente dei casi è la Lombardia (da 355 casi nel 2014 a 534 casi nel 2015). Incrementi più modesti in Piemonte (166 casi nel 2014 e 201 nel 2015) e in Emilia Romagna (96 casi nel 2014 e 137 nel 2015). Anche in Toscana, Lazio, Liguria e Sardegna, si è registrato un aumento. Persiste, comunque, un numero di casi segnalati relativamente basso in alcune grandi regioni (Campania, Puglia, Sicilia, Toscana).
Ma come si sottolinea all’interno del documento dell’Istituto Superiore di Sanità, l’incremento numerico necessita una attenta lettura dei dati in attesa di poter dichiarare un aumento reale della numerosità, perché un numero di casi molto basso in alcune regioni fa ipotizzare un problema di sotto notifica (mancata trasmissione della segnalazione) o sotto diagnosi (mancata diagnosi eziologica).
La meningite pneumococcica è una malattia infettiva delle meningi, una forma di meningite potenzialmente letale, causata da Streptococcus pneumoniae. Può originare per diffusione dei batteri da focolai già presenti, quali otiti, mastoiditi e sinusiti. La trasmissione avviene solitamente per via respiratoria, esordisce in maniera improvvisa con un quadro clinico caratterizzato da febbre e letargia. Per quanto riguarda lo pneumococco, il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, inserito nei LEA prevede la vaccinazione (una volta nella vita) per gli ultrasessantacinquenni, oltre alle categorie a rischio come i pazienti cronici. La comunità scientifica internazionale ha infatti riconosciuto l’età come il principale fattore di rischio.
Inquinamento: strangolati dalle polveri sottili. Le città irrespirabili
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneTrentadue città italiane nel 2016 hanno superato la soglia di polveri sottili consentita per legge. Torino, Frosinone e Milano sono in testa alla classifica dei capoluoghi di provincia presentata da Legambiente ed elaborata su dati Arpa.
Subito dopo ci sono Venezia, Vicenza, Padova e Treviso. I dati sono stati presentati da Legambiente ed elaborati dalla Agenzia regionali per la protezione ambientale (Arpa).
Da anni, il particolato atmosferico è considerato tra gli inquinanti più dannosi per la salute umana per via delle sue caratteristiche che lo rendono facilmente inalabile dall’apparato respiratorio. Le polveri sottili possono avere vari diametri. Se quelle dal diametro di 10 micron sono inalabili e si accumulano nei polmoni, quelle da un diametro da 2,5 sono addirittura respirabili: ciò significa che possono penetrare nei polmoni, fino ad accumularsi nel sangue e raggiungere varie parti dell’organismo. I danni legati alle polveri sottili, quindi, possono interessare sia il sistema respiratorio, sia altri tessuti.
Il numero di superamenti denunciato da Legambuente si riferisce al valore registrato dalla centralina urbana peggiore. A fronte di un numero massimo di 35 giorni all’anno previsti dalla legge con concentrazioni superiori ai 50 microgrammi al metro cubo. Andando avanti con la classifica, Torino si attesta su 86 giorni, Frosinone su 85, Milano e Venezia su 73, Vicenza su 71, Padova e Treviso su 68. All’ottavo posto c’è Pavia (67 giorni), seguita da Asti(66), Mantova, Brescia e Alessandria (65), e poi Cremona (64), Monza (61), Como (60), Terni (59), Napoli (57), Bergamo (53), Lodi e Verona (51), Rimini e Vercelli (50), Benevento (45), Palermo (44), Avellino (43), Piacenza (42), Roma (41), Reggio Emilia e Rovigo (40), Modena e Novara (39) e Trieste (38). “Molte città italiane sono costantemente in allarme smog sia per le ricorrenti condizioni climatiche che favoriscono l’accumulo, giorno dopo giorno, degli inquinanti, che per la mancanza di misure adeguate a risolvere il problema” ha commentato Rossella Muroni, Presidente di Legambiente, secondo cui sono necessari “interventi strutturali, di lunga programmazione, i cui tempi di messa in opera superano quelli del mandato elettorale di un sindaco”.
Serve un piano nazionale che aiuti i primi cittadini a prendere e sostenere le decisioni giuste: misure strutturali e permanenti, anche radicali e a volte impopolari, per la cui realizzazione occorrono, per altro, investimenti largamente al di sopra della portata dei Comuni, stretti dal patto di stabilità.
