Tempo di lettura: 3 minutidi Giulia Liperini*
I cambiamenti e le trasformazioni della scuola hanno portato inevitabilmente alcune incertezze. Il cambiamento come “evento critico, inteso come un qualsiasi evento perturbante in grado di provocare un cambiamento nel sistema (Scabini, 1995).
La dottoressa Giulia Liperini
Ideare e condurre progetti nelle scuole è un intervento che dev’essere finalizzato a gestire le difficoltà che si sviluppano sia dentro sia fuori le aule. E’ senz’altro vero che fattori familiari o sociali influenzano il comportamento degli allievi (e dei docenti) a scuola e che i ragazzi “importano” nella classe regole di comportamento e abitudini apprese e vissute in famiglia (o nel quartiere, o nel gruppo). La scuola non è impermeabile a quanto succede nel contesto sociale a cui appartiene. Tuttavia docenti e specialisti che hanno il mandato di intervenire a scuola non hanno nessuna presa su questi fattori extra-scolastici.
Un intervento focalizzato esclusivamente su questi fattori può essere destinato a fallire. Da qui l’importanza di identificare i fattori contestuali legati alle dinamiche relazionali all’interno della classe: i soli sui quali le risorse e le competenze dei diversi attori del sistema scolastico (docenti, docenti di sostegno, allievi, direzione, ma anche specialisti chiamati a rinforzo) possono agire con efficacia.
La scuola resta il luogo di trasmissione di saperi e di valori, anche se tende a conservare la propria identità e le proprie caratteristiche nel tempo.
L’ottica sistemica
E’ uno strumento pertinente e utile in questo contesto, perché propone di riconsiderare un eventuale disagio scolastico secondo una diversa chiave di lettura. Il sistema scuola è molto complesso, l’approccio sistemico propone di passare da una definizione in termini parcellizzati: individuali, familiari, o socio-culturali, o in riferimento a cause generali situate all’esterno della scuola, ad una lettura delle condizioni legate a processi specifici di interazione. In particolare tra allievo e docente, o tra allievo e compagni di classe, o nel gruppo-classe preso nel suo insieme, o anche tra scuola e famiglia.
In quest’ottica, si passa quindi dalla ricerca di cause come la storia del ragazzo, la famiglia, l’ambiente di vita, all’identificazione e all’analisi dei processi interazionali e dei meccanismi in atto all’interno della classe o dell’istituto che possono favorire lo sviluppo di situazioni di malessere, o anche contribuire a renderle croniche.
Il processo educativo coinvolge direttamente o indirettamente più attori, lo studente si trova al centro di diversi agenti in rapporto asimmetrico, che può emergere tra la famiglia, la scuola (preside, docenti, personale ata, istituto), i servizi esterni (educatori socio-sanitari, psicoterapeuti, etc.) o anche amici e compagni. Assumere uno sguardo sistemico permette di inquadrare fenomeni dove le variabili sono sostanzialmente indefinite o indefinibili. Questo ci permette di sostenere che la teoria sistemica si presta ad affrontare tematiche complesse, come può essere quella dei sistemi educativi.
A questa inquadratura corrispondono modi di pensare e di agire che possono contribuire a realizzare lo “star bene a scuola”, vale a dire favorire condizioni relazionali che garantiscono un “benessere” sufficiente per docenti e allievi. Il benessere a scuola si costruisce a scuola.
L’importanza della “rete”
Un elemento di fondamentale importanza è quello di creare una rete; una rete dei servizi costruita sulle caratteristiche di ogni studente e sui bisogni della sua famiglia, perché la famiglia deve essere riconosciuta come interlocutore privilegiato. In conclusione, approcciarsi alla scuola secondo l’ottica sistemico-relazionale significa guardarla contemporaneamente sia come sovrasistema (apparato burocratico, differenze gerarchiche e generazionali), sia come sottosistema (la vasta rete di relazioni) nel quale ogni individuo (insegnante, allievo, genitore) è considerato come membro di uno o più sistemi di relazioni. In questi termini la scuola è un ambito in cui l’approccio sistemico relazionale può essere assunto come una chiave di lettura e di intervento non psicoterapeutico, ma come orientamento per l’operatività quotidiana (I.Genovesi, G.Liperini 2016).