Per questo Legambiente ha preparato un elenco di proposte sugli interventi necessari a migliorare davvero la qualità dell’aria. Secondo Legambiente, bisogna, da un lato, trasformare strutturalmente le città, le modalità di trasporto e di spostamento, i suoi servizi e le infrastrutture, dall’altro riqualificare il patrimonio edilizio pubblico e privato rendendolo energeticamente sostenibile.
Queste le proposte di Legambiente che ha stilato un piano in 10 mosse:
1. Ridisegnare strade, piazze e spazi pubblici delle città per favorire sicuri spostamenti a piedi e in bicicletta
Oggi l’80% dello spazio pubblico è destinato alla carreggiata e al parcheggio: ribaltare progressivamente questo rapporto favorendo lo spazio pedonale, della relazione (con panchine e tavolini), del mercato e dello scambio, in cui far convivere tram e mezzi di locomozione diversi (dalle tavolette alle bici, quadricicli leggeri e city car). Il ridisegno degli spazi urbani deve essere accompagnato dalla creazione di zone 30, in cui imporre il limite di velocità massimo di 30 km/h.
2. Una rete che attraversa la città per spingere la ciclabilità
L’esperienza delle città europee dimostra che si può arrivare ad avere numeri significativi di spostamenti ciclabili se si passa da una visione di piste ciclabili ad una di “rete” che attraversa, nelle diverse direttrici, la città. Per far questo Comuni e Regioni devono prevedere piani e programmi specifici e per le risorse economiche serve un’azione da parte del Governo che co-finanzi insieme a Comuni e Regioni gli interventi.
3. Una mobilità verso “emissioni zero”
Oggi è possibile muoversi ad emissioni (quasi) zero: non solo a piedi o in bici, ma anche con la trazione elettrica (e-bike, moto, auto, bus), almeno per il 90% degli spostamenti quotidiani degli italiani (al di sotto dei 100 Km al giorno). Per far questo lo stato deve cessare tutte le agevolazioni e gli incentivi (vedi autotrasporto) alle vecchie tecnologie “fossili” e concentrare politiche, incentivi e agevolazioni esclusivamente sulle tecnologie a zero emissioni.
4. Bus più rapidi, affidabili ed efficienti
L’aumento di velocità del trasporto pubblico si ottiene attraverso strade dedicate e corsie preferenziali. Questo intervento è a basso costo per le amministrazioni comunali e velocemente realizzabile. Per capire l’importanza della sfida vale la pena citare il dato (fonte Legambiente, Ecosistema Urbano) di Roma: oggi la città ha solo 112 km di percorsi di bus in sede dedicata/protetta su un totale di 3636 (appena il 5%).
5. 1000 treni pendolari, metropolitane, tram e 10 mila bus elettrici o a bio-metano per il trasporto pubblico nelle aree urbane
Occorre potenziare il trasporto pubblico, oggi inadeguato, e intervenire con un ricambio del parco pubblico circolante, oggi spesso troppo vecchio, per diminuire l’utilizzo dell’auto e ridurre gli impatti rispetto al parco esistente. Per far questo il governo e il parlamento devono stanziare le risorse attraverso una programmazione pluriennale per treni, metro, tram, autobus in un fondo che coinvolga le regioni e i comuni.
6. Fuori i diesel e i veicoli più inquinanti dalle città
Fissare standard ambientali sempre più alti per l’utilizzo dei veicoli privati circolanti nelle città, crescenti negli anni, con limiti nei periodi di picco in modo da avere un quadro chiaro delle prestazioni che si vogliono raggiungere nel parco circolante e stimolare l’innovazione e gli investimenti delle imprese.
7. Solo uno spostamento su tre in macchina entro 5 anni
Tutte le città con più di 50 mila abitanti e i comuni capoluogo devono promuovere gli spostamenti con mezzi pubblici, in bicicletta, bici a pedalata assistita, con personal movers elettrici leggeri, sharing mobility, car pooling e soprattutto a piedi, con l’obiettivo (crono programma ben definito) di limitare la circolazione dei mezzi privati a motore non più di un terzo dei chilometri percorsi in città.
Su questo deve intervenire il governo, con un decreto legge e linee guida rivolte ai piani comunali, prevedendo obiettivi, premiabilità e disincentivi, e imponendo alle regioni nuovi Piani risanamento dell’aria e di trasporto.
8. Road pricing e ticket pricing
Per limitare l’ingresso nei centri abitati di veicoli inquinanti e per favorire la mobilità dolce e l’uso di veicoli più efficienti e a zero emissioni, bisogna istituire zone a pedaggio urbano (sul modello dell’AreaC milanese) e implementare una differente politica tariffaria sulla sosta. I ricavi ottenuti devono essere interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale e di forme sostenibili di mobilità.