*Socio ordinario della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale
Sigarette elettroniche: il polmone 3D non mente: “Solo 2 geni stressati”
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneDa tempo si cerca di mettere a confronto i rischi, in termini di danno ai polmoni, delle sigarette tradizionali rispetto a quelle elettroniche.
Uno studio effettuato con una tecnica rivoluzionaria, per l’ utilizzo di un modello di polmone in 3D e un’innovativa tecnica di biologia molecolare, ha evidenziato quasi ‘in presa diretta’ le alterazioni prodotte dal fumo di sigaretta sull’epitelio bronchiale. Le sigarette alterano il funzionamento di 123 geni e scatenano l’infiammazione. I vapori delle sigarette elettroniche, invece, hanno un impatto sul funzionamento di appena due geni.
A rivelarlo è uno studio appena pubblicato su Applied in Vitro Toxicology, a firma di Anisha Banerjee e colleghi del British American Tobacco R&D Centre (Southampton, Gran Bretagna) che si sono avvalsi per questo studio di un modello tridimensionale di una coltura di vie aeree con epitelio umano ricostituito, per andare a spiare, a livello molecolare, cosa accade dentro i bronchi raggiunti dal fumo di sigaretta o dagli aerosol delle e-cig.
Per le analisi di biologia molecolare, gli studiosi hanno usato una tecnica rivoluzionaria, detta RNA-seq Profiling, in grado di valutare sia l’espressione dei geni, che di misurare le concentrazioni dei biomarcatori dell’infiammazione.
“Il sequenziamento di prossima generazione – spiega Baneryee – sta rivoluzionando ed espandendo le frontiere della ricerca genomica, svelando l’informazione genica di qualunque sistema biologico”.
L’importanza di questo studio sta anche nell’aver gettato le basi di un nuovo filone di ricerca, basato sull’impiego di modelli tridimensionali di polmone umano, insieme alle ultime tecnologie di espressione genica.
Questi modelli in vitro possono essere utilizzati dunque con successo per comprendere gli effetti biologici dell’esposizione al fumo di sigaretta tradizionale e agli aerosol delle sigarette elettroniche.
Ispaam e Cnr, ecco la “carta di identità” molecolare dei cibi
AlimentazioneMinata negli anni scorsi dal caso “Terra dei Fuochi”, la reputazione della Campania per quel che riguarda la sicurezza alimentare si è ormai ripresa. Anzi, si può dire che la Campania sia oggi in prima linea su questo tema. L’Istituto per il Sistema di Produzione Animale in Ambiente Mediterraneo di Napoli (Ispaam), infatti, è impegnato con il Dipartimento di Scienze bio-agroalimentari del Cnr in un’infrastruttura di ricerca internazionale coordinata dall’Enea “Metrofood”, che mira appunto a migliorare la sicurezza e il controllo della qualità degli alimenti.
Un network internazionale
Grazie a questa rete si punta a sviluppare sistemi di controllo e conoscenze che rendano i consumatori più consapevoli dei livelli di sicurezza dei prodotti che mettono in tavola. «Scienza e ricerca consentono di fare passi da gigante in questo settore», spiega Andrea Scaloni , responsabile dell’Istituto per le Produzioni Alimentari in Ambiente Mediterraneo . «All’Ispaam di Napoli – aggiunge – stiamo ad esempio lavorando per mettere a punto un sistema che, grazie all’analisi delle proteine, consenta di determinare la provenienza del latte di bufala da Nazioni diverse dall’Italia ed eventuali sofisticazioni come l’aggiunta di latte congelato o da altre specie. In questo ambito, la ricerca ricopre un ruolo importante perché crea gli strumenti per evidenziare alterazioni dei prodotti e, allo stesso tempo, permette di studiare sistemi che consentano di ottimizzare e qualificare la produzione alimentare».
All’Accademia dei Georgofili
Il direttore dell’Ispaam di Napoli rappresenterà il Cnr all’incontro che il 9 febbraio porterà all’Accademia dei Georgofili a Firenze i rappresentanti dei 17 Paesi che, insieme alla Fao (l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), conducono le attività di ricerca di Metrofood. «Con questa infrastruttura che vede impegnati centri di ricerca, università e organizzazioni di controllo dei principali Paesi europei – conclude Scaloni – studiamo nuovi sistemi tecnologici e ci proponiamo di offrire servizi metrologici per proteggere la qualità del cibo e la salute dei consumatori, combattendo al tempo stesso le frodi alimentari».
L’Italia degli alcolisti under 14
News PresaL’alcol, ancor prima delle droghe pesanti, è il problema più grande per la salute dei nostri figli. Secondo i clinici l’età media dei ragazzi che consuma abitualmente alcol si è abbassata al punto che ormai anche i dodicenni vanno inseriti nel novero dei soggetti a rischio. In quest’ultimo caso il problema più concreto è legato alle bevande definite alcolpops. Si tratta di bevande che apparentemente sono innocue, ma che in realtà contengono superalcolici. Stando ad una recente ricerca effettuata in Campania, ad esempio, queste bibite risultano essere di “tendenza”, dei ragazzi intervistati oltre il 67 per cento ha ammesso di berne. Oltre il 40 per cento ha poi dichiarato di fumare dalle 6 alle 10 sigarette al giorno. E si tratta di ragazzini che vanno dai 13 ai 18 anni. Insomma, il rischio è che il nostro paese si avvii verso una popolazione di giovani, anzi di giovanissimi, alcolisti. Drammatico anche il dato del 19,4 per cento che ha ammesso di essere stato almeno una volta in un’auto o su una moto condotti da una persona che aveva assunto sostanze. Ma questa è un’altra storia.
Gli effetti nel breve periodo
Per comprendere quali effetti possa avere l’alcol nell’organismo è importante prima di tutto sapere che viene assorbito in parte dallo stomaco e in parte dall’intestino. Se l’alcol viene bevuto a stomaco vuoto il suo assorbimento sarà più rapido e quindi i suoi effetti ancora più negativi. Dal sangue l’alcol passa al fegato, che in teoria ha il compito di distruggerlo. Tuttavia finché il fegato non ha completato la digestione per l’etanolo l’alcol continua a circolare e a diffondersi negli organi. Si tratta di una delle sostanze più tossiche, perché può facilmente oltrepassare le membrane cellulari e provocare lesioni, fino alla distruzione delle cellule. Un dato che potrebbe far riflettere è quello che ci dice in media quanti neuroni si perdono a causa di una sbornia, vale a dire circa 100mila. Quindi, quasi il numero neuroni di neuroni che muoiono in un’intera giornata di vita. In media, per smaltire un bicchiere di una qualsiasi bevanda alcolica, l’organismo impiega circa due ore. Se si beve molto alcol in poco tempo, questo compito è più lungo e difficile, e gli effetti sono più gravi.
Gli effetti a lungo termine
Se si abusa di superalcolici e di alcol per diverso tempo gli effetti sul corpo sono devastanti. Un prolungato abuso può aumentare il rischio di sviluppare diverse malattie gravi e potenzialmente letali. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dicono che 20 grammi di alcol al giorno (pari a circa due bicchieri di vino) determinano un aumento percentuale del rischio rispetto a chi non assume bevande alcoliche per diverse malattie. In particolare, aumenta del 100 per cento la possibilità di sviluppare una cirrosi epatica, del 20 o 30 per cento la possibilità di ammalarsi di tumore del cavo orale, della faringe e della laringe, del 10 per cento di sviluppare un tumore dell’esofago, del 14 per cento un tumore del fegato, del 10 o 20 per cento la possibilità di ammalarsi di tumore della mammella e del 20 per cento di incorrere in un ictus cerebrale.