9. Riqualificazione degli edifici pubblici e privati, per ridurre i consumi energetici e le emissioni inquinanti
Avviare concretamente la riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e privato per renderlo davvero sicuro (dal rischio sismico e idrogeologico) e ad energia “quasi zero”, con l’obiettivo di riqualificare in 30 anni tutti gli edifici pubblici e privati, ovvero il 3% all’anno. Per fare questo si stimano oltre 400 mila interventi all’anno tra ristrutturazioni radicali e ricostruzioni.
10. Riscaldarsi senza inquinare
Vietando l’uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici e incentivare, a partire dalle aree urbane, l’utilizzo delle moderne tecnologie che migliorano l’efficienza e riducono le emissioni. Facendo rispettare l’obbligo di applicazione della contabilizzazione di calore nei condomini per ridurre i consumi da subito e attenzionare coloro i quali non l’anno fatto (compresa l’edilizia pubblica) e attuando in modo sistematico i controlli sulle caldaie (come previsto dalla legge) e sulle emissioni prevedendo un sistema sanzionatorio efficace.
Nel corpo umano c’è un nuovo organo. La rivincita del mesentere
News PresaSi chiama mesentere ed è l’organo che non sapevamo di avere. La notizia incredibile, che sta facendo velocemente il giro del mondo, arriva dalle riviste più prestigiose al mondo e racconta di quante cose ancora ci siano da scoprire nella comprensione del nostro organismo. Ma andiamo con ordine. Che nel corpo umano esistesse una piega del peritoneo è cosa nota da tempo, così come il nome “mesentere” non arriva certo ora. Il fatto è che questa semplice ansa è sempre stata considerata solo una membrana che riveste le pareti della cavità addominale. Ora una ricerca della University Hospital Limerick dimostra che non è così. Si tratta infatti di un vero e proprio organo del corpo umano con funzioni proprie, ancora tutte da scoprire.
Nuovi studi
«Ora abbiamo determinato l’anatomia e la struttura. Il prossimo passo sarà capire esattamente la sua funzione – spiega J Calvin Coffey, tra gli autori dello studio – se capiamo la funzione possiamo identificare eventuali malattie. È una scoperta molto importante che apre le porte a una nuova scienza medica, la scienza mesenterica».
Gray’s Anatomy
Questa scoperta cambia tutto. Anche uno dei più importanti testi medici al mondo, quale l’Anatomia del Gray, testo che è già stato aggiornato per includere la nuova definizione di questo organo. Gli organi vitali del nostro corpo sono cinque: il cuore, il cervello, il fegato, i polmoni e i reni, ma in realtà gli organi sono in totale 79. Fino a poco fa 78. Ora i ricercatori possono indagare quale ruolo possa giocare il mesentere nei problemi addominali, con la speranza che si possa arrivare a nuove cure. Va detto che il primo a descrivere il mesentere è stato Leonardo Da Vinci, che lo rappresentava come una struttura continua nei pressi dell’intestino tenue e del colon.
Meningite, effetto boomerang: assalto ai pronto soccorso
News Presa, PrevenzioneL’allarme meningite, oltre ad aver acceso i riflettori su un problema molto serio, ha anche creato un effetto boomerang. Sono infatti tantissimi i genitori che ora si precipitano nei pronto soccorso ai primi sintomi di influenza. «Un errore molto grave, che rischia di mandare in tilt il sistema e di mettere a repentaglio la salute dei piccoli», spiega il responsabile del pronto soccorso dell’ospedale pediatrico di Napoli Vincenzo Tipo.
Rischio di contagio
Il dottor Tipo chiarisce che bisogna portare un bambino al pronto soccorso solo dopo aver consultato il pediatra di famiglia, o in presenza di sintomi gravi. «Se alle prime linee di febbre portiamo i nostri figli in ospedale – spiega – li esponiamo al rischio di entrare in contatto con virus che a casa non sono presenti. Per sua natura, infatti, il pronto soccorso è un luogo dove è più facile che si possa verificare un contagio influenzale o anche da meningococco».