«Quei 430 milioni mai spesi dateli alla ricerca»
News PresaUn appello al governo affinché l’Italia volti pagina e inizi ad essere uno dei Paesi nei quali si investe nella ricerca. L’iniziativa è dell’associazione Luca Coscioni e arriva in occasione del World Cancer Day di domani (4 febbraio 2017). L’appello dell’associazione batte in modo particolare sull’importanza di destinare fondi alla ricerca di base: «La giornata mondiale per la lotta al cancro – si legge- è un’occasione che va colta dal Governo per dare un segnale forte a favore della ricerca scientifica». La richiesta è esplicita e molto mirata: destinare alla ricerca di base i 430 milioni di euro non spesi dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
Un nuovo corso
Già in occasione del passaggio della legge finanziaria in Parlamento alcuni scienziati e accademici italiani del calibro di Michele De Luca, Gilberto Corbellini, Giulio Cossu e Roberto Defez, a nome dell’associazione Luca Coscioni, avevano proposto che la dotazione dei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale fosse portata dalla attuale cifra di 32 milioni di euro l’anno (92 milioni su 3 anni) alla cifra di 460 milioni di euro l’anno. Per gli scienziati «questa decisione segnerebbe l’avvio di un nuovo corso, e farebbe dell’Italia un Paese che investe in conoscenza al pari delle altre grandi economie fondate sul sapere».
Sbloccare i fondi
Da quanto emerso grazie all’azione parlamentare della Senatrice a vita Elena Cattaneo e dall’inchiesta della trasmissione Presa Diretta, sono ben 430 milioni di euro non spesi dall’IIT di Genova e depositati presso la banca d’Italia. “Questi fondi potrebbero essere destinati proprio alla ricerca di base, contro il cancro e non solo, garantendo così almeno per il primo anno la decuplicazione dei fondi per i PRIN. Proponiamo dunque alla Ministra della Ricerca, Valeria Fedeli, e a tutto il Governo di cogliere l’occasione della giornata mondiale contro il cancro per prendere un impegno che rappresenterebbe una speranza importante per tutta la ricerca italiana. Clicca QUI per sottoscrivere l’appello.
Immigrati: per 2 italiani su 3 portano malattie come la meningite
News Presa, PrevenzioneL’immigrazione porta in Italia malattie infettive gravi: ne sono convinti i due terzi degli italiani.
Interpellati attraverso il sondaggio Index Research, il 63,8% degli intervistati si è detto convinto che “l’arrivo degli immigrati nel nostro Paese favorisce la diffusione di malattie infettive anche gravi”. Il 26,5% crede invece che non sia così. Il 9,7% è rappresentato dalla fetta che non sa o non risponde.
La rilevazione Index ha sondato anche l’effetto psicosi meningite, dopo l’ondata di paura che si è diffusa nel mese di gennaio a causa di diversi casi registrati lungo la penisola.
Secondo il 74% della popolazione, il 13% in più rispetto all’ottobre 2015, è giusto che le vaccinazioni per i bambini siano “obbligatorie per tutti”. Mentre un quinto ritiene che debba essere una scelta dei genitori; ovvero il 7% in meno rispetto all’ottobre 2015.
E aumentata anche la fetta di persone che ha assunto posizione rispetto a questo tema: nella precedente rilevazione l’11% degli intervistati non sapeva o non aveva risposto, oggi solo il 5% non ha un’opinione.
“I casi di cronaca e una maggiore informazione hanno quindi spostato una parte dell’opinione pubblica, che ha preso maggiore consapevolezza del tema”, spiega Natascia Turato, direttore di Index Research.
Più volte sul caso “psicosi meningite” la professoressa Maria Triassi direttore del Dipartimento di Salute Pubblica della Federico II di Napoli ha invitato alla calma. Non è stata lei la sola, visto che tutti i camici bianchi hanno sempre ribadito che in Campania, ad esempio, non c’è e non c’è stato, alcun allarme concreto. La Triassi è stata invece la prima a sottolineare come al fenomeno dei migranti si potesse associare un rischio contagio, o meglio il rischio di veder tornare malattie dimenticate e comparirne di nuove. La professoressa Triassi ha parlato nei mesi scorsi di un incremento dei casi di tubercolosi e del «ritorno di alcune malattie infettive che, nel vecchio continente, sono quasi del tutto debellate, silenti». Tutto questo proprio per il fenomeno migratorio e le cattive condizioni igienico sanitarie di quanti sono costretti a viaggi disperati verso le nostre coste. «In alcune nazioni da cui provengono i migranti – aveva spiegato la Triassi – alcune patologie come la tubercolosi e la meningite, che da noi sono quasi del tutto scomparse, sono endemiche e silenti nell’individuo. Questi virus con i climi più freddi possono acutizzarsi e diffondersi».
Rosolia congenita, in pochi conoscono i rischi
PrevenzioneRosolia Congenita: l’eradicazione è possibile. Lo dice una ricerca della Federico II di Napoli. Ormai da un decennio il Ministero della Salute ha formulato un piano nazionale di eradicazione del morbillo e della rosolia congenita (PNEMoRC). Purtroppo, verificando regione per regione il livello della copertura vaccinale per queste due malattie ci si rende conto che sul registro del Ministero i dati riguardanti la Campania sono fermi al 2008. Per dare un’inversione di tendenza a questa situazione preoccupante il professor Raffaele Orlando (direttore dell’Unità operativa complessa di Malattie Virali della Federico II di Napoli) assieme alla sua équipe di infettivologi, ha intrapreso un’indagine avvalendosi della preziosa collaborazione del reparto di Ostetricia. Il progetto ha coinvolto 131 donne in gravidanza alle quali è stato sottoposto un questionario in forma anonima volto a rilevare se fosse presente uno stato di protezione nei confronti della rosolia. IN pratica se avessero fatto il vaccino o se avessero già avuto la rosolia. Le domande sono anche servite a comprendere se queste donne fossero consapevoli dei rischi che questa malattia, se contratta in gravidanza, può causare al nascituro.
I risultati dell’indagine
L’esito della ricerca ha dato un’indicazione inequivocabile: la scarsa copertura vaccinale è la diretta conseguenza dell’inadeguata conoscenza dei rischi associati alla rosolia congenita, dal momento che le donne ignare dei rischi non si preoccupano di rimediare al pericolo vaccinandosi. Per questo motivo le pazienti “arruolate” sono state adeguatamente informate dal personale della Federico II rispetto alle possibili conseguenze per il nascituro. Il risultato? Quasi tutte hanno chiesto di essere sottoposte al vaccino subito dopi il parto.
I rischi e le esperienze pregresse
Tra i pericoli connessi alla rosolia in gravidanza c’è una maggiore incidenza di aborti, la possibile cecità del bimbo o la sordità neurosensoriale e malformazioni cardiache. Già nel 2015 l’equipe del professor Orlando aveva condotto uno studio legato agli studenti di Infermieristica, Infermieristica Pediatrica e Ostetricia della “Federico II”, mirato alla valutazione della percezione del rischio di morbillo e rosolia tra i giovani. Anche in quel caso lo studio aveva incentivato gli studenti alla vaccinazione.
La strada giusta
«Direi un buon esempio – spiega il professor Orlando – di come formazione e informazione siano la chiave di volta per raggiungere certi risultati. Un esperimento da estendere senz’altro nel territorio campano per tenerci al passo con le altre Regioni e rispettare gli impegni presi con il Ministero della Salute in merito alla vaccinazione per rosolia». Si può dire che sulle direttive nazionali per l’eradicazione della rosolia congenita, la Regione Campania, grazie all’attiva collaborazione della Federico II, può rispondere “presente”.
Cancro, il mondo si mobilita: è il World Cancer Day
News Presa, PrevenzioneDomani in tutto il mondo ricorre la giornata contro il cancro.
Volti e messaggi si diffondono per spingere a riflettere su cosa ognuno di noi possa fare contro il cancro. Gli specialisti dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e dell’Istituto Dermatologico San Gallicano hanno pensato di metterci la faccia e inviare messaggi alla popolazione per il World Cancer Day, suggerendo azioni comuni.
Il motto infatti della giornata è “Noi possiamo. Io posso”, non solo però il 4 febbraio….
Occorre chiedersi come ci si può impegnare in prima persona e tutti insieme per prevenire e curare il cancro e soprattutto contribuire alla riduzione dell’impatto globale prodotto dalla patologia sulla persona, la famiglia, la società ed il lavoro.