Il vaccino
Il modo migliore per proteggere i bambini da malattie potenzialmente molto pericolose resta il vaccino. Nonostante siano moltissimi i genitori che si lasciano abbindolare da teorie sballate che riempiono le pagine dei social, la prevenzione resta sempre l’arma vincente. E’ bene ricordare quanto riportato dall’Istituto Superiore di Sanità. La vaccinazione contro il meningococco C è gratuita e «prevede una sola dose a 13 mesi. Per il resto l’offerta vaccinale varia da Regione a Regione. La vaccinazione contro il meningococco B prevede diversi dosaggi a seconda dell’età in cui si inizia a vaccinare, anche se il vaccino è indicato soprattutto al di sotto di un anno di età. Al momento, questo vaccino è gratuito solo in alcune regioni, ma presto dovrebbero esserlo a livello nazionale. Per quanto riguarda i vaccini contro gli altri agenti batterici della meningite, la vaccinazione contro Haemophilus Influenzae B (emofilo tipo B) è solitamente effettuata, gratuitamente, insieme a quella antitetanica, antidifterica, antipertosse, antipolio e anti epatite B, al terzo, quinto e undicesimo mese di vita del bambino, come da calendario vaccinale italiano. Non sono necessari ulteriori richiami. La vaccinazione contro Streptococcus pneumoniae (pneumococco) è offerta gratuitamente e va somministrata in 3 dosi, al terzo, quinto e undicesimo mese di vita del bambino.
Ansia da vacanze. Il picco del panico tra natale e capodanno
News Presa, Prevenzione, PsicologiaIl Natale porta in dono a molti anche stress e depressione. Dopo la corsa ai regali tra ressa nei negozi e la fila alle casse; il caos in strada, il traffico impazzito, gli auguri forzati e le cene con i parenti; il dilemma su come trascorrere capodanno e le abbuffate giornaliere; le vacanze natalizie, anziché essere un momento di riposo, si trasformano in una fonte di stress. A confermarlo è un sondaggio condotto da Eurodap, Associazione Europea disturbi da Attacchi di Panico, che ha intervistato 1100 persone tra 20 e 60 anni. Il quadro che emerge dalla lettura dei risultati non è confortante.
– 7 italiani su 10 non vivono le vacanze natalizie con alcun tipo di entusiasmo, e anzi l’ansia è il sentimento più diffuso
– 8 su 10 subiscono la paura del caos e del traffico dei giorni di festa
– 7 su 10 vivono la paura del terrorismo
– 1 su 2 ha addirittura dichiarato di non muoversi da casa per difficoltà economiche e paura degli attacchi terroristici
Dal questionario è emerso l’altissimo livello di stress in cui gli italiani vivono la crisi economica, tanto da avere una profonda incertezza per il futuro. A questo senso di precarietà e paura contribuisce anche la minaccia del terrorismo, che non risparmia ormai nessuna meta. Questo senso di tristezza e depressione, spiega la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente dell’Associazione europea disturbi attacchi di panico (Eurodap), “può derivare da quella sorta di obbligo al dover essere felici che si percepisce e che deriva dall’idea stereotipata del Natale veicolata ad esempio dalla pubblicità ma che, in vari casi, non ha nulla a che vedere con la realtà”.
Lo stress accumulato durante le feste natalizie è una grave minaccia per l’umore e per la salute. Paralizzarsi, restare bloccati, impauriti e minacciati è il comportamento peggiore e più autodistruttivo che si possa mettere in atto. “Dobbiamo – spiega l’esperta – assolutamente reagire e riprenderci la nostra voglia di vivere. Non parliamo di problemi ma di progetti, giochiamo ai classici giochi natalizi, ritroviamoci con le amiche per cucinare insieme e fare dolci, mentre i nostri figli respirano aria di leggerezza e affetto e non tristezza e preoccupazione. La cosa importante in questo momento è reagire, sperare, fare”.
Insomma, come se non si fosse già abbastanza stressati a causa della vita quotidiana ci si stressa anche quando invece ci si dovrebbe riposare.
La ‘depressione natalizia’ può derivare anche da una aspettativa troppo elevata rispetto alle feste ed ai rituali. Questo – spiegano gli esperti – perchè si vive in un momento di paura e destabilizzazione e dunque, per reazione, si tende a spostare l’aspettativa di gioia e serenità proprio sulle feste natalizie, viste come possibilità di ricarica e stabilizzazione. Ma ciò difficilmente si realizza e subentrano così delusione e depressione.
I messaggi di serenità e abbondanza possono diventare una esplosiva miscela per chi tutto questo sente di non poterlo realizzare, mentre si amplifica lo stato di malessere.
Il consiglio – sottolineano gli psicologi – è sforzarsi di vedere il ‘bicchiere mezzo pieno’ ed essere positivi; ricalibrare le aspettative e liberarsi dai ‘clichè delle feste’, rendendo le vacanze di Natale un’occasione di scambio di sentimenti ed interiorità.