La giornata mondiale contro il cancro, istituita con la Carta di Parigi di cui l’Italia è firmataria e promossa dall’Union for International Cancer Control – UICC è proprio l’occasione per riflettere ed impegnarsi su stili di vita più salutari e ricordare a tutto il mondo che occorre sostenere la ricerca scientifica. Si può inoltre promuovere l’adesione a strategie di prevenzione, offrire supporto durante e dopo le terapie, promuovere azioni di sensibilizzazione e molto altro ancora.
I messaggi, racchiusi in 11 cartoline, dei ricercatori, oncologi e chirurghi dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e dell’Istituto Dermatologico San Gallicano rispondono a una domanda precisa: cosa possiamo fare tutti noi? Infine invitano all’azione, utilizzando tutti gli strumenti in possesso per esplicitare al meglio i messaggi: condividendoli sui propri portali, blog, profili di pagine social, insieme all’hashtag #WorldCancerDay #WeCanICan #IFOrlove
Le 11 cartoline al completo
La scuola, un sistema di relazioni
Psicologiadi Giulia Liperini*
I cambiamenti e le trasformazioni della scuola hanno portato inevitabilmente alcune incertezze. Il cambiamento come “evento critico, inteso come un qualsiasi evento perturbante in grado di provocare un cambiamento nel sistema (Scabini, 1995).
La dottoressa Giulia Liperini
Ideare e condurre progetti nelle scuole è un intervento che dev’essere finalizzato a gestire le difficoltà che si sviluppano sia dentro sia fuori le aule. E’ senz’altro vero che fattori familiari o sociali influenzano il comportamento degli allievi (e dei docenti) a scuola e che i ragazzi “importano” nella classe regole di comportamento e abitudini apprese e vissute in famiglia (o nel quartiere, o nel gruppo). La scuola non è impermeabile a quanto succede nel contesto sociale a cui appartiene. Tuttavia docenti e specialisti che hanno il mandato di intervenire a scuola non hanno nessuna presa su questi fattori extra-scolastici.
Un intervento focalizzato esclusivamente su questi fattori può essere destinato a fallire. Da qui l’importanza di identificare i fattori contestuali legati alle dinamiche relazionali all’interno della classe: i soli sui quali le risorse e le competenze dei diversi attori del sistema scolastico (docenti, docenti di sostegno, allievi, direzione, ma anche specialisti chiamati a rinforzo) possono agire con efficacia.
La scuola resta il luogo di trasmissione di saperi e di valori, anche se tende a conservare la propria identità e le proprie caratteristiche nel tempo.
L’ottica sistemica
E’ uno strumento pertinente e utile in questo contesto, perché propone di riconsiderare un eventuale disagio scolastico secondo una diversa chiave di lettura. Il sistema scuola è molto complesso, l’approccio sistemico propone di passare da una definizione in termini parcellizzati: individuali, familiari, o socio-culturali, o in riferimento a cause generali situate all’esterno della scuola, ad una lettura delle condizioni legate a processi specifici di interazione. In particolare tra allievo e docente, o tra allievo e compagni di classe, o nel gruppo-classe preso nel suo insieme, o anche tra scuola e famiglia.
In quest’ottica, si passa quindi dalla ricerca di cause come la storia del ragazzo, la famiglia, l’ambiente di vita, all’identificazione e all’analisi dei processi interazionali e dei meccanismi in atto all’interno della classe o dell’istituto che possono favorire lo sviluppo di situazioni di malessere, o anche contribuire a renderle croniche.
Il processo educativo coinvolge direttamente o indirettamente più attori, lo studente si trova al centro di diversi agenti in rapporto asimmetrico, che può emergere tra la famiglia, la scuola (preside, docenti, personale ata, istituto), i servizi esterni (educatori socio-sanitari, psicoterapeuti, etc.) o anche amici e compagni. Assumere uno sguardo sistemico permette di inquadrare fenomeni dove le variabili sono sostanzialmente indefinite o indefinibili. Questo ci permette di sostenere che la teoria sistemica si presta ad affrontare tematiche complesse, come può essere quella dei sistemi educativi.
A questa inquadratura corrispondono modi di pensare e di agire che possono contribuire a realizzare lo “star bene a scuola”, vale a dire favorire condizioni relazionali che garantiscono un “benessere” sufficiente per docenti e allievi. Il benessere a scuola si costruisce a scuola.
L’importanza della “rete”
Un elemento di fondamentale importanza è quello di creare una rete; una rete dei servizi costruita sulle caratteristiche di ogni studente e sui bisogni della sua famiglia, perché la famiglia deve essere riconosciuta come interlocutore privilegiato. In conclusione, approcciarsi alla scuola secondo l’ottica sistemico-relazionale significa guardarla contemporaneamente sia come sovrasistema (apparato burocratico, differenze gerarchiche e generazionali), sia come sottosistema (la vasta rete di relazioni) nel quale ogni individuo (insegnante, allievo, genitore) è considerato come membro di uno o più sistemi di relazioni. In questi termini la scuola è un ambito in cui l’approccio sistemico relazionale può essere assunto come una chiave di lettura e di intervento non psicoterapeutico, ma come orientamento per l’operatività quotidiana (I.Genovesi, G.Liperini 2016).
*Socio ordinario della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale
Antibiotici, OCSE lancia l’allarme : troppe prescrizioni inappropriate
News Presa, PrevenzioneI farmaci vanno assunti quando servono, altrimenti non aiutano a stare meglio. Secondo gli ultimi dati dell’Ocse, l’antibiotico potrebbe essere dannoso o inutile nel 50% dei casi; una volta su due, insomma, non farebbero bene. Le percentuali di prescrizioni inappropriate variano a seconda degli specialisti. Il più allarmante, con picchi del 90% di prescrizioni inadeguate, si riscontra nel caso dei medici di famiglia: sono questi ultimi i professionisti che secondo l’Ocse prescrivono, più spesso, e nel modo più inadeguato. L’Ocse evidenzia che l’inappropriatezza per la medicina generale va da un minimo del 45% fino a picchi del 90%.
Tra i rischi di questa tendenza, ci sono: da un lato i malati che assumono medicine inadeguate, dall’altro c’è un’intera popolazione che, negli anni, sta aumentando la resistenza agli antibiotici. Il rischio è serio: per alcune malattie, in futuro, potrebbero non esserci più le cure adeguate di cui disponiamo attualmente.
I numeri mettono in luce una situazione non omogenea in tutte le branche della Sanità. Ci sono, specialisti che sembrano fare un uso più accorto degli antibiotici, ed altri meno. L ‘uso più oculato di antibiotici è stato riscontrato tra i servizi di dialisi dove l’inappropriatezza varia tra il 12 e il 37%. A seguire, ci sono i pediatri : le prescrizioni risultano inadeguate tra il 4% ma con punte che sfiorano i 47 punti. Va peggio nei reparti di terapia intensiva, dove l’inapproriatezza varia tra il 14% ma può arrivare anche al 60%. Spostandosi verso gli ambulatori, lo stesso rischio aumenta: da un dato minimo del 10% si arriva anche ad indici di inappropriatezza del 70%. In generale, negli ospedali si va da un livello minimo del 14% ad un picco del 79%. I penultimi in classifica sono gli specialisti che lavorano nelle strutture di lungodegenza: si oscilla da un minimo del 21% di prescrizioni inutili ad un massimo del 73%.
Il rapporto dell’Ocse, si conclude con una riflessione sui rimedi: un consumo di antibiotici più razionale potrà essere ottenuto soltanto con interventi che mirino a modificare il comportamento delle singole persone. Medici e pazienti devono essere, quindi, educati alla gestione e all’uso appropriato di questi particolari medicinali. L’Ocse suggerisce di rendere obbligatorio l’uso di test diagnostici rapidi, perché una corretta diagnosi non lascia dubbi sull’antibiotico adeguato da prescrivere. La risposta a chi teme che questi test possano gravare sulla spesa sanitaria è che il numero di antibiotici prescritti diminuirebbe, facendo sì che il costo degli esami sia ammortizzato.
Piercing e tatuaggi, il Bambino Gesù detta le regole. E i consigli
News Presa, PrevenzionePiercing e tatuaggi sono un tema controverso per adolescenti e genitori. La moda del piercing coinvolge circa il 30% dei giovani europei. In Italia emerge che circa il 20,3% dei ragazzi di età compresa tra i 12 e i 18 anni ha applicato un piercing, con maggiore incidenza nel sesso femminile (Indagine Eurispes su 3800 ragazzi). I tatuaggi sono tornati di moda dopo essere stati dimenticati per un lungo periodo, ma ci sono molte cose da sapere. Il loro uso risale alla preistoria e accompagna la storia dell’uomo fin dalla civiltà egizia. Ma la scelta di tatuarsi o di applicare un piercing va affrontata con molta serietà per almeno due ragioni: perché il tatuaggio che facciamo oggi resterà dov’è e com’è per tutta la vita e perché sia piercing che tatuaggi comportano rischi, anche gravi, per la salute. A mettere in guardia sono gli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma forniscono indicazioni sul nuovo numero di “A scuola di salute”.
In particolare, con il tatuaggio e con il piercing si possono trasmettere infezioni batteriche della pelle che qualche volta possono entrare nel sangue e coinvolgere anche il cuore. Si possono trasmettere anche i virus dell’epatite B e C e, in misura minore, il virus dell’AIDS.
Un rischio aggiuntivo è rappresentato dalle reazioni allergiche agli inchiostri utilizzati per il tatuaggio e ai metalli del piercing. Particolarmente temibile è l’allergia al cosiddetto “hennè nero” ottenuto aggiungendo all’hennè un composto molto pericoloso, la parafenilendiamina (PPD). Il piercing può causare, oltre alle infezioni acute, anche anche infiammazione cronica che può favorire infezioni ricorrenti. La formazione di cicatrici o di cheloidi (lesioni cicatrizali, di dimensioni abnormi e sfiguranti) è un rischio concreto sia del tatuaggio che del piercing.
Le infezioni sono la complicazione più frequente sia del tatuaggio che del piercing. Ecco cosa bisogna controllare: l’ambiente deve avere le stesse caratteristiche igieniche dello studio del dentista.
– Il professionista deve lavarsi accuratamente le mani e indossare un paio di guanti di latice sterili (aperti di fronte a voi!).
– Aghi e tubi devono essere usa e getta oppure sterilizzati in autoclave, quindi in confezione sigillata, aperta di fronte a voi.
– L’inchiostro deve essere nuovo (non riutilizzato rimboccando la bottiglia).
– Se qualcosa non va o non convince, meglio salutare e cercare un professionista serio: ce ne sono molti.
A tatuaggio completato è necessario evitare il nuoto e i bagni con acqua calda o comunque prolungati per almeno qualche settimana.
Piercing e tatuaggi sono particolarmente pericolosi, quindi controindicati, nei portatori di vizi valvolari cardiaci, negli affetti da immunodeficit o patologie croniche, a chi assume farmaci antiaggreganti come l’aspirina, immunosoppressori o anticoagulanti, nei ragazzi con cheloidi e nelle donne in gravidanza
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E SE VOGLIAMO LIBERARCENE?
Più facile per il piercing, purché ci si faccia seguire da un dermatologo esperto per evitare cicatrici sfiguranti e per accelerare la chiusura del foro.
Ben più difficile per i tatuaggi. La tecnica che dà oggi i risultati migliori, nelle mani di un dermatologo esperto, è il laser che tuttavia può non essere in grado di rimuovere tutto il tatuaggio e può causare la formazione di croste che talvolta esitano in cicatrici permanenti (oltre ad essere molto costoso).
Altre tecniche come la dermoabrasione, l’asportazione chirurgica, talvolta con autotrapianto di pelle, la criochirurgia possono venir prese in considerazione da un dermatologo esperto ma spesso danno risultati meno soddisfacenti della tecnica laser e causano problemi estetici analoghi